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Fratelli d'Italia: Una storia normale
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Fratelli d'Italia: Una storia normale
E-book258 pagine3 ore

Fratelli d'Italia: Una storia normale

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Info su questo ebook

Un'idea da impresa è una gara nazionale che ha l'obiettivo di far incontrare il mondo della scuola e quello del lavoro, premiando l'istituto scolastico che abbia saputo proporre un'idea innovativa, trasformandola a tutti gli effetti in un prodotto da immettere sul mercato. Sette studenti del prestigioso istituto Goffredo Mameli hanno l'opportunità di confrontarsi con le difficoltà e le dinamiche del fare impresa, affiancati e seguiti da alcuni tutor della K&C Italy S.p.A., filiale italiana dell'omonimo gruppo biotecnologico statunitense. L'entusiasmo, il desiderio di prevalere, il senso di avventura dei ragazzi avranno ben presto un contraltare in torbide manovre, inganni e slealtà. Gli studenti capiranno che nel mondo lavorativo non sempre si rema nella medesima direzione e che la fame di denaro e potere può trasformare le persone in maniera molto negativa... "Fratelli d'Italia" è un romanzo corale che indaga il mondo dei giovani e quello delle imprese, intrecciando esperienze, approcci, obiettivi. Ma è anche un romanzo di formazione, nel quale i sette studenti, al termine della gara, avranno capito qualcosa di più di se stessi, del proprio futuro e della vita.
LinguaItaliano
Data di uscita14 giu 2016
ISBN9788867932566
Fratelli d'Italia: Una storia normale

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    Anteprima del libro

    Fratelli d'Italia - Nicola Rizzo

    @micheleponte

    Nicola Rizzo

    FRATELLI D’ITALIA

    Una storia normale

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono fittizi o usati in modo fittizio. Tutti gli episodi, le vicende, i dialoghi di questo libro, sono partoriti dall’immaginazione dell’autore e non vanno riferiti a situazioni reali se non per pura coincidenza.

    «Se vuoi costruire una nave non devi per prima cosa affaticarti a chiamare la gente, a raccogliere la legna e a preparare gli attrezzi, non distribuire i compiti, non organizzare il lavoro, ma, invece, prima risveglia negli uomini la nostalgia del mare lontano e sconfinato».

    Antoine de Saint-Exupéry

    A quanti sperano. Ancora!

    UNO

    La prima nota bassa del flauto squarciò l’aria, quasi come il boato di uno stadio di baseball, per un fuori campo del capitano dei Knicks.

    Le arpe, le viole e i violoncelli si trascinarono appresso quel fragore iniziale, con la stessa leggerezza con cui ci si trascina sul corpo un fresco lenzuolo, alle prime luci di un’alba di giugno, che porta un’aria fresca, tanto a lungo attesa.

    Tutto diventò una dolce melodia che costrinse ciascuno ad abbandonare il discorso che stava facendo, a lasciare scappare il pensiero del momento. Anche le ultime parole che quella simpatica vecchina stava sussurrando alla piccola, furono coperte dalla musica.

    Tutti gli occhi erano sul palco.

    La musica fece perdere per un attimo la cognizione del tempo, mentre lo sguardo vagava sulla piazza, inondata dalla luce del calar della sera, quando sole e mare sembrano fondersi in un abbraccio e ogni dettaglio si fa più nitido, nuovo, perfetto.

    Poi, quella voce, a lungo attesa.

    "Signore e Signori, membri della giuria, presidi e insegnanti, e soprattutto voi, giovani sfidanti: benvenuti alla cinquantaquattresima edizione della gara nazionale Un’idea da impresa."

    Ogni mormorio era cessato e tutti fissavano il palco, con gli occhi semichiusi per il sole calante.

    Benvenuti nella splendida costiera amalfitana, che per tre giorni farà da scenario alle finali nazionali di questa gara, che da cinque mesi infiamma gli animi di molti. Abbiamo tanti ragazzi in gara, venti squadre, ciascuna in rappresentanza di una regione d’Italia, giunti fin qui a bordo della loro idea, che si è fatta impresa, che li ha visti vincitori prima alle provinciali e poi nella Regione di appartenenza. Tre giorni ancora per sapere quale di queste venti idee sarà quella vincente. Tutto è pronto.

    Pronto?

