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Dialogo sopra i massimi sistemi del comico
Dialogo sopra i massimi sistemi del comico
Dialogo sopra i massimi sistemi del comico
E-book210 pagine3 ore

Dialogo sopra i massimi sistemi del comico

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Info su questo ebook

Un dialogo tra Giovannantonio Forabosco e Salvatore Attardo sul passato e presente dello studio dell’umorismo in Italia e nel mondo (non ci facciamo intimidire…) Il libro che nessuno si aspettava, nessuno si meritava, ma noi abbiamo comunque scritto.
LinguaItaliano
Data di uscita9 apr 2023
ISBN9788831289481
Dialogo sopra i massimi sistemi del comico

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    Anteprima del libro

    Dialogo sopra i massimi sistemi del comico - Salvatore Attardo

    Ringraziamenti

    Innanzi tutto, ovviamente e postumamente, Galileo Galilei, a cui abbiamo rubato il titolo, François-Marie Arouet (noto ai più come Voltaire) a cui abbiamo rubato i personaggi di Cunegonda e Pangloss, Samuel Beckett, Hans Jakob Christoffel von Grimmelshausen e altri minori tra cui Quentin Tarantino.

    Ringraziamo altresì Delia Chiaro che ci invitò a fare una presentazione del libro alla conferenza dell’ISHS a Bertinoro e che suggerì che Villy Tsakona facesse da chair; la sventurata rispose di sì, e il resto è ormai leggenda. Quindi ringraziamo Villy doppiamente: per aver accettato di farsi coinvolgere e per aver riempito il ruolo della persona seria che non ha idea di quel che stia succedendo ma sopporta stoicamente.

    Victor Raskin e Willibald Ruch, e tutti coloro i cui nomi abbiamo nominato invano (quelli che non sono stati nominati in vani, ma all’aperto, possono andare a farsi friggere).

    Salvatore vorrebbe ringraziare Lucy Pickering, la sua pazientissima moglie a cui molte mattine leggeva il testo scritto la notte precedente, mentre la poveretta ascoltava e rispondeva It must be very funny in Italian… [Deve essere molto buffo in italiano.] nonché sua madre, Giovanna Attardo, che non direbbe mai le cose che il figlio sciagurato le fa dire in quarta di copertina.

    Giovannantonio vorrebbe ringraziare tutti quelli che lo conoscono.

    Giovannantonio Attardo & Salvatore Forabosco

    Introduzione: spiegazione del libro

    Questo libro nasce da un dialogo immaginario. Avevamo - Giovannantonio e Salvatore - pensato a fare un libro insieme, ma ritenevamo, entrambi, di non averne tempo. Volevamo ripercorrere una lunga amicizia, fatta per lo più di conversazioni per posta o di stralcio a conferenze o incontri vari, con un confronto più approfondito e soprattutto più sistematico. Poi ci venne l’idea di fare un dialogo, cioè di registrare delle conversazioni su Zoom - era tempo di Covid - e di trascriverle. L’idea si trasformò invece in una conversazione immaginaria, creata a tavolino; dove si risponde alle domande, sì ma per posta (ovviamente elettronica). Dall’idea del dialogo venne l’idea antifrastica di rubare il titolo dell’opera a Galileo. Cosa di meno massimo dello humor? Creata una conversazione immaginaria, sorgono domande naturali: dove si svolge questa conversazione? In un locus amoenus, ovviamente del seicento barocco (docet Galileo). Chi passeggia in questi giardini italo-francesi? Ma ovviamente il Dr. Pangloss e Cunegonda. Questi due personaggi si presentarono a noi non solo domandando ma addirittura esigendo di far parte della storia. Anzi a ben dire, cominciarono a parlare senza nemmeno chieder venia, e una volta entrati nella storia, hai voglia a scollarli, manco un onorevole in parlamento.

    Immaginate dunque i quattro, Giovannantonio, Salvatore, Pangloss, e Cunegonda camminare con fare pensoso-intellettuale in un giardino anacronistico intenti a smazzarsi batoste intellettuali sull’incongruità, l’aggressività, la sociologia degli humor studies, e via analizzando. Ricapitolando: ricerca sullo humor, titolo antifrastico di uno dei più alti momenti della scienza moderna, anacronismo, e personaggi che appaiono quando gli pare, che nemmeno Pirandello. Ci mancano solo i vampiri o gli zombi e poi i bibliotecari che devono classificare il libro si mettevano a piangere: è critica letteraria? No, è narrativa! No, no! È psicologia… linguistica, sociologia della scienza, autobiografia a quattro mani, saggistica, pornografia (ad un certo punto Pangloss insiste a fare il bagno in una fontana, alla Anita Ekberg), umorismo, entomologia (credeteci, si fa menzione di cavallette ad un certo punto). L’unica certezza è che non si tratta di ekfrasi.

