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Progetto H.P.C.P.: Libro 1 - Cerca & distruggi
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E-book547 pagine6 ore

Progetto H.P.C.P.: Libro 1 - Cerca & distruggi

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Info su questo ebook

La razza Homo Sapiens è la dominatrice, nel bene o nel male, di questo mondo, ma quanto di tutto ciò che ha fatto merita veramente di essere ricordato?
Se è vero che la natura commette talora errori anche grossolani, non è plausibile pensare che l'uomo possa rappresentare uno di questi errori?
Esiste qualcuno, o qualcosa, in grado di sovvertire l’ordine imposto da miliardi di anni di evoluzione?
Un salto indietro nel tempo tenterà di dare una risposta all'annoso quesito.
Un gruppo di amici si ritroverà ad affrontare la più grande, e forse anche l’ultima, avventura dell’essere umano, un'avventura nella quale verrà loro richesto di sacrificare le loro stesse esistenze, affinché il pianeta possa tornare a vivere.
LinguaItaliano
Data di uscita4 lug 2021
ISBN9791221323290
Progetto H.P.C.P.: Libro 1 - Cerca & distruggi

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    Anteprima del libro

    Progetto H.P.C.P. - Emanuele Tosco

    Gli uomini possono essere solamente di tre tipi: stupidi, infami oppure eroi; a voi la scelta

    CAPITOLO 1 - Pensieri confusi e amici di sempre

    Tempo, pare incredibile come gli uomini sprechino con tanta facilità e naturalezza il tempo; è semplicemente il loro bene più prezioso, un bene che non può essere rigenerato, che non può essere rabboccato, un bene che, volenti o nolenti, tutti quanti noi abbiamo a disposizione una sola, singola volta, istante per istante, in tutta la vita.

    Questo gettare al vento il tempo con una naturalezza disarmante, è ancor più scioccante se si pensa a come l’uomo riesca ad imbestialirsi, invece, per cose completamente futili e irrilevanti.

    Quella fatidica sera, mentre cenavo in compagnia di una pacifica solitudine, improvvisamente e prepotentemente mi tornò in mente una frase di Lucio Anneo Seneca¹ che lessi tempo fa; non ricordo esattamente dove, ma ricordo benissimo ciò che recitava – "Estremamente breve e travagliata è la vita di coloro che dimenticano il passato, trascurano il presente, temono il futuro. Giunti al momento estremo, tardi comprendono di essere stati occupati tanto tempo senza concludere nulla".

    La più grande delle verità riguardanti l’uomo concentrata in una sola, singola frase; il fatto che ci avessi pensato così intensamente avrebbe dovuto condurmi sin da subito sulla giusta strada, farmi capire, cioè, che qualcosa in me non funzionava più come tutte le altre volte.

    Ma era sabato sera, una serata che poteva sfumare tranquillamente nella notte senza doversi preoccupare del mattino seguente, una serata che potevo, finalmente, dedicare a me stesso, una serata nella quale avrei potuto anche far finta che il tempo non esistesse.

    In queste calde notti di inizio estate, amavo rilassarmi in giardino sul mio sdraio preferito, come sempre con una bella birra fresca a tenermi compagnia; le finestre della camera che davano sul prato erano sempre aperte, e il computer all’interno sempre acceso, un computer capace, con il suo lettore di MP3 integrato, di trasportarmi in un mondo di sensazioni sonore lontano anni luce dallo squallore di tutti i giorni.

    Che gran bella cosa la tecnologia; bella, certamente, ma unicamente se utilizzata in maniera opportuna, e di questo ne ero sempre stato convinto.

    Non appena aprii la porta, il vento tiepido della notte mi accarezzò il viso; spensi la luce della stanza tenendo accesa solamente una piccola applique, e mentre le quattro stagioni di Vivaldi iniziarono a colorare di note delicate l’aria che mi circondava, lentamente uscii a passeggiare sull’erba appena tagliata.

    Immerso nell’inebriante aroma di un’estate ancora acerba, mi avviai ad osservar le stelle.

    I rumori della notte estiva si fondevano con le note della primavera del grande compositore italiano, il tutto a formare un’unica, stupenda sinfonia; tutto era perfetto, nulla stonava con la meraviglia di cui ero testimone, eppure dentro di me sentivo che qualcosa non andava.

    Mi accomodai nel bel mezzo del prato, rilassandomi e lasciandomi cullare dalla pace del momento; inspirai profondamente e a lungo, assaporando in anticipo lo spettacolo che mi attendeva silenzioso tutto attorno a me.

    Sentivo che avrei dovuto necessariamente rilassarmi, era tutta la settimana che avevo lo stomaco letteralmente a pezzi a causa del nervoso accumulato sul lavoro, perciò era imperativo che riuscissi ad allentare la pressione sui miei poveri nervi, dedicando qualche ora unicamente a me stesso.

