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Exodus. Il testamento perduto
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E-book727 pagine12 ore

Exodus. Il testamento perduto

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Info su questo ebook

In uscita al cinema il nuovo kolossal biblico di Ridley Scott
EXODUS: DEI E RE

Dall'Eden all'esilio: cinquemila anni di storia del popolo biblico

Salvato dalla strage dei figli maschi ebrei voluta dal faraone, affidato alle acque del Nilo e allevato proprio a quella corte che avrebbe umiliato con la sua ribellione.
Il salvatore, l’eroe che liberò la sua gente dalla schiavitù, l’uomo che osò sfidare l’ira del faraone e guidare il popolo ebraico nell’esodo verso la Terra Promessa: così la Bibbia ci racconta la figura di Mosè. Ma quanta parte di verità storica è contenuta in questa narrazione?
David Rohl – egittologo e storico di fama internazionale – ha analizzato la vicenda dell’esodo e gli altri avvenimenti citati nell’Antico Testamento, confrontando evidenze archeologiche e documenti storici con la lettera delle Sacre Scritture, per rintracciare ogni possibile aderenza con gli eventi realmente accaduti. Il risultato è un’opera insieme avvincente e sorprendente, che consente di ricostruire in modo del tutto nuovo le vicissitudini degli Israeliti e del loro Dio, Yahweh, dalla cacciata dall’Eden all’Esodo, dalla caduta di Gerusalemme all’esilio in Babilonia. Un’opera imponente, di grande ambizione storica, curatissima nei dettagli e nel presentare un’enorme mole di prove, un saggio che mette molti fatti in una luce nuova e inedita, una lettura intrigante per chiunque voglia approfondire i misteri biblici, non solo dal punto di vista teologico-letterario, ma anche e soprattutto dal punto di vista storico ed etnico.

Una rigorosa ricostruzione storica degli eventi narrati nella Bibbia

L’Eden, Noè e il diluvio universale, Abramo, Giuseppe, la schiavitù in Egitto, Mosè e l’esodo, Giosuè e la conquista, Saul e la rivolta degli ebrei, Davide il re guerriero, Salomone, lo scisma e l’esilio.

«È straordinario il modo in cui David Rohl raccoglie le prove in un insieme coerente per formare una storia magnifica, la prima di tutte le storie, per la prima volta.»
Sunday Times

«Quando parla di esplorazioni David Rohl fa apparire Indiana Jones un principiante… Rohl è l’egittologo britannico di maggior spicco.»
Daily Express
David Rohl
Laureato in Storia antica e Egittologia allo University College di Londra, è stato presidente dello Institute for the Study of Interdisciplinary Sciences (ISIS), ha curato il «Journal of the Ancient Chronology Forum» ed è stato presidente onorario della Sussex Egyptology Society (SES). Negli anni Novanta ha condotto scavi a Kadesh (Tell Nebi Mend), in Siria, per conto dello Institute of Archeology di Londra e ha diretto lo Eastern Desert Survey, in Egitto, del quale ha curato anche il bollettino. Le sue ricerche hanno portato a una cronologia radicalmente nuova della storia dell’antico Egitto. È autore di libri di storia che hanno avuto grande successo, fornendo lo spunto per documentari televisivi.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2014
ISBN9788854178106
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    Anteprima del libro

    Exodus. Il testamento perduto - David Rohl

    1

    Adamo e il Giardino dell’Eden

    (Genesi 2:8 - Genesi 4:16)

    La storia

    In principio, all’inizio della memoria, c’era una volta una terra lussureggiante, chiamata Eden, con un giardino paradisiaco situato verso i suoi confini orientali. Eden si estendeva oltre l’ampia schiera di monti che separa la pianura della Mesopotamia dalle steppe dell’Asia centrale e il cuore di questo territorio si trovava nell’area compresa fra i due grandi laghi salati di Van e Urumiya. Le rigogliose valli e pianure primordiali di Eden erano circondate da elevati picchi di montagne innevate, i cui fianchi erano coperti da una densa coltre di foreste di pini (erini) e cedri (survan). Più tardi i Persiani avrebbero riconosciuto il posto semplicemente con il nome di pairidaeza, vale a dire Paradiso.

    Quattro dei grandi fiumi del mondo antico nascevano da Eden. Le sorgenti dello Hiddekel (Tigri) e del Perath (Eufrate) erano situate a ovest, mentre quelle del Ghicon (Gaihun-Aras), che attraversava la terra di ­Cush, e del Pison (Kezel Uzun), che scorreva tortuoso attraverso la terra di Avila, si trovavano nella parte orientale.

    Eden è il luogo in cui nacque la civiltà, il grembo della grande dea Terra e madre della Rivoluzione Neolitica. Questo era il tempo in cui l’uomo dell’Età della Pietra abbandonò definitivamente lo stile di vita nomade di raccoglitore e cacciatore per adottare uno stile di vita stanziale, dando vita a villaggi e iniziando a coltivare la terra e ad addomesticare animali.

    Nella parte orientale della regione di Eden, caratterizzata da una popolazione scarsa e poco accentrata, si trovava una valle che si sviluppava da est verso ovest, protetta da alte montagne sui tre lati. Il sole sorgeva a un’estremità e tramontava dall’altra. Verso nord si estendevano i monti del Cush, oltre i quali si apriva la pianura con lo stesso nome, attraversata dal fiume Ghicon. All’estremità orientale, la catena montuosa culminava nella vetta rocciosa e vulcanica del monte Savalan, che sovrastava l’ingresso orientale di Eden. Verso sud, la cresta innevata del Bazgush separava la valle dalla terra di Avila con i suoi torrenti impetuosi, ricchi di oro, che si univano sino a dare forma ai meandri del fiume Pison. All’estremità occidentale di questa catena montuosa meridionale sorgeva il massiccio del Sahand, un insieme di ghiacciai e di sfavillanti vette vulcaniche. La valle era delimitata sul lato occidentale dal lago salato di Urumiya, che si sviluppava oltre un’area di inospitali terreni paludosi e distese di sale.

    Fu qui, in questa valle lussureggiante, «un giardino in Eden, a oriente» (Genesi 2:8), che Adamo e la sua gente si insediarono. Il racconto epico dei Figli di Yahweh inizia qui, nel primo giardino della storia, il biblico Paradiso Terrestre.

    Il giardino (ebraico gan) in cui giunsero gli Adamiti era riparato su tre lati, un rifugio dal clima infausto dell’altopiano e dai gruppi di nomadi che si spostavano attraverso le montagne circostanti lungo le principali vie di comunicazione. I venti dell’Ovest portavano la pioggia tiepida del Mediterraneo, creando un microclima nella lunga e stretta valle. Questo apporto supplementare di umidità favoriva lo sviluppo di una folta vegetazione e la crescita di una straordinaria varietà di alberi da frutto «graditi alla vista e buoni da mangiare» (Genesi 2:9). Sul terreno rosso cupo che ricopriva le colline pedemontane crescevano copiosi frutteti d’ogni tipo, con alberi di mele, albicocche, pistacchi e mandorle. Mescolata agli alberi da frutto, la vite selvatica, carica di dolci grappoli verdi, si intrecciava con il resto della vegetazione che copriva le terrazze dall’inclinazione naturale. La vite era l’Albero della Vita nel cuore di Eden.

    Sparse lungo il fondovalle, la gente di Adamo trovò delle gorgoglianti sorgenti calde, che innaffiavano prati ricoperti di fiori selvatici. Al centro di questo idillio scorreva poi un fiume, le cui numerose sorgenti si trovavano alla sommità delle vette circostanti. Il fiume del Giardino scorreva verso ovest prima di riversare le proprie acque nelle paludi di Urumiya. Oggi questo fiume porta il nome di Adji Chay, vale a dire acque amare, a causa dell’alto contenuto di minerali trasportato dall’acqua proveniente dalle montagne ricche di metalli. Il suo antico nome era Maidan, che significava giardino reale.

