Il popolo della torre
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Anteprima del libro
Il popolo della torre - Angelo Ghidotti
Ghidotti, Angelo
Il popolo della torre
UUID: 64be2d50-08ab-11e6-bf75-0f7870795abd
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Indice dei contenuti
Il popolo che volle la sua torre.
Palazzolo e la sua identità
Scena prima. QUAND GHE LA NEBIA.
Scena prima. QUANDO C’E' LA NEBBIA.
Narratore
Scena seconda. EL SOGN DE LA LINA
Scena seconda. IL SOGNO DELLA LINA
Narratore
Scena terza. PULISSIE SOLA MIRABELA
Scena terza. PULIZIE SULLA MIRABELLA
Narratore
Scena quarta. DAVANTI AL PRETORE
NARRATORE
Scena quinta. TECA' BEGA A LA FESTA
Scena quinta. UNA LITE ALLA FESTA
Narratore
Scena sesta. I PASSI VERSO LA TORRE
Narratore
Scena settima. LA DECISIU' DE TOMASI'
Scena settima. LA SCELTA DI TOMMASO
Narratore
Scena ottava. LA E’ ZO!
Scena ottava. VIENE GIU'!
Narratore
Scena nona. QUATER CAMPANER E 'N PRET
Scena nona. QUATTRO CAMPANARI E UN PRETE
Narratore prima ade
Scena decima. LA SERA DELA ADELINA
Scena decima. LA SERA DI ADELINA
Narratore dopo ade
Scena undicesima. IL DESIDERIO DEL VALLOTTI BUONANIMA
NARRATORE
Scena dodicesima. PITTURARE LA TORRE.
Narratore
Scena tredicesima. BRUSA SAN FEDEL!
Scena tredicesima. BRUCIA SAN FEDELE!
NARRATORE
Scena quattordicesima. ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE
NARRATORE
Fonti bibliografiche
Ringraziamenti
Il popolo che volle la sua torre.
Giovanni Zanni
La casa è il luogo in cui cresci sognando di andartene, e per cui invecchi sognando di tornarci.
John Ed Pierce
E la Torre è sempre lì ad aspettare tutti!
Francesco Ghidotti, Diario
"Quando ghè la nebia, la balurda", nella pianura del paese tutto si nasconde e tutto perde consistenza. Ne soffre persino l’orientamento di esperti contadini che hanno faticato la giornata nei lavori di fine autunno. Desiderano una zuppa calda e brustulicc e castagne. Quando la nebbia si appropria della pianura anche il ritorno a casa diventa un problema, per mancanza di segni di orientamento. Soprattutto di campane che indirizzino la via. Più pressante e urgente diventa la necessità di un campanile che, mass media del tempo, scandisca le ore della giornata, sia di orientamento, annunci gioie e dolori del popolo, raccolga in assemblea la vicinia, dia segnali di guerra e di pace. La parrocchiale nuova, lambita dal fiume, ha solo una campanella i cui rintocchi non superano l’area della piazza; le campane della pieve vecchia sono inservibili, il campanile pericolante. Tutto pare reclamare la costruzione di un nuovo manufatto. All’inizio dell’800, conclusa la costruzione della Parrocchiale, si sono quietati gli animi della guerra dei banchi, è stato tolto l’albero della libertà
issato nella piazza con l’entusiasmo giacobino paesano, la stella napoleonica si sta oscurando, è iniziato l’ospedale con i soldi ricavati dalle offerte per il miracolo della madonna di S. Pietro in valico, si è costruito il nuovo camposanto fuori paese in obbedienza all’editto di Saint Cloud. Il sogno di un campanile nuovo tuttavia è radicato nel sentire comune della gente! Campanile nuovo? Dove, come, quanto alto? Non c’è la più pallida idea! Ci pensa El sogn de la Lina
, un’ostessa che è sicura di aver avuto una visione nitida: bisogna fal so giù dei turiù del castel
. L’aspettativa onirica rivendica la rivalità rivierasca tra bresciani e bergamaschi: se su una riva c’è il torrione di s. Giovanni, dirimpetto bisogna erigerne uno almeno altrettanto imponente che soddisfi le esigenze religiose e civili del paese intero.