    [A sorpresa la dolce Cunegonda spunta da dietro un cespuglio. Lo sguardo timido e interrogante] [Cunegonda] So che ancor nessuno mi ha alitato il soffio della vita in questo libro, ma poss’io domandar cosa ekfrasi sta a significare?

    [Giovannantonio interviene, anche lui di propria e non richiesta iniziativa] [Forabosco] O Cunegonda, basta che tu vada sul web con un qualunque motore di ricerca, digiti la parola in questione e poi clicchi con il mouse, semplice no?

    [Lo sguardo della fanciulla si fa vuoto e vacuo - che poi sarebbero sinonimi. Pangloss si materializza dal nulla e, dopo essersi scrollato di dosso una quantità notevole di acqua che gli inzacchera l’abito nei colori tradizionali della Westphalia, soccorrevole articola]

    [Pangloss] Messeri, mi sia consentito il dire, noi veniamo dal secolo dei lumi e/ma codeste parole ci restano oscure.

    [Salvatore si riappropria dei fili che intrecciano il discorso da lui avviato]

    [Attardo] Capisco e comprendo (altri sinonimi), vuol dire che a voi faremmo una lezione ad usum delphini. Per i nostri informati e informatici (che sinonimi non sono) lettori tutto è chiaro come acqua cristallina.

    [Forabosco] Salvo, finiscila co’ ste frescacce, che sennò ci troviamo con dodici lettori, incluse le nostre relative famiglie. Dì chiaramente, di cosa si tratta, senza far giochetti e senza citazioni di fonti improbabili.

    [Attardo] Allora, si tratta di una raccolta di saggi sulla storia degli humor studies visti dalla prospettiva soggettiva di due dei protagonisti e della loro amicizia trentennale a distanza, organizzati più o meno cronologicamente, con alcune divagazioni in vari campi dello scibile e brevi interludi narrativi.

    [Forabosco] Ecco! Vedi che quando vuoi puoi esprimerti come una persona normale? Allora rimane solo da decidere l’immagine per la copertina…

    [Attardo] Propongo l’immagine usata come frontespizio dell’edizione princeps (1670) del Cannocchiale Aristotelico del Tesauro, ad opera di Domenico Piola, incisa da Georges Tasnière; come ben sapete nell’immagine si vede la poesia, rappresentata da una giovane discinta, che guarda in un cannocchiale puntato da Aristotele verso il sole, mentre la pittura, rappresentata da una giovane scinta, dipinge su uno specchio. Il tema del cannocchiale cade a puntino e l’antitesi è una metafora per la script opposition…

    [Pangloss si picchietta con l’indice ripetutamente la tempia destra e dice] Ma è pazzo?

    [Forabosco] Molto peggio: ekfrastico.

    Seconda apparizione di Cunegonda

    [Cunegonda] Hoho, dies seind die rechten Kauz!

    [Attardo] Che dice?

    [Forabosco] Non capisco. Ma pare tedesco.

    [Attardo] Se è tedesco, è arcaico.

    [Forabosco] Mi sorge un dubbio.

    [Attardo] Che sarebbe?

    [Forabosco, rivolto alla pulzella] Sprechen sie Deutsch?

    [Cunegonda] Offensichtlich.

    [Forabosco] Trattasi di tedesco. Il dubbio si conferma.

    [Attardo] Illuminami, per piacere.

    [Forabosco] Si tratta di tedesco, e per giunta della fine del diciassettesimo secolo.

    [Attardo] Scusa, ma come fai a saperlo? Manco fossi Sherlock Holmes!

    [Forabosco] No, no, non capisci, costei è la bellissima Cunegonda, che filologicamente accurata parla il tedesco della fine del 1600 e veste i colori tradizionali della Westphalia.

    [Attardo] Ma scusa, se quest’impostore fosse davvero Cunegonda, non dovrebbe parlare francese? Nonché parla tedesco, con un accento della Westphalia, per dir tutto? E che ci fa qui?

    [Cunegonda] Je vous dirai tout cela…

    [La mamma] Ragazzi, qui non va bene! Per carità, vi rovinate! Ma come, un testo in tedesco del 1600? In francese del 1700? Ma siamo pazzi? Altro che i 25 lettori Manzoniani, qui finiamo con zero lettori—anzi, alcuni lettori diventeranno analfabeti per ripicca, così che avremo un numero negativo di lettori. Avevamo detto un testo leggibile! Evabbene che non avevo specificato in lingua italiana, ma si intende, no?

    [Giovannantonio e Salvatore si guardano, contriti. Non si fa arrabbiare la mamma. Poi...]