    Non importava che fosse la prima o la milionesima volta, lo spettacolo del cielo notturno, tempestato di stelle che parevano precipitare tutte insieme verso di me, non aveva eguali al mondo; dal canto mio, sapevo che non poteva esistere emozione più grande di questa.

    Chiusi per un attimo gli occhi in modo da permettere loro di abituarsi velocemente alla mancanza di luce, alzai la testa verso il cielo, e finalmente riuscii a sognare; miliardi di piccolissimi diamanti, la cui luce tremolante entrò in me sin dentro le viscere, mi sollevò dal mio misero stato di essere umano, trasportandomi, anche se per poco, vicino a loro, e alla loro condizione di pura energia.

    Non seppi contare le volte che provai questa emozione intensissima; non riuscivo a ricordare il numero delle notti trascorse con la testa all’insù, nel vano tentativo di ottenere dalle stelle risposte che nessun umano otterrà mai in questa vita.

    Tutto pareva essere perfetto, ma il mio io profondo si rese presto conto che, in realtà, quella notte aveva qualcosa che stonava decisamente; era solamente una sensazione lontana, come un minuscolo granello di sabbia che non vuole abbandonarti anche quando sei ormai lontano dalla tua spiaggia preferita, ma per quanto apparentemente insignificante esso fosse, quel qualcosa si era ormai insinuato in profondità nella mia mente, tanto che, ne ero più che certo, non mi avrebbe lasciato andare tanto facilmente.

    Al tempo non volli prestargli eccesiva attenzione, non volevo che una cosa così piccola e insignificante come un granello di sabbia, fosse in realtà capace di rovinare tutto questo; non era giusto, proprio non lo era, e in ogni caso, assolutamente non meritava tanto.

    Continuai a ripetermelo come un mantra silenziosamente nella testa più e più volte, insistentemente, ma nella mia mente oramai questa convinzione veniva sempre meno.

    Come spesso accade in queste occasioni, il granello di sabbia, che proprio non se ne voleva andare, quello stesso granello che non voleva saperne di lasciarsi spazzare via, aveva preso ormai a rotolare libero dentro di me, libero di fare ciò che più voleva dentro un corpo che non era il suo.

    Rotolava senza freni, il piccolo granello di sabbia, rotolava insistentemente all’interno della mia testa, quasi fosse animato da una sorta di vita propria, tanto che, poco a poco, esso divenne un pensiero fisso, l’unico pensiero ancora in grado di attirare la mia attenzione.

    La magia delle stelle era ormai sublimata, mentre pensieri assolutamente confusi si impadronirono totalmente di me; non riuscii a capire che cosa rappresentavano tutte quelle immagine sfocate che balenavano inesistenti dinnanzi ai miei occhi, ma quel che sapevo per certo, era che in fin di conti erano riuscite a distogliermi dalle mie amate stelle, e proprio per questo, forse, meritavano sicuramente una maggiore attenzione da parte mia.

    Tutto era iniziato con un semplicissimo granello di sabbia, un corpuscolo all’apparenza quasi inutile, un granello che però, a ben pensarci, esisteva nell’universo nella stessa misura con la quale esistiamo tutti quanti; chi poteva quindi essere in grado di dire, senza ombra di dubbio, chi aveva più diritto di esistere tra noi e lui?

    Noi, oppure il minuscolo granello di sabbia?

    Quel che era certo, è che tanto io, quanto il minuscolo granello di sabbia, stavamo sfruttando una definita quantità di materia propria dell’universo che ci conteneva e che ci aveva generati, e che quindi, per poter continuare ad esistere all’interno di un sistema che non prevedeva l’esistenza di materia in quantità infinita, dovevamo, esattamente come faceva il tempo, non sprecare l’attimo che ci era stato concesso.

    "Va bene… – Pensai silenziosamente tra me e me – …cerchiamo di capire meglio cosa c’è che proprio non vuole funzionare in me questa sera, siamo tutti quanti d’accordo, caro granello di sabbia?"

    Sedetti a terra prendendomi la testa tra le mani, dopo di che le feci scivolare lentamente sugli occhi, per poi premere con forza su di essi, quasi volessi fare un ultimo tentativo per spremere fuori tutti questi cattivi pensieri notturni.

    I bagliori multicolori che derivarono dalla pressione delle mani sui bulbi oculari, incominciarono a saettare dinnanzi a me come tanti ballerini impazziti, poi vennero i lampi, lampi che parevano effetti irreali dello stesso caleidoscopio con cui giocavo quando ero bambino, lampi che iniziarono, silenziosamente, a sostituirsi ai bagliori iniziali.

    Rimasi immobile in quella posizione per non so quanto tempo; non ero realmente in grado di dire per quanto stetti fuori dal tempo presente, ma quando mi ripresi, fui sicuramente conscio di una cosa, il granello di sabbia che turbinava in me ormai da giorni, mesi, forse anni, alla fine era riuscito a cambiarmi, a farmi divenire qualcosa che ancora non ero in grado di definire, a prendere, mio malgrado, il controllo di me stesso.