    Ecco così dipinto un posto che aveva tutto. Adamo e i suoi seguaci misero le loro radici in questo paesaggio virginale che corrisponde al leggendario Giardino dell’Eden.

    Una semplice carta in rilievo della parte orientale di Eden con il Giardino dell’Eden al centro. Le valli dei fiumi a nord della cresta di Savalan e Kusheh-Dagh erano note all’autore biblico come Cush e presso i cartografi classici di epoche successive come Cossaea. A sud dei crinali di Sahand e Bazgush si stendeva la terra biblica di Avila, attraverso la quale scorreva il fiume Pison (Uzun), ricco di oro. A ovest si trova il lago di Urumiya e a est la terra di Nod (Noqd), oltre la quale si trova il Mar Caspio.

    L’uomo della terra rossa

    Adamo era sovrano e sommo sacerdote della sua comunità. Egli era in sintonia con le voci della natura che gli parlava attraverso visioni e stati di trance. Adamo conosceva il potere delle piante e degli animali.

    Egli era anche consapevole delle dure realtà della vita e della sua inevitabile fine. La grande Madre Terra¹ si riprendeva regolarmente i corpi delle creature cui aveva dato vita, lasciando indietro soltanto bianche ossa a testimonianza della loro breve esistenza. La terra ritorna alla terra, la creta umana ritorna semplice argilla; più correttamente si dovrebbe dire «polvere tu sei e in polvere tornerai» (Genesi 3:19). Proprio come il vasaio produce vasi sulla sua ruota, così gli dèi (in ebraico elohim, in sumero igigi) crearono l’uomo a loro immagine e somiglianza dalla creta di Madre Terra su una ruota da vasaio.

    E Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche, e su tutti i rettili che strisciano sulla terra» (Genesi 1:26).

    Essi (gli dèi) convocarono la dea, la levatrice degli dèi, la saggia Mami (mamma = Ninhursag), e chiesero: «Tu sei la dea-madre, creatrice dell’Umanità! Crea un mortale, affinché possa portare il giogo!»... Enki (Il Signore della Terra) fece udire la propria voce e parlò ai grandi dèi: «...Allora un dio deve essere ucciso... Nintu² (La Signora della Nascita) mescolerà argilla con la sua carne e il suo sangue. Così il Dio e l’Uomo saranno mescolati nell’argilla» (Mito di Atrahasis 1:4).

    Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente. Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato (Genesi 2:7-8).

    Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse (Genesi 2:15).

    Nella mitologia della creazione dell’antica Mesopotamia, l’Uomo venne creato a immagine degli dèi mescolando l’argilla della terra con il sangue di un dio sacrificato. Fu in questo modo che Adamo ricevette il suo nome tradizionale che significa terra rossa, la terra rossa o creta presa dalla Montagna Rossa prospiciente il Giardino. Gli scavi effettuati nella regione di Eden hanno rivelato che l’ocra rossa era utilizzata per dipingere le pareti delle case, per decorare le statuine di creta e coprire le ossa dei morti come sostituto del sangue o in sostituzione della carne, strappata dalle ossa delle carogne³. Adamo conosceva la terra perché era una creatura della terra.

    Qui, in questa impronta su sigillo a cilindretto proveniente dalla Mesopotamia e risalente a 4000 anni fa, vediamo Adamo (a destra, indossa un copricapo con le corna, simbolo di deificazione) ed Eva (a sinistra) seduti davanti all’Albero della Conoscenza del Bene e del Male, carico di frutti. L’albero ha sette rami, proprio come il candelabro menorah, che rappresenta l’albero del Giardino dell’Eden. Adamo ed Eva si fanno cenno l’un l’altro di prendere un frutto dall’albero. Dietro a Eva si vede il serpente. Il sigillo è esposto nelle gallerie del British Museum dedicate alla Mesopotamia. Inizialmente definito come il sigillo della tentazione, in tempi più recenti il sigillo è stato ribattezzato come scena del banchetto.

    La Montagna di Dio

    A sud dell’insediamento, una stretta valle dai fianchi scoscesi saliva in direzione della montagna più elevata che sorgeva all’estremità occidentale del Giardino. La grande cima innevata della montagna torreggiava sui frutteti e la sua vetta era spesso velata dalle nubi. Un giorno Adamo decise di risalire lungo il corso della valle. Il ruscello dalla rapida corrente, con la sua acqua gelida proveniente dal disgelo della sorgente, lo portò sempre più in alto, finché non si trovò in prossimità della cima della montagna. Qui, immerso nelle nubi, il paesaggio cominciò ad assumere un aspetto soprannaturale.

    Gli alberi da frutto, carichi di boccioli, erano diminuiti subito dopo che Adamo aveva iniziato la sua salita. Egli aveva poi attraversato una sterile landa che si stendeva proprio di fronte alla montagna. Seguendo una curva nella gola, originata dal fiume con la sua forte corrente, egli si trovò di fronte una veduta stupefacente. La sorgente del fiume era una pozza scintillante, che ribolliva sotto l’azione di gas bollenti.

    Attorno alla sorgente si innalzavano torri coniche di nefrite. Il riflesso di questi enormi molari appariva nell’acqua come l’immagine di grandi fauci spalancate, al centro delle quali incombeva la tenebra più profonda. Al di sopra, la vetta ghiacciata della montagna si ergeva come a voler sorvegliare questo ingresso di un mondo sotterraneo.

    Proprio come avrebbero fatto Abramo e Mosè migliaia di anni dopo, Adamo si trovò per la prima volta al cospetto del suo Dio proprio qui, in questo sommo posto, alla cima del Giardino dell’Eden. Questo fu un cruciale punto di svolta nel viaggio dell’Uomo attraverso il tempo: fu il momento in cui Adamo, l’uomo della terra rossa, venne trasformato nel capostipite, a livello genealogico, delle stirpi giudaica, cristiana e islamica. Fu ciò che distinse il grande avo dei Figli di Yahweh da tutto ciò che era stato prima di lui. Qui, in questo momento, l’era della Dea Madre cedette il passo all’era del Signore della Terra, il dio che lungo tutta l’era primordiale che da quel momento prese le mosse fu riconosciuto come Amico dell’Uomo.

    La tradizione successiva (nella forma dei Libri di Ezechiele e Isaia) avrebbe fatto riferimento a una misteriosa «montagna di Dio», «l’eminente trono» e la «montagna dell’assemblea (o schiera celeste)». Al tempo dei profeti Ezechiele e Isaia, questa montagna sacra si trovava «lontano, a nord» di Israele (Isaia 14:13). Essa divenne sinonimo del luogo della caduta dell’Uomo. Da questa altezza, l’umanità (nella sua manifestazione del re fenicio di Tiro) cadde dal suo stato di grazia per patire i dolori di un’esistenza mortale, per sempre lontano dalla protezione del paradiso terrestre.

    Figlio dell’uomo, eleva un lamento per il re di Tiro. Digli: «Il Signore Dio ha detto questo: Tu eri in Eden, nel Giardino di Dio... tu eri sul sacro monte del Signore, dove camminavi fra rossi tizzoni ardenti... Io ti ho buttato giù dal monte del Signore e ti ho distrutto... Fra le nazioni, tutti sanno che sei sbalordito di fronte al tuo destino. Tu sei un oggetto di terrore ormai perduto per sempre» (Ezechiele 28:11-19).

    Il mondo primitivo e innocente finì con Adamo. La metafora simbolica dell’Albero della Conoscenza del Bene e del Male con l’incidente della tentazione caratterizza il secondo punto di svolta cruciale nella vita di Adamo, quando l’Uomo incominciò a esplorare l’ignoto. Questa ricerca troppo umana della conoscenza divenne il peccato mortale che infiammò il senso di lotta e di sofferenza dell’Uomo Mortale nei discendenti del primordiale Adamo.

