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Musica Neanche Tanto Leggera: Incontri, scontri, confronti e riscontri  di una vita so[g]nante
Musica Neanche Tanto Leggera: Incontri, scontri, confronti e riscontri  di una vita so[g]nante
Musica Neanche Tanto Leggera: Incontri, scontri, confronti e riscontri  di una vita so[g]nante
E-book248 pagine2 ore

Musica Neanche Tanto Leggera: Incontri, scontri, confronti e riscontri di una vita so[g]nante

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Info su questo ebook

Incontri, scontri, confronti e riscontri di una vita so[g]nante
LinguaItaliano
Data di uscita22 nov 2021
ISBN9791220354042
Musica Neanche Tanto Leggera: Incontri, scontri, confronti e riscontri  di una vita so[g]nante

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    Anteprima del libro

    Musica Neanche Tanto Leggera - Mauro Bacchetti

    PER CHI SCRIVE LE CANZONI È DIFFICILE MANGIAR POLENTA

    (Non) sarà un’avventura...

    Mia madre, Angela Facchi, detta Lina, saltuariamente si recava in casa Mascadri, a Vestone, a fare la sarta. Quando il Mascadri (mi pare che il suo nome fosse Gino, ma non ne sono sicuro) se ne andò in America, aveva da poco comprato una fisarmonica 80 bassi di medie dimensioni (una Soprani color madreperla) per il figlio Guido, il quale, però, aveva finito col non usarla. Il Mascadri voleva venderla e mia madre decise di comprarla per mio fratello Fernando, di sei anni più grande di me, che ne avevo cinque. Piena di buone intenzioni, mamma decise di chiamare il maestro Ottone Guastoldi per far studiare il Nando che, però, era negato per la musica; era invece molto dotato per il disegno e la pittura, tanto è vero che si occupò della sua arte per tutta la vita.² Un giorno il maestro Ottone, dopo avermi sentito suonare l’armonica che mi aveva regalato lo zio Beppe, consigliò la mamma di lasciare mio fratello alla sua passione e di fare invece studiare musica al sottoscritto. E fu così che cominciò la mia avventura.

    Imparavo in fretta e presto cominciai a esibirmi durante gli incontri dei miei parenti. Accadde che, dopo queste prime esperienze, un giorno venne a Vestone il regista Angio Zane³ di Salò che, a quanto pare, aveva sentito parlare di me da qualcuno del suo entourage e che chiese, a mia totale insaputa, di sentirmi suonare. Angio era figlio dell’avvocato (e poi Senatore della Repubblica) Francesco Zane⁴, partigiano della Brigata Perlasca, gruppo Esse Tre; tra di loro c’era anche mio zio Giuseppe Facchi, detto Pino, che aveva solo quindici anni, un Giovane Ribelle.

    Come dicevo, io non ne sapevo niente. Fui accompagnato da mio papà in piazza, poco distante da dove abitavamo, ed entrammo in una stanzetta sul retro del negozio-edicola che vendeva anche tabacchi e articoli elettrici, gestito dalla famosa Loli, che era anche titolare (padrona, come si diceva allora) del Cinema Lux (rimasti entrambi, negozio e cinema, alla famiglia Inverardi, in piazza a Vestone, e gestiti a tutt’oggi dai nipoti). Lì mi fecero sedere su uno sgabello, con la mia fisarmonica e con puntata addosso l’accecante luce di un faretto. Un paio di metri davanti a me c’era un’apparecchiatura che sembrava un fucile mitragliatore e che scoprii dopo essere invece una cinepresa; ma io avevo una paura dell’accidenti. Fu così che, quando mi dissero di suonare qualcosa, terrorizzato scesi dallo sgabello e volli ritornare a casa, nonostante i tentativi di molti di trattenermi e di convincermi a suonare.

