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Novelle in omni tempore
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E-book283 pagine3 ore

Novelle in omni tempore

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Novelle in Omni Tempore è caratterizzata da una serie di racconti fra le emozioni di una Umanità il cui sentire non cambia mai nel passato, nel presente o nel futuro. L'emozionarsi infatti è presente nel DNA delle persone.
LinguaItaliano
Data di uscita11 feb 2019
ISBN9788831602143
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    Anteprima del libro

    Novelle in omni tempore - Antonello Musso

    Moglie

    Premessa

    Le novelle di questa raccolta sono state scritte nei momenti liberi fra le mie attività professionali e non. Nascono così continui spunti di osservazione e di riflessione lavorando fra la gente, lavorando per la gente che porta con sé grandi cestini di esperienze gioiose e tristi, euforiche e disperate. Sono storie inventate che non fanno riferimento ad alcun personaggio reale, ma che tranquillamente potrebbero adattarsi a qualche sfaccettatura presente in tutti noi.

    C’è in queste pagine, da assaporare con calma come il libro precedente, un campionario di umanità variegato che con le proprie credenze e convinzioni, porta avanti il carro della vita. Inutile dire che ciascun lettore potrà individuare qualche carattere personale: poco importa, io stesso mi ritrovo spesso in ciò leggo e in ciò che scrivo .

    Ho imparato con gli anni che nel costante processo di crescita dovremmo sempre avere a disposizione almeno due propositi: la ricerca dell’ironia, talvolta unica arma di sopravvivenza e la capacità di diventare poveri di spirito che non significa necessariamente sprovveduti o sempliciotti bensì sapersi accostare alla vita con l’esegesi di un bambino, con la sua pura innocenza.

    Coloro che sanno di sapere spesso cadono vittima di loro stessi, intorciliandosi nelle spire della saccenza, della presunzione e, mentre si guardano il dito, perdono di vista la luna...

    Ashtart

    Capitolo I

    Seduta su uno spuntone di roccia, le spalle al villaggio, Ashtart lasciava scorrere lo sguardo sul mare. Non lo stava solo osservando: in verità lo assaporava, lo viveva respirando con voluttà l’aria salmastra della brezza mattutina, la stessa che procurava il dolce moto ondoso che si infrangeva sulla scogliera sottostante. Quella stessa brezza che le alleggeriva il benefico calore che il sole generava sulla sua pelle ambrata, che le scompigliava i capelli, che le solleticava il suo sentire nelle orecchie. Ogni volta che poteva recarsi su quel sopralzo, si rendeva permeabile alla pace ed all’armonia dinamica che l’insieme le offriva; diventando così essa stessa parte di quel mondo naturale verso cui spesso gli esseri umani si sentono ospiti. Verso est, alla sua sinistra il sole sorgeva lento colorando le rocce alla sua destra di un rosso argilloso inframmezzato da inquietanti zone d’ombra degli anfratti e delle sporgenze. Amava quel luogo appena fuori dal villaggio, anche se da casa distanziava poche centinaia di passi, sentiva il bisogno di ricaricarsi al mattino per poter affrontare l’intera giornata.

    Suo padre Taaut, il capo villaggio, quando la vedeva distratta o affaticata come ogni genitore preoccupato le offriva delle soluzioni pratiche:

    Al mattino la tua colazione è troppo povera; anziché il solo latte di capra dovresti mangiare i fichi e il miele che tuo nonno Reshep ci porta una volta alla settimana dai suoi campi! Quel povero vecchio si danna l’anima per ricevere così poca soddisfazione dai nipoti.

    Povero padre -pensava- se tutte le mie preoccupazioni si potessero risolvere con miele e fichi sarei una donna già in pace da un pezzo!

    Così sospirando abbracciava con uno sguardo l’intero villaggio.

