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Il popolo della torre
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E-book141 pagine1 ora

Il popolo della torre

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Info su questo ebook

All'inizio dell'800, un paesino di tremila anime decide di costruire una torre campanaria. Dev’essere alta una trentina di metri, non di più, perché i paesi vicini temono che possa crollare nei canali e interrompere l’irrigazione. Allora, come succede che nonostante conflitti, epidemie, carte bollate, e cronica mancanza di risorse alla fine ne costruiscono una alta tre volte tanto? Questo testo teatrale racconta la storia del folle progetto di una delle torri circolari più alte d’Europa, la Torre del Popolo di Palazzolo sull’Oglio. Una storia che parte due secoli fa e arriva fino a noi.
LinguaItaliano
EditoreGhidotti
Data di uscita22 apr 2016
ISBN9786050424799
Il popolo della torre

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    Anteprima del libro

    Il popolo della torre - Angelo Ghidotti

    Ghidotti, Angelo

    Il popolo della torre

    UUID: 64be2d50-08ab-11e6-bf75-0f7870795abd

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write (http://write.streetlib.com)

    un prodotto di Simplicissimus Book Farm

    Indice dei contenuti

    Il popolo che volle la sua torre.

    Palazzolo e la sua identità

    Scena prima. QUAND GHE LA NEBIA.

    Scena prima. QUANDO C’E' LA NEBBIA.

    Narratore

    Scena seconda. EL SOGN DE LA LINA

    Scena seconda. IL SOGNO DELLA LINA

    Narratore

    Scena terza. PULISSIE SOLA MIRABELA

    Scena terza. PULIZIE SULLA MIRABELLA

    Narratore

    Scena quarta. DAVANTI AL PRETORE

    NARRATORE

    Scena quinta. TECA' BEGA A LA FESTA

    Scena quinta. UNA LITE ALLA FESTA

    Narratore

    Scena sesta. I PASSI VERSO LA TORRE

    Narratore

    Scena settima. LA DECISIU' DE TOMASI'

    Scena settima. LA SCELTA DI TOMMASO

    Narratore

    Scena ottava. LA E’ ZO!

    Scena ottava. VIENE GIU'!

    Narratore

    Scena nona. QUATER CAMPANER E 'N PRET

    Scena nona. QUATTRO CAMPANARI E UN PRETE

    Narratore prima ade

    Scena decima. LA SERA DELA ADELINA

    Scena decima. LA SERA DI ADELINA

    Narratore dopo ade

    Scena undicesima. IL DESIDERIO DEL VALLOTTI BUONANIMA

    NARRATORE

    Scena dodicesima. PITTURARE LA TORRE.

    Narratore

    Scena tredicesima. BRUSA SAN FEDEL!

    Scena tredicesima. BRUCIA SAN FEDELE!

    NARRATORE

    Scena quattordicesima. ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE

    NARRATORE

    Fonti bibliografiche

    Ringraziamenti

    Il popolo che volle la sua torre.

    Giovanni Zanni

    La casa è il luogo in cui cresci sognando di andartene, e per cui invecchi sognando di tornarci. 

    John Ed Pierce

    E la Torre è sempre lì ad aspettare tutti! 

    Francesco Ghidotti,  Diario

    "Quando ghè la nebia, la balurda", nella pianura del paese tutto si nasconde e tutto perde consistenza. Ne soffre persino l’orientamento di esperti contadini che hanno faticato la giornata nei lavori di fine autunno. Desiderano una zuppa calda e brustulicc e castagne. Quando la nebbia si appropria della pianura anche il ritorno a casa diventa un problema, per mancanza di segni di orientamento. Soprattutto di campane che indirizzino la via. Più pressante e urgente diventa la necessità di un campanile che, mass media del tempo, scandisca le ore della giornata, sia di orientamento, annunci gioie e dolori del popolo, raccolga in assemblea la vicinia, dia segnali di guerra e di pace. La parrocchiale nuova, lambita dal fiume, ha solo una campanella i cui rintocchi non superano l’area della piazza; le campane della pieve vecchia sono inservibili, il campanile pericolante. Tutto pare reclamare la costruzione di un nuovo manufatto. All’inizio dell’800, conclusa la costruzione della Parrocchiale, si sono quietati gli animi della guerra dei banchi, è stato tolto l’albero della libertà issato nella piazza con l’entusiasmo giacobino paesano, la stella napoleonica si sta oscurando, è iniziato l’ospedale con i soldi ricavati dalle offerte per il miracolo della madonna di S. Pietro in valico, si è costruito il nuovo camposanto fuori paese in obbedienza all’editto di Saint Cloud. Il sogno di un campanile nuovo tuttavia è radicato nel sentire comune della gente! Campanile nuovo? Dove, come, quanto alto? Non c’è la più pallida idea! Ci pensa El sogn de la Lina, un’ostessa che è sicura di aver avuto una visione nitida: bisogna fal so giù dei turiù del castel. L’aspettativa onirica rivendica la rivalità rivierasca tra bresciani e bergamaschi: se su una riva c’è il torrione di s. Giovanni, dirimpetto bisogna erigerne uno almeno altrettanto imponente che soddisfi le esigenze religiose e civili del paese intero.