    Eravamo nel 1954, anno di arrivo della televisione in Italia. Scoprii più tardi che questi signori volevano fare un servizio per il cinegiornale (il telegiornale si chiamava così) e che poi andavano raccontando in giro che io ero scappato perché non avevo capito nulla. Peccato che nessuno me l’avesse spiegato! Dissero poi che sarebbero ritornati, ma non si fecero più vedere e non se ne fece più niente. Incontrai invece il signor Angio tanti anni dopo a Barbaine, durante la tradizionale commemorazione dei caduti partigiani, la prima domenica di ottobre. Fu lui a raccontarmi il fatto di cui sopra, che io ricordavo solo vagamente.

    Le prime esibizioni

    In prima elementare iniziai a esibirmi alla radio della scuola. In classe eravamo in quarantatré. La maestra, Sara Bresciani, doveva gestire quella classe mista, composta da bambini del ‘48, più alcuni ripetenti. Tra una lezione e l’altra si organizzavano spettacolini, nei quali io suonavo il commento musicale. Gianni Rodolfi, mio coetaneo che cantava molto bene (anche lui un talento innato), si esibiva con canti e danze in coppia con Maria Paola Bendotti, la bambina più spigliata della classe, e io li accompagnavo; il tutto era molto divertente e gli spettacolini, poi, li ripetevamo al teatro dell’oratorio. Questo avvenne per tutto il periodo delle elementari, anche dopo che la classe, in terza, venne divisa in due: le femmine in una e i maschi in un’altra. Il nostro nuovo maestro si chiamava Augusto Fanti, di Imola. Era una persona straordinaria, un grande appassionato di teatro e letteratura che, con altri insegnanti, organizzava e interpretava spettacoli teatrali di ottimo livello. Finite le elementari, Gianni andò alle medie, mentre io fui mandato alla scuola di Avviamento Professionale di Vobarno. Tutte le mattine prendevo il bus per percorrere i quindici chilometri di distanza. Gli studenti della zona, quasi tutti più vecchi di me, erano in gran parte bulli e somari; tanti furono bocciati. Io ricordo che fui rimandato in quattro materie, nonostante fossi il primo della classe in matematica e musica. Ma lì ci furono altre ragioni, che non vale la pena qui raccontare.

    In settembre, al tempo della riparazione, a causa di una brutta influenza con febbre alta, non mi presentai agli esami e così fui respinto. Il caso volle che a Vestone venisse creato il triennio: sesta, settima e ottava classe. Il maestro Fanti, che nel frattempo si era sposato e che era molto affezionato alla mia famiglia, un giorno venne a casa nostra con sua moglie, Augusta Bollini, e mi chiese di iscrivermi alla sesta, poiché gli iscritti erano solo dodici e per allestire la classe servivano tredici alunni. Io accettai, anche perché con il Fanti c’era un bel rapporto di stima reciproca. Dovetti, però, rinunciare al Conservatorio. Era da tempo che una cugina di mia madre, Chiara Facchi, che io chiamavo zia e che viveva a Sant’Eufemia, insisteva perché fossi mandato a studiare al Conservatorio Venturi di Brescia, localizzato poco distante da dove abitava lei, che mi avrebbe ospitato. A quei tempi, però, al Conservatorio non erano ammesse la fisarmonica e nemmeno la chitarra. Avrei dovuto studiare piano, ma per me era troppo impegnativo e avrei dovuto, inoltre, averne uno a disposizione in casa, il che sarebbe stato un grosso problema economico per la mia famiglia, anche perché Fernando era in collegio a Montichiari e c’erano dei costi. Senza considerare che non c’era nemmeno lo spazio necessario, visto che vivevamo in cinque in due stanzette, cucina e camera, al terzo piano di una vecchia casa, con il bagno in comune per quattro famiglie. Ricordo come se fosse ieri il giorno che, con papà e mamma, andammo a far visita a Fernando, in collegio. Appena entrati, in un bellissimo atrio sulla sinistra vidi un pianoforte e, affascinato, cominciai a toccarne i tasti. Con la mano destra ero molto abile, mentre la sinistra era un disastro. A sorpresa si presentò una signora anziana che mi sorrise e mi fece i complimenti. Era la direttrice del collegio e presentandosi mi disse: Io sono la nipote di Toscanini, forse lo conosci. Quel nome io lo avevo solo sentito, ma mio padre Augusto, grande appassionato di lirica, lo conosceva molto bene. Al tempo di questo episodio avevo sette anni.

