I banchi della libertà
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I banchi della libertà - Angelo Ghidotti
Angelo Ghidotti
I banchi della libertà
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Indice dei contenuti
IL DISEGNO DELL'INGIUSTIZIA
LA CRONACA, L'INVENZIONE E IL TEATRO
SCRIVERE IN DIALETTO
SE ENTRERA' NELLA VOSTRA CHIESA
UNA VALIGETTA MISTERIOSA
QUI, PROPRIO QUI
SCENA PRIMA. LA CESA E L'INFERNO
SCENA PRIMA. LA CHIESA E L’INFERNO (italiano)
UNA GUERRA
SCENA SECONDA. LA CESA NOA
SCENA SECONDA. LA CHIESA NUOVA (italiano)
LA DECISIONE
SCENA TERZA. IL DOGE APPROVA
LA COSTRUZIONE
SCENA QUARTA. MA SA RECORDE LA CESA
SCENA QUARTA. MI RICORDO LA CHIESA
UN BAMBINO
SCENA QUINTA. IL PECCATO DI VINCENZO
QUINDICI ANNI
SCENA SESTA. EL SANTISSIMO
SCENA SESTA. IL SANTISSIMO (italiano)
GRAZIE, AGNESE
IL CATTIVO
SI VOTA
SCENA SETTIMA. UN VOTO STRAPPATO
SCENA SETTIMA. UN VOTO STRAPPATO (italiano)
LA GRANDE DELUSIONE
SCENA OTTAVA. UNA ZUFFA IN PIAZZA
SCENA OTTAVA. UNA ZUFFA IN PIAZZA (italiano)
LA DECISIONE DI DON VINCENZO
SCENA NONA. PADRINO E FIGLIUOZZO
E SU E GIU'
SCENA DECIMA. LA SATIRA
SCENA DECIMA. LA SATIRA (italiano)
SCOPPIA IL TUMULTO
SCENA UNDICESIMA. LA RIVOLTA
SCENA UNDICESIMA. LA RIVOLTA (italiano)
DON VINCENZO INTERVIENE
IN MISSIONE A VENEZIA
SCENA DODICESIMA. LA PROTESTA DI SAN LORENZO
SCENA DODICESIMA. LA PROTESTA DI SAN LORENZO (italiano)
LA DISCORDIA DIVAMPA
IL PROCESSO
SCENA TREDICESIMA. LA NOTTE DELLE CATENE
SCENA TREDICESIMA. LA NOTTE DELLE CATENE (italiano)
UNA PROCESSIONE DI FANTASMI
SCENA QUATTORDICESIMA. L’ODORE DELLA PRIGIONIA
IN PRIGIONE
SCENA QUINDICESIMA. L'INTERROGATORIO
ORRORI
SCENA SEDICESIMA. ESECUZIONE IN PIAZZA
LE IMPUTAZIONI
SCENA DICIASSETTESIMA. VINCENZO ROSA IMPUTATO DI SOMMOSSA
IL FAMOSO AVVOCATO BERTONI
LA DISTRIBUZIONE DEI BANCHI
DISTRIBUZIONE IN RIMA
RILASCIO DEI PRIGIONIERI
SCENA DICIANNOVESIMA. UN PENSIERO TORMENTOSO
LA GLORIA FINALE
MOLTI ANNI DOPO
SCENA VENTESIMA. L’ALBERO DELLA LIBERTÀ
SCENA VENTESIMA. L’ALBERO DELLA LIBERTÀ (italiano)
LA CRISI DI DON VINCENZO
UN UOMO DIVISO
Fonti bibliografiche
Indice
Angelo Ghidotti
I banchi della libertà
Storia sceneggiata della guerra dei banchi scoppiata nel 1770 a Palazzolo,
delle ingiustizie patite dal popolo
e da don Vincenzo Rosa
Dialoghi in dialetto con traduzione in italiano
A mio padre
IL DISEGNO DELL'INGIUSTIZIA
Proprio mentre stavamo correggendo le bozze di questo libro, nel maggio di quest’anno, il professor Franco Vezzoli stava riordinando l’Archivio Parrocchiale di Santa Maria Assunta a Palazzolo quando, dentro un vecchio faldone, trovava, ben ripiegato e quasi intatto, questo disegno.