    La penisola che si sporgeva nel mare¹ era un triangolo roccioso che divideva la costa in due baie: quella ad ovest ampia e riparata offriva un ottimo riparo alle imbarcazioni da pesca e da cabotaggio soprattutto nella stagione invernale; quella ad est ancora più ampia ma meno al riparo dei marosi, veniva utilizzata con i suoi attracchi in legno nei periodi estivi, con mare calmo e vento favorevole. Su questa piattaforma triangolare sorgeva il villaggio di Ibosim² fondato dal nonno Reshep cinquant’anni prima. Era stato un pioniere, il nonno. Partito da Sidone³ con alcune navi, provviste e merci da scambiare, si era avventurato nel mare in cerca di nuove rotte commerciali senza una meta definita ma affidandosi alla volontà di Yam ⁴. Una burrasca, dopo averli sballottati sulle onde per diversi giorni, li fece approdare vivi, sia pure malconci in quell’isola particolare, verde di pini, con un mare le cui mille sfumature di colore passavano dal turchese all’indaco al verde senza soluzione di continuità. Malgrado le condizioni avverse, il nonno, da buon comandante-pilota aveva segnato la rotta con la mappa delle stelle.

    Un anno era trascorso ed il villaggio era stato fondato.

    Aveva poi affidato una nave a Meruth, il suo fido secondo affinché tornasse a Sidone a portare notizie.

    Due anni dopo all’alba venne avvistata una flottiglia di dieci imbarcazioni, alcune con due file di 15 rematori per parte.

    Meruth aveva fatto ritorno con ogni cosa potesse servire all’insediamento: sementi, animali in coppia per la riproduzione, legno del prezioso cedro, schiavi, muratori, falegnami, sacerdoti, maestri artigiani e soprattutto...donne, senza le quali la nuova vita presto sarebbe terminata.

    Nel periodo di massimo fulgore, questa primitiva città contò circa seicento persone: poi ragioni di spazio e qualche incomprensione fecero sì che un nucleo di venti famiglie si staccasse da quello principale e, navigando verso est, raggiungesse un porto naturale di maggiori dimensioni, con una rocca più alta e protetta ⁵. Nuova Ibosim venne chiamata e nel giro di pochi lustri divenne assai più importante di quella primitiva.

    Reshep se la prese a male: in accordo con le famiglie rimaste, passò il comando del villaggio a suo figlio Taaut e con la moglie e pochi schiavi si ritirò nell’interno⁶ a lavorare i campi per non pensare pregando Dagon che il raccolto fosse sempre abbondante e di qualità.

    Ehi, sempre con quell’aria contrita! Riservala per quando qualcuno di noi scenderà nella terra calda e buia! Vieni a casa che c’è da fare.

    Di vent’anni, giovane e forte, suo fratello Agreo era uno dei pochi che riuscisse a strapparle un sorriso: sempre ottimista e portato al buon umore, era bello di dentro ed anche di fuori, visto quanto era ricercato dalle ragazze. La tunica purpurea, fermata sulla spalla da una spilla preziosa in oro che rappresentava un leone nell’atto di afferrare una preda, ricopriva un corpo muscoloso adatto alla guerra ed alla caccia. Faceva dunque onore al dio che, si diceva, la caccia l’avesse inventata e che comunque si invocava per riempire i carnieri e le dispense.

    Il villaggio era formato soprattutto da case in pietra per le fondamenta ed il primo piano; il piano superiore aveva le pareti di mattoni fatti con la paglia e con l’argilla secondo le tecniche egizie. Il soffitto, costituito da travi leggere in legno e assi ed era reso impermeabile con la pece; i muri, candidi per riflettere il calore del sole, erano trattati con malta e ciottolame, sia quelli interni che quelli esterni. Per il resto erano case molto semplici e gelose dei propri segreti: assai poche le finestre che si aprivano all’esterno. Non tutte erano così: la bassa manovalanza spesso si accontentava di qualche capanna tirata su con legni e paglia. Blocchi ben squadrati delineavano le case, talvolta unite fra loro dai muri confinanti, spesso divise dagli inevitabili sentieri e viottoli creati dal passaggio delle persone. L’intero sobborgo era diviso da due strade più larghe che lo percorrevano da nord a sud e da est ad ovest; al centro uno spiazzo abbastanza grande da poter essere utilizzato come luogo di riunione, per giudicare ed eseguire le condanne, per celebrare le solennità o le feste ed anche per l’istruzione che avveniva in modo molto semplice: il maestro riuniva gli allievi in semicerchio facendoli sedere sulle panche ed impartiva le lezioni a quei bambini e ragazzi che non erano impegnati nelle attività pratiche come l’insegnamento della pesca, della caccia o delle coltivazioni.

    Si racconta che un giorno il saggio Tauutos, sacerdote e insegnante della città, avesse ripreso un bambino che non voleva imparare l’alfabeto ed i numeri perché ritenuti non importanti.