    La nostra storia dei Figli di Yahweh inizia effettivamente proprio qui, con questo primo passo al di là del territorio della montagna sacra e del suo favoloso giardino, la discesa o caduta dal paradiso e le interminabili peregrinazioni che culminarono nella schiavitù sulle rive del fiume Nilo 3500 anni dopo.

    La Montagna di Dio è ancora lì e si può vedere ancora oggi. La troverete segnata sulle cartine dell’Iran occidentale, indicata come massiccio di Sahand alto 3700 metri. La fonte sacra, il primordiale e originario abisso (in sumero ab.zu) è scomparsa, così come lo sono i «rossi tizzoni ardenti».

    Se, tuttavia, si sale sul Sahand oggi, seguendo le orme di Adamo, si attraverserà il villaggio troglodita di Kandovan, intagliato nelle antiche torri di roccia vulcanica accanto alla fonte gorgogliante. Il tempo sembra essersi fermato in questo luogo dove l’umanità comunicò per la prima volta con il Dio della Bibbia.

    Un contadino iraniano ara il suo campo nel paesaggio ondulato delle colline della Terra di Nod (provincia di Ardabil).

    Nozze celebrate in Paradiso

    Poco tempo dopo che ebbero dato vita al loro villaggio ai piedi del monte Sahand, gli Adamiti entrarono in contatto con altri popoli stanziati in quella regione. Verso sud, oltre la Montagna di Dio in Eden, si estendeva la Terra di Avila, «ricca di oro», dove viveva la tribù degli Huwawa. Il capo di questa tribù aveva una figlia, una sacerdotessa della dea Ninhursag, la signora delle vette delle montagne e la madre di tutti i viventi, che egli offrì in moglie ad Adamo. Dall’unione di Adamo ed Eva (in ebraico Hawwah) nacquero tre figli maschi e diverse figlie femmine. Nella tradizione biblica, Eva aveva ricevuto l’epiteto di madre di tutti i viventi in forza del suo ruolo di grande progenitrice nella genealogia ebraica. Vi era, tuttavia, anche un significato rituale dietro a questo epiteto. Adamo, capo del clan di Eden, ed Eva, sacerdotessa della dea genitrice di Avila, celebravano l’unione annuale delle Sacre Nozze in cui Eva incarnava il ruolo della grande Dea Madre. Tremila anni dopo, ritroviamo i discendenti di Adamo praticare ancora questo antichissimo rito sessuale nelle camere scure in cima ai grandi ziggurat della Mesopotamia, al fine di procreare un erede al sacro trono e assicurare la fertilità della terra alla nascita di ciascun anno.

    Il primogenito dei figli di Eva fu Caino⁴, seguito da Abele⁵, suo fratello minore di tre anni. I due ragazzi crebbero insieme, imparando non solo ad addomesticare le pecore selvatiche, le capre e i bovini, ma anche a coltivare la terra. Una volta adulti, Caino divenne un coltivatore, mentre Abele scelse di fare il pastore sulle colline. Il contrasto fra i loro stili di vita diversi, la coltivazione del suolo di contro alla pastorizia, sarebbe stato alla fine la causa scatenante di una grande tragedia, che avrebbe infranto l’unità del villaggio e avrebbe portato all’esilio di un gruppo dalla terra di Eden. Questo conflitto fra agricoltura sedentaria e pastorizia nomade permane ancora oggi sugli altopiani iraniani, l’eterna maledizione di Caino e Abele.

    Il contesto storico e archeologico

    Il capostipite

    Pur accettando la generale datazione proposta nella Bibbia, inclusa l’estrema longevità dei patriarchi antidiluviani e l’età avanzata dei patriarchi presentata nella versione dell’Antico Testamento dei Settanta (la versione greca della Bibbia), non possiamo collocare Adamo molto prima del 5400 a.C.

    La scienza, tuttavia, ha dimostrato con grande soddisfazione dei più che le prime tracce dell’esistenza del genere umano possono essere rinvenute in un’epoca assai precedente al sesto millennio a.C. Di conseguenza, la conclusione che si può trarre con certezza da questo dato di fatto è che Adamo non fu il primo essere vivente a comparire sulla terra. In verità, ciò risulta prontamente evidente dalla lettura dei primi capitoli del Libro della Genesi, dove Caino e Set, i figli maschi superstiti di Adamo ed Eva, prendono moglie. Non si afferma da nessuna parte che queste donne siano le figlie di Adamo ed Eva e quindi le sorelle di Caino e Set. Inoltre, al verso 4:14 della Genesi, si trova un’affermazione secondo cui Caino, subito dopo aver ucciso Abele, teme di essere assalito da altri uomini, qualora fosse esiliato da Eden.

    Osserviamo meglio, allora, che cosa contraddistingue realmente Adamo come il primo della sua schiatta. Egli è il primo nella memoria, la prima generazione nella genealogia di Abramo. Egli è semplicemente l’avo originario nella tradizione orale. Egli è anche il primo a venerare e a comunicare con il dio degli Ebrei. Partendo da questa prospettiva biblica, Adamo sarebbe dunque il primo uomo spirituale. Anche su questo, tuttavia, gli antropologi avrebbero da ridire, obiettando che l’era neolitica non produsse il primo essere spirituale, vale a dire un essere umano che credesse nell’esistenza oltre la morte. L’archeologia ha dimostrato che gli uomini di Neanderthal seppellivano i loro morti con degli utensili, affinché li potessero utilizzare nell’oltretomba. Sia l’uomo di Neanderthal, sia l’uomo di Cro-Magnon rimuovevano le teste dai corpi di certi individui, al fine, si pensa, di venerare i teschi dei defunti all’interno della comunità. Questa fu certamente una prima forma di culto degli antenati, che proseguì sino al periodo del Neolitico. Alcune pitture murali di Chatal Huyuk (6000 a.C. ca.) mostrano corpi senza testa e riproducono una scena in cui degli avvoltoi strappano la carne dai cadaveri. La pratica di lasciare i morti alla mercé delle carogne affinché ne scarnificassero le ossa costituiva una parte essenziale della religione zoroastriana iraniana e sembra che sia stata in uso in Egitto durante la tarda epoca predinastica.

    Tutto ciò lascia dedurre che l’uomo pre-neolitico credesse in una forma di vita oltre la morte e nell’esistenza di un mondo di spiriti, i prerequisiti essenziali dell’uomo spirituale primitivo. Dobbiamo tuttavia ricordare che la storia di Adamo viene raccontata da una prospettiva puramente biblica, dove l’interesse è rivolto ai progenitori dei patriarchi e alle origini spirituali (Genesi greca). Questa visione più ristretta della scoperta di Dio da parte del genere umano è personificata dall’uomo che reca il primo nome che la storia ricordi, l’uomo che fu idealizzato come la decima generazione a partire dal Diluvio di Noè e come la ventesima a partire da Abramo, sino all’origine, l’inizio nel Giardino dell’Eden.

    Quindi, se Adamo non fu il primo essere umano in senso stretto, chi e che cosa venne prima di lui e come si trovò nel Giardino dell’Eden dove la Bibbia pone l’inizio del suo racconto? Una spiegazione possibile è il risultato di recenti scoperte geologiche sotto le acque del Mar Nero⁶.

    Prima dell’inizio

    Nell’8000 a.C. l’ultima grande era glaciale poteva dirsi conclusa. Lo strato di ghiaccio che aveva coperto gran parte dell’Europa settentrionale negli ultimi diecimila anni si stava ritirando verso il polo. Una conseguenza diretta del clima che si andava rapidamente riscaldando fu che il livello degli oceani andò gradualmente ma inesorabilmente aumentando. Per un breve periodo di cinquecento anni, durante il VI millennio a.C., il ritiro dei ghiacci si arrestò quando si verificò un brusco cambiamento verso un clima freddo e secco. Poi, quando l’aria nell’Europa meridionale e nel Medio Oriente cominciò a riscaldarsi nuovamente, ritornarono le piogge, determinando un clima simile a quello che possiamo osservare oggi in questa zona.

