L'isola d'origano
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Anteprima del libro
L'isola d'origano - Maria Vittoria Cavina
*
L’isola
C’era una volta una famiglia felice che viveva su una piccola isola. Mamma Anna allevava qualche pecora e cantava ai suoi figli questa ninna nanna:
"o pecorina del tuo bianco vello
ti toserò ma senza farti male.
Il mio bambino vuole un bel mantello
ma ti compenserò con pane e sale!
O bimbo che riposi nella cuna
nel mondo dovrai tanto navigare
ma in ogni terra prossima o lontana
della tua mamma non ti potrai scordare"
A sua figlia Penelope
cantava invece la nenia:
"dum dum, benì benì benì
dum dum, benì benì sham.
Sham sham!"
E dalla lingua antica di chi deve viaggiare e viene chiamato errante
liberamente traduceva:
"Mentre respiro spero.
Piccola piccola piccola io spero per te.
Piccola anima sogna.
Io spero tu possa dormire e sognare anche per me"
Penelope sognava, anche ad occhi aperti. E coltivava le due piante di vite che ombreggiavano la pergola davanti la porta di casa. Bagnava la terra con l’acqua piovana che conservava in un catino, raccoglieva le foglie secche intorno ai tronchi per proteggere le radici e raccoglieva i grappoli estivi di uva bianca e quelli autunnali di uva viola. Tutti buoni da mangiare.
Quando mamma era stanca, Penelope prima di dormire cantava ai suoi fratelli questo ritornello:
" Vaghe stelle, fate un coro.
O non cantate più!"
In primavera aiutava la nonna paterna a tosare le pecore, cardare la lana tosata e farne matasse da filare.
La filastrocca che più le piaceva, fra quelle ripetute dalla nonna mentre lavoravano, recitava:
- C’era una barca che si cullava.
Il sol splendente la imporporava.
Ella gli disse: mi sembri un re: oh sole splendido, vengo con te!
Lui le rispose: "Vieni, barchetta.
Io devo andare, ma non ho fretta."
Sul mare stese, vago lavoro, tutta una strada di raggi d’oro.
Per quella strada la barca andò,
ma il sole splendido mai non toccò."-
La bimba ridendo ripeteva: mai mai mai
e la nonna concludeva: mai lo gridano solo i gabbiani, non lo diciamo noi esseri umani !
La nonna insegnava a osservare quello che fanno le rondini.
Le rondini non appartengono all’isola e l’isola non è loro.
Arrivano in primavera, fanno il nido sotto il tetto delle case e poi ripartono, dopo che la covata dell’anno è cresciuta. Ripartono prima che inizino le tempeste autunnali, per tornare la primavera seguente e aiutare la vita a rinnovarsi.
Ogni tanto la nonna stava seduta in silenzio, con lo sguardo perso lontano. Penelope un giorno le chiese se pensava alle rondini.
La nonna la guardò stupita e le rivolse uno strano sorriso, che la rendeva simile a una tartaruga. Anche se le tartarughe che lasciavano le uova in spiaggia i denti li avevano ed era meglio non disturbarle, mentre la nonna i denti li aveva persi e non le sarebbero più ricresciuti. La somiglianza, pensò la bambina, dipendeva dalle labbra grinzose e da come si piegavano dentro la bocca.
La nonna spiegò che lei, al contrario delle rondini, stava pensando a un luogo dove non sarebbe più tornata e che conservava dentro di sé, fra i ricordi più preziosi.
Ricordava l’inverno del suo matrimonio, quando aveva portato lo sposo a salutare i parenti più vecchi, che non erano potuti uscire di casa per partecipare allo sposalizio.
Nell’orto c’erano alcune piante perenni e una, l’unica a fioritura invernale, era carica di piccoli fiori gialli che spandevano un profumo inconfondibile. La nonna ricordava d’aver preso per mano suo marito e d’essersi messa a cantare:
"Anche un fior di calicanto un bel dì nel rio cascò.
Fu così contento il rio!
Quel profumo annusò.
Anche il flauto di un pastore un bel dì nel rio cascò.
Fu così contento il rio!
Quella musica ascoltò.
Anche il riso di una bimba un bel dì nel rio cascò.
Fu così contento il rio!
Cristallino diventò."
Poi aveva messo una mano sulla spalla della nipote e aveva concluso che non importa fare come le rondini per essere come loro. Penelope non aveva neppure cercato di capire cosa intendesse dire la nonna; le bastava ascoltare e imparare, perché le voleva bene.
*
Una parte della lana prodotta e lavorata a Origano veniva venduta dagli uomini al mercato di Lussino.
Il resto delle matasse veniva conservato a Origano e tinto in vari colori. Delle tinture si occupavano alcuni fra i pescatori; usavano il lichene oricello, spontaneo sulle rocce vicino al mare e la porpora estratta dal murice, un mollusco marino molto diffuso.
Quando una sposa dell’isola mostrava d’essere in attesa di un figlio, era tradizione locale che il suo sposo acquistasse al mercato un sacchetto di zafferano, polvere estratta dal fiore di crocus sativus, per colorare matasse da filare per il corredo