    Io viaggerò con mio padre e venderò al mondo il nostro grano.

    Bene -disse il vecchio- e quando ti diranno di contare i sacchi?

    Li conterò.

    E quando ti diranno di scriverne il numero sul papiro?

    Il bambino chinò la testa umiliato dalla figura rimediata e sbertucciato dai compagni.

    Tauutos come detto era anche il sacerdote ed i riti propiziatori erano effettuati nel recinto sacro delimitato da pietre e cespugli di mirto posti in periferia, verso il bosco. Una bet⁷ piccola ed accogliente con a fianco una cisterna naturale che raccoglieva l’acqua di una scarsa fonte che si disperdeva nel mare; di fronte un altare per i sacrifici.

    Passando per le case per giungere alla sua, sentiva i profumi di pane che venivano dal grande forno comune di circa due metri di diametro, un poco ai lati del villaggio. Suo padre aveva deciso che il pane per la comunità si cuocesse in un unico punto, anche se le case, soprattutto le più ricche, avevano un piccolo forno per lo più utilizzato per estrarre l’argento che ricavavano dalla galena argentifera presente sull’isola. Ciò per due motivi: il primo per rinforzare lo spirito comunitario, il secondo per evitare quelle piccole invidie e gelosie che la ricchezza inevitabilmente può far nascere: ognuno era padrone del suo denaro e dei propri segreti.

    Alla buon’ora!

    Taaut la aspettava sorridente davanti alla porta d’ingresso, varcata la quale si era obbligati a girare a destra ed a percorrere un corto corridoio che dava su un cortile interno: il capo Taaut teneva particolarmente alla riservatezza sua e della propria famiglia.

    La casa era piuttosto estesa: sul cortile interno si aprivano le porte e le finestre delle varie stanze fra cui vi erano la trina e la sala da bagno; una grande cucina comune in quel momento affollata da schiavi che si occupavano del fuoco, mentre altri andavano e venivano con cesti di vivande e vino; le cuoche spennavano, svuotavano i pesci delle interiora e si predisponevano a cuocere un banchetto di cui Ashtart non immaginava il perché ma che sicuramente doveva essere importante visto l’ordinato caos che vi regnava.

    Ne ebbe conferma osservando suo padre vestito con la tunica bianca trafilata in oro utilizzata solo in occasioni particolari che la guardava sornione lisciandosi la barba.

    Ma che...

    "Non lo immagini? Una vedetta mi ha appena avvertito che la flotta ha doppiato il capo dell’isola alta ⁸: da quella direzione non può che essere ..."

    Attar

    Già, tuo marito. Ho già dato ordine alle schiave di preparare l’acqua per il bagno e rassettare la vostra camera: tutto deve essere in ordine per onorarlo convenientemente, visto che sono sei mesi che è in giro quell’uomo. Preparati ed accoglilo come si deve al suo ed al tuo rango.

    "Ringrazio Bes⁹ e te, padre, per avermi scelto l’uomo giusto" disse con una punta d’ironia nemmeno troppo celata e volgendo le spalle, si avviò verso le stanze; a Taaut però non sfuggì quel lieve tremore nella voce che contraddiceva le parole appena pronunciate...

    Capitolo II

    La flottiglia stava entrando nel porto. Con abilità consumata i piloti delle due navi da guerra che precedevano il convoglio, le fecero quasi ruotare su loro stesse, una a babordo, l’altra a tribordo in modo da tenere la prua al mare per scongiurare eventuali attacchi dai pirati; così facendo aprirono alle panciute e rotonde gauloi¹⁰ che iniziarono ad attraccare facilmente ai moli predisposti. Mentre le passerelle di legno ed i corrimani scivolavano dagli scafi creando piani inclinati per facilitare lo scarico delle merci, sulla strada fatta costruire apposta da Taaut che portava verso la città da est, già si affollavano i carretti con gli animali pronti a farsi carico delle mercanzie che avrebbero preso la via dei magazzini in ogni parte dell’isola; una folla di persone aspettava per riabbracciare parenti ed amici e farsi raccontare nel dettaglio tutto il trascorso di quei sei mesi, anche se, dopo l’iniziale entusiasmo, i discorsi sarebbero inevitabilmente caduti sugli affari e sull’andamento del commercio.