    All’estremità nord-orientale (nota come Mare di Marmara), il Mediterraneo stava erodendo il sottile ponte terrestre che univa l’Europa all’Anatolia, quella stretta fascia di terra che separava il mare salato dalla distesa d’acqua molto più bassa conosciuta in tarda epoca ellenistica e romana come Ponto Eusino o Mare Ospitale, l’attuale Mar Nero. Era soltanto una questione di tempo e poi le due masse d’acqua sarebbero confluite l’una nell’altra in un cataclisma che avrebbe dato l’avvio all’epoca biblica. Oggi il canale che unisce i due mari è chiamato Bosforo e sul suo lato europeo sorgeva la capitale dell’Impero Romano d’Oriente, Costantinopoli, proprio dove oggi si trova la moderna città turca di Istanbul.

    Più a oriente, sulla riva meridionale del Mar Nero, allora un vasto lago d’acqua dolce, una piccola tribù di raccoglitori e cacciatori semisedentari del Neolitico conduceva la sua esistenza più o meno allo stesso modo da secoli. Col passare degli anni, essi avevano imparato a coltivare il grano emmer selvatico e l’orzo che crescevano nel fertile bacino del Mar Nero e avevano ormai da tempo addomesticato i cani selvatici autoctoni, che essi sfruttavano sapientemente in branchi da caccia. Gli uomini della tribù si allontanavano regolarmente per settimane intere in cerca della selvaggina che scendeva a bere sulle rive del lago, mentre le donne e i bambini rimanevano nell’insediamento tribale badando alle piccole baracche di emmer e cuocendo del pane azzimo nei loro forni di argilla. Altri uomini avevano imparato a pescare nelle lagune delle vicinanze, utilizzando arpioni con la punta d’osso e calando reti dalle loro canoe scavate nei tronchi. La vita era dura, ma soddisfacente, sebbene non fosse sempre stato così.

    Cinque secoli prima, i capi ancestrali della tribù erano stati costretti a spostare la loro gente, scendendo dall’altopiano dell’Anatolia durante la mini era glaciale che andò dal 5900 al 5400 a.C., quando il freddo dell’inverno e le costanti eruzioni vulcaniche trasformarono la loro terra in un ambiente troppo inospitale e troppo pericoloso da sopportare. Abbandonando i loro villaggi stipati di case costruite in mattoni cotti al sole, dispersi sui vulcani sacri di Hassan Dagh e Kara Dagh, dai quali essi ricavavano l’ossidiana dallo straordinario colore nero usata per fabbricare armi e utensili, questa gente migrò a sud, verso le pianure che circondavano il grande lago d’acqua dolce. Qui le temperature invernali erano più elevate di parecchi gradi, quindi il clima era più caldo, a causa della differenza di mille metri di altitudine e degli influssi termali determinati dall’aperta distesa d’acqua.

    Fuga verso Eden

    Tutto procedette bene nel nuovo insediamento per circa venticinque generazioni. Poi però, una mattina del fatidico anno 5375 a.C. (Anno Mundi anno 1), gli abitanti del villaggio videro scomparire rapidamente la battigia accanto al loro insediamento. Il livello del mare iniziò a salire di quindici centimetri al giorno, sommergendo ben presto il vicino delta paludoso e allagando le valli dei fiumi al di sotto del livello del mare. Non avevano mai visto nulla del genere.

    La loro preoccupazione era totalmente fondata, per ragioni che essi non potevano tuttavia comprendere. Gli abitanti di quel villaggio non potevano sapere che a centinaia di chilometri verso ovest il Mediterraneo si era finalmente aperto la via attraverso la barriera terrestre e che milioni di metri cubi d’acqua salata stavano ricadendo nel loro lago d’acqua dolce in una cascata di centocinquanta metri di altezza. Ogni giorno quindici chilometri cubici di acqua venivano riversati dal precipizio, due volte il volume delle cascate del Niagara. Il benigno lago che aveva nutrito la loro esistenza per generazioni si era improvvisamente trasformato in un mare di morte.

    Nell’arco di pochi giorni l’acqua che un tempo dispensava la vita era salita a un tale livello da raggiungere anche il villaggio, situato su un basso promontorio prospiciente il lago. Presto l’acqua scardinò le pareti di sottile canniccio ricoperto di argilla e fango delle loro primitive case. La gente assaggiò quell’acqua e scoprì che non era più dolce e pura, ma amara e imbevibile. I cadaveri dei pesci morti affollavano la battigia. Nell’arco di una settimana il minuscolo agglomerato di case era stato completamente spazzato via dall’inarrestabile marea. Lungo tutte le coste del Mar Nero esseri umani e animali dovettero ritirarsi sulle terre più alte. La gente stanziata lungo la costa meridionale si rese conto di non poter far altro che lasciarsi alle spalle un’esistenza sicura per cercare rifugio nel vasto retroterra degli altopiani meridionali.

    Un gruppo serrato di rifugiati ebbe la fortuna di essere guidato da un uomo straordinario che li portò in salvo e che garantì loro una nuova vita, un nuovo inizio ricordato dalle civiltà giudaico-cristiana e musulmana attraverso i primi capitoli del Libro della Genesi. Il nome di quest’uomo è sopravvissuto come un’icona dell’umanità primigenia, grazie alle tradizioni orali e alle genealogie recitate dei patriarchi ebrei, oltre ai miti della creazione recentemente tradotti provenienti dall’antica Mesopotamia. Adamo e il suo clan si diressero a sud, verso Eden.

    Pianta del Taj Mahal che illustra il charbagh persiano o giardino a pianta quadripartita con la m centrale che rappresenta le sorgenti di Eden da cui scorrevano i quattro fiumi di Eden.

    Eden riscoperto

    Localizzare la leggendaria terra di Eden e il suo leggendario Giardino è un compito piuttosto semplice. Il secondo capitolo della Genesi afferma:

    Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava quattro corsi (Genesi 2:10).

    Sono così identificati i quattro fiumi di Eden, il Pison, il Ghicon, il Tigri e l’Eufrate. Il punto cruciale qui è che la parola ebraica roshim (corsi) deve essere intesa come fonti o sorgenti. L’uso di rosh (la forma singolare) è regolarmente attestato nella Bibbia come volto a significare il capostipite di una famiglia o di un lignaggio da cui sono giunti tutti i discendenti. Il simbolismo è piuttosto chiaro: rosh indica l’inizio o fonte della vita, proprio come la fonte di un fiume è la sua sorgente. L’espressione ebraica che sta per Capodanno, Rosh Hashanah, significa letteralmente capo dell’anno inteso come inizio o avvio. La parola roshim non può quindi essere interpretata come estuario (come hanno fatto alcuni studiosi), che era piuttosto percepito come la fine o coda dei fiumi. Di conseguenza dobbiamo cercare Eden all’inizio dei quattro fiumi e non alla loro fine.

    La descrizione del fiume del Giardino dell’Eden che «si divideva e formava» quattro corsi è più difficile da interpretare. Il fiume Adji Chay scorre attraverso la valle del Giardino e sfocia nel lago Urumiya, che a sua volta non possiede sbocchi sul mare. Gli antichi percepivano un mondo in cui la Terra fluttuava su un grande oceano sotterraneo di acqua dolce conosciuto come abzu o abisso. È possibile che il lago Urumiya e il lago Van fossero ritenuti i luoghi in cui l’abzu veniva in superficie. Le acque del fiume del Giardino, quindi, ritornavano all’abzu prima di dividersi o scorrere dalle sorgenti dei quattro fiumi maggiori della regione. Questa idea sembra essere stata il fulcro del giardino paradisiaco dell’architettura reale persiana, con la sua vasca centrale e i canali d’acqua. La religione persiana affonda le sue radici nel zoroastrismo e la tradizione che avvolge la figura di Zoroastro ci informa che il santo saggio proveniva proprio dalla regione che abbiamo identificato come Giardino dell’Eden.

