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Falsi Nomi. La storia d'amore che mancava
Falsi Nomi. La storia d'amore che mancava
Falsi Nomi. La storia d'amore che mancava
E-book206 pagine2 ore

Falsi Nomi. La storia d'amore che mancava

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Info su questo ebook

Elisabetta e Paolo si innamorano.
Alla vita altro non chiedono se non poterlo vivere, il loro amore.
La vita, però, scombina le carte.
Ma Elisabetta e Paolo non soccombono al destino di Giulietta e Romeo.
Non soffrono pene dantesche, come Francesca e Paolo. Non turbano l’armonia di Camelot, come Ginevra e Lancillotto.
Elisabetta e Paolo si amano. Si ameranno per sempre.
E l’unica lacrima che verserà il lettore sarà di  invidia, per quella che è una bella storia d’amore.
LinguaItaliano
Data di uscita9 nov 2018
ISBN9788868227302
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    Anteprima del libro

    Falsi Nomi. La storia d'amore che mancava - Rocco Massaria

    Collana

    Romanzi

    diretta da

    Antonio D’Elia

    ROCCO MASSARIA

    FALSI NOMI

    la storia d’amore che mancava

    Proprietà letteraria riservata

    © by Pellegrini Editore - Cosenza - Italy

    Edizione eBook 2018

    ISBN: 978-88-6822-730-2

    Via Camposano, 41 (ex via De Rada) - 87100 Cosenza

    Tel. (0984) 795065 - Fax (0984) 792672

    Sito internet: www.pellegrinieditore.it - www.pellegrinieditore.com

    E-mail: info@pellegrinieditore.it

    I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, riproduzione e adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.

    A Lisa, Paola e Irene.

    PADRI

    Possono, i fallimenti dei padri come persone, trasmettersi e trovare poi un riscatto nei figli nati a nuova vita?

    Se la vita fosse vissuta due volte, riusciremmo forse ad evitare quegli errori ed orrori che diventeranno poi i rimpianti di tutta una vita. Di un’esistenza che potrebbe essere diversa.

    Ognuno di noi ha una direzione ma tutto può essere stravolto. Ogni cosa.

    Un improvviso sentimento; una malattia; la persona giusta o quella sbagliata.

    Il destino non esiste.

    Esistono quelle casuali conflittualità che si concretano sulla strada che saremo chiamati a percorrere.

    Nascere al momento giusto. Crescere, nella famiglia giusta. Oppure tutto il suo contrario.

    Siamo accompagnati fino alle porte del paradiso. Oppure a quelle dell’inferno.

    QUALCHE ANNO FA

    È un fresco mattino d’aprile inoltrato e costeggio un breve tratto del lungomare ligure, di quel mare che non sta fermo mai. Oggi è tranquillo e due pescatori sperano che sia pure generoso.

    Sono ancora a letto, le mie due stelline. Ho già condiviso con la loro madre il primo caffè della giornata: la moka sul fornello della cucina, già preparata dalla sera prima e le tazzine, quelle grandi come al bar. Addolcisco il caffè col miele d’eucalipto e ci aggiungo il cioccolato amaro. Lei più tardi farà colazione con Paola e Irene.

    La panetteria mi accoglie con i suoi profumi. Un paio di clienti sono più mattinieri di me.

    Le solite focaccine, ragionier Alberto?

    Le mie padroncine hanno cambiato l’ordine: oggi pizzette al pomodoro.

    La commessa, gentile, cuffietta in testa e grembiule immacolato, infila le due pizzette nelle buste oleate.

    Eccola servita e grazie. Una buona giornata.

    Ricambio il saluto della padrona, pago ed esco.

    Ripercorro volentieri il lungomare verso casa: le due barche sono ancora là. In spiaggia due signori giocano coi loro cani. Qualcuno sta correndo sul bagnasciuga per tenersi in forma.

    Buongiorno, ragionier Alberto: da un po’ di tempo mi chiamano così ma stento a farci l’abitudine.

    Il secondo buongiorno è sempre quello di Stefano, l’edicolante.

    Il suo giornale, ragioniere.

    Il bar Rosa a Torino. Era là che compravo ogni giorno La Stampa e La Gazzetta dello Sport.

    Grazie, Stefano, a domani.

    Forza Samp, mi fa.

    Forza Genoa, ribatto.

    Stefano risponde con un gesto di scongiuro: in realtà, non mi importa nulla della Samp, del Genoa e del calcio in generale ma cerco di dare un tratto di colore alla giornata.

    Almeno ci provo.

    La Stampa mi avrebbe accompagnato al lavoro: più tardi, un tantino stropicciata, sarebbe tornata con me a casa, dove Vittoria avrebbe commentato qualche titolo aiutando le bambine a fare i compiti. Se fosse rimasto del tempo, avremmo letto assieme qualche articolo.

