Torri costiere: La difesa costiera nel Salento dal XVI secolo
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Andrea Checchi fornisce una visione chiara e sintetica di quei processi storici che portarono alla loro costruzione, ambendo a spiegarne, struttura e funzioni, e contestualizzando il tutto all'interno degli eventi storici che coinvolsero la penisola salentina, il Regno di Napoli, ed il mediterraneo, dal XVI secolo.
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Torri costiere - Andrea Checchi
Andrea Checchi
TORRI COSTIERE
La difesa costiera nel Salento dal XVI secolo
Elison Publishing
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Elison Publishing
Via Milano 44
73051 Novoli (LE)
ISBN 9788869630996
Un vivo ringraziamento alla redazione de Le tesi del Salento
che ha permesso la pubblicazione di questo lavoro.
CAPITOLO PRIMO
Origine del sistema difensivo costiero moderno
Fin dal medioevo la penisola italiana fu tra le nazioni europee la più esposta agli attacchi condotti dai corsari e dalle flotte turche. In particolare il Regno di Napoli, che si estendeva fin nel cuore del mar Mediterraneo, fu il primo a subire le conseguenze di queste azioni di guerra marittima. Al Regno napoletano andavano ad aggiungersi le due isole di Sicilia e Sardegna, anch’esse molto esposte e vulnerabili.
Nel 1503 la casa reale aragonese si estinse, lasciando il Regno di Napoli direttamente sotto il controllo della corona di Spagna, che vi istituì il vicereame. Il meridione d’Italia restò possedimento diretto dei sovrani iberici fino alla fine della Guerra di successione spagnola (1713).
La nuova struttura amministrativa, benché fortemente centralizzata, si sosteneva sull’antico sistema feudale: i baroni ebbero modo così di rafforzare la propria autorità e i privilegi fondiari, mentre il clero vide accrescere il proprio potere politico e morale. Fu Ferdinando il Cattolico che, detentore dei titoli di Re di Napoli e di Sicilia, nominò viceré Gonzalo Fernández de Córdoba, che era stato fino ad allora Gran Capitano dell’esercito napoletano, affidandogli gli stessi poteri di un Re.{1} Il titolo di Gran Capitano decadde e il comando delle truppe reali di Napoli fu affidato al conte di Tagliacozzo, Fabrizio I Colonna, con la nomina a Gran Conestabile, titolo che prevedeva il comando dell’intero esercito, formalmente quale luogotenente del sovrano, cui spettava il comando supremo.{2}
Fu in questa situazione che Carlo V riuscì, per un complicato sistema d’eredità e parentele, a riunire sotto di sé un vastissimo impero che si estendeva dalla Borgogna all’Italia, dalle Fiandre alla Spagna fino al sud America. Ma l’impero di Carlo dovette fare i conti nel 1526 con la lega santa, promossa dal Papa con l’adesione di Francia, Venezia e Firenze, che voleva cacciare gli spagnoli dal regno di Napoli. I nemici della Spagna ne uscirono sconfitti e Venezia perse definitivamente i suoi possedimenti in Puglia (1528), mentre la Francia non volle rinunciare alle pretese territoriali sul Regno napoletano. Infatti questa, nel 1552, si alleò con i turchi ma, nonostante la distruzione della flotta spagnola, non riuscì nell’intento di invadere il territorio napoletano.{3}
Il contesto appena delineato evidenzia come il Regno di Napoli fosse in quegli anni al centro delle vicende politiche e territoriali europee e conteso tra le maggiori potenze dell’epoca. In questa situazione è normale porsi la domanda di come fosse organizzata la difesa del territorio.
Nel sud Italia, infatti, le difese ereditate dalle varie dominazioni medievali erano castelli, cinte murarie e forti che permettevano la difesa delle città principali come Palermo, Napoli e Otranto. Queste erano costruzioni antiche, risalenti all’epoca normanna, come Castel dell’Ovo
di Napoli{4}, o addirittura di origine araba, come Castello a mare
di Palermo{5}. Le mura e i castelli cittadini permettevano, a coloro che dentro le mura vivevano, di poter scampare agli attacchi del nemico, che spesso rimaneva logorato dai lunghi assedi. Chi invece risiedeva lontano dalle città e dai castelli era costretto alla fuga dalle zone costiere verso l’entroterra.
Spesso i corsari, per mezzo di piccole imbarcazioni, riuscivano a raggiungere i tratti di costa sguarnita, e fidando sull’effetto sorpresa effettuavano sbarchi inattesi ed imboscate. Anche la conformazione geografica aiutava i corsari: infatti essi potevano sfruttare cale ed insenature per nascondere le imbarcazioni e successivamente dirigersi verso l’entroterra, dilagando poi nelle campagne e nei paesini interni perpetrando razzie e disordini, appropriandosi di ogni sorta di bene agricolo, artigianale e spesso anche degli stessi abitanti, che venivano successivamente venduti nei mercati orientali o dell’Africa come schiavi.
Fondamentale perciò, in caso di pericolo, era la velocità con la quale si trasmetteva la notizia della minaccia nemica, in modo da preparare al meglio la difesa e dare alla popolazione il modo di scappare lontano dal pericolo.
Secondo l’architetto fiorentino Camillo Camilliani, che nel XVI secolo aveva ricevuto dalla delegazione del Regno di Sicilia il compito di ispezionare la costa siciliana per provvedere alla riorganizzazione della difesa costiera, lungo le coste vi erano apposite guardie, col compito di vigilare il mare e perlustrare zone infide. Camilliani specifica che queste si spostavano a cavallo (cavallari) e, nelle zone inaccessibili, a piedi, escogitando