    Ciao, sono Luca, Stella è già in ufficio?

    Sì, te la passo.

    La voce di Silvia, la collega d’ufficio di Stella, era tanto suadente e calda quanto le sue forme erano audacemente provocanti. Una bellezza naturale, quasi eterea, che la rendeva unica grazie ai due occhi smeraldo incastonati in un viso solo accarezzato da un rossetto porpora e circondato da profumati capelli rossi.

    – Dovrò decidermi a chiedere a Stella di combinare un aperitivo a tre per approfondire la conoscenza – pensò Luca, un attimo prima di essere ripescato dai suoi pensieri, dalla voce di Stella.

    Ciao Luca, hai letto la mail?

    Sì, appunto mormorò, calcando con la voce tutto il suo disagio. Tu hai idea di cosa sia?

    Ne ho sentito parlare da qualche collega lo informò Stella, ma non ho capito bene. E poi, che c’entriamo noi? Hai notato chi sono gli altri convocati per la riunione?

    fece ancora più avvilito, tutti i nuovi senior. Tutti e sette: io, tu, Sua Maestà Paola Lucchini, lo Scienziato Gianni Repetto, Elena dell’ufficio contabilità, Pietro Cuccato dei Sistemi Informativi e Giacomo De Biasi.

    Giacomo De Biasi, il mio preferito sentenziò Stella, con un fil di voce. Non l’ho mai sopportato. All’expertise professionale è successo un casino e adesso me lo ritrovo davanti.

    Già, e non sappiamo a fare cosa suggerì Luca, cercando di contenere le esternazioni di Stella e riportarla al punto del discorso.

    "Un’idea da impresa riprese al volo Stella, confermando ancora una volta il feeling che da tempo, oramai, caratterizzava il loro rapporto, qualche cagata nuova dell’ufficio del personale. Non sanno più come perdere tempo."

    Mi immagino già il film proseguì, Sua Maestà farà la civetta tutto il tempo con Degli Esposti, perché vuole avere il grado di quadro prima di De Biasi; lo Scienziato sfodererà una delle sue idee a capocchia; io, tu, Elena e Pietro a cercare di non farci fregare. Bella prospettiva.

    lo interruppe Stella, e De Biasi dove lo metti?

    Ma De Biasi, lo sai, con le coperture che ha dai piani alti può dire e fare quello che vuole e tu devi stargli alla larga. Lascia che faccia il fenomeno con Sua Maestà e lo Scienziato. Che comandi lui a modo suo. Stai coperta e vediamo di capire che roba è.

    Sì, ok fece poco convinta Stella, vediamoci due minuti prima della riunione per prendere un caffè.

    Io mi faccio un caffè esordì Enzo.

    Per me un tè gli fece eco Marco, chi ne vuole uno?

    Io, grazie rispose, subito, Sandro.

    Fai due fece Valeria di rimbalzo.

    Chi vuole un orzo? se ne uscì Luca.

    Io vado di acqua rispose Anna. Tu, Giulia? Giulia… ?

    Oh scusa, io niente, grazie fece a quel punto Giulia, che sembrava assorta in altri pensieri.

    Dai Giuly, rilassati fece Marco per rincuorarla, siamo insieme, non ti preoccupare.

    Ma che c’entro io? Io non ci voglio stare in questa gara!

    Valeria non riuscì proprio a trattenersi: Ma dai, che paura hai?

    Non ho detto che ho paura rispose pronta Giulia, non ci voglio stare e basta.

    Va bò, ragazzi tagliò corto Luca, qualcuno ha delle idee?

    Lasciando per un attimo il suo caffè, Enzo non mancò di essere subito fastidioso: Ma l’idea non ce la dovrebbero dare i tutor?

    Ma sei fuori? l’apostrofò subito Marco, ce la dobbiamo sbrigare noi. Mi ha detto Alessio della quinta A, che lo scorso anno i tutor si sono fatti i cazzi loro: zero idee, zero spunti, zero aiuti.

    Sì, e zero risultato lo interruppe Anna, fuori dalle regionali e figura di merda.

    Eppure la squadra era forte intervenne Luca, al quale ribatté subito Valeria: Minchia se era forte: tre usciti con sessanta e lode, due con sessanta, due con cinquantotto. La squadra più forte che l’Istituto ricordi.