    Quando i Mongoli guidati da Genghis Khān invasero la Persia nel XIII secolo d.C., essi adottarono il concetto zoroastriano di paradiso, che era stato conservato e rielaborato attraverso il sufismo islamico iraniano. I successori di Genghis Khān portarono con sé queste idee in India, dove, sotto il fondatore della dinastia Babur, fondarono l’impero Mogul nel 1527. Il termine Mogul è, in verità, una variante persiana di Mongolo.

    Quando si passeggia attraverso i bellissimi giardini classici del Taj Mahal, il gioiello dell’architettura Mogul, eretto dallo scià Jehan nel 1630, si ha l’impressione di passeggiare nel Giardino dell’Eden nella sua forma più idealizzata. Il Taj Mahal, peraltro, fu progettato da un architetto persiano.

    La vasca centrale o bacino dell’abbondanza è il sacro abzu del paradiso da cui scorrono quattro canali d’acqua, dividendo il giardino rettangolare in quattro parti, il charbagh o giardino a pianta quadripartita. Questi canali rappresentano i quattro fiumi di Eden. La luccicante cupola bianca del Taj stesso rappresenta la vetta innevata della Montagna di Dio, chiamata il trono di Dio nel Corano, mentre l’alta arcata dell’ingresso alla grande corte è la porta o il valico fra le montagne che conduce nel regno di Dio. Ciò è espresso chiaramente nel passo del Corano che abbraccia l’arco principale che conduce nella magnifica riproduzione del paradiso terrestre nella dimora dello scià Jehan. In questo passo Allah ordina all’uomo virtuoso:

    Entra, quindi, tu che fai parte dei miei devoti! Sì, tu entrerai nel mio paradiso! (Sura 89:29-30).

    L’immaginario dell’Eden, tuttavia, è stato anche sfruttato e manipolato per scopi più biechi in anni recenti. Uno dei simboli più affascinanti del mondo antico fu adottato di nazisti come loro emblema. La svastica (dal sanscrito antico, svastica significa benessere, prosperità) è in realtà l’antica rappresentazione dei quattro fiumi di Eden che scorrono dal centro del paradiso. Preoccupati com’erano di celebrare le virtù della razza germanica, non è difficile comprendere perché un tale simbolo fosse stato scelto da Hitler e i suoi compagni come simbolo delle origini pure e incontaminate della razza ariana.

    Due dei fiumi della svastica sono sempre stati noti ed è effettivamente superfluo, quindi, identificare gli altri due, il Ghicon e il Pison. Se percorriamo a ritroso, verso la sorgente, il corso dei fiumi Tigri (in ebraico Hiddekel) ed Eufrate (in ebraico Perath), ci ritroveremo nel territorio montuoso della Turchia orientale. È logico a questo punto identificare gli altri due corsi d’acqua come i due grandi fiumi rimanenti della regione. Il Ghicon sarà facilmente riconosciuto come il Gaihun-Aras (in persiano Jichon), mentre il Pison sarà per forza il Kezel Uzun (dove il nome [P]ishon è una forma ebraicizzata dell’iraniano Uzun). Entrambi scorrono verso oriente per sfociare nel Mar Caspio e nascono nell’Iran occidentale. Questi due bracci della svastica, quindi, estendono il centro di Eden sino a includere sia il lago Van a ovest, sia il lago Urumiya a est.

    Alessandro Magno, nel IV secolo a.C., conosceva questa regione come Armenia (un nome che molto probabilmente deriva da Ar-Mannea, la fondazione dei Mannei). Gli Assiri del IX secolo a.C. la chiamavano Uratu, mentre i Sumeri degli inizi del III millennio a.C. facevano riferimento a una terra magica chiamata Aratta e situata oltre i monti Zagros. In un’antica epica si racconta che un delegato rappresentante della città mesopotamica di Uruk viaggiò sino ad Aratta e, dopo essere passato attraverso sette varchi fra le montagne (o valichi), discese nella edin o pianura dove si trovava la città di Aratta. Il termine sumero antico edin è, secondo la mia opinione, l’origine più probabile per il biblico Eden, la parola che per cinquemila anni è stata sinonimo di paradiso.

    Nel racconto epico del mito di Gilgamesh, questa zona, che un tempo ospitava una rigogliosa vegetazione tipica della fascia di clima temperato, era chiamata terra dei viventi e si poteva raggiungere anche attraversando delle montagne coperte da fitte foreste situate al di là della Mesopotamia. Per i Sumeri del primo periodo dinastico si trattava della sacra Dilmun, la terra dell’alba e dimora degli dèi. Il re Sargon II di Assiria (721-705 a.C.) attraversò sette montagne per raggiungere il fiume Aratta nella sua campagna contro Uratu, in cui egli liberò i Mannei dall’oppressione del re di Uratu. Questo racconto colloca l’antica Aratta nella regione identificata come il territorio dei Mannei (la pianura di Miyandoab, a sud del lago Urumiya) e quindi come la regione che la Bibbia chiama Eden. La visione tradizionale ebraica del paradiso contempla sette livelli di cielo, dove l’ultimo e sommo livello è costituito dal Trono della Gloria (Araboth). L’equazione è piuttosto semplice: il Giardino del Paradiso nella terra di Eden era il settimo cielo.

    Una mappa semplificata dei quattro fiumi di Eden che illustra le loro sorgenti nell’Armenia classica.

    1. In sumero Ninhursag, ovvero signora delle vette delle montagne.

    2. Si tratta di un epiteto della Dea Madre Ninhursag che era madre di tutti gli esseri viventi.

    3. È molto probabile che l’uomo primitivo si impiastricciasse la pelle con l’ocra per tenere lontani gli insetti. Nella valle del Giardino gli sciami di zanzare che prosperavano nelle paludi del grande lago erano fonte continua di irritazione, ma la tribù qui stanziata imparò presto che l’ocra rossa era un repellente efficace per gli insetti.

    4. In ebraico Kayin, che significa fabbro che lavora i metalli.

    5. In ebraico Hebel, vale a dire fumo sacrificale.

    6. Si veda W. Ryan - W. Pitman, Noah’s Flood, New York 1998 (trad. it. Il diluvio, Casale Monferrato, Piemme, 2000).

    2

    Enoch, il fondatore della città

    (Genesi 4:17 - Genesi 6:4)

    La storia

    La tribù adamita si era disgregata completamente. Un gruppo, i Cainiti, era emigrato verso est, nella terra di Nodq (la biblica Nod, l’attuale provincia di Ardabil). Il resto del clan, ancora sotto la guida di Adamo, aveva lasciato il Giardino dell’Eden poco dopo, per iniziare il difficile viaggio in carovana verso sud, attraverso i monti Zagros per poi dirigersi verso la Mesopotamia settentrionale. Eva aveva dato alla luce un terzo figlio chiamato Set¹, che una volta diventato adulto avrebbe preso il posto di Abele, morto assassinato, come capo dell’attività pastorizia. La storia di questi pastori nomadi e del loro discendente, Abramo, continua un migliaio di anni dopo, ma prima dobbiamo viaggiare con i Cainiti lungo il cammino che li portò dal cielo (in sumero An²), la montagna del paradiso, alla terra (in sumero Ki³) e all’inizio della storia. Siamo nell’anno 5245 a.C.