    [Attardo] Allora cancello il coro delle voci Bulgare?

    [Forabosco] Forse è meglio di sì.

    [Attardo] Mademoiselle Cunégonde, pourriez vous parler italien, pour nos lecteurs sfighés?

    [La mamma a Giovannantonio] Ti pare francese?

    [Forabosco] Assolutamente.

    [Cunegonda] Certo.

    [Attardo] La bellissima Cunegonda ha 17 anni, vi segnalo…

    [La mamma si accascia a terra.]

    [La mamma] Oddio!

    [Forabosco] Niente paura! Vedo appropinquarsi il precettore della fanciulla, l’esimio Pangloss, che fungerà da accompagnatore.

    [Tutti tirano un sospiro di sollievo, tranne Cunegonda che li guarda con un’espressione ironica.]

    [Attardo] Giovannantonio, una domanda.

    [Forabosco] Dimmi.

    [Attardo] Ma ti pare una cosa normale che in un libro appaia dal nulla un personaggio noto come la mamma? Sono quasi certo che il manuale dell’American Psychological Association (settima edizione) non parli di questo caso.

    [Forabosco] Si tratta di una personificazione delle norme culturali, una sorta di Super-io italico.

    [Attardo] Tutto normale, dunque?

    [Forabosco] Assolutamente.

    [Attardo] Allora, avanti tutta!

    Capitolo 1: En archè en o logos

    [Forabosco] Ricevo, datata 16 dicembre 1987, una lettera. Superfluo, dato l’anno, precisare cartacea. La firma Salvatore Attardo che mi dice del suo interesse per lo studio dell’umorismo e mi chiede se continuo a occuparmi dell’argomento anch’io. Rispondo con slancio. Ero molto preso e piuttosto solitario nello studiare ciò che fa ridere. All’epoca bastava una mano per contare in Italia gli studiosi attivi impegnati sull’umorismo. Dopo poche settimane mi arriva un’altra lettera. Solo che questa volta la busta non ha il timbro di Como, ma quello del Servizio Postale degli Stati Uniti. Era avvenuto qualcosa di importante.

    [Attardo] I primi giorni di gennaio 1988 ero partito per gli Stati Uniti, per andare a studiare con Raskin. Come fosse successo è una storia abbastanza divertente. La mia collaborazione con Raskin era cominciata prima, epistolarmente. Avevo scoperto il suo libro (Raskin, 1985) nella biblioteca dell’università di Bruxelles, nel 1985, dove ero andato a fare ricerche ospitato dai nonni (quelli miei, non quelli di Raskin, sia chiaro). Siccome non avevo il tesserino dell’università di Bruxelles, il libro non me lo lasciavano prendere a prestito, ma per fortuna avevo un amico, studente di storia dell’arte, che me lo prese, e dopo una sessione epica di fotocopiatura, come si faceva all’epoca, fui in possesso di Semantic Mechanisms of Humor. Tornai a casa e mi resi conto immediatamente che dovevo aggiungere un capitolo in più alla tesi, già lunga di per sé. Avevo cominciato, un annetto prima, a scrivere la tesi, diretta da Eddo Rigotti, allora professore di linguistica alla Cattolica di Milano. Mi ci vollero diversi anni di lettura e rilettura per capire veramente la differenza tra la prospettiva generativista di Raskin e l’approccio strutturalista dei Greimasiani, ma comunque inclusi un capitolo in cui riassumevo alla meglio il libro e cercavo di integrarlo nella discussione.

    Difesa la tesi nel 1986, cominciai a fare qualche progetto per restare in ambito accademico, e il professor Rigotti suggerì di scrivere un articolo che riprendesse il meglio della tesi. Da qui nacque Morfologia della barzelletta, rimasto poi inedito a causa di uno di quegli episodi che a raccontarli uno non ci crede. Il Prof. Rigotti aveva mandato il manoscritto alla rivista e questi l’avevano accettato per pubblicazione, con mia grande gioia. Dopo qualche tempo mi contattano per discutere la produzione dell’articolo e mi viene l’idea balzana di mandargli un secondo manoscritto, che era uno studio quantitativo. Non sento più nulla e quindi assumo che mi abbiano rifiutato il secondo manoscritto.