    Calma, calma! -gridò il capo dei mercanti appena sbarcato- solo due di queste navi potranno scaricare qui; il resto è destinato all’altra Ibosim: qui facciamo solo una tappa intermedia.

    Una piccola imbarcazione si era nel frattempo staccata da una delle bi-remi imponenti. Erano navi molto belle e slanciate di circa 35 metri con 60 rematori disposti su due file, 30 per fiancata; larga circa 4 metri, concedeva un ampio ponte per la presenza di truppe di terra, le provviste e le armi. Lo scafo dipinto di nero sul bagnasciuga della chiglia mostrava a prua un occhio feroce che faceva da monito ai nemici e alle divinità del mare. I marinai si davano velocemente da fare a raccogliere l’ampia vela di lino quadrata sorretta da un albero maestro e dal pennone a croce per mettere la nave in stallo; quello stesso pennone che veniva orientato durante la navigazione a favor di vento con dei cordami detti stralli, ora pendeva scheletro inerte. Mano a mano che la nave si svuotava del suo contenuto umano, a prua affiorava un micidiale sperone lungo un paio di metri scintillante nel suo umido bronzo.

    Fa paura vero? -disse una voce alle spalle di Agreo, rimasto con la bocca semi-aperta per lo stupore.

    Per Bes, spero proprio di non trovarmi mai davanti quel mostro nemmeno nei sogni!

    E, voltandosi, aveva abbracciato Attar di cui aveva immediatamente riconosciuto la voce.

    Cognato mio, sono così felice che tu sia tornato! Spero che i lunghi mesi in mare non abbiano fatto dimenticare al tuo braccio come si tende un arco o come si impugna la lancia: nei prossimi giorni andremo a smaltire il benvenuto di mio padre a caccia nei boschi!

    Posso salutare anch’io il mio sposo, nonché mio signore?

    Ashtart era splendida, in una tunica verde smeraldo allacciata in vita che le scendeva fino ai piedi calzati, per l’occasione con sandali di cuoio legati ai polpacci; fiera nella sua acconciatura bruna fissata sulla nuca da un diadema d’oro e d’osso finemente intrecciato con al centro un medaglione che rappresentava la dea Astarte cui doveva il nome, ella lo osservava con gli occhi scuri e le lunghe sopracciglia, che le disegnavano uno sguardo assai profondo ed intenso.

    Moglie mia, mia signora -disse con un leggero inchino- quanto di più bello ho visto nei miei viaggi non ti rassomiglia nemmeno un poco. Sono felice che tu sia venuta ad attendermi.

    Era mio dovere e mio piacere.

    Di fronte al capo villaggio, Attar si inchinò rispettosamente. Mio signore e mio re

    Caro ragazzo, hai girato per troppe corti, ultimamente! Non sono un re; solo il capo di questa piccola città

    E il padre di questa splendida regina

    "Vieni a casa, genero mio, ora dovrai rinfrescarti e riposarti. Stasera con il banchetto in onore tuo e del tuo ritorno, ringrazieremo Asherat¹¹ di averti protetto e Kusor¹² di averti assistito."

    Ti seguirò immediatamente non appena avrò dato le ultime disposizioni.

    All’equipaggio di una delle due navi da guerra, già sbarcato, era stato assegnato un giorno di libertà, terminato il quale avrebbe ripreso il suo posto concedendo all’altro di scendere a terra.

    Temi dunque qualche attacco? -gli chiese il cognato-

    "Abbiamo dovuto difenderci da un paio di vascelli pirata di ritorno da Maiorica ¹³. Li abbiamo sconfitti ed alcuni fatti prigionieri, mentre gli altri affondavano con le loro barcacce. Grande fu la sorpresa quando uno di essi ci confessò che venivano da Berito ¹⁴. Ti rendi conto! Fratelli che assaltano fratelli per depredarli! Ora quei disgraziati li venderemo come schiavi e con il guadagno, brinderemo con i compagni."

    Taaut che precedeva il corteo intervenne nella discussione.

    "Ma di cosa ti stupisci ragazzo mio: lo sai come siamo fatti noi Fenici. Apparentemente popolo unito e fiero, viviamo nelle nostre città stato sotto la supervisione del re per quel che riguarda i tributi ed il rispetto di alcune regole generali di legislatura, giustizia, capacità militare; tutto il resto è discrezionale, anche gli dei. Non possiamo fare guerra ad Ibosim seconda perché preferiamo stare tranquilli nei nostri commerci, ma stai pure certo che se saltasse la mosca al naso a chiunque, di qua o di là, verrà dopo di noi...