    I guardiani del Paradiso

    In seguito al suo esilio da Eden, la tribù di Caino si vide costantemente molestata dagli abitanti di Nodq, una selvaggia popolazione nomade conosciuta con il nome di Kheruba. Questi terribili cacciatori vagavano per quella terra in cerca di selvaggina, che uccidevano sia per procurarsi cibo sia per i propri riti sciamanici. L’aspetto dei Kheruba, che vestivano con pelli di animali e indossavano copricapo muniti di corna, riempiva di paura gli abitanti della regione. I capitribù nemici indossavano magnifici mantelli coperti di penne di avvoltoio intrecciate nella stoffa grezza. In una tradizione successiva, si narra che questi sacerdoti sciamani fossero poi stati trasformati magicamente nei guardiani alati del paradiso e dei luoghi sacri; si trattava dei cherubini biblici, i terribili protettori della porta orientale di Eden.

    Questa porta orientale è ancora là oggi. Si tratta dell’arida gola di montagna che conduce dal bacino di Ardabil verso ovest, alla lunga valle di Adji Chay, la valle del Giardino. Il suo pilastro meridionale è costituito dalla catena montuosa di Bazgush, mentre quello settentrionale è costituito dal roccioso picco vulcanico del monte Savalan, uno dei luoghi di nascita tradizionali, molto tempo dopo, del profeta e saggio Zoroastro. Nella lingua locale Savalan significa [luogo di] dazio, rimandando a una tradizione di vecchia data secondo cui questo luogo è sempre stato una porta o un posto di frontiera. La gola che separa Nodq da Eden è brulla e desolata durante i mesi invernali, quando i temporali crepitano e producono lampi che saettano dalla cima del Savalan avvolta nelle nubi. I cherubini, i guardiani del paradiso, erano i detentori della «fiamma della spada folgorante», i dardi di luce della montagna del dazio.

    [Dio] scacciò l’uomo e pose a oriente del giardino di Eden i cherubini [in ebraico kerubim] e la fiamma della spada folgorante per custodire la via all’albero della vita (Genesi 3:24).

    I cherubini della Bibbia sono noti grazie ai testi accadici⁴, dove la parola usata a indicare le grandi creature alate è Kuribu. Essi proteggono i luoghi sacri proprio come i cherubini biblici proteggono il paradiso e il Santo dei Santi nel tempio di Gerusalemme. Essi sono spesso rappresentati come leoni alati, ma fanno parte di una famiglia più ampia di creature demoniache ibride, che comprendono tori alati e grifoni (leoni con teste d’uccello e dotati di ali), che fanno la guardia in qualità di portinai di templi e altri luoghi sparsi per la Mesopotamia.

    La discesa dal cielo

    Nell’arco di una generazione i Cainiti decisero di lasciare Nodq e di dirigersi verso sud-est attraversando il fiume Pison, per raggiungere la riva meridionale del Mar Caspio e poi proseguire lungo l’ampia valle di Zanjan. Alcuni membri della tribù decisero di insediarsi in questa valle, dove fondarono un villaggio, le cui rovine sono ora localizzate presso Ismailabad. Il resto della tribù si spostò oltre, verso l’altopiano iraniano, dove si trovò di fronte a un enorme mare interno circondato da paludi. Oggi quel mare è scomparso lasciandosi dietro una vasta distesa di sale, la Dasht-é Kavir⁵. La tribù si stabilì vicino alla riva occidentale del lago, costruendo un villaggio costituito da capanne fatte di canniccio e ramaglie, che successivamente sarebbero state ricostruite in mattoni di fango seccati al sole. Questo piccolo insediamento divenne la fondazione di una grande città oggi conosciuta come Tepe Sialk. Gli scavi, condotti qui e a Ismailabad, hanno riportato alla luce alcuni oggetti di ceramica che si attestano fra i più antichi del Medio Oriente, come i vasi sottili di straordinaria qualità, decorati con disegni neri su sfondo rosso (Sialk II). Gli abitanti di quel villaggio impararono inoltre a lavorare il metallo (battendolo), a estrarre il rame dalle miniere di malachite di Talmessi della vicina Anarak. Ecco come Caino (fabbro ferraio) ricevette il suo nome tradizionale.

    Ancora una volta, dopo diverse generazioni, la gente si spostò, lasciando che alcuni membri della tribù in rapida crescita mantenessero in vita la comunità di Sialk. Attirati verso sud dal clima più caldo del golfo, i viandanti penetrarono nella zona centrale dei monti Zagros e raggiunsero la valle di Kangavar. Di nuovo, parte della tribù mise le sue radici qui, mentre il resto proseguì verso sud, seguendo il corso del fiume Saidmarreh, attraverso burroni dalle pareti scoscese che infine li condussero sino alla pianura di Susiana. L’intero processo di spostamento, dalla partenza da Eden sino all’arrivo nelle ampie pianure a sud dei monti Zagros, richiese oltre quattrocento anni. Durante quel periodo la dinastia di Caino era giunta alla fine e lo scettro del potere era passato in nuove mani. Il terzo grande leader e capo dinastico dei Figli di Yahweh fu Enoch.

    Gli Anunnaki

    Questo eponimo fondatore della terza dinastia degli Adamiti sarebbe stato ricordato dai suoi lontani discendenti come il primo costruttore di città. Sarebbero poi state composte delle opere apocrife (i Libri di Enoch) incentrate su di lui, che avrebbero descritto la sua leggendaria figura come il primo uomo santo della storia. Quest’uomo fu così degno di dio e saggio che gli angeli lo allontanarono dal genere umano e lo portarono in cielo. Il suo nome, Enoch (in ebraico Hanok = il fondatore), fu dato alla prima importante città sumerica, Uruk (biblico Erech) nella sua forma sumerica originaria di Unuk. Le civiltà mesopotamiche dei secoli successivi elevarono Enoch e gli uomini potenti dell’epoca primordiale che lo succedettero allo status di dèi, che essi chiamavano Anunnaki o Anunna (fondatori). Il nome Anunnaki può essere inteso anche come quelli del cielo e della terra, in altre parole quelli che vennero dal cielo (an) per stabilirsi sulla terra (ki), ovvero dalle montagne alla pianura alluvionale. Erano uomini mortali che divennero dèi.

    Quando Dio era l’Uomo... (Mito di Atrahasis, verso 1).

    Essi erano dèi terreni che, essendo di carne e ossa, passarono dal mondo mortale a governare il mondo sotterraneo dei morti. Essi non dimoravano fra gli dèi Igigi del cielo. Gli Egizi li conoscevano come i fondatori mitologici della civiltà, conosciuti come Shebtiu.

    Questi sono i grandi dèi, gli Anziani, i venerati Shebtiu [...]. Essi sono (fra) i venti dèi che proclamarono la Terra sulle sue fondamenta sin dai tempi dell’epoca primordiale degli dèi a completamento dell’eternità. [...] la prole del Creatore, Spiriti Gloriosi della Prima Era Primordiale degli Dèi, Fratelli dei (Sette) Saggi e Dèi Costruttori [...] (Testo Shebtiu proveniente da Edfu).

    Enoch, il fondatore originario, battezzò la prima città in assoluto della Mesopotamia con il nome del suo figlio maggiore Irad, la città che storici e archeologi conoscono come Eridu e a cui i Sumeri diedero un secondo nome, Nun.ki (grande luogo). La parola ki è un determinativo impiegato nella scrittura cuneiforme per indicare città e quindi il nome sumerico Eridu può essere letto semplicemente come Nun, grande, potente.

    Nessuno del popolo delle nubi aveva eletto un re. Sino ad allora, nessun diadema e nessuna corona era stata posta su di una testa; nessuno scettro con lapislazzuli incastonati. Non era stato costruito alcun tempio . [...] Scettro, corona, diadema e bastone (da pastore) sono ancora depositati al cospetto di Anu in cielo [...]. Poi il potere sovrano discese dal cielo (Mito di Etana).

