Il rosso e il nero
Di AA. VV.
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Anteprima del libro
Il rosso e il nero - AA. VV.
AA.VV.
Il rosso e il nero
IL ROSSO E IL NERO
II antologia di racconti del XXI secolo
Copyrigth ©2012 Diamond Editrice
Tutti i diritti riservati
I racconti del presente volume sono stati selezionati con regolare concorso da una giuria di esperti, critici e lettori competenti.
In copertina
illustrazione di Elisa Saltarelli
Progetto Editoriale Diamond Editrice
Revisione redazionale a cura di Patrizia Cimini, Mario Marsala, Anna Pozzi.
Progetto Grafico: Daniela De Santis
E-mail: dani.grafica@live.it
www.diamondeditrice.eu
diamond.editrice@libero.it
TUTTI I VOLUMI DELLE EDIZIONI DIAMOND VEN-GONO PROGETTATI, EDITATI E STAMPATI SENZA ONERE ALCUNO PER GLI AUTORI
ISBN: 978-88-96650-08-0
I EDIZIONE DIGITALE
Febbraio 2015
UUID: 978-88-96650-08-0
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by Simplicissimus Book Farm
Indice
Introduzione
ROSSO
Donarsi
La rossa formica del ricordo
Rosso vivo
Ciruzzo Croce
Il bambino che baciava tutti
La vestaglia rossa
Ci vediamo lunedì
NERO
Dittico della notte suicida
Nero Declino
Indie rockers go to Hell
Nausicaa
L’ orrendo spettacolo della stazione vuota
Smoking
Hopeson
Introduzione
di Angelo Fàvaro
Rosso o Nero, l’ informe sostanza del racconto
nell’ epoca dell’ incertezza
L’ impasto del colore è denso: col pennello appena intriso d’ olio si attinge al Rosso. Si mescola, con lenti movimenti rotatori. Lo si dispone sulla tela preparata. L’ assorbe. Lo contiene. Materia su materia. Una medesima quantità di Nero, col pennello ripulito, e si ripete l’ azione, uguale e differente. La prostituzione della forma si annulla: l’informe si esalta. L’ esistenza è inconsapevole (gli altri la certificano), la morte destabilizzante (gli altri la percepiscono), rara la felicità, infinito il tedio. Solo alla prova del colore sulla tela si comprende la preferenza e la differenza (altra sostanza della sofferenza). Nel Rosso c’ è l’ urlo, dal Nero si diffonde il silenzio. Inganni della Luce. Si muove il pennello senza disegno, senza guida, senza pregiudizio, affidandosi alla libertà di una storia ancora ignota. Il Nero appare Uno, invece il Rosso si declina in Molteplici varianti: cardinale d’ abiti lussuosi, fragola nelle screziature delle sete, pompeiano dalle macerie della città morta, mattone, Tiziano, veneziano, carminio, rubino (la pietra lo custodisce), scarlatto, granata, cadmio, cinabro, cremisi, minio, corallo, Angelico, porpora, e il porpora a sua volta può assumere la tinta del sidonio, dell’ ostro, della porpora di Bisanzio (dove l’ imperatore è porfirogenito), di Palermo, di Tiro. Le storie così si moltiplicano. L’ intensità modula l’ agnizione e l’ incoerenza: la linea tra arte e vita deve rimanere fluida e indistinta[1], nella circolarità dell’ una che pervade l’ altra con la trasfusione necessaria dell’ arte nella vita, della vita nell’ arte fino all’ indeterminazione essenziale. Non si dà più pubblico. Tutti si è parte di un happening[2], tutti un po’ Bill che inventa Flash mob itineranti e lunghi come una vita[3]. Mentre il pennello scivola sfidando la superficie, il Rosso e il Nero compongono spessori materici nei quali coagula la dispersione della prospettiva e dello spazio, una grande tela astratta, attraverso un remoto impulso di significazione criptato ai codici della comunicazione funzionale, ma esteso e proteso alla vicenda che si sta narrando (in qual forma, in qual stato che sia … tutto è racconto). Come dice Gillo Dorfles riferendosi allo spazialismo di Rothko: «È - credo - l’ antico concetto espresso da Goethe quando parla d’ una pittura aus der Farbe heraus
(emanante direttamente dal colore) ad alimentare alcune di queste composizioni dell’ artista russo-americano»[4]. L’ opera (artistica o letteraria?) trova compimento non quando si posa il pennello (la penna) dopo l’ ultimo tratto (di Rosso o di Nero non importa più), spossato (lo scrittore, il pittore) e svuotato, ma nel momento in cui si offre oltre sé (autore/ creazione) all’ altro, allora il significato (sempre in-certo) scaturisce dalla cooperazione dello sguardo comprensivo o alterato dell’ altro, degli altri, nel tempo, nei tempi.