    Ora nuovi pensieri affollavano la mia testa, ma soprattutto non ne volevano assolutamente sapere né di andarsene, e tantomeno di lasciarmi in pace.

    Erano pensieri evanescenti, e ciò in parte era sicuramente vero, ma in definitiva erano anche pensieri che avevano, in un modo o in un altro, catturato la mia attenzione in maniera repentina, e questo anche grazie ad una loro propria personalità.

    Erano pensieri che certamente non bussavano alla porta prima di entrare, ma che si appropriavano del posto che reputano essere di loro proprietà, esattamente come faceva talvolta la natura quando veniva eccessivamente violentata da noi stupidi esseri umani.

    "Benvenuto nel tuo nuovo stato mentale" – Pareva dirmi una voce totalmente estranea, che da quel momento non se ne sarebbe mai più andata dalla mia testa, ma questo ancora non potevo saperlo.

    "Sarà forse questo il primo sintomo tangibile di un lento scivolare verso l’oblio della follia?" – Mi chiesi quasi mettendomi a piangere.

    A quel punto mi appoggiai allo sdraio godendo del contatto con il ruvido tessuto, riprendendo al contempo un contato con una realtà che pareva volersi allontanare da me sempre più.

    Aprii lentamente gli occhi, facevano male, molto male, e questo a causa della pressione esercitata dai palmi delle mie mani; davanti a me un ciuffo d’erba, silenziosamente e inconsapevolmente, tentò di riconnettermi alla realtà.

    Mi guardai intorno con occhi stralunati, e mentre tentavo, goffamente, in tutti i modi di rialzarmi da terra, sentii all’improvviso un impellente bisogno di bere, perciò afferrai la lattina di birra che ancora attendeva al mio fianco, e la scolai tutta d’un fiato.

    Ora andava molto meglio, così aspirai due profonde boccate d’aria, accorgendomi immediatamente di quanto fossi decisamente intontito da un fortissimo mal di testa; a quel punto decisi che sarebbe stato più opportuno rientrare in casa, chiudendo per il momento la notte e le sue stelle fuori dalla mia vita.

    Sedetti pesantemente sulla poltrona del soggiorno, e mentre incominciai a massaggiarmi vistosamente il collo dolorante, sentii che la mia anima stava lentamente scivolando in un vuoto mai provato in precedenza; un turbinio di pensieri si stava srotolando dentro di me in maniera assolutamente caotica, e questo mentre l’immagine severa di mia madre era riuscita, infine, a raggiungermi anche qua.

    Nemmeno lei mi aveva mai veramente accettato per quello che ero, anche perché mi aveva sempre visto come uno strano, direi più un peso da sopportare, piuttosto che una gioia della vita di cui godere.

    Non seppi che cosa pensare al momento; a voler essere completamente onesti era tutta la settimana che non mi sentivo bene, che un senso di inadeguatezza non mi dava tregua un solo singolo secondo, facendomi sentire come se fossi del tutto fuori posto, e del tutto fuori dal mio tempo, compresso all’interno di un’assoluta sensazione di completa e generale inutilità.

    Ecco, a ben pensarci era proprio così che mi sentivo in quel preciso istante, mi sentivo inutile, ma non solo, direi addirittura dannoso nei riguardi di un pianeta che mi aveva dato la vita, accogliendomi a braccia aperte nel migliore dei modi.

    Mi sembrava di aver ottenuto tanto senza aver mai reso nulla in cambio, anzi, non solo non ero mai stato in grado di dare nulla in cambio, ma avevo anche rappresentato un danno enorme per il sistema, un male capace di pervadere in profondità il delicato complesso di regole che sovraintendeva alla vita in questa porzione di universo.

    Purtroppo in quel frangente ero davvero troppo stanco per mettermi a pensare ulteriormente a certe cose, perciò decisi di alzarmi e di guadagnare velocemente il bagno; dinnanzi allo specchio mi osservai senza provare nulla, dopo di che mi lavai meticolosamente i denti, per poi andare ad infilarmi sotto le coperte, addormentandomi all’istante.

    Sognai, in tutta onestà non mi capitava spesso di ricordare i sogni che facevo, ma questo era un sogno che ogni tanto, quando la fortuna decideva di assistermi, mi ritrovavo ad elaborare.

    Nel sogno ero sulla Luna, intento a discendere la scaletta del modulo lunare, eccitato all’idea che a breve avrei potuto affondare le mani nella polvere del nostro satellite naturale; la Terra stava sorgendo alle mie spalle in tutta la sua bellezza sotto forma di una perfetta sfera blu screziata di bianco, ed io non potevo fare altro che contemplarla estasiato.