    Enoch e la sua gente erano penetrati nelle pianure seguendo il corso del fiume Saidmarreh, che qui si univa ad altri corsi d’acqua per formare il fiume Kerkeh. Alla sua foce nel Golfo Persico, il Kerkeh si divideva in numerosi rami che andavano a costituire un delta acquitrinoso in cui si era sviluppato un fitto canneto. Queste canne si dimostrarono un ottimo materiale per costruire non solo case in canniccio, ma anche barche. Le canne berdi sono utilizzate per questo scopo ancora oggi dagli arabi Marsh dell’Iraq del Sud. La tribù di Enoch fu la prima a costruire delle imbarcazioni con questo metodo, al fine di utilizzarle per esplorare il mare aperto del golfo settentrionale (dal punto di vista archeologico ciò avvenne durante il Primo Periodo Ubaid, 4800-4000 a.C. ca.). Il capo del clan stesso e il suo entourage salparono per navigare verso ovest, lungo la costa, per scoprire le foci dei fiumi Tigri ed Eufrate. La tradizione biblica narra che i loro avi antidiluviani penetrarono nel Sennaar (il Sumer storico nell’Iraq del Sud) provenendo da est.

    Emigrando dall’oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono (Genesi 11:2).

    Presso la foce paludosa dell’Eufrate, s’imbatterono in un’isola circolare di sabbia pura circondata da un lago d’acqua dolce e trovarono altre canne berdi ideali per costruire. Enoch scorse un falco appollaiato su un gruppo di canne che crescevano lungo il litorale dell’isola. Egli interpretò questa scena come un auspicio favorevole e andò sulla terraferma per gettare le fondamenta di quello che sarebbe divenuto il tempio più sacro di Eridu: la E-Abzu (casa dell’abisso), dove il dio degli Adamiti avrebbe dimorato per duemila anni.

    Nella tradizione egizia, furono gli dèi-Shebtiu a piantare le canne sulle quali si appollaiava il dio falco Horo (Horus) e, così facendo, istituirono le fondamenta del tempio primordiale sull’isola della creazione.

    [...] essi piantarono un filo di canna nelle acque di Nun; poi giunse il falco e le canne lo sollevarono [...] così nacque la grande altura primordiale (Testo Shebtiu di Edfu).

    La scena di Shebtiu dal tempio di Edfu con il falco sacro appollaiato sulle canne e, dietro di lui, i fondatori seduti sui loro troni sull’Isola della Creazione.

    Il nome di Dio

    È solamente ora, in questo punto cruciale della preistoria umana, che possiamo identificare il dio dei patriarchi antidiluviani della prima epoca. Gli antichi lo conoscevano con diversi nomi ed epiteti. I Sumeri facevano riferimento al dio di Eridu come Enki (il signore della terra) e Nudimud (creatore di uomini), mentre i popoli della Mesopotamia di lingua semitica orientale (gli Assiri e i Babilonesi) lo conoscevano semplicemente come Eya⁶. Questo nome probabilmente non è semitico e può essere stato preso in prestito dai colonizzatori originari delle paludi sumeriche, che portarono il loro dio in Mesopotamia dalle montagne orientali. L’epiteto sumerico en.ki (signore della terra), perciò, è semplicemente l’appellativo principale del dio di Eden, il cui nome proprio era Eya. Gli Ittiti e gli Hurriti della Tarda Età del Bronzo lo chiamavano Aya. Gli Israeliti semitici occidentali di un migliaio di anni dopo avrebbero poi citato lo stesso dio chiamandolo Yah (pronunciato Ya), oppure con il suo nome ufficiale più lungo: Yahweh (pronunciato Yawé). La forma breve del nome Yahweh è quella più comunemente usata e ricorre in parecchi nomi israeliti/giudei (per es. Geremia [ebr. Yirmeyah Yah si eleva], Amazia [Yah è forte], Giosia [Yah ci sostiene], Iedidia [amato da Yah], ecc.) e in espressioni bibliche molto note, come alleluia (sia lodato Yah"). Yah era senza dubbio il nome più comune di Dio in tarda epoca biblica.

    Gli Egizi facevano riferimento a questa divinità dell’isola sacra della Prima Epoca (sep tepi) con il nome di Tanen, che, in epoche più tarde, era conosciuta come Ptah (dio principale della prima capitale dell’Egitto unificato, Menfi). Tanen/Ptah dimorava nel tempio primordiale, nelle acque di Nun (l’abisso) sotto forma di un sacro falco a fianco del dio del sole Atum/Râ.

    In questa prima manifestazione, come la divinità sumerica Enki, Eya/Ya/Tanen era il dio delle acque dispensatrici di vita. Queste erano le sorgenti d’acqua dolce e i fiumi, in opposizione ai mari e ai laghi d’acqua salata. Egli era anche il dio della saggezza. Egli, insieme con la grande Dea Madre della Terra Ninhursag (nota anche come Nintu, signora della nascita), creò il genere umano dalla creta. Egli era riconosciuto come l’amico dell’uomo, il dio che avvertì l’eroe del diluvio della Mesopotamia dell’imminente catastrofe destinata a distruggere l’umanità. In questa parte della nostra storia, faremo riferimento al dio dei patriarchi antidiluviani principalmente con questo epiteto sumerico, Enki (fatta eccezione per una citazione tratta da una fonte accadica, dove viene utilizzato Eya).

    L’isola sacra

    Con l’arrivo di Enoch sull’isola di Nun (Eridu) alla foce del fiume Eufrate, il Signore della Terra, dio delle sorgenti d’acqua dolce, ebbe una nuova dimora creata appositamente per lui, dove generazioni di uomini santi (in sumero en.si) potevano comunicare con il loro dio nella camera scura. Inizialmente, il tempio di Enki era un semplice santuario costruito con le canne, circondato da un canneto che ne costituiva il muro di cinta. Nel corso dei secoli, però, questo piccolo santuario sarebbe cresciuto, per trasformarsi in un enorme piattaforma tempio, più tardi inteso come simbolo dell’arroganza dell’Uomo nella sua continua ricerca volta a emulare gli dèi. La famosa Lista Reale Sumerica fa cenno a questo momento cruciale della storia, quando gli Anunnaki (egizio Shebtiu) arrivarono nelle paludi meridionali del Sumer e fondarono la prima città della Mesopotamia.

    Quando il potere sovrano discese dal cielo, il (primo) potere fu a Eridu (Lista Reale Sumerica, colonna I, verso 1).

    La collina di sabbia su cui fu costruito il tempio di Enki si ergeva su una palude in cui prosperava un canneto e che orlava il litorale del Golfo Persico. La palude era alimentata dalle acque dolci dell’Eufrate e da una sorgente sotterranea che affiorava alla superficie terrestre proprio di fronte alla collina. Le acque salate del mare si aprivano comunque nelle immediate vicinanze. I Sumeri chiamavano questa palude Abzu o abisso perché credevano che uno degli accessi all’oceano degli inferi fosse situato qui. Eridu era anche conosciuto come il chiavistello del mare perché teneva a bada le pericolose acque del golfo, nonché qualsiasi invasore forestiero che queste avrebbero potuto portare. Eridu era la porta d’accesso alla Mesopotamia provenendo dal grande oceano meridionale noto agli antichi come Mare Inferiore⁷.

    Come già ho fatto notare, l’episodio della prima fondazione costituisce il fulcro anche della mitologia egizia. Questa storia, tuttavia, rientra in un capitolo successivo di questo racconto epico. Nel frattempo, seguiremo Enoch sotto altre spoglie, quando trasforma le paludi sterili e spopolate della Mesopotamia meridionale in ricche terre agricole che saranno la culla della prima vera civiltà del pianeta.