Quel che leggi (tu che leggi) sulla tela o sulla pagina ha un senso in sé e per sé, ma soltanto quando tu leggi qualcosa emerge da te, per te, torna in te. Tutti riconoscono e individuano medesimi elementi, altro, tuttavia, lo vedi, lo percepisci, lo comprendi soltanto tu, come tu sai e puoi. È sempre così che funziona nella relazione di interdipendenza fra artifex, opera e osservatore: qualcosa pertiene tutti universalmente, qualcosa riguarda soltanto te singolarmente. L’artifex ormai non c’ è più, rimane l’o sservatore con l’ opera. L’ artifex è sempre presente nella sua opera, l’ osservatore muta. Il colore si nutre della luce: la mistione del concetto con l’ espressione non si riesce a separare nelle modulazioni rosse e nere an-oggettuali. Il colore annulla il disegno, così la coscienza cerca di individuare almeno una figura implicita.
Il Rosso e il Nero raccontano un’ altra storia. Altre storie. Alla mente sale la crudele sorte dell’ adorabile ipocrita Julien Sorel: Stendhal aveva segnato con grandi caratteri sulla copertina del manoscritto il tiolo Julien, che mutò improvvisamente, quasi senza ragione, dialogando con l’[5]amico Colomb, in Le rouge et le noir; qualcuno scrisse che non c’ era riferimentoalcuno, che era del tutto insensato quel titolo. Il romanzo fu pubblicato nel 1828, e ancora dopo oltre dieci anni, nel 1839, Eusèbe Girault nella «Revue des Romans» scriveva ironicamente: « Il s’ appelle le Rouge et le Noir, tout comme il aurait pu s’ appeler le Vert et le Jaune, le Blanc et le Bleu - Ami lecteur, vous êtes bien curieux». Ma la risposta la aveva già data Stendhal, nelle pagine del romanzo: «Depuis bien des années, Julien ne passait pas une heure de sa vie sans se dire que Bonaparte, lieutenant obscur et sans fortune, s’ était fait le maître du monde avec son épée... La construction de l’ église et les sentences du juge de paix l’ éclairèrent tout à coup : une idée qui lui vint le rendit comme fou pendant quelques semaines et enfin s’ empara de lui avec toute la puissance de la première idée qu’ une âme passionnée croit avoir inventée. Quand Bonaparte fit parler de lui, la France avait peur d’ être envahie, le mérite militaire était nécessaire et à la mode. Aujourd’ hui, on voit des prêtres de quarante ans avoir cent mille francs d’ appointements, c’ est-à-dire trois fois autant que les fameux généraux de division de Napoléon...»[6]. Il rosso della gloria napoleonica, come quello del grande mantello con cui David raffigura Napoleone al passo del Gran San Bernardo (1800, Musée National du Châteaude Malmaison, Parigi), che si oppone al nero dell’ abito talare indossato per necessità e per opportunismo economico. Altre interpretazioni si potrebbero formulare, iterando le letture del romanzo. Accogliamole. I colori non sono altro che la percezione del mondo del protagonista in rosso e nero. L’ impasto di quel rosso e di quel nero non si distende facilmente sulla tela, è aspro come la verità del colofon iniziale desunto da Danton. Così, in Fogazzaro, il ventaglio nero a rose rosse di Sua Eccellenza[7] che si fa vento dalla balaustrata confonde nell’ aria umida del lago le forme: i colori sono già la materia. Come nel pirandelliano racconto La Verità che con una magnifica logica sovversiva mostra