    Gli esami non finiscono mai (e cominciano presto)

    Prendevo ancora lezioni dal maestro Guastoldi, il quale decise a un certo punto di portarmi a Milano a fare degli esami alla Scuola Luigi Oreste Anzaghi (che era poi l’autore del metodo sul quale studiavo Pratica, mentre Teoria e Solfeggio li studiavo sugli album Pozzoli, editi dalla Ricordi). Dopo un periodo di alti e bassi, il maestro Ottone si trasferì a Brescia. Dovetti allora trovare un altro insegnante e mia madre si rivolse al maestro Luigino Fontana⁵ che, oltre a esercitare l’insegnamento, lavorava come commesso in un noto negozio di alimentari a Nozza di Vestone.

    Luigino era un grande appassionato di musica classica e ancora oggi, che ha quasi novant’anni, continua a studiare composizione. In passato era andato a lezione dal maestro Giancarlo Facchinetti⁶, grande musicista e compositore che io conoscevo molto bene e che è stato anche direttore del Conservatorio Venturi di Brescia. Ricordo che spesso veniva in Valle e a volte ci raccontava del suo rapporto di amicizia con Luigi Nono, grande compositore di musica d’avanguardia come lui. Il Fontana, ancora adesso, suona e insegna vari strumenti.

    Dopo un po’ anche io cominciai ad amare i classici. Anche se impegnativi e complicati, capivo che contribuivano ad allargare il mio modo di introdurmi nella musica totale, favorendo lo sviluppo di un orecchio armonico, oltre che melodico. Qualcuno dice che ho l’orecchio assoluto; io questo non lo so. Comunque sia, questo mi ha permesso di comporre, armonizzare e arrangiare brani musicali: con i miei limiti si intende ma, penso, in modo dignitoso. Ho organizzato eventi ed elaborato arrangiamenti e repertori per i gruppi nei quali ho suonato, ho scritto molte melodie e mi sento di poter dire di essere in possesso di una modalità di percezione peculiare, della quale ancora oggi forse non mi rendo pienamente conto. Mi capitava, allora, ad esempio, di andare al cinema a vedere un film e che la colonna sonora mi rimanesse impressa nella mente, al punto di essere, il giorno dopo, in grado di suonarla tranquillamente.

    Per un periodo, infatti, andai al Cinema Lux a vendere i gelati della pasticceria Della Patrona, che era poco distante dalla sala di proiezione. Durante le pause, andavo tra il pubblico a raccogliere le richieste per consegnare poi i gelati. Non mi perdevo un film, compresi quelli vietati ai minori. Per non farmi scorgere dal titolare, Bortolo Inverardi, detto Bortolino e nipote della Loli, mi nascondevo tra i tendoni dell’ingresso.

    Andavo spesso anche all’Albergo Gambaro, dalla signora Silvia Aldrich, amica di mia madre, dove c’era una delle prime e poche televisioni arrivate in paese. Oltre all’indimenticabile Carosello, seguivo il Festival di Sanremo che, per la maggioranza di noi, era e doveva essere la rappresentazione delle nuove tendenze musicali italiane e non solo. Il sabato sera assistevo alla finale e il giorno dopo, nella pausa tra il programma del pomeriggio e quello della sera e con l’ausilio dei testi che solitamente venivano pubblicati dal settimanale Sorrisi e Canzoni, davo istruzioni ai miei amici suonatori. In un paio di ore preparavamo dalle cinque alle otto canzoni da proporre al nostro pubblico, che di sera era molto numeroso. Noi eravamo The Sloots, il primo gruppo nato in Valle Sabbia ed eravamo molto seguiti; tutti i locali e le balere facevano a gara per averci, poiché portavamo un sacco di gente. Ma di questo parlerò meglio più avanti.