    Amavo la Luna sin dalla più tenera età, l’idea di poter partecipare ad una vera missione lunare mi mandava letteralmente in estasi, ma purtroppo come tutti i sogni, soprattutto quelli belli, anche questo era destinato ad infrangersi contro le prime luci dell’alba.

    Il sogno continuava con me che me ne andavo a spasso in lungo e in largo sulla superficie del nostro satellite a bordo di un fantastico lunar rover, compiendo al contempo esperimenti di gravità e di sismica; il sogno era così reale, che quando mi svegliai fui in grado di ricordare alla perfezione persino la patch di missione, una patch di missione con il mio cognome cucito su di essa in bella mostra.

    Alle nove e trenta del mattino, però, il passaggio di un trattore non proprio tecnologicamente avanzato quanto il mio rover lunare mise la parola fine al mio sogno, facendomi ripiombare in una squallida e tediosa domenica, durante la quale sicuramente non avrei saputo come utilizzare al meglio il tempo che mi era stato concesso.

    Decisi allora di contattare un mio vecchio amico, un amico di quelli ai quali puoi riferire tutto, ma proprio tutto, senza il timore di sentirti ridere in faccia.

    Composi il numero sul mio vecchio e odiatissimo cellulare, avevo sempre detestato questi strumenti di controllo, dopo di che mi accomodai in uno stato quasi ipnotico sulla soffice poltrona del salotto.

    Potevo certamente immaginare che Cosmo la domenica mattina alle nove e mezza avrebbe voluto dormire, ma non questa volta, questa volta avevo assoluto bisogno di sentire una voce amica.

    Cosmo tardava a rispondere, molto probabilmente perché il passaggio dal sonno alla veglia nel suo caso richiedeva ben più di un semplice attimo, ma alla fine, dopo una decina di squilli, eccolo comparire, infastidito e ancora mezzo assonnato, con una voce che pareva giungere direttamente dall’oltretomba.

    COSMO – Pronto? – Fece la sua voce cavernosa dall’altra parte dell’apparecchio.

    MANUEL – Ciao Cosmo, sono Manuel, e sono pronto.

    "Te però non so…" – Pensai tra me e me.

    MANUEL – Ascolta, dal momento che sei già alzato….

    COSMO – Sono già alzato perché tu mi hai telefonato rompendomi le palle, ecco perché sono già alzato.

    MANUEL – D’accordo, comunque dal momento che, molto probabilmente, ancora non hai fatto colazione, che ne dici se andiamo a prenderci qualcosa da qualche parte? Volevo fare due parole con te, perciò non dirmi che devi lavorare anche oggi.

    COSMO – Non pronunciare la parola lavoro in mia presenza, ti prego. Vuoi andare a fare colazione al bar la domenica mattina? Ma se lo hai sempre detestato; troppa gente e troppi rompiscatole, me lo avrai ripetuto almeno un miliardo di volte.

    Era vero, avevo sempre odiato l’ammassarsi della gente la domenica mattina al bar; tutti stipati in due metri quadrati intenti a raccontarsi a vicenda le solite stupidaggini, i soliti discorsi inconcludenti, il tutto tanto per allenare i muscoli della lingua, e per riempirsi lo stomaco di schifezze prima del pranzo domenicale.

    Di solito si iniziava con un semplice caffè, per poi continuare con alcolici vari adducendo la scusa dell’aperitivo, tanto che a mezzogiorno la maggior parte degli avventori era completamente ubriaca, e faticava non poco a tornarsene a casa.

    MANUEL – Lo so, lo so; e va bene, dal momento che anche tu detesti la colazione al bar la domenica mattina, vorrà dire che passerò io da te, ma solamente se sarai capace di prepararmi un caffè decente, e non la solita brodaglia che riesci a strafogarti solamente tu – Gli risposi in tono assolutamente serioso; in realtà avevo più che ragione, Cosmo faceva un caffè semplicemente imbevibile.

    COSMO – Va bene, va bene, te lo faccio decente il caffè questa volta; dimmi, ti ho mai deluso?

    MANUEL – Con il caffè? Sì, sempre.

    Dieci minuti, il tempo di indossare una maglietta e un paio di pantaloni, e mi ritrovai dinnanzi a casa sua.

    COSMO – Che c’è che non va questa mattina, si può sapere? Non sono nemmeno le dieci, e sei già qua a rompermi le scatole; solitamente arrivi qualche minuto prima di mezzogiorno, giusto il tempo per metterci d’accordo su cosa fare il pomeriggio.

    Me ne rendevo perfettamente conto, quella mattina mi sentivo stranamente nervoso, e questo nonostante il bel sogno che avevo fatto quella notte stessa; cercai di calmarmi, ma non riuscendo a definire con esattezza il motivo di quel mio particolare stato d’animo, non ne fui davvero capace.