all’ inizio un uomo nella gabbia in tribunale con in mano un vezzoso fazzoletto rosso e le poche donne al processo sono nerovestite: «Saru Argentu, inteso Tararà, appena introdotto nella gabbia della squallida Corte d’ assise, per prima cosa cavò di tasca un ampio fazzoletto rosso di cotone a fiorami gialli, e lo stese accuratamente su uno dei gradini della panca, per non sporcarsi, sedendo, l’ abito delle feste, di greve panno turchino. Nuovo l’abito, e nuovo il fazzoletto. Seduto, volse la faccia e sorrise a tutti i contadini che gremivano, dalla ringhiera in giú, la parte dell’ aula riservata al pubblico. L’irto grugno raschioso, raso di fresco, gli dava l’ aspetto d’ uno scimmione. Gli pendevano dagli orecchi due catenaccetti d’ oro. Dalla folla di tutti quei contadini si levava denso, ammorbante, un sito di stalla e di sudore, un lezzo caprino, un tanfo di bestie inzafardate, che accorava. Qualche donna, vestita di nero, con la mantellina di panno tirata fin sopra gli orecchi, si mise a piangere perdutamente alla vista dell’ imputato, il quale invece, guardando dalla gabbia, seguitava a sorridere e ora alzava una scabra manaccia terrosa, ora piegava il collo di qua e di là, non propriamente a salutare, ma a fare a questo e a quello degli amici e compagni di lavoro un cenno di riconoscimento, con una certa compiacenza»[8]. Nel Forse che sì forse che no, il fratello Aldo spiega a Vana che forse l’ Inferno dantesco potrebbe riassumersi in un ciclo di pitture su antichi vasi: «E il testimone alato non è se non la divina Tristezza; perché la Tristezza è la musa etrusca, è quella che accompagnerà per le vie dell’ esilio e dell’ inferno un grande Etrusco colorato dalla bile atra. Non hai mai pensato che Dante ha ripreso l’ arte dei dipintori di vasi e l’ ha ingigantita col suo polso strapotente? Quasi tutta la prima cantica non è di figure rosse su fondo nero, di figure nere su fondo rosso? Taluni suoi versi non li vedi rilucere, di quel nero metallico che hanno certi fittili? E le sue Ombre non sono simili ai Vivi, come i Mani scolpiti in questi alabastri?»[9] L’ icastica raffigurazione delle figure nere su fondo rosso e di quelle rosse su fondo nero provoca ad uno sviluppo prospettico del personaggio nell’ ambito della costruzione del racconto: nella sintesi allegorica, inattesa, dei due colori si svolge la catacresi della scrittura narrativa. Rosso e nero occupano il medesimo spazio nella medesima pagina di altre, numerose narrazioni, nel tempo, in ogni luogo nel quale si sente la necessità di narrare. A figure rosse il vaso greco nel quale Pirandello avrebbe voluto che fossero poste le sue ceneri; nere le splendide sete negli armadi di d’ Annunzio.
Alle origini Lascaux: sulla volta della caverna storie rosse d’ ocra e nere dal manganese: animali e uomini in un corpo a corpo con l’ esistenza[10]. «Monde du sommeil où la connaissance interne, placée sous la dépendance des troubles de nos organes, accélère le rythme du cœur ou de la respiration, parce qu’ une même dose d’ effroi, de tristesse, de remords agit, avec une puissance centuplée si elle est ainsi injectée dans nos veines; dès que pour y parcourir les artères de la cité souterraine nous nous sommes embarqués sur les flots noirs de notre propre sang comme