    Sarà, ma stando così le cose non potremo mai essere una grande nazione come gli Egizi, conquistatori del mondo: solo con uno stato forte e centrale potremo essere temuti e rispettati lasciando fiorire i commerci e la pace!

    Vedrai che invece gli dei o gli uomini come in un barlume di luce nelle tenebre, vedranno il futuro al meglio ed almeno qui creeranno una unica, forte e potente Ibosim a spese di questa città destinata a diventare solo un piccolo borgo di pescatori.

    Comandato da me, spero. In tal modo avrò una scusa ulteriore per non lasciare la vecchia Ibosim!

    Così parlavano mentre percorrevano il pendio.

    La voce del ritorno del capo militare si era sparsa velocemente e per la gente non poteva che essere un avvenimento; perciò egli fu costretto, suo malgrado, a fermarsi nella piazza grande per salutare chiunque fosse lì.

    Amici miei -disse- sono onorato di tanta accoglienza che credo di non meritare. Purtroppo sono di transito dovendo scortare il convoglio mercantile nell’altra città; ma tra 10 giorni al massimo conto di fermarmi in questo villaggio in cui vivo per tutta la cattiva stagione, diventando come ben sapete difficile la navigazione quando cadono le foglie e fino a che non rinascono sui rami; perciò mi rendo disponibile a trascorrere le serate nelle vostre case al caldo del fuoco per raccontarvi ciò che ho visto navigando, come ospite s’intende! O magari pagando il disturbo!

    Una sonora risata lo congedò da quella folla che lo accompagnò fino a casa di Taaut.

    Giunti che vi furono, Attar venne accolto dai famigli e dalle ancelle con grande giubilo e da queste accompagnato al bagno caldo prima e freddo dopo per ritemprare le membra.

    Mi occupo io di lui disse una ancella.

    Si chiamava Belili. Di appena vent’anni, figlia di una vecchia schiava di Reshep, era stata insieme alla madre affrancata per la sua dedizione e bravura ed accolta da Taaut, mentre la madre aveva voluto restare con Reshep per assisterlo in vecchiaia. Belili oltre alla bellezza resa più evidente dalla gioventù aveva come virtù la simpatia e la schiettezza: le poche volte in cui si sarebbe meritata una punizione da parte del padrone, finiva tutto con uno scappellotto e una risata di buonumore.

    Belili! Sapevo che avrei dovuto affrontare la tua brusca striglia per togliermi di dosso la polvere e la salsedine! Sia dunque come vogliono gli dei!

    Gli dei non lo so, ma sicuramente Belili lo vuole e lo deve disse ridendo.

    Insieme alle altre ancelle spogliò Attar e lo fece immergere nell’acqua profumata di essenze; lo lavò con grasso e cenere, lo risciacquò nell’acqua fredda e lo asciugò. Nell’altra stanza a fianco provvide ad ungere il corpo atletico di oli profumati con i quali trattò anche i capelli che fermò sulla nuca con un fermaglio d’osso lavorato. Durante queste operazioni indugiò un attimo di troppo ad osservare quel corpo e la sua virilità al punto da stappare un sorriso all’uomo.

    Cara Belili, mi pare di capire che quel mercante di sale che prima che partissi veniva a suonare il flauto sotto casa sia ultimamente troppo impegnato!

    Ella si riprese immediatamente con il consueto spirito.

    Né mercante di sale né mercante di olive: desidererei essere consumata fresca piuttosto che stagionata!

    Terminato il rito del bagno, Attar venne lasciato a riposarsi nell’attesa del banchetto; Belili era andata in cerca della sua amica e l’aveva trovata seduta nel giardino antistante la casa, all’ombra di un sicomoro.

    Sorella mia, missione compiuta! Il tuo uomo è stato ripulito a dovere!

    Vedendo che questo lazzo riuscì solo a strapparle un debole sorriso, si preoccupò.

    "Ma, che ti succede? Tutti abbiamo notato il tuo inappuntabile comportamento all’arrivo di Attar: solo io e tuo padre però abbiamo percepito la freddezza del tuo animo. C’è dunque un altro uomo di cui non sono a conoscenza? In tal caso mi candido io al subentro!

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