    MANUEL – Proprio tu vieni a darmi dello sfaticato? Per favore Cosmo, non farmi ridere. Ascolta, non so cosa ci sia che non funziona quest’oggi in me, ma qualcosa sicuramente c’è; è un qualcosa che non riesco a mettere esattamente a fuoco, ma che mi fa comunque saltare i nervi, e che riesce a rendermi la giornata un vero inferno, come al solito oserei dire.

    COSMO – Non ci siamo, non ci siamo proprio, direi che non va bene per niente. D’accordo, beviamoci questo mio fantastico caffè, così poi potremo andare a farci una bella passeggiata in tutta tranquillità fino al vecchio mulino. Vedrai che due passi fatti con la dovuta calma non potranno che farci bene, inoltre avrai la possibilità di raccontarmi tutto quanto, o almeno ci potrai provare; sono proprio curioso di sapere che cosa ti sta passando per la testa in questo momento.

    MANUEL – D’accordo, beviamoci questo schifo di caffè e poi usciamo; non capisco come una persona come te, all’apparenza del tutto normale, non sia riuscita, in cinquant’anni, ad imparare a fare una specie di caffè bevibile; sei un caso più unico che raro caro Cosmo, riesci a farlo schifoso anche con le capsule.

    COSMO – Non può essere colpa mia, sarà la caffettiera, oppure la macchinetta, dipende da caso a caso – Affermò Cosmo mettendosi a ridere, quasi a volersi giustificare sul serio.

    MANUEL – Mi hai convinto – Gli risposi di rimando, dopo di che ingurgitai il nero miscuglio tutto d’un fiato tappandomi al contempo il naso, nel vano tentativo di non sentirne il gusto; una volta terminato il supplizio dell’espresso di Cosmo, mi alzai di scatto dalla sedia, invitando il mio amico a fare lo stesso.

    La mulattiera che conduceva ai ruderi del vecchio mulino era una semplice stradina che avevamo percorso migliaia di volte nella nostra vita; era il nostro personale Cammino di Santiago, e questo perché quando uno di noi due doveva parlare seriamente, pensare seriamente, o anche semplicemente isolarsi seriamente da tutto e tutti, si veniva immancabilmente sempre qua.

    La mulattiera, pavimentata da pietre grandi come palloni da calcio perfettamente levigate e arrotondate dall’usura, era circondata, sia a destra che a sinistra, da due muretti a secco perfettamente paralleli, costruiti con lo stesso tipo di pietre, ma molto più irregolari e decisamente meno stondate.

    Secoli di pioggia e di umidità, avevano permesso ad uno spesso strato di muschio di attecchirvi saldamente e di proliferare, colorando i due muretti di un verde talora chiaro, talora più scuro, talora ancora quasi iridescente.

    Tra una pietra e l’altra il vento aveva depositato negli anni piccole quantità di terra, sufficienti a permettere la crescita di un particolare tipo di felce di piccole dimensioni; sfiorai delicatamente le piccole foglioline con le dita, e subito i ricordi raggiunsero l’infanzia, un’infanzia dove mia nonna ne estraeva sempre un decotto imbevibile, ma efficacissimo contro la tosse.

    Tutto attorno ritrovai i cari e vecchi prati falciati di fresco, altri pieni di rovi, altri ancora colonizzati da alti faggi, aceri e frassini, capaci di donare frescura durante la stagione estiva con la loro imponente chioma ombrosa, a tutti i poveri viandanti in cerca di pace come noi.

    Al fondo della stradina ci si ritrovava dinnanzi ad un minuscolo ponticello in pietra sovrastato da una pineta di douglasia talmente fitta, da risultare praticamente impenetrabile alla luce; qui si respirava un’aria impregnata dal profumo della resina, mentre lo scorrere dell’acqua nel letto del fiume adiacente, riusciva a donare pace e a riconnettere alla natura qualsiasi anima presente nell’intero Creato.

    A sinistra del ponte le rovine di un vecchio mulino, distrutto dalla valanga del 1971, parevano volerci ricordare che la natura, infine, riesce comunque ad avere l’ultima parola sull’operato di ogni essere vivente, o almeno così credevo sino a poco tempo prima.

    Ci sedemmo sul piccolo ponte, e fu a quel punto che Cosmo decise di rompere il silenzio.

    COSMO – Bene, la passeggiata per distendere i nervi l’abbiamo fatta, adesso mi vuoi dire cosa c’è che non va? Quando sei arrivato a casa mia avevi gli occhi che parevano schizzarti fuori dalle orbite, nonché un’aria totalmente stralunata. Maledizione a te Manuel, si può sapere cosa diavolo ti è successo di grave questa volta?