    Uanna-Adapa

    Le leggende accadiche (e lo storico della Mesopotamia Beroso⁸) narrano di un grande saggio, il primo dei sette apkallu (in sumero ab.gal) inviati da Eya per portare le arti della civiltà al genere umano. Egli giunse dall’Est insieme con gli Anunnaki. Su alcune isole delle paludi del Sumer gli Anunnaki fondarono le prime città della Mesopotamia e il loro leader spirituale, il primo degli apkallu, insediò dei re affinché governassero i coloni. Il nome di questo saggio era Uanna-Adapa⁹, il biblico Enoch.

    La Bibbia non riporta quasi nulla dell’insediamento di Uanna/Enoch e dei leggendari Anunnaki nella terra primordiale del Sumer. Le poche informazioni storiche a nostra disposizione, quando ve ne sono, gettano un po’ di luce sui loro discendenti. Ci viene narrato l’esilio di Caino, ma poi, dopo aver elencato le generazioni di patriarchi antidiluviani che vennero dopo Caino, la Genesi fa un salto in avanti sino al diluvio, tralasciando un millennio di storia ancestrale. Successivamente, al capitolo 11 della Genesi, apprendiamo che «emigrando dall’oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono».

    L’isola di Nun

    Inizialmente i villaggi di Sennaar furono costruiti su sabbiosi ponti arcuati che emergevano dalle paludi d’acqua dolce alimentate dall’imponente fiume Eufrate. Nel cuore del recinto sacro di Eridu, il piccolo santuario di canniccio dedicato al dio di Eden fu presto ricostruito in mattoni di fango. Gli archeologi hanno trovato qui i primi oggetti di vasellame della regione, associati a questa antichissima attività edile, che hanno chiamato Ubaid (utilizzando il nome del sito delle prime scoperte, non lontano da Eridu). L’era archeologica Ubaid ha quattro fasi, l’ultima delle quali coincide con la data del diluvio proposta da Sir Leonard Woolley, che riportò alla luce uno spesso strato di sedimenti portati dall’acqua presso la città di Ur. Ne sapremo di più nel prossimo capitolo, ma, per ora, continuiamo con la nostra storia del minuscolo tempio in mattoni che si ergeva sulla sabbiosa isola di Eridu. Uanna/Enoch, discendente di Adamo e sacerdote di Enki, fece erigere un tavolo votivo al centro di una sola camera, di fronte alla nicchia dove era stato collocato il simbolo di questo dio. Su questo altare, i fedeli offrivano del pesce al Signore dell’Abisso, le cui lische sono state riportate alla luce dalla paletta degli archeologi. Le leggende sumeriche narrano che Uanna stesso si inoltrava nelle paludi per catturare questi pesci.

    A quel tempo, in quegli anni, egli (Uanna-Adapa) era un saggio, un figlio di Eridu (della città di Eridu). Eya lo aveva creato come spirito protettore fra gli uomini. Un saggio, nessuno rifiutava la sua parola, intelligente, ultra saggio. Egli era uno degli Anunnaki, santo, con le mani pure, il sacerdote pashishu che curava sempre i rituali. Egli cuoce il pane con i panettieri di Eridu. Egli prepara il cibo e l’acqua di Eridu ogni giorno e prepara il tavolo votivo con le sue mani pure. Senza di lui, nessun tavolo votivo viene sparecchiato. Egli prende la barca e pesca per Eridu (Leggenda Adapa).

    La piccola isola sabbiosa di Nun fu estesa per la costruzione di edifici, adagiando canne tagliate sull’orlo dell’acqua sino a formare una fitta stuoia. Gradualmente l’isola di Nun si estese, non appena lo strato di canne si solidificò e si trasformò in suolo. Tutto attorno a Nun un numero sempre maggiore di rive sabbiose fu popolato ed esteso allo stesso modo. I testi mitologici egizi fanno riferimento a queste isole chiamandole terre acquisite del mondo primordiale. Isole più grandi furono poi siti di altri grandi insediamenti, per divenire infine veri e propri agglomerati urbani e grandi città. I nomi di queste città sono spesso sinonimo della prima civiltà della Mesopotamia: Uruk (Unuk), Ur (città), Ubaid, Larsa, Girsu, Lagash e Bad-Tibira (insediamento dei lavoratori del metallo).

    Le paludi e il terreno acquitrinoso furono gradualmente bonificati e l’acqua dei grandi fiumi fu deviata lungo vecchi corsi d’acqua abbandonati. Venne così creata una rete di canali, nell’intento di ridurre la portata d’acqua che affluiva alle paludi meridionali e di creare zone fertili nella secca e polverosa pianura situata a nord. Nel corso del IV millennio a.C. la Mesopotamia meridionale fu trasformata in una terra paradisiaca di campi coltivati e boschetti di palme da datteri. Le città del Sumer divennero estremamente prosperose e, di conseguenza, si intensificò in modo esponenziale anche la loro influenza politica.

    Alleanze commerciali

    Gli Anunnaki erano venuti a contatto con la popolazione indigena della pianura di Susiana prima del loro spostamento verso ovest e della espansione verso le paludi meridionali del Sumer. I nuovi venuti dalle montagne erano stati accolti con buona disposizione d’animo, poiché, dopo tutto, c’era poca competizione per il possesso della terra e delle risorse in un’area così vasta da poter dare sostentamento a una popolazione molto numerosa. I due gruppi si unirono, anche tramite matrimoni misti, e divennero uno solo. Quando Uanna e alcuni individui del suo popolo si spostarono tramite imbarcazioni di canna verso la terra del Sennaar, essi mantennero comunque uno stretto legame con la loro gente rimasta in Susiana. Il contatto fu mantenuto attraverso il Golfo Persico, dal momento che la via terrestre diretta attraverso le paludi era lenta e pericolosa. Il commercio via mare divenne quindi la chiave dell’espansione degli Anunnaki in questa regione. Essi viaggiarono verso sud, lungo la costa della penisola araba, giungendo almeno fino al Bahrein e al Qatar, dove istituirono degli avamposti commerciali temporanei per lo sfruttamento delle risorse minerarie dell’entroterra desertico.

    In Kuwait, quasi all’estremità del Golfo (e non lontano da Eridu), un gruppo di archeologi inglesi dell’Institute of Archeology di Londra ha recentemente riportato alla luce frammenti di bitume che recavano l’impronta di fasci di canne. Sembra evidente che questo bitume un tempo ricoprisse delle imbarcazioni fatte di canniccio, perché il lato esterno delle lastre di bitume è coperto di crostacei dei cirripedi. È risaputo che le prime imbarcazioni della Mesopotamia erano rese impermeabili all’acqua con il bitume, al fine di aumentare la galleggiabilità impedendo alle canne di impregnarsi d’acqua. Associati a questa scoperta degna di nota sono dei frammenti di vasellame del Periodo Ubaid Medio (Ubaid III) e altri frammenti di ossidiana. Questi ultimi sono stati analizzati per determinarne la composizione chimica e si è potuto così accertare che sono originari dell’Arabia occidentale o dello Yemen. Tale riscontro costituisce una prova attendibile dell’esistenza di un commercio che copriva una vasta zona geografica (probabilmente via mare) nel periodo Ubaid Medio (3800 a.C. ca.), molto prima, quindi, rispetto a quanto si pensava in precedenza.

    Le nere imbarcazioni di canne (coperte di bitume) facevano rotta anche verso nord, risalendo il corso del Tigri e dell’Eufrate, instaurando contatti con gli insediamenti che più tardi sarebbero divenuti Akkad, Babilonia e Assiria. Le genti che incontrarono a nord parlavano una lingua differente, il semitico, ma ancora una volta le due culture instaurarono legami forti e stabili attraverso i reciproci scambi commerciali. Gli Anunnaki barattavano grano (che essi erano in grado di coltivare in abbondanza) con lana, tessuti e utensili di metallo, tutti prodotti delle pianure settentrionali e delle colline. Gente di lingua semitica si spostò a sua volta nella nuova terra agricola creata dagli Anunnaki a

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