    Qualche tempo dopo, forse nel 1990, passo dall’ufficio di Rigotti a salutarlo, e uno dei suoi assistenti dice, Ah, Attardo, aspetti che c’è qui qualcosa per lei. E dopo aver frugato in una pila di buste e pacchi, mi porge una cinquantina di estratti stampa (offprints) del secondo articolo che avevo mandato! E così il mio primo articolo fece una fine ingloriosa. Ora a distanza di 35 anni, più che altro mi pare una fortuna, perché chissà cosa dicevo in quell’articolo, che non ho più, in quanto era stato battuto a macchina, e la mia copia cartacea è sparita anni fa in qualche trasloco. O, almeno, questa era la situazione fino a quando si è cominciato a lavorare al presente libro. Ed ecco il colpo di scena. Avevo avuto l’idea di mandare il manoscritto a Giovannantonio il quale ha avuto la brillante idea di conservarlo lungo i decenni. Credo di averlo da qualche parte… Trovato in un cassetto, una bella scansione, ed ecco il manoscritto in pdf!

    Avevo scritto a Raskin nel 1986 o forse a fine 1985, comunque dopo aver finito di scrivere la tesi, e lui non solo mi rispose, ma mi invitò a pranzo a Saint Moritz, dove sarebbe stato in vacanza. In quel momento vivevo a Como, al confine con la Svizzera, e quindi non era troppo distante, ma il problema era che mi trovavo durante i 20 mesi di leva che, all’epoca, si facevano gli obiettori di coscienza. Dunque teoricamente non avrei dovuto andare all’estero (che poi tutti quanti si andava a far benzina in Svizzera regolarmente, alla faccia delle regole). Ovviamente non si parlava di rifiutare, e così mio padre, che era una bravissima persona, decise di portarmi a Saint Moritz, e di andare a farsi una passeggiata con mia mamma, mentre parlavo con Raskin. La storia del mio trasporto semi-illegale divertì molto Raskin. Comunque Raskin diede una scorsa alla bibliografia della tesi, che era una trentina di pagine, e mi chiese se mi interessava andare a studiare con lui. Ovviamente accettai, e finita la leva partii, appunto in 1988, via un volo Swissair, Zurigo-Boston-Chicago.

    Ricordo che arrivai che faceva un freddo allucinante (poi mi dissero che era stato il giorno più freddo dell’anno) e infatti la prima cosa che imparai sulla vita negli Stati Uniti era che ci si spostava attraverso tunnel che collegavano i vari palazzi del campus, tra cui il dormitorio dove stavo io, con la mensa e la biblioteca. Ero frastornato, alle prese col jet lag, che non avevo mai avuto, essendo questo il mio primo viaggio intercontinentale e a ben vedere in aereo, e in uno stato confusionale, ma andai a fare un giro per la biblioteca e vidi che era open stacks, cioè i libri erano accessibili direttamente. Scoprii che erano classificati sulla base del sistema decimale di Dewey, e mi trovai un tavolo nella zona del 400 (Linguaggio) e mi mossi poco e nulla per i mesi seguenti. Parlo metaforicamente, naturalmente, in quanto insegnavo due corsi per il dipartimento, uno dei quali era alle 7:30 di mattina. Gli studenti arrivavano mezzi addormentati e alcuni letteralmente in pigiama. Io, da bravo Italiano, vestivo giacca e cravatta.

    Dopo alcune settimane mi convocò il direttore del programma in cui insegnavo per dirmi che gli studenti si erano lamentati che li terrorizzavo e forse potevo non mettere giacca e cravatta per insegnare, per piacere? Da quel momento vestii solo jeans e felpe finché nel 2007 divenni preside di dipartimento e allora ripresi a vestire giacca a cravatta. Non ero certo partito con l’idea di restare negli Stati Uniti e i cervelli in fuga ancora non facevano notizia. Successe che incontrai la mia prima moglie, mi trovai un posto all’università di Youngstown, e nel 1994 nacque mia figlia e quindi a quel punto di tornare in Italia non si parlava più.

    Al di là degli aspetti comico-biografici, quel che è interessante, dal punto di vista degli humor studies, è che la mia formazione accademica è stata a doppio binario: da una parte, una formazione molto europea, impartitami dal prof. Rigotti alla Cattolica. Teoricamente ecclettica, e quindi aperta sia allo strutturalismo europeo che al generativismo americano, ma approfondita, come si vede per esempio nel riferimento a Propp nel titolo del mio disgraziato manoscritto e nel capitolo sul concetto di isotopia in Greimas e nei greimasiani che era e rimane uno degli studi più approfonditi  al riguardo, che poi ironicamente finivo per rigettare in favore delle script di Raskin e dei generativisti (di cui sotto). L’altro aspetto che risultò importante era l‘interesse per la linguistica testuale, allora al suo apice, che Rigotti e i suoi assistenti, tra cui ricordo con particolare simpatia Guido Michelini, ci trasmisero. Con Raskin invece, mi ritrovai proprio in ambito generativista, non tanto con Raskin personalmente che aveva e ha letture enciclopediche, ma con gli altri professori tipicamente educati all’americana, cioè con un punto di

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