Così Angelo Ghidotti introduce secondo la sensibilità popolare la costruzione della Torre del Popolo di Palazzolo, vanto dei cittadini e soggetto di sfida agli uomini e al cielo. E’ strano che proprio in quel momento di passaggio epocale, 700 famiglie, 3000 abitanti, si intestardiscano in un progetto così ambizioso, sfidando il confronto decennale con i soggetti della Roggia Vetra intenzionati a impedirne la realizzazione, orientando le risorse, poche, verso questa nuova attività. Gli impedimenti della burocrazia sono sfiziosi ma le varie realtà istituzionali palazzolesi non si spaventano. I soldi si cercano dove ci sono, presso generosi offerenti, o con la raccolta delle gallette, che a volte si fa esigente, suscitando qualche rimostranza contadina. Persino il parroco permette un lavoro straordinario la domenica, purché non si interrompa il lavoro.
Superate le difficoltà burocratiche, le resistenze dei membri del Consorzio Vetra di Chiari, la sospensiva di tre anni determinata dal Prefetto del Mella, finalmente si dà inizio alla Torre, che in sei mesi circa, dal 23 giugno all’ottobre 1813, si innalza di sei metri circa, secondo un progetto iniziale dell’arch. Manni, che aveva fatto i vari carotaggi della Mirabella e gli interventi dell’arch. Zuccoli di Milano. Nel frattempo ritornano a Palazzolo gli Austriaci, Napoleone sconfitto a Waterloo è relegato a S. Elena. Il Congresso di Vienna definisce il nuovo assetto europeo e anche Palazzolo deve obbedire alle istanze della nuova amministrazione. L’anno cruciale è il 1818. Finalmente si appronta un progetto ad hoc, si studia un piano economico, si cooptano nuove risorse umane e persone di consistenza oblativa. Soprattutto la visione progettuale dell’arch. Giuseppe Marchesi di Pavia introduce una nuovo criterio: applicare la fisionomia del paese, esteso da nord a sud lungo l’asse del fiume Oglio, alla torre, lunghezza verso l’alto
e rotondità. Una torre rotonda e alta 92 passi, 201 braccia
. Le campane si sentiranno. Bisogna aver coraggio e le persone si convinceranno
. La scena suscita stupore emotivo ed intelligente: lo sguardo verso l’alto, rivolto al futuro e all’infinito dello spazio, è quanto ha avvinto le persone d’allora come le moderne. C’è in questo sogno, che si avvera faticosamente con lo slancio comune, e zelo di alcuni, un modello di perspicacia e di attaccamento alla propria terra, una lettura degli avvenimenti senza lasciarsi sopraffare dalle tensioni che essi provocano. Non c’è ritardo che deluda, non c’è inciampo che scoraggi, non c’è epidemia che impedisca, non c’è maldicenza che obnubili le coscienze. Neppure gravi incidenti, come il rogo della torre del 1893, Brusa San Fedel!
, scoraggia i palazzolesi, sempre pronti a ricominciare e sempre in grande
.
Questa tensione al bello e al grande è connotabile al carattere, al dna palazzolese, pronto ad esaltarsi in imprese che non risparmiano fatiche, ma in cui si esprime il valore umanistico dei suoi abitanti. Il desiderio del Valot ti, uno dei protagonisti dell’impresa, di vedere finita la torre si trasferisce nell’aldilà, in un suggestivo dialogo con chi può esaudirlo. Si festeggiano i 200 anni dell’inizio ufficiale della costruzione della Torre del Popolo. Numerosi e non indolori i cambiamenti epocali intervenuti nel frattempo. Il fiume ha cambiato corso, il paese è divenuto città, gli abitanti sono quasi 20 mila. Chi sale oggi sulla torre vede villaggi interi incastonati nella pianura. Capannoni industriali orlano la periferia della città, persino un grattacielo si erge quasi a coprire il torrione di Mura, i ponti sono aumentati favorendo al solito le discussioni sulla loro necessità e consistenza estetica. Più chiese, più scuole, più supermercati, più banche quasi che tutti siano ricchi. Parcheggi dinanzi al Comune, aerei sulla testa. Anche il contesto sociale è modificato: meno dialetto, molte altre lingue, modi di vita diversi, modi moderni di concepire la famiglia, di lavorare, di amare. Soprattutto il modo di pensare al futuro
. Cosa offre oggi la nostra città ai nostri giovani? L’ultima scena del racconto di Angelo Ghidotti ci pone innanzi ad interrogativi epocali. E’ singolare che il dialogo tra una ragazza e i propri genitori sia