    Tornando a me, devo dire che le nozioni di base ricevute dai miei illustri e indimenticabili insegnanti mi hanno permesso, in seguito, di fondare o collaborare con numerosi gruppi musicali. Ho anche diretto un coro misto, con il quale ho avuto molte soddisfazioni. Da quella esperienza ho scoperto pregi e difetti di molte persone, con idee e prospettive differenti ma che però amavano profondamente la musica e che avevano un modo del tutto personale di accumulare ed esprimere emozioni, di stare insieme e di condividere esperienze. È stato bellissimo.

    Lascio la fisarmonica? Lascio la musica?

    Sempre al seguito del maestro Fontana, feci un lungo e appassionante percorso: esami, concertini, esibizioni di vario tipo e nei più differenti contesti. Ricordo in particolar modo una serata al Cinema Lux di Vestone, che aveva settecento posti a sedere e che, durante alcune manifestazioni di particolare richiamo, sfiorava i mille spettatori. Quella sera l’ospite d’onore era il giovane maestro Gervasio Marcosignori⁷, grandissimo fisarmonicista di Castelfidardo, città patria della fisarmonica. Io feci una versione del preludio de La Traviata, terzo atto, di Verdi, con il gruppo degli allievi di Fontana; eseguii poi un pezzo da solo, se non ricordo male era la Czarda di Monti. Dopo di me si esibì Marcosignori, che eseguì Il Volo del calabrone di Rimskij-Korsakov e La gazza ladra di Rossini. Dopo aver ascoltato l’impeccabile esecuzione del maestro, premio Oscar Internazionale della Fisarmonica, mi sentii una nullità e mi venne la forte tentazione di smettere con quello strumento e forse con la musica. Ma accadde che, dopo gli applausi intensi e i bis, finita l’esibizione, Marcosignori venne personalmente a cercarmi e, trovatomi, mi fece i complimenti e mi sollecitò a continuare, complimentandosi per la mia esecuzione. Io ne fui ovviamente lusingato e decisi di continuare i miei studi.

    The times they are a-changin’

    Ma i tempi stavano cambiando e, con la nuova moda e l’avvento prepotente della musica beat, la fisarmonica perse consenso popolare, lasciando spazio a nuove sonorità. Veniva aperta la strada ai gloriosi anni ‘60, quando ci fu proprio una rivoluzione, sia musicale che culturale. I nuovi messaggi portavano direttamente al ‘68 e a tutto quello che avrebbe rappresentato: la cosa era semplice e chiara. Quando Fernando portò a casa da Colonia, in Germania, dove si era trasferito in cerca di fortuna, i primi 45 giri dei Beatles e di altri gruppi emergenti, io e Gianni ne fummo conquistati: lui abbandonò l’armonica a bocca e io la fisarmonica. Volevamo altro.

    Io ero quasi sempre nella bottega di dischi, strumenti e apparecchi acustici che mia madre aveva nel frattempo avviato. Ricordo che un giorno andai con Gianni a Milano, in via dei Piatti, trasversale di via Torino, vicino al Duomo, che mi impressionò molto per la sua magnificenza. Lì c’era la sede della Meazzi. Acquistammo due chitarre acustiche elettrificate e una chitarra basso elettrica azzurra. Cominciò così la nostra avventura; era il 1963.

    Per alcuni mesi ci trovammo nel retro della bottega di mia madre a studiare da autodidatti, perché insegnanti di chitarra in Valle non ne esistevano e i pochi che abitavano in città non si degnavano di salire sin dalle nostre parti. Io fui fortunato a incontrare per caso Sandro, nostro coetaneo e figlio del maestro Guastoldi. Lui era già un ottimo chitarrista e, in poche manciate di minuti, mi diede delle indicazioni meccaniche di come funzionava la chitarra. Grazie anche alla mia preparazione teorica, le istruzioni furono più che sufficienti e rapidamente imparai da solo, in qualche modo, a suonare la chitarra. Così mi misi a studiare con Gianni e ben presto raggiungemmo un livello passabile, anche perché nel circondario non c’era niente di meglio.

    Facciamo i Beatles...

    A Vestone, ai primi di settembre, era tradizionale la festa di San Luigi, patrono degli oratori. Questa grande festa aveva luogo nello spazio adiacente al campo

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