Il viaggio di Mario e la sposa bambina
Di Qam
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Info su questo ebook
L'autrice affronta la narrazione in modo discorsivo e senza fronzoli, favorendo una lettura fluida e al contempo gradevole.
l'ho scritto l'anno scorso,ho predetto un Trump in America e cose peggiori in Europa, leggetelo, non è un romanzo d'amore ,anche se c'è ed è importante come in tutte le storie umane,ma è un romanzo che racconta in un ipotetico futuro già alle porte, una difficile integrazione fra cultura occidentale e islam con tutto quello che questo comporta per la donna, sempre la prima a rimetterci, Mario è un viaggio nell'occidente devastato da finti perbenismi, la sposa bambina è la futura donna che riscatta tutta la società, simbolicamente naturalmente
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Anteprima del libro
Il viaggio di Mario e la sposa bambina - Qam
indice
note dell'autore
Questo romanzo è frutto della fantasia dell’autore.
Personaggi, luoghi e tutto ciò che è scritto in questo testo non ha nessun riferimento a fatti e persone reali
prefazione
Quale futuro nei prossimi decenni ci attende? 'Il viaggio di Mario e la sposa bambina' è l'epopea di una famiglia che affonda le radici nel presente, ma che si sviluppa nei decenni successivi, immaginando cambiamenti socio-politici e di costume. Mario, nato in una famiglia disfunzionale, cerca una via alla propria esistenza, incontrando ostacoli e inadeguatezze. Sulla sua vita si staglia la presenza della madre amata e di un padre apparentemente disprezzato. Il suo percorso, dove le donne spesso prendono in mano la situazione, si arricchirà di sorprese e colpi di scena, fino all'epilogo dove ogni cosa troverà la sua collocazione. E' un romanzo d'amore e sesso, ma che rappresenta anche una dura satira a una certa cultura islamica e alla famiglia tradizionale, vista come uno stanco rituale sociale.
L'autrice affronta la narrazione in modo discorsivo e senza fronzoli, favorendo una lettura fluida e al contempo gradevole.
Il viaggio di Mario e la sposa bambina
1
Sto viaggiando, la strada corre dietro di me, le mie dita battono il ritmo della musica sul volante, ho messo la guida automatica, questa è la macchina di mia madre, ultima novità, bellissima, la tengo come fosse una reliquia. Sento la mia musica preferita, quella che ho messo sulla scheda del mio orologio, brani che amo, che ascolto sempre. Sono perso, pensieri mi travolgono e poi mi lasciano, per tornare diversi ma sempre con lo stesso tema: mia madre, lei giovane e poi più matura, vecchia no, non è riuscita a diventarlo. A trentasei anni se n’è andata, così, senza che io abbia potuto capire il perché e neanche piangere, solo rabbia mi è rimasta, dentro ho un grande buco nero che mi divora.
Lei, con la sua voce canterina, i suoi passi leggeri, le sue mani nei miei capelli, i suoi rimproveri che cominciavano sempre con amore mio, così non va
per poi proseguire sul perché e come porvi rimedio, finendo nel mettersi con me pure nel torto. Diceva: Adesso che abbiamo capito, non lo faremo più
.
Ora che non c’è io la cerco ovunque, nelle strade, nelle persone, in mio padre, nella mia sorellina, anche lei canterina e che si muove con passi leggeri, piena di amore per tutti, specie per me. Entrambi ci siamo aggrappati l’uno all’altra, zattere di salvataggio di noi stessi con un padre lontano da sempre. Nulla di materiale ci manca nella vita, se non l’essenziale che si chiama amore. Lui si rifugia nel lavoro e dalla sua puttana di turno, cadenzati dai tentativi di portare una donna qui da noi, ma non ne ha trovate disposte a reggere la mancanza di mamma, tutte se la sono squagliata.
Mia madre era bella, colta, tutto per me. Una donna di oggi, la vita per lei era da mangiare con golosità. Non si soffre per cose inutili
diceva, infatti quando scoprì mio padre con l’ennesima amante non ne fece un gran dramma, mise in chiaro che le loro esistenze percorrevano strade diverse, e poi si diede alla bella vita. Avevo quattordici anni, lei ventinove, mio padre quarantacinque e vivevamo nella stessa casa, quella di lei, ma ognuno con la sua vita, i propri amori e amicizie. Un giorno mia madre mi dice che pranziamo fuori e mi presenta un tizio come il suo fidanzato, io annuisco tiepido all’idea, ma poi che me ne fregava?! Tanto che mio padre aveva le sue donne lo sapevo da un sacco di tempo. Pensai divertito di vederlo sto’ fidanzato: la fotocopia di mio padre, erano eguali, stessi capelli, stessa altezza, naso e lineamenti regolari identici, un bell’uomo più giovane di lui e anche di mia madre. Lei mi disse dopo il pranzo e i saluti che aveva venticinque anni. La presi in giro, le risposi che era uguale a mio padre, che se ne faceva di uno identico? Con prontezza di spirito replicò che intanto il suo nuovo amore aveva venti anni in meno e avrei capito dopo, con l’età giusta, quando mi sarei innamorato.
Mia madre che mi chiamava amore mio
non si era accorta che io mi innamoravo tutti i giorni, e finiva sempre male. Ero diventato alto e magrissimo, i miei compagni mi chiamavano ‘palo alto, lungo e fino’, io ero disperato, non avevo torace, solo un corpo lungo, un arruffamento di capelli ribelli che mi arrivavano sulla fronte, le mani anche quelle filiformi, insomma mi guardavo allo specchio e mi chiedevo: Ma quale ragazza può venire con me? Mi sentivo disperato perché mi piacevano tutte, e quelle mi guardavano con compassione, poi andavano con chi era molto meglio di me, io restavo solo, senza nessun conforto, per giunta con due genitori che a quanto pareva non si facevano di certo mancare compagni e sesso.