Non ci voleva molto a intuire che rappresentava la Nuova Parrocchiale. Ma era un po’ più difficile capire cosa ci fosse scritto nelle tre righe sotto, e perché ci fossero dei banchi disegnati in rosso e altri in nero e con dei numeri.
Proprio qualche giorno prima, però, il professor Vezzoli aveva incontrato il vecchio amico Francesco Ghidotti, entusiasta per l’imminente pubblicazione del manoscritto di Vincenzo Rosa sulla contesa dei banchi. Non avrà, deve aver pensato Vezzoli, a che fare con quella storia?
Mentre suonava il campanello di casa Ghidotti, con in mano il disegno, forse aveva solo un sospetto. Ma dopo che insieme a Francesco, quasi tremante per l’emozione, aveva decifrato la calligrafia settecentesca, non aveva più dubbi.
"A qualunque faccio fede e attesto io nodaro sottoscritto di come le annotazioni tutte nella presente mappa e dissegno sono tutte state scritte di proprio carattere dal fu nob. sig. conte Durante Duranti essendo detto suo carattere a piena mia cognizione. In quorum fidei ego Johannes Antonius filio fu Jacobi Antonio Bonadei in Palatiolo et ab. Addì 19 giugno 1782, Palazzolo."
Eccolo. È lui. Proprio lui. Disegnato di proprio pugno da Durante Duranti. Guardatelo bene. Perchè quello che vedete, tracciato con linee e numeri, è il disegno dell’ingiustizia. I primi venti della navata centrale, i quindici fra le colonne, più uno, a destra dell’altare, per il Podestà, sono i banchi privati.
Ha aspettato più di duecento anni prima di farsi vedere. Se ne è stato ben nascosto in un polveroso scaffale, con il suo carico di sofferenze, rancori, vendette, ribellioni e pene. E ora è uscito.
Perché, ora, lo possiamo capire.
LA CRONACA, L'INVENZIONE E IL TEATRO
Ho letto la prima volta il manoscritto di Vincenzo Rosa, insieme a mio padre, tanti anni fa, con l’emozione di una scoperta. Poi è trascorso moltissimo tempo, e tutto sembrava dimenticato.
Ma improvvisamente, a un certo punto, è ritornato con una forza travolgente. Credo dopo aver visto Vajont e Il Milione di Marco Paolini, esempi stupendi di racconto della nostra storia attraverso il teatro. Si sono riattivati anni di felice teatro dialettale, dalla Storia del poer Cristo al Molière tradotto in bresciano, e anche il lavoro sul dialetto con i miei alunni di Pontoglio.
Ho cominciato a rileggere il manoscritto, e parallelamente ho iniziato a scrivere. Leggere le Memorie di Vincenzo Rosa è faticoso ed emozionante insieme. Perché la sua prosa, tessuta con il lessico e la sintassi di due secoli fa, è puntigliosa, piena di particolari, ricostruzioni, riferimenti. Ma capace anche di squarci di racconto straordinariamente efficaci. Il teatro è già dentro il suo scritto. La fabbrica della chiesa, le sommosse, gli arresti, la prigionia sono scene già compiute, solo da organizzare in dialogo.
Più che di ricostruirla nella sua esattezza, ho cercato di rivivere la vicenda dei banchi nei suoi risvolti psicologici e sociali. Le beghine che stanno in piedi in fondo alla chiesa vecchia, al freddo, e bisbigliano il loro malumore.