    Abbassai lo sguardo, lo faccio sempre quando devo aprirmi con qualcuno per raccontare di me e delle mie personalissime turbe mentali, e mentre con la punta della scarpa incominciai a giocare con un sasso facendolo rotolare sotto la suola, tentai di dare a Cosmo una spiegazione plausibile di quanto accaduto, ma soprattutto intellegibile.

    "Una serpentinite, questa è proprio una serpentinite" – Pensai tra me e me senza mai aprire bocca; non c’è nulla da fare, una VERA formazione scientifica, infine, ha sempre il sopravvento su tutto e tutti, sempre.

    MANUEL – In tutta onestà caro Cosmo, di sicuro posso solamente dirti una cosa, e cioè che è dallo scorso lunedì che l’intera mia esistenza si stava trascinando un po’ a casaccio; provavo un nervoso che mi divorava lo stomaco quasi avessi un mostro dentro di me, mentre non riuscivo nella maniera più assoluta a concentrarmi, nemmeno quando tentavo di fare una misera partita a solitario con le carte, figuriamoci sul lavoro.

    Cosmo mi guardò in modo quasi paterno, dopo di che sorridendomi mi disse – D’accordo, eri molto nervoso, ora però rispondimi sinceramente, c’è mai stato un periodo della tua vita in cui non lo sei stato? Ci sarà pure un perché per tutta questa tua agitazione, o sbaglio? Tu dici di non conoscerlo, ma in fondo non è così, in fondo sai benissimo anche tu che non è vero, in fondo sai benissimo che devi solamente tirar fuori tutto quanto da quella tua testa dura. Vediamo un po’, tanto per cominciare, dimmi da quanto tempo va avanti questa storia, non credo proprio che sia una cosa limitata all’ultima settimana.

    Osservai per un attimo il mio amico di sempre, ma la situazione, e soprattutto l’abitudine, mi imponevano di abbassare all’istante lo sguardo a terra – Lo so che sono sempre nervoso Cosmo, ma questa volta è differente, molto differente, comunque direi che questa strana storia va avanti da circa tre settimane, ma in maniera veramente pesante solamente da una, da lunedì scorso per la precisione.

    Vidi Cosmo raccogliere uno stelo d’erba da terra, pulirlo accuratamente dalle foglie e dalle radici, ricavarne un pezzetto lungo una decina di centimetri, e con calma infilarselo quasi completamente in bocca, rigirandolo al contempo tra i denti più e più volte.

    COSMO – Ottimo, vedi che non è difficile? Vedi che riesci a spiegarti quando lo vuoi? È una settimana che mastichi nervoso, d’accordo, però adesso dimmi la verità, hai forse fatto qualche cazzata bella grossa, e ora non riesci più a tirartene fuori?

    MANUEL – No Cosmo, nessuna cazzata, te lo giuro, in effetti non ho fatto proprio niente di niente durante la settimana, niente di particolare intendo, ho semplicemente lavorato, se così si può dire.

    COSMO – Allora avrai visto o sentito qualcosa che non ti è andato proprio giù, oppure stai rimuginando su un qualcosa che ti tormenta da più tempo, ma che solo ora si è manifestato anche a livello fisico. Immagino tu stia provando nervosismo, mal di stomaco, magari anche mal di testa, stanchezza, e altre cose spiacevoli; è così, oppure mi sbaglio? In tutta onestà, non credo proprio a ben guardarti.

    MANUEL – No Cosmo, infatti non ti sbagli, non ti sbagli affatto, diciamo che tutto è nato da un senso di inadeguatezza, inadeguatezza alla vita intendo dire. Tanto per capirci, non si tratta di lavoro o altro, ma è come se un io profondo, la mia personale voce della verità, mi stesse dicendo che non merito di esistere, che non merito si esistere in questo universo.

    A quel punto lo osservai con molta attenzione, e notai immediatamente che Cosmo stava guardando fisso dinnanzi a sé, fisso su di un punto scelto a caso dalla sua mente, poi all’improvviso incominciò a ripete a bassa voce le mie ultime parole – Non merito di esistere in questo universo, non merito di esistere in questo universo, non merito di….

    Senza mai smettere di torturare il filo d’erba nella sua bocca, lo vidi scrollarsi di dosso quella sorta di quasi trance indotta dalle mie parole, per poi girarsi verso di me, e con uno sguardo più che mai serio domandarmi – Non meriti di esistere in questo universo, in che senso? Nel senso che tu come persona non meriti di stare al mondo, oppure c’è dell’altro? Hai nuovamente pensieri suicidi Manuel? Se è così devi dirmelo immediatamente, non è la prima volta che tiri fuori questa cazzo di storia, che mi vieni a dire di essere stufo di questa vita monotona e priva degli interessi che vorresti. Ricordo perfettamente la tua crisi dell’anno scorso, non dirmi che ci risiamo….