    Dopo quella del ʼ72 intervenne Giulia, che sembrava aver ripreso colore.

    Beh, grazie la demoralizzò nuovamente Enzo, in quella squadra c’erano la Preside, il prof. di matematica, la prof. di latino, suo marito che oggi è primario di neurochirurgia, Adami, l’americano che dopo il diploma è tornato negli USA e si dice che sia un grosso industriale, il Sindaco e Maddalena.

    Maddalena chi? fece Anna, con la sua vocina stridula.

    Maddalena, la più bella ragazza mai vista al Goffredo Mameli rispose, pronto, Enzo.

    È vero, mi ricordo riprese Luca, l’ho vista nell’annuario del ’72. ʼAzzo, se me la ricordo. Ma dove sarà finita?

    Pronta, Valeria, che queste cose le sapeva tutte: "Ma ci fai, o ci sei? Finì il liceo con il massimo dei voti, si laureò in Scienze Politiche a Bologna in quattro anni e partì per il Kenya, come giornalista per La Stampa. Prima donna inviata in Africa."

    Sì, conobbe l’ambasciatore, lo sposò, lui morì dopo tre anni e gli USA le offrirono di restare in Africa come consulente del Governo. Gran bella storia subentrò Marco, con un tono di cantilena evidentemente stizzito e polemico, vogliamo tornare a oggi o continuare a sciorinare la formazione del ’72? Neanche fossero Zoff, Cabrini, Gentile, Scirea…

    Sei un cinico l’interruppe Anna, ma va bene. Idee?

    Tra questi sette ragazzi della quarta C del Goffredo Mameli, non c’era mai stato silenzio.

    Erano sette teste e sette caratteri diversi, ma proprio per questo si integravano e stimolavano a vicenda. Ma in quel momento, fu silenzio. Un silenzio lungo, imbarazzato.

    Li salvò la campanella, che ricordò a tutti che erano attesi dalla Preside.

    DUE

    La saletta riunioni di Degli Esposti era attigua al suo ufficio.

    Per una stravagante interpretazione del luogo di lavoro, al suo arrivo, quattro anni fa, il dottor Degli Esposti, laurea alla Luis di Roma e master in Organizzazione Aziendale a Ginevra, aveva preteso un ufficio grande il doppio di quello del suo predecessore.

    I moduli ufficio in azienda avevano misure standard, definite sulla base di ruolo e inquadramento: impiegati in moduli open space da quattro oppure otto persone; i quadri in moduli singoli da dieci per sei metri; i dirigenti in moduli singoli quindici per dieci, con attiguo l’ufficio di segreteria dedicata.

    Poi c’era l’ufficio di Presidenza, sarebbe meglio dire la Suite, come era stato battezzato da qualche collaboratore impenitente. Ma quel nome era oramai di uso comune.

    Degli Esposti faceva eccezione, aveva preteso due moduli attigui: uno da dirigente, di sua spettanza, e uno da quadro. Lo pretese e lo ottenne al momento della stipula del contratto di assunzione.

    Inizialmente, i soliti ben informati, dissero che lo avesse chiesto per sistemare la sua segretaria in un ufficio che la ponesse ben al di sopra delle colleghe assegnate ad altri dirigenti, dando così lustro al casato Degli Esposti che si insediava in azienda.

    Ai romantici piaceva pensare alle opere degli imperatori romani, costruite per dare a essi potere, fama e immortalità; ai più cinici, invece, veniva da pensare che fosse per fare cosa gradita a quella che si diceva essere più la sua concubina, che la sua segretaria.

    Non ebbero ragione né gli uni, né gli altri.

    Ben prima che Degli Esposti entrasse pomposamente in azienda, i due moduli ufficio vennero uniti.

    Fu tolta la parete divisoria, rimpiazzata l’eterna moquette con un più moderno parquet e, caso inaudito in azienda, tra i due vani fu piazzato un muretto di pietre a vista alte un metro e mezzo, con apertura laterale per permettere il passaggio tra i due locali.

    Da un lato del muretto furono piazzati grandi lampadari, due divani Frau di pelle, uno rosso e l’altro blu, un bel tavolo di cristallo per le riunioni; un’intera parete fu coperta da una libreria in tek, con trenta caselle quaranta per quaranta centimetri, senza alcun libro inserito. Dall’altro lato, si ergeva il tavolo di Degli Esposti: una scrivania in legno, stile impero. Tutto intorno quadri e araldiche, titoli di studio e riconoscimenti, a testimoniare l’alto lignaggio del dottore.