I contadini, gli artigiani, il popolo intero che si butta nella fabbrica della chiesa nuova con un entusiasmo contagioso. I commenti e gli umori della piazza, espressi in un dialetto che era diverso dal nostro di adesso (dalle trascrizioni del processo mi sembra fosse più ‘venezianizzato’), ma sicuramente aveva la stessa sapidità. E poi i tormenti interiori del piccolo Vincenzo, le congiure nel palazzo di Durante Duranti, le votazioni, le sommosse, i lunghi viaggi a piedi tra la polvere, il profumo delle estati in riva all’Oglio. Ma anche l’orrore della galera, che ho ripreso solo in minima parte. L’esecuzione in piazza, nella sua grottesca comicità, è vera, parola per parola.
Quanto è rimasto di storico, e quanto c’è di invenzione? Se i protagonisti – Rosa e Duranti – sono reali, i personaggi popolari, come Maria e Agnese, Giòsep il cieco, Gioàn, Zaccaria, gli stupidotti e i furbi, gli sbirri cattivoni, alcuni preti un po’ donabbondieschi, sono frutto della mia fantasia. Non so nemmeno io da dove vengano esattamente. Certo dal testo stesso di Rosa, ma anche da Manzoni, Cervantes, Collodi, Fo, i libri di favole il cinema la televisione…
Quasi superfluo dire che ci sono delle semplificazioni e delle approssimazioni, perché la vicenda è molto complessa. Adesso che è stato pubblicato il manoscritto originale, chi ha voglia potrà leggere, confrontare e anche muovere qualche critica. Ben venga. Significherebbe che stiamo recuperando un pezzo prezioso e istruttivo del nostro passato.
Sto cercando con alcuni amici appassionati di teatro di mettere in scena questo testo. In termini di ‘economia teatrale’ è un disastro: è troppo lungo (la parte del narratore va drasticamente ridotta), richiede troppi attori, scene, costumi, per una rappresentazione che probabilmente sarà unica. Ma se ci riusciremo, e Vincenzo Rosa ritornerà nella sua chiesa, le vecchine bisbiglieranno tra i banchi, Durante Duranti signoreggerà e il Cocola sarà portato in trionfo, e davanti a noi rivivrà per un attimo la Palazzolo dei nostri settecenteschi antentati, sono sicuro che un effetto ci sarà.
Quando costeggiando il palazzo Duranti, scendendo verso la casa di Vincenzo Rosa, e dalla ‘cesa ecia’ passando sotto la volta arriveremo alla chiesa nuova, la guarderemo con occhi diversi. E forse, entrando in un’ora di solitudine e silenzio, ci siederemo con consapevole, storica e fisica soddisfazione in un banco.
Il banco della libertà.
Angelo Ghidotti
Palazzolo sull’Oglio, giugno 2003
SCRIVERE IN DIALETTO
Non solo scrivere in dialetto bresciano, che è una lingua parlata, presenta qualche difficoltà, ma anche leggerlo. Per non affaticare il lettore ho cercato di utilizzare una trascrizione semplice e intuitiva.
Per la s dolce usiamo la z, per quella aspra la s. Ad esempio, per scrivere su scriveremo sö, per scrivere giù scriveremo zo.
I suoni che non sono rappresentati in italiano, cioè la u francese e la ö tedesca, sono trascritti rispettivamente con ü e ö. Esempi: per scrivere tutti scriviamo töcc, e per scrivere buca scriviamo büsa. C’è un altro suono, che sta tra a e o, come nella parola cesa (chiesa). Per questo suono non si è ricorsi ad alcun simbolo particolare, ma si è utilizzata sempre la a.
Esiste nel bresciano la possibilità di trovare il suono dell’italiano ci, ce in finale di parola o preceduta da s. La trascrizione scelta è la doppia cc, non altrimenti presente (le consonanti raddoppiate dell’italiano non esistono); per esempio gacc (gatti) e sccèt (ragazzo).
Le e e le o possono essere aperte o chiuse come in italiano; nella nostra trascrizione, in linea con chi ci ha preceduto, esplicitiamo la pronuncia della vocale quando con