    Suono al citofono.

    Siamo pronte, scendiamo.

    Metto in moto l’auto e con un panno tolgo la brina dai vetri. Vittoria, professoressa di Italiano e Storia e Paola e Irene, con gli zainetti in spalla, mi raggiungono.

    Papà, ti sei ricordato delle pizzette?

    Le buste di carta oleata scompaiono negli zainetti e le loro proprietarie entrano in macchina.

    Buona lezione, passerotto.

    Buon lavoro, ragioniere.

    Oggi vado e torno con Giulia.

    Dille di non correre. Ah, oggi Paola e Irene passo a prenderle io.

    Sorveglio l’entrata della scuola: il bidello è là, pronto e attento. Cominceranno le domande e dovrò saper raccontare la storia di Vittoria e Alberto, genitori di Irene e Paola.

    Una storia di nomi e cognomi. Veri.

    Falsi.

    Una storia di luoghi amati che hanno negato il loro abbraccio.

    Racconterò la storia di Alberto, il cui nome è Paolo. La storia di Elisabetta, che ha scelto di chiamarsi Vittoria.

    Buongiorno, ragioniere.

    ADESSO, QUALCHE ANNO DOPO

    Quattropani, la parte più alta di Lipari: ci ripariamo dal sole di fine luglio sotto il fresco di un pergolato. I nonni hanno lasciato a Saro la casetta che ci ospita. Ho conosciuto Saro a Canneto tanti anni fa, durante la mia prima vacanza in questa splendida isola.

    Il tavolo di legno è stato sparecchiato: rimangono una bottiglia di malvasia di Salina piena a metà, un vassoio di dolci di pasta di mandorle e cannoli alla ricotta.

    Vittoria col palmo della mano copre il suo bicchiere, mentre il mio e quello di Saro reclamano un altro giro. Paola ed Irene, le mie stelline ormai grandi, si consolano con cannoli e paste. Il riso al nero di seppia e l’insalata di polipo sono stati conferma del favore degli dei.

    Saro e la moglie devono scendere giù a Lipari per aprire il negozio.

    D’estate si lavora sempre, anche di domenica!

    Fai buoni affari. Stasera ceniamo insieme, ho già prenotato.

    Voi godetevi il fresco, io vado a spacciare capperi e Malvasia ai turisti.

    Rimaniamo soli. Ci trasferiamo su quattro comode sedie in vimini. È finalmente arrivata l’ora che Paola e Irene conoscano la nostra storia. Quella di Paolo e Elisabetta.

    Spero che non sia troppo triste per loro. Per Elisabetta e me lo sarà sicuramente. Non può che essere così.

    Confido nella mia santa protettrice, per quanto possibile.

    E chi è?, domanda Paola.

    Santa Ironia!

    Un leggero maestrale accompagna la storia.

    PASSEROTTO SMARRITO

    Entra nella terza B all’inizio della quarta ora, infilata in un paio di jeans e una camicia fantasia che fa capolino da una felpa scura di una nota marca. Bellissima e impaurita. Un passerotto smarrito dentro la sua timidezza. O almeno così la vedo io: un gioiello sempre troppo vicino ma finora invisibile.

    Avete da prestarmi un vocabolario d’Inglese, per favore?

    Noi lo avevamo finito da poco, il nostro compito d’inglese e la professoressa lo sapeva: in tre secondi netti, nelle mani di quattordici ragazzi si materializzano altrettanti vocabolari mentre le ragazze controllano l’abbigliamento per la palestra. È l’ora di educazione fisica. Il passerotto smarrito – avrei continuato a chiamarla così – sceglie me. Anzi, sceglie che io la scelga. Con un gesto immediato e spontaneo: non sono certamente il più vicino a lei e, quando si avvicina, stendo il braccio e avvicino il vocabolario alla sua mano. Questa frazione di tempo ci tiene uniti occhi negli occhi ed il libro diventa il primo anello di una catena lunga una vita.

    Scatta un lampo e segue un tuono che squassa tutto il mio corpo e tutti gli organi cominciano a suonare ognuno per proprio conto, componenti di un’orchestrina jazz che s’incontrano per la prima volta.

    Ne avevo sentito parlare. Sapevo che esisteva ma solo adesso, in quel preciso momento, ne avevo la certezza. Lo stavo toccando con mano. Il colpo di fulmine. O, più semplicemente, amore a prima vista.

    Te lo restituisco all’uscita. Grazie, Paolo.

    E questa si che è una sorpresa! Conosce il mio nome! Non riesco a proferire verbo e come un automa mi siedo. Il passerotto smarrito esce: i lunghi capelli, stretti in una coda di cavallo, dondolano su di un corpo non di donna fatta ma dalle migliori aspettative.