Alla fine a scuola arrivai alle mani con un compagno. L’ennesimo ‘palo alto lungo e fino’ fu la goccia che fece traboccare il vaso e gli diedi un pugno, lui reagì e un professore ci separò. Mia madre fu chiamata, io rimproverato, e poi a casa le confidai che volevo morire, nessuna che mi desse, che dire… uno sguardo. Non avevo scampo, potevo andare a fare l’eremita, lei rise, mi rassicurò che tempo un anno e le donne mi avrebbero inseguito, accalappiato, ero figlio di gente bella, cresciuto come un virgulto ancora tenero, tutto qui, ma per farla finita mi iscrisse alla palestra dove avrei fatto ginnastica per irrobustire il torace, infatti in pochi mesi constatai i primi risultati, fino al punto in cui divenni ben proporzionato, ma il soprannome ‘palo alto lungo e fino’ mi rimase per sempre, anche oggi dicono Chi? Palo alto lungo e fino?
In quei mesi io mi diedi da fare per avere il mio primo rapporto sessuale, con le mie compagne di scuola non c’era nulla da fare, tutte liberissime, sessualmente attive, sbaciucchiavano da matti quelli del piano di sopra che erano dei corsi superiori. Di darla a me non c’era verso, così adocchiai una ragazza che passeggiava nei viali dei giardini, era molto bella, le chiesi se ci voleva stare… fare… con me. Mi disse il prezzo, il giorno dopo tornai con i soldi, mi portò in un localuccio, lì mi vide impacciato, insomma capì e fu dolcissima. Vi rimasi il pomeriggio, i soldi erano per un’ora, ma lei disse che siccome era la prima volta mi faceva un regalo. Mi tenne con sé un paio di ore, io uscii che ero uomo e camminavo sulle nuvole, potendo me la sarei pure sposata, cioè cose che si pensano in quei momenti, volerla redimere dal mestiere per farla mia. Con che soldi? Dove? cioè roba da matti, sogni di un ragazzino.
Mia madre, che io chiamavo Lidia, con il suo nome – non mamma -, mi scrutava sempre per poi intervenire sulla mia educazione, onde evitare che io mi identificassi in Francesco, mio padre - uomo strafigo ma pure fedifrago -, e si accorse del mio cambiamento, ne era contenta e mi consigliò senza giri di parole di usare sempre il profilattico, così seppi che lei capiva tutto di me, pure quello che non volevo, ossia le mie esperienze fallimentari sul sesso. Io intanto non le riferivo mai nulla, ci mancava pure che gli parlassi di sesso, ora poi che mi sentivo esperto, o meglio, non ne sapevo ancora un bel nulla, ma dopo il primo rapporto sessuale mi sentivo grande, orgoglioso dell’impresa e deciso a continuare il percorso intrapreso e a non farmi più pigliare per il culo dai compagni e pure dalle cretinette che con me non volevano contaminarsi, insomma ero un uomo fatto e finito che studiava varie strategie per come fare e alla svelta, cioè fottere.
Mia madre continuava ad uscire con il suo fidanzato, mi invitò, ma io rifiutai, preferivo i miei amici, poi una sera rientrai tardi e sentii Lidia e mio padre litigare di brutto, sempre la solita solfa, non ci feci caso e andai nella mia stanza. Nonostante l’indifferenza vera o dissimulata c’erano sempre problemi per le donne di lui: avvertii anche mobili che si spostavano, porte sbattute, e poi il silenzio. Al mattino a colazione mia madre aveva un occhio nero, lui invece era graffiato in viso, sul collo e anche sotto, perché i segni rossi continuavano giù. Rimasi a fissarli e lei mi incitò a sbrigarmi per andare a scuola, cioè un modo per dire che non erano cavoli miei. Pareva che mio padre non gradisse il fidanzato di mia madre, e lei invece si fosse stancata completamente di lui. Mio padre desiderava una riconciliazione, ma alla fine lo vidi uscire con una valigia, e sentii mia madre gridare che cambiava serratura alla porta, di non farsi vedere mai più.
Dopo che papà uscì le chiesi cosa fosse successo, ma lei fu superficiale nel racconto, insomma capii che fra una litigata e l’altra lui ne aveva anche abusato. Mi ha anche posseduta lo stronzo.
Non lo voleva più, così l’aveva graffiato tutto, ma alla fine era meglio che fosse finita così: lei aveva l’altro che era meglio e il marito la cornificava da sempre, anche appena sposati. Le chiesi se le avesse dato il pugno perché voleva fare l’amore, mi rispose che era stata la sua reazione quando, una volta finito tutto ed era contento di averla riconquistata, gli aveva detto di fare le valigie, allora si erano presi a botte. Il resto lo immaginai io, che si erano amati così per l’ultima volta…
Per mio padre capire al mattino che non c’era stato nulla da fare e andarsene, era stato uno dei dolori più grandi della sua vita, raccontò poi.
Il mio paparino rientrò un mese e mezzo dopo, trionfante in casa nostra, lei afflitta lui felice, raggiante. Mia madre era incinta, l’ultima notte aveva dato frutti, non speravano più di avere altri figli. Pur tentando di darmi un fratello o sorella non accadeva niente, mia madre non rimaneva gravida, tanto che ormai non prendeva precauzioni, si riteneva sterile, invece nella pancia c’era mia sorella Luisa. Era felice perché le cