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La forma dell'aria
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E-book246 pagine3 ore

La forma dell'aria

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Info su questo ebook

Il romanzo, ambientato nel 1967 tra la Brianza lecchese e la Toscana, conclude la trilogia dedicata alla famiglia livornese Castiglioni dal Fiume.
Personaggi vecchi e nuovi animano le storie di paese che fanno da sfondo alle vicende della famiglia, ormai affermata nel campo dell’industria calzaturiera e della pelletteria.
Augustino, il bambino delle fate, diventato adulto, è riuscito a mettere a frutto la propria unicità nel lavoro al calzaturificio, ma è fortemente limitato dall’autismo nei rapporti con le persone. La famiglia ha creato intorno a lui un mondo sicuro e protetto e il nonno Amilcare e la sorella Federica cercano di guidarlo verso l’autonomia.
La ragazza parte per Firenze con i nonni, per conoscere la famiglia del fidanzato, combattuta tra il senso del dovere verso Augustino e il desiderio di indipendenza e di affermazione personale. A casa, intanto, Eugenia deve affrontare da sola il ricovero improvviso di Rodolfo all’ospedale e la gestione delle due aziende. Le viene in aiuto Salvo, dipendente fedele, amico fraterno di Augustino e, da sempre, innamorato di Federica.
In questo terzo capitolo della trilogia, perfettamente godibile anche a sé stante, l’autrice riallaccia tutti i fili dipanati nei precedenti episodi e fa calare il sipario sulle vicende di una famiglia che unita ha saputo affrontare ogni difficoltà.
LinguaItaliano
Data di uscita1 lug 2017
ISBN9788832920246
La forma dell'aria

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    Anteprima del libro

    La forma dell'aria - Annalinda Buffetti

    2014

    1

    Eugenia stava sognando.

    Piedi infantili calpestavano la sabbia. Odore di salsedine, rumore di onde.

    Tra le erbe rade, spiccavano le piante esili del finocchio selvatico. Eugenia ne masticò uno stelo, pregustando il sapore intenso di anice che si sarebbe sprigionato al contatto con l’acqua.

    Alla fonte, in fondo alla discesa di Nugola, si sarebbe dissetata.

    Andiamo alla fonte! Alla fonte a bere! Gli amici cominciarono a correre e si allontanarono.

    Eugenia… Eugenia!

    Una voce fece vibrare l’aria. Per un attimo la figura di Augusta lacerò il tessuto del Sogno e s’insinuò nella scena. Eugenia se la trovò accanto sulla sabbia, poi il Sogno si dissolse come fumo e la realtà prese il sopravvento.

    Dormivi… e io t’ho svegliato… però se non l’avessi fatto ci saresti rimasta male!

    Eugenia sbatté le palpebre per abituarsi alla luce che entrava dalle grandi finestre del soggiorno, aperte sul giardino.

    Perché? Cos’è successo?

    È tornato Salvo da militare! Il viso di Augusta si aprì in un sorriso. Il tu’ sòcero non l’ha nemmeno fatto parlare e l’ha portato subito al magazzino a vedere il pellame che è appena arrivato! Se vieni fòri, ci si va anche noi!

    Eugenia si alzò dal divano del soggiorno, dove si era addormentata dopo il pranzo e si stirò, poi, passando davanti alla specchiera, si ravviò i capelli. Gli anni erano scivolati sul suo viso senza lasciare traccia, solo lo sguardo appariva meno vivace e più maturo.

    Attraversarono ambienti luminosi e accoglienti, che non portavano più nessuna traccia dell’antica presenza di Petronilla, uscirono nel cortile e camminarono accanto all’enorme fontana di marmo bianco. Il tempo ne aveva appannato la bellezza: nessuno si curava di tenere pulito il fondo della vasca che non aveva mai contenuto acqua, nessuno liberava la ninfa dall’abito di polvere e dalle incrostazioni. Quella fontana non era mai piaciuta agli abitanti della casa, solo Amilcare a volte si sedeva su una vecchia panca di pietra addossata al muro e rimaneva a guardarla in silenzio.

    Vicino all’arco fiorito, le due donne incontrarono Rodolfo che tornava dall’orto del Vassena.

    Vieni al magazzino con noi, c’è Salvo! Ha finito il militare e ora è con Pio.

    Finalmente è tornato! Era andato via proprio quando c’era più bisogno di lui!

    Augusta guidava la fila a passo di marcia. Se voi aveste dato retta a me, a militare non ci sarebbe andato, quel ragazzo! Che bisogno c’era di mettere in regola la su’ mamma proprio in quel momento? Si poteva aspettare!

    Proprio Rodolfo aveva insistito per assumere regolarmente Nunzia, che veniva alla villa tutti i giorni a fare le pulizie. È vedova da parecchi anni e ha tirato su tre figlioli da sola, spaccandosi la schiena a lavare, a stirare e a pulire per gli altri.

    Amilcare era stato d’accordo con lui: Se è in regola, avrà la pensione quando sarà vecchia!

    Nessuno si era reso conto che Salvo, in quel modo, non era più l’unico sostegno della famiglia e così il ragazzo era partito per la Sardegna, accompagnato dai pianti di sua madre e dalle recriminazioni di Augusta. Voi non volete ammetterlo, ma io ho sempre ragione!

    Li trovarono nel magazzino, a sfogliare una dopo l’altra le pelli appena arrivate e a fare progetti di lavoro.

    Come sei diventato bello, Salvo! Augusta lo accarezzò sulla testa e cercò di tirargli i capelli cortissimi. Sei partito che eri un ragazzino e sei tornato uomo!

    Salvo la abbracciò commosso: era la nonna che non aveva mai avuto.

    E voi siete sempre gli stessi, disse, non siete invecchiati di un giorno!

    Amilcare allargò le braccia, sconsolato. Da un po’ di tempo a questa parte, mi fanno lavorare sempre di meno, si lamentò, anche se il lavoro continua ad aumentare.

    O Pio, ’un sei più un giovanottino! Non puoi lavorare per sempre, riposati un po’. Sei invecchiato! Vedendo il gesto di stizza del marito, Augusta si corresse: "Siamo invecchiati tutti e due".

    Uscirono dal magazzino e il ragazzo si guardò intorno soddisfatto; erano cambiate poche cose da quando era partito.

    Il furgone! Ne avete comprato uno nuovo!

    Quello vecchio non si poteva più aggiustare…

    E Augustino? Sta bene?

    Sì, sta bene. Se vuoi andare a salutarlo, lo trovi in camera sua.

    Ora non ho tempo… tornerò domani.

    Rodolfo si fermò. Prima che tu partissi, s’era detto di farti prendere la patente… per le consegne… e poi non ci s’è più pensato. Ora è arrivato il momento!

    Augusta sbuffò. Ma fagli riprendere fiato, povero figliolo! È appena arrivato da militare e già pensate al lavoro!

    Mentre parlavano, ritornarono nel cortile davanti alla villa.

    Lo sguardo corse a una finestra del primo piano. E Federica? Non c’è?

    Si guardarono tutti in faccia, imbarazzati, poi, dopo una lunga pausa, Rodolfo si schiarì la voce.

    No… oggi non c’è. Visto che è domenica… e oggi non si lavora… è andata a fare una passeggiata.

    Salvo lo guardò perplesso e aprì la bocca per parlare.

    Non vorrai venire subito a lavorare! gli disse Amilcare precipitoso. Prenditi qualche giorno di vacanza, riposati un po’. C’è sempre tempo per ricominciare a lavorare.

    Mi sono riposato anche troppo, quando ero militare. Non vedo l’ora di ricominciare a vivere una vita normale! Si guardò ancora intorno. È fuori da tanto tempo, Federica?

    Andando verso casa, Salvo si fermò a guardare una villetta in costruzione.

    Come cambiano in fretta le cose, pensò . Prima qui c’era il bosco dove andavamo a cercare le castagne da bambini.

    Una voce sgradevole lo fece trasalire. Terunscèl! L’è finida la naja? Ti abbiamo visto poche volte, da quando sei partito!

    Stefano, il figlio di Emilia, la padrona di casa.

    Sì, ho finito, gli rispose, fermandosi controvoglia. Ero così lontano che non potevo venire a casa, quando ero in licenza. Beato te che hai fatto il militare a Milano…

    Stefano sogghignò beffardo. Eh, io ho delle conoscenze… disse. Si lisciò i capelli in un gesto automatico, cercando di coprire la calvizie incipiente e sfiorò la larga cicatrice bianca che gli attraversava la fronte, segno indelebile delle vendette di Federica bambina.

    Salvo lo fissò, gelido. Io, invece, non conoscevo proprio nessuno! disse cupo e si mosse per andarsene.

    L’altro lo prese per un braccio. Che fretta… parliamo un po’…

    Non ho tempo!

    La stretta si fece più forte. Solo due chiacchiere… non ci vediamo da tanto! Parliamo del più e del meno. Per esempio, io credevo che la Federica fosse la tua ragazza!

    Salvo si bloccò. No… non c’è mai stato niente di ufficiale.

    Ah… meglio così! Stefano mosse qualche passo.

    No aspetta! Perché dici che è meglio così?

    Stefano si guardò le scarpe, si lisciò i capelli, si sistemò la cravatta. Niente, niente…

    Salvo era sulle spine. Gli venne in mente lo strano comportamento dei nonni e del papà di Federica e non resistette: Cos’è successo?

    Sai… s’è messa con un altro, uno di Firenze. Aria di famiglia. Parla come loro…

    Non ci credo! disse Salvo, pallido.

    Meglio che non vi foste fidanzati… A nessuno piace avere le corna! Stefano rise malignamente.

    Salvo lo guardò, mentre si allontanava. Si sentiva come se gli avessero dato una botta in testa.

    La gioia del ritorno era svanita.

    Figlio mio, quella ragazza non è per te! È troppo bella, è troppo ricca, è… aristocratica. Tutta la famiglia è aristocratica. Augusta no, lei non è aristocratica. Quella sì che mi piace!

    Perché, mamma, Federica non ti piace?

    Mi piace, mi piace… È che non ce la vedo come nuora. È secca secca e tiene una lingua tagliente…

    Salvo taceva, Nunzia tornò all’attacco: Sai chi ci vedrei bene come nuora?

    Silenzio.

    Come mamma dei miei nipotini?

    Silenzio.

    Pasqualina!

    Pasqualona? Mamma… ma è uno scarrafone!

    Eh… esagerato. Uno scarrafone… È brava, sa cucinare bene, sa cucire, è pulita… Pensa che s’è ricamata tutto il corredo da sola! E poi ci sa fare con i bambini. Sarebbe proprio una brava mamma!

    Sì, la mamma di tanti scarrafoni come lei!

    Nunzia rimase zitta per un momento, colpita.

    Beh… tu sei tanto bello… forse somiglierebbero a te.

    Salvo sbuffò e aprì la porta.

    Dove vai?

    Scendo a salutare Ercolino e Serafina. Forse c’è anche Giovanni.

    A quest’ora sono occupati con le bestie. Non tengono tempo per chiacchierare con te.

    Allora li aiuterò a pulire le stalle. Così mi terrò occupato e non penserò… a niente.

    Aspettami! Vengo giù con te a vedere se c’è Ninetta. Anzi, prima di andare nelle stalle, vieni a salutarla anche te.

    Scesero le scale della stessa casa che vent’anni prima aveva ospitato Esterina Levi e la vecchia pastora. Niente era cambiato in quei venti anni: i mobili cadevano a pezzi e la stessa stufa arrugginita riscaldava sommariamente i vecchi locali.

    Quando avremo qualche soldo in più cambieremo casa, mamma, così non dovremo più sopportare l’arroganza di Emilia e di suo figlio.

    L’arroganza… come parli bene, figlio mio! disse Nunzia colpita. Ma gli affitti sono cari, guagliò.

    Mentre attraversavano la corte per andare a bussare alla porta di Ninetta, incrociarono un gruppo di oche starnazzanti.

    Sció! Nunzia agitò le braccia e diede un calcio all’aria. Le oche si avviarono in fila indiana al cancello che rimaneva sempre aperto. Vanno a fare visita alla signora Gatti, disse Salvo.

    La fila starnazzante attraversò la strada e una grossa automobile bianca, che arrivava a forte velocità, inchiodò per non investirle. Seduta accanto al guidatore, Federica indicò le oche ridendo.

    Quando la processione fu passata, l’auto ripartì.

    Salvo era rimasto immobile, raggelato.

    Nunzia gli strinse il braccio. Non angustiarti, figlio mio. Hai visto che macchina tiene quello là? Hai visto com’è bello biondo? Mettiti il cuore in pace. Una ragazza vale l’altra e quella non è per te. Vedi come stanno bene insieme, quei due? Sono uguali!

    Mamma… ti ci metti anche te a farmi soffrire?

    No, no… io non voglio vederti soffrire. Voglio solo farti ragionare! Lei non è più roba per te, appartiene a lui!

    Mamma, tu non capisci. Federica è uno spirito libero. Non apparterrà mai a nessuno. Anche se si sposerà, apparterrà sempre a se stessa!

    Nunzia avrebbe voluto dire tante cose, ma riuscì a tenere la bocca chiusa.

    Le finestre sono chiuse, guagliò, Ninetta non è in casa. Aspettiamo un momento… magari è andata a fare la spesa.

    Rimasero in piedi davanti alla porta, ad aspettare. A Salvo era passata la voglia di rivedere i vecchi amici.

    Le oche, finita la visita alla signora Gatti, riattraversarono la strada in fila indiana.

    La stessa macchina bianca, ora diretta verso il paese, dovette fermarsi per non investirle e poi, finita la processione, ripartì sgommando.

    Hai visto, guagliò? Quello là è già tornato indietro! Ha scaricato la sua bella come un pacco e se n’è andato. Pensavo che si fermasse a parlare con i suoceri…

    Salvo gemette.

    Non è bene educato come te, figlio mio. È uno zoticone, quello… uno zoticone aristocratico!

    Augustino guardò l’orologio. Quasi le sei. Ancora un’ora prima di cena.

    Sistemò un libro che sporgeva leggermente dal ripiano, turbando la perfezione e l’ordine, e guardò con soddisfazione la libreria. Ogni testo era sistemato secondo l’altezza e il colore del dorso della copertina. Federica l’aveva aiutato a trovare il giusto ordine, che rimaneva sempre lo stesso, immutabile nel tempo.

    Nella camera ogni cosa era sempre al proprio posto: le due poltrone disposte simmetricamente ai lati della finestra con il tavolino quadrato al centro, il letto perfettamente rifatto con il copriletto a righe colorate. Augustino lisciò una piega che turbava la perfezione, sistemando la riga rossa del copriletto in linea con il bordo del materasso.

    Guardò ancora l’orologio: le sei in punto. Ancora un’ora prima di cena, un’ora intera da impegnare.

    Nei giorni di lavoro, ogni momento della giornata era scandito rigorosamente e non era necessario pensare per sapere cosa fare. La domenica, invece, la situazione era fluida, variabile. Le cose da fare dipendevano dal tempo atmosferico, dalla presenza o dall’assenza delle persone della famiglia e dal loro umore.

    A quell’ora, ogni domenica lui e Federica giocavano a carte, oppure, se c’era bel tempo, andavano a passeggiare nel parco o in paese.

    Ma dov’era andata Federica?

    Se non sai che cosa fare, passa alla fase successiva! gli diceva lei quando lo vedeva incerto.

    Qual era la fase successiva? La fase successiva era la cena.

    Augustino si sedette sulla poltrona ad aspettare l’ora di cena.

    Federica spalancò la porta del soggiorno ed entrò come un turbine di vento; in un attimo la stanza sembrò piena di gente.

    Eugenia alzò la testa dalla rivista che stava leggendo e la guardò sorridendo, ma subito il sorriso le morì sulle labbra.

    Non ci posso credere! Sei andata a Milano con quei pantalonacci addosso!

    Mamma… La ragazza allargò le braccia. Lo sai che i pantaloni sono di moda!

    Ma qui al paese non li porta nessuno, te li metti solo tu! Andrà a finire che lo dirà il prete in chiesa, come ha fatto per quelle ragazze che si mettevano i vestiti senza maniche!

    Non sarà certo don Ambrogio a dirmi come mi devo vestire! disse Federica, alzando la voce.

    Su questo non avevo dubbi. Però quei pantaloni sono proprio brutti. Sono da uomo! Infatti, nonna ha dovuto stringerteli in vita, perché andavano su diritti, larghi larghi. E che fatica ha fatto, con quella stoffaccia dura!

    Qui non sono ancora arrivati i blue-jeans da donna, ma vedrai che arriveranno presto. La moda sta cambiando. Intanto io mi accontento di questi Roy Roger’s che fa arrivare il Paolo per il suo negozio.

    Prese fiato e continuò, con lo sguardo acceso: Non immagini quello che c’è nelle vetrine dei negozi di Milano! Siamo stati a vedere quel negozio nuovo in via Passarella… Fiorucci!

    Eugenia ascoltava indifferente.

    Ma sì, mamma, quello che ha inaugurato Celentano alla fine di maggio!

    Ah, ho capito! La figlia di Alfonsina era stata all’inaugurazione e le aveva raccontato tutto quello che era successo.

    Vestiti rivoluzionari… gonne corte alla moda di Carnaby Street… e che borse!

    Milano è un buon mercato per la nostra clientela, disse calma Eugenia.

    No, mamma, non capisci. Io non parlavo di borse come quelle che facciamo noi! È roba rivoluzionaria quella che ho visto nelle vetrine! Borse a sacca… con una cinghia per portarle appese a una spalla, invece che in mano…

    Le borse con la tracolla non sono una novità! Le usava Coco Chanel più di dieci anni fa!

    Quella che ho visto io è roba nuovissima, mai vista! C’era una borsa bellissima, scamosciata, con delle frange cucite lungo i bordi. Mamma… dobbiamo rinnovare la nostra produzione!

    Eugenia s’irrigidì. "Sacche come quelle dei postini… borse da indiani. E come facciamo a inserire quella roba nella linea di borse della Contessa? È impossibile! Noi abbiamo un certo genere di clientela. Ce la vedi gente come la Persichetti con una sacca con le frange? Sarebbe andata bene per la Penerona!"

    Mamma, cerca di capire, i tempi cambiano, ci dobbiamo rinnovare! Leopoldo conosce della gente, a Firenze, che sarebbe interessata a cose moderne come quelle che abbiamo visto oggi.

    A Firenze arriva gente da tutto il mondo, ma qui…

    Si potrebbe provare con qualche borsa… una linea separata da quella tradizionale.

    E come la chiameresti? Le borse della Penerona? Eugenia si mise a ridere. No, Federica, io non ci sto. Se vuoi fare qualcosa per conto tuo, provaci nel tempo libero, ma io continuo con i miei modelli e con la linea che ho fondato più di vent’anni fa.

    Federica rimase per un momento senza parole, poi riprese a parlare alzando la voce. Con te non si può ragionare! Ma ricordati, i tempi cambiano e se perdi il treno non lo riacchiappi più!

    Si voltò e uscì sbattendo la porta.

    Eugenia sospirò. Roba da matti. Le borse della Penerona. Meno male che c’è Augustino a portare avanti la tradizione di famiglia senza cambiare nemmeno una virgola!

    2

    È permesso? Possiamo pulire i vetri, bimbo?

    La nonna e Nunzia erano sulla porta, con la scala e un armamentario di stracci e flaconi; Augustino, distolto dalla contemplazione dei suoi francobolli, le guardò seccato.

    "Se ti si dà noia, s’aspetta un po’ e

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