    Stai male? dice Domenico sfiorandomi il braccio. Al mio compagno di banco e amico del cuore non si può nasconder nulla.

    Tutti in palestra!: il professore di educazione fisica aspetta che tutti escano e chiude la fila. Paolo, se vuoi ti cerco due molle, così vediamo se riesci a sollevarti da terra e a fare una schiacciata come si deve!

    Scusi prof, oggi non sono concentrato.

    No, oggi mi sembri completamente fuori fase!

    La nostra non è una scuola grande, ci sono solamente tre corsi eppure mi domando come mai non abbia mai notato Elisabetta della seconda A. Solitamente al suono della campanella di fine lezioni sono tra i primi a guadagnare l’aria aperta ma oggi accampo con Domenico scuse puerili. Domenico ha già capito tutto. Volevo che io ed Elisabetta – avrei saputo il suo nome di lì a poco – uscissimo assieme e in coda a tutti gli altri. Non voglio essere osservato e mi serve tempo. Desidero che questo piccolo cortile diventi per oggi un campo sportivo, anzi non uno solo ma dieci, cento stadi da attraversare con lei.

    È andato bene il compito?

    Paolo, io sono la più brava della classe.

    Non traspare presunzione: nel suo parlare percepisco una tranquilla e ferma delicatezza, grazia rara per una ragazza della sua età.

    Come mai conosci il mio nome?

    Tutti ti conoscono.

    Una risposta elusiva.

    E cosa si dice di me, dato che tutti mi conoscono?

    Tante cose. Ma non solo di te.

    Non solo di te: che voleva dire? A cosa si riferiva? Penso rapido: famiglia, amici. Altro. Non lo so. Penso alla famiglia, appartengo ad una di quelle importanti qui in paese ma alla mia età sono all’oscuro di tante cose che le gravitano attorno e non ho percezione esatta se vi sia qualcosa di strano o insolito.

    "Allora, di chi dicono molte cose, oltre che di me?

    Grazie di nuovo per il vocabolario.

    Non mi hai ancora detto il tuo nome.

    Mi chiamo Elisabetta.

    Ciao a domani, ti aspetto.

    A domani… forse.

    Ora siamo amici.

    Amici è una parola grossa e impegnativa.

    Più che un amico, allora, per te, Elisabetta.

    Questa ultima frase la sussurro al vento di questa metà marzo; è un vento leggero e indefinito, non riesco a capire se sia freddo o caldo. Forse è quel vento che prelude alle piacevoli brezze estive. Oppure è ancora quello invernale che ti fa sentire i brividi nelle ossa. Vedo la sua coda di cavallo allontanarsi dondolando. I gesti ed il linguaggio di questa ragazzina mi disorientano, ha sicuramente una marcia in più di tutte le altre. Scoprirò col tempo che sono tutte le donne ad averla.

    Quasi sempre.

    Elisabetta è figlia di un contadino, questo lo scoprirò in seguito; una categoria sociale altamente snobbata nella mia famiglia. Sono quelli che al passaggio di mio padre – il Don – si levano il cappello e fanno l’inchino mentre il Don lo tiene ben saldo sul capo. Quelli che pronunciano tanti riveriti ossequi, così tanti da risuonare quasi come campane che suonano a festa. Eppure…

    Dò uno sguardo ai compiti assegnati.

    Paolo, quest’anno avrai la licenza: studia un po’ di più!

    Mia madre è preoccupata e ne ha ragione, a scuola non sono proprio un genio.

    Mi arrangio.

    Il pomeriggio va via tra due calci al pallone in piazza e due tiri alla sigaretta di nascosto con gli amici. È il rito di gruppo.

    È sera e le ore che precedono il sonno scorrono lente: penso a domani e ad Elisabetta. I minuti scorrono lenti come quelli di quando manca poco alla fine della partita e la squadra del tuo cuore sta vincendo con un goal di vantaggio. Uno scontro decisivo: gli avversari attaccano mentre i nostri si difendono con affanno sempre maggiore. Cerco di organizzare il gioco di attacco e di difesa per il giorno dopo ma non ho certezze sulla tattica da usare. Non riesco a prendere sonno e faccio fuori due raccolte di Bleck Macigno, mentre i libri di scuola dormono il sonno dei giusti.

    Finalmente prendo sonno: salvo in sogno Elisabetta dagli indiani cattivi che l’avevano legata al palo della tortura. Fuggiamo assieme e lei cavalca dietro di me, tenendomi abbracciato fin quando non siamo al sicuro nell’accampamento dei trappers.

    Perché porti a scuola quelle confezioni di cioccolatini?

    A mamma non

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