    Nel complesso sembrava una libera interpretazione Ikeiana di una casina americana, di quelle che vediamo nei telefilm di Fox.

    Ma così volle Degli Esposti: il luogo di lavoro è la casa degli operai si badi bene che in quella azienda di operai non ce ne erano mai stati, il direttore del personale deve essere l’ospite di casa e quando l’operaio – di nuovo! – "va al cospetto del suo Direttore del personale, deve sentirsi accolto, come a casa, al rientro da una lunga giornata di lavoro."

    Queste parole erano ben stampate nella mente dei settecentodiciotto collaboratori e cinquantacinque tra quadri e dirigenti dell’azienda, perché non c’era riunione, assemblea o colloquio privato, in cui il dottor Degli Esposti non lo ripetesse.

    Il solito impenitente ben informato, fece girare voce che fossero la sintesi della sua tesi di laurea.

    Che sarà stato un sicuro successo: qual’ è il dipendente d’azienda o l’operaio di fabbrica che non aspetta la fine della giornata di lavoro per tornare a casa e trovarsi il Direttore del personale che lo aspetta sul suo divano, davanti alla sua televisione?!

    Ma tant’è in questa azienda.

    Bene, vi ho convocati per assegnarvi un compito strategico per l’azienda e fondamentale per le sorti professionali di ciascuno di voi.

    A queste parole Sua Maestà, Paola Lucchini, ebbe un sussulto, mal celato da un tardivo colpetto di tosse.

    Ansia da prestazione? sibilò, ficcante, De Biasi.

    Per tutta risposta, Sua Maestà si accomodò i capelli e accavallò le gambe fasciate nel suo tubino rosso rubino.

    Era una bella donna, Paola Lucchini, quarant’anni, single, una vita spesa per scalare i ruoli che contano in azienda.

    La bellezza, forse, non l’aveva fin qui aiutata granché. Era preparata, capace, a tratti intelligente, ma per coprire le proprie naturali incertezze, ricorreva sistematicamente al suo fascino, compromettendo così le sue capacità, travisate talvolta per un comportamento apparentemente frivolo.

    Come ben sapete riprese Degli Esposti, calcando sulla voce come a richiamare l’attenzione dei presenti, negli ultimi sei mesi siete stati attentamente valutati dall’azienda per confermare, o meno, la vostra propensione ad assumere, in futuro, incarichi e ruoli da responsabili, in azienda.

    Chi dei presenti non ricordava quei sei mesi? Erano iniziati per tutti con un colloquio con il proprio responsabile diretto, proseguiti con un secondo colloquio con una collega dell’ufficio Risorse Umane, approfonditi con due test online, uno singolo, l’altro di gruppo. Avevano raggiunto il culmine con due giornate di roll play, test attitudinali e valutazioni psicologiche. E adesso?

    "Ora siamo all’atto finale. Hic et nunc." Degli Esposti pronunciò quelle parole scrutando ciascuno dei sette presenti e lasciando volutamente seguire un lungo silenzio.

    In silenzio entrarono nell’ufficio della Preside, professoressa Mariangela Tacconi.

    Nell’animo dei sette ragazzi c’erano i sentimenti più diversi.

    Sapevano cosa la Preside stava per dire loro, o almeno ne conoscevano il senso. Ma quel che non sapevano era il perché proprio loro.

    Loro sette, tra tutti i ragazzi e le ragazze della scuola.

    Sette ragazzi normali, sette buoni studenti, forse qualcuno secchione, non sette geni cristallini o con qualcosa di speciale.

    Negli anni precedenti, la tradizione del’Istituto aveva sempre visto la squadra formata dai migliori sette talenti della scuola.

    Quell’anno, invece, la Preside aveva scelto sette studenti della stessa classe.

    La voce era volata tra i corridoi e il tam tam era giunto ben presto dentro le mura della quarta C.

    Nemmeno il tempo di arrivare al termine delle lezioni e Arturo, il vecchio bidello dell’Istituto, aveva portato un avviso, bussando lievemente alla porta della classe.

    Avanti strillò il professor Bencivenni.

    Arturo entrò a capo chino. Professore, chiedo scusa, ho un avviso da parte della signora Preside.

    Lo lasci sulla cattedra, lo leggerò ai ragazzi al termine della lezione, grazie.

    Beh, veramente, signor professore… balbettò Arturo, spiegazzando il foglietto nelle sue mani.

    Che c’è Arturo, dica lo redarguì Bencivenni.

    Vede, signor professore, l’avviso non è rivolto a tutta la classe, ma solo ad alcuni studenti.

    Faccia vedere e dicendolo, il professore quasi strappò il foglietto dalle mani del povero Arturo, che si ritirò di un passo.

    Appena ebbe finito di scorrere il foglio, il professor Bencivenni mormorò, rivolto ad Arturo: Ha ragione, forse è il caso che lo legga subito.

    Arturo salutò il professore, lanciò uno sguardo furtivo alla classe e uscì.

    Bene riprese il professore, schiarendosi la voce: i signori e le signorine: Borrelli Luca, Calabresi Valeria, Cazzamaghi Sandro, Zamagni Anna, Foresi Marco, Immobile Enzo e Vittadini Giulia, sono attesi al termine dell’ora dalla Preside. A quanto pare, le chiacchere nei corridoi erano vere. Mancano dieci minuti, fareste bene a uscire subito e presentarvi puntuali, andate.

    I sette ragazzi uscirono tra gli sguardi e il mormorio dei loro compagni.

    Prima di scendere i due piani di scale, percorrere il lungo corridoio e bussare alla porta della Preside, pensarono bene di fermarsi nella saletta ristoro, al primo piano.

    Era una stanzetta con mobiletti bassi lungo tutte le pareti, sui quali erano messi a disposizione dei professori e degli studenti termos e brocche di acqua calda, caffè e latte, da consumare alla ricreazione o alla pausa pranzo.

    Era quella una tradizione dell’Istituto Goffredo Mameli, che si tramandava da cinquant’anni e che nessun distributore automatico di bevande era riuscito a soppiantare.

    Per gli studenti, era un lusso e un privilegio entrare in quella stanza e consumare bevande calde fianco a fianco ai professori.

    Quella sala era spesso il rifugio peccatorum per una interrogazione andata male, la stanza del silenzio in attesa di un compito in classe, un mondo a parte, un tempio inviolabile dove studenti e professori incrociavano la loro giornata, vissuta su sponde opposte, consumando tè e caffè.

    Mentre tutto il crepitio della scuola era fuori a invadere i corridoi, tra una lezione e l’altra.

    Il crepitio degli applausi cessò solo quando il professor Giordano alzò la mano per placare la folla.

    Pasquale Giordano, Magnifico Rettore della locale Università degli Studi, era un ometto dall’aria furba e intelligente, che scrutava la folla attraverso i pince-nez che aveva appena raccolto dal suo impeccabile doppio petto, al quale non mancava mai di abbinare una cravatta di Marinella.

    Quella di oggi era di un elegante marrone, con fiorellini turchese.

    Forse l’aveva scelta per creare con essi un richiamo al blu cobalto del mare, che si trovava alle sue spalle.

    La folla gremiva la piazzetta, affacciata sul porto del piccolo paesino di pescatori. Da un lato, verso la piccola spiaggetta dominata dalla torre Vicereale, era stato montato il palchetto, sul quale si trovava Pasquale Giordano.

    Questa sera, avremo modo di dare il benvenuto ai centoquaranta ragazzi che sfileranno sul palco per presentarsi. Come sapete la giornata di domani, sabato, sarà interamente dedicata al ‘mercato delle idee’: ogni squadra esporrà su questa piazza il proprio prodotto, che potrà essere visionato e provato da noi tutti. Sarà l’occasione per i ragazzi di promuovere i loro manufatti e per i signori membri della giuria, di valutare il lavoro svolto e scegliere i finalisti. Solo tre delle venti squadre, infatti, torneranno su questo palco domenica, per la proclamazione del vincitore.

    Il sole scendeva ormai fino a tuffarsi nel mare, e la leggera brezza marina saliva verso la parte alta del paese.

    Il vento portava il profumo del mare, attraversava i capelli dei presenti e saliva accarezzando le case, la piccola chiesetta

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