    Aveva proprio ragione lui, non era di certo la prima volta che mi mettevo a fare simili discorsi, così ci pensai su un attimo continuando a giochicchiare con il mio sassolino, iniziando al contempo a percepire la pressione che andava a scaricarsi sui muscoli del collo, mentre la testa pareva galleggiare letteralmente nel vuoto.

    A quel punto era come se mi fossi trovato lontano milioni di anni luce da tutto ciò che mi circondava, come se la mia mente fosse sospesa nel buio dello spazio più profondo.

    Era vero, era proprio come diceva Cosmo, era proprio come molte altre volte in passato, ma non solo, questa volta era qualcosa di più, un qualcosa che pareva partire dal singolo, per poi estendersi all’intera razza umana.

    Senza mai distogliere lo sguardo da terra, strinsi forte i pugni, mentre tentai al contempo di dare al mio amico una risposta convincente.

    MANUEL – D’accordo amico mio, non posso di certo negarlo a questo punto, in effetti è proprio come dici tu caro Cosmo, ma questa volta è anche di più, questa volta c’è dell’altro. É vero, sono stufo di un’esistenza dedita solo al superfluo, all’inutile, al ridicolo. Tutti i giorni una corsa continua per non arrivare mai a nulla, per non giungere mai da nessuna parte; uno sterile ripetersi, per migliaia di volte, di azioni sempre tutte uguali, e sempre comunque finalizzate alla ricerca di un qualcosa di cui non abbiamo mai veramente bisogno, il tutto condito da stupidità e banalità a profusione. Sì, è proprio come dici tu, ne ho veramente abbastanza di tutto questo, ma in fondo non si tratta di volersi semplicemente suicidare, quanto piuttosto di una vera e propria insofferenza verso le altre persone in generale; in realtà non sopporto più di essere circondato da questo chiacchiericcio insignificante dalla mattina alla sera. Parole, sempre e solo parole, milioni, miliardi di parole spese, o meglio sprecate, per non dire mai assolutamente nulla; ho la testa piena di chiacchiere inutili caro Cosmo, tutti i giorni mi vedo costretto ad assorbire miliardi di parole che non significano assolutamente un cazzo, mi vedo costretto ad assorbirle, mio malgrado, come nemmeno una spugna riuscirebbe a fare. Mi sento sommerso da miliardi di parole trasformate in semplici cazzate dall’immensa stupidità di chi le pronuncia, perciò ora di domando, vuoi sapere veramente se non ne posso più? Ebbene sì, sono davvero stanco di tutto questo, di tutta questa merda che mi circonda, ed è talmente tanta, che non saprei nemmeno più da dove incominciare per spalarla via, ma come ti ho anticipato in precedenza, purtroppo questa volta c’è dell’altro. Vegetiamo in una società dominata e comandata da idioti, puttane, pagliacci, venduti, stupidi, deviati di ogni tipo e di ogni razza, e chi più ne ha, più ne metta. Questa volta c’è sicuramente il fatto che non mi sento assolutamente più degno di occupare il posto che mi è stato concesso su questa Terra meravigliosa, ma ti dirò di più, è proprio la razza di cui facciamo parte che è andata oltre, e che, secondo me, ha perso tutti i diritti di abitare questo pianeta.

    Durante questo mio lungo sfogo non smisi mai di osservare il mio amico in volto mentre tentava di focalizzare tutta la sua attenzione su di me e su quanto stavo dicendo, ma ad un certo punto notai che una piccola mosca incominciò a svolazzargli intorno, distogliendolo almeno parzialmente dai suoi pensieri.

    Quando smisi di parlare non potei fare a meno di mettermi a ridere delle smorfie fatte da Cosmo nel tentativo di allontanare da sé l’insetto molesto – E adesso che cosa diavolo c’è da ridere in quel modo? – Mi domandò infastidito Cosmo.