    Così Angelo Ghidotti introduce secondo la sensibilità popolare la costruzione della Torre del Popolo di Palazzolo, vanto dei cittadini e soggetto di sfida agli uomini e al cielo. E’ strano che proprio in quel momento di passaggio epocale, 700 famiglie, 3000 abitanti, si intestardiscano in un progetto così ambizioso, sfidando il confronto decennale con i soggetti della Roggia Vetra intenzionati a impedirne la realizzazione, orientando le risorse, poche, verso questa nuova attività. Gli impedimenti della burocrazia sono sfiziosi ma le varie realtà istituzionali palazzolesi non si spaventano. I soldi si cercano dove ci sono, presso generosi offerenti, o con la raccolta delle gallette, che a volte si fa esigente, suscitando qualche rimostranza contadina. Persino il parroco permette un lavoro straordinario la domenica, purché non si interrompa il lavoro. 

    Superate le difficoltà burocratiche, le resistenze dei membri del Consorzio Vetra di Chiari, la sospensiva di tre anni determinata dal Prefetto del Mella, finalmente si dà inizio alla Torre, che in sei mesi circa, dal 23 giugno  all’ottobre 1813, si innalza di sei metri circa, secondo un progetto iniziale dell’arch. Manni, che aveva fatto i vari carotaggi della Mirabella e gli interventi dell’arch. Zuccoli di Milano. Nel frattempo ritornano a Palazzolo gli Austriaci, Napoleone sconfitto a Waterloo è relegato a S. Elena. Il Congresso di Vienna definisce il nuovo assetto europeo e anche Palazzolo deve obbedire alle istanze della nuova amministrazione.  L’anno cruciale è il 1818. Finalmente si appronta un progetto ad hoc, si studia un piano economico, si cooptano nuove risorse umane e persone di consistenza oblativa. Soprattutto la visione progettuale dell’arch. Giuseppe Marchesi di Pavia introduce una nuovo criterio: applicare la fisionomia del paese, esteso da nord a sud lungo l’asse del fiume Oglio, alla torre, lunghezza verso l’alto e rotondità. Una torre rotonda e alta 92 passi, 201 braccia. Le campane si sentiranno. Bisogna aver coraggio e le persone si convinceranno. La scena suscita stupore emotivo ed intelligente: lo sguardo verso l’alto, rivolto al futuro e all’infinito dello spazio, è quanto ha avvinto le persone d’allora come le moderne.  C’è in questo sogno, che si avvera faticosamente con lo slancio comune, e zelo di alcuni, un modello di perspicacia e di attaccamento alla propria terra, una lettura degli avvenimenti senza lasciarsi sopraffare dalle tensioni che essi provocano. Non c’è ritardo che deluda, non c’è inciampo che scoraggi, non c’è epidemia che impedisca, non c’è maldicenza che obnubili le coscienze. Neppure gravi incidenti, come il rogo della torre del 1893, Brusa San Fedel!, scoraggia i palazzolesi, sempre pronti a ricominciare e sempre in grande.

    Questa tensione al bello e al grande è connotabile al  carattere, al dna palazzolese, pronto ad esaltarsi in imprese che non risparmiano fatiche, ma in cui si esprime il valore umanistico dei suoi abitanti. Il desiderio del Valot ti, uno dei protagonisti dell’impresa, di vedere finita la torre si trasferisce nell’aldilà, in un suggestivo dialogo con chi può esaudirlo.  Si festeggiano i 200 anni dell’inizio ufficiale della costruzione della Torre del Popolo. Numerosi e non indolori i cambiamenti epocali intervenuti nel frattempo. Il fiume ha cambiato corso, il paese è divenuto città, gli abitanti sono quasi 20 mila. Chi sale oggi sulla torre vede villaggi interi incastonati nella pianura. Capannoni industriali orlano la periferia della città, persino un grattacielo si erge quasi a coprire il torrione di Mura, i ponti sono aumentati favorendo al solito le discussioni sulla loro necessità e consistenza estetica. Più chiese, più scuole, più supermercati, più banche quasi che tutti siano ricchi. Parcheggi dinanzi al Comune, aerei sulla testa.  Anche il contesto sociale è modificato: meno dialetto, molte altre lingue, modi di vita diversi, modi moderni di concepire la famiglia, di lavorare, di amare. Soprattutto il modo di pensare al futuro. Cosa offre oggi la nostra città ai nostri giovani? L’ultima scena del racconto di Angelo Ghidotti ci pone innanzi ad interrogativi epocali. E’ singolare che il dialogo tra una ragazza e i propri genitori sia

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