    MANUEL – Nulla, nulla, in effetti non c’è proprio nulla da ridere in tutto questo… – Risposi serioso prima di riprendere il mio discorso – …guardati attorno Cosmo, guarda la meraviglia che ci circonda, guarda la pineta di fronte a noi, questi prati, gli alberi, gli insetti e tutto il resto; ora pensaci, come sarebbe la vita sul pianeta nel suo complesso se noi scomparissimo per sempre? Ma quale diritto abbiamo noi uomini di esistere, e di fare ciò che facciamo? Realmente Cosmo, dimmelo tu, cosa ci stiamo a fare qua sulla Terra, se non a rompere le scatole a tutti gli altri esseri viventi? Secondo te, quale dovrebbe essere il vero scopo nella vita di un essere dotato di una capacità intellettiva come la nostra? Siamo stati creati per andarcene in giro come tanti idioti a scegliere l’ultimo vestito alla moda, oppure dovremmo ragionare di più, nel tentativo di comprendere l’universo che ci circonda? La testa, questa qui, quella che abbiamo attaccata al collo, non è stata creata solamente per essere portata dal parrucchiere o dalla pettinatrice una volta alla settimana, ma ci è stata data perché noi tutti si possa ragionare sul mondo che ci circonda. Ci preoccupiamo più di quello che abbiamo sulla testa, rispetto a ciò che riusciamo ad infilarci dentro con il ragionamento e lo studio; ci preoccupa più l’apparenza che non la sostanza, questa è la triste verità, caro Cosmo. L’universo non è stato creato per noi, noi non siamo i padroni di nulla, altroché l’essere fatti ad immagine e somiglianza di Dio. La prova di tutto questo mio discorso risiede nel fatto che tutto ciò che possediamo ci è stato dato semplicemente in prestito, e prima o poi, volenti o nolenti, saremo costretti a restituirlo al legittimo proprietario. Diciamo che per le mani ci ritroviamo una serie di beni che ci sono stati concessi ad uso gratuito; per il momento non dobbiamo pagare alcun affitto per poterli utilizzare, ma dovremmo almeno renderci conto che tutto quello che proviene dal pianeta Terra è sacro, e perciò non ne dovremmo abusare in alcun modo. Come ho detto in precedenza, alla fine dovremo restituire tutto al suo legittimo proprietario, un proprietario che ancora non conosciamo assolutamente, e se alla fine di questa nostra vita Lui ci permetterà di portarci dietro qualcosa, allora quel qualcosa potrà solamente essere tutto ciò che saremo riusciti ad infilarci nella testa durante la nostra esistenza; nella testa Cosmo, non sulla testa. Pensa agli animali, pensa alle piante, pensa a tutto ciò che di vivo c’è su questo pianeta, e a come gli uomini siano in grado di arrogarsi il diritto di disporre di qualsiasi essere vivente a loro uso e consumo, accampando di volta in volta le motivazioni più stupide e assurde, il tutto unicamente per giustificare le porcate fatte. Abbiamo preso le leggi della natura, le leggi di Dio se preferisci ragionare in questi termini, e le abbiamo accantonate con un calcio ben assestato, le abbiamo gettate letteralmente nel cesso caro Cosmo, per poi inventarci miriadi di regole ridicole e assurde che nulla hanno a che vedere con il vero senso della vita, e sulle quali abbiamo basato l’intera nostra esistenza. Pensa all’economia Cosmo, pensa alla politica, pensa a quante regole stupide sono state inventate dalla nostra razza, unicamente per poter gestire un pianeta intero nella maniera economicamente più conveniente. É tutto talmente assurdo, tutto talmente irreale, che non vi sono nemmeno parole e termini sufficientemente esaustivi per descrivere lo scempio causato dalla nostra razza sul pianeta Terra. Ti pare una cosa sensata questa? Cosmo, dimmelo onestamente, ti pare giusto tutto questo?

    Lo guardai negli occhi, e istintivamente appoggiai la mia mano destra sulla sua spalla, come ad incoraggiarlo ad ammettere una verità che tutti e due sapevamo essere assolutamente inconfutabile.

    A quel punto vidi Cosmo dirigere di riflesso, quasi meccanicamente, il suo sguardo verso terra, sputare lo stelo d’erba che aveva ancora tra le labbra, e molto semplicemente rispondermi – Meglio, vivrebbero tutti quanti molto meglio senza di noi, questo è poco ma sicuro. No, non hai affatto torto, tutto questo non ha alcun senso, ma cosa possiamo fare noi due da soli per cambiare le cose?

    "Nulla, proprio nulla" – Pensai tra me e me; lo sapevo, lo avevo sempre saputo che non potevamo farci proprio nulla, ma trattandosi di semplice consapevolezza, quello era proprio ciò che volevo sentirmi dire in quel momento.

    MANUEL – "Sai Cosmo, un giorno all’Università un mio professore disse che da quando l’uomo è apparso sulla Terra ha ritenuto le regole in vigore da miliardi di anni non più valide, e perciò ha iniziato a sostituirle con altre inventate da lui, questo unicamente in virtù del fatto che le sue regole apparivano, sempre e solo ai suoi occhi, più congrue e più logiche di quelle originarie. Sai che ti dico? Questo mio professore aveva perfettamente ragione, e secondo me tutto questo è un motivo più che sufficiente per affermare che una nostra eventuale scomparsa dalla faccia della Terra sarebbe solamente un bene per tutti quanti, e non sicuramente una disgrazia su cui piangere. Sterminiamo intere specie di esseri viventi senza porci il benché minimo problema, ma se uno di noi muore, allora pare sia giunta la fine del mondo. È un vero peccato che nessun Dio abbia mai detto che le cose debbano andare così, un vero peccato. L’universo è andato avanti senza la nostra inutile presenza per miliardi di anni, e se dovessimo scomparire in questo preciso istante, allora non credo proprio che qualcuno se ne dispiacerebbe; questo da solo basta e avanza per darti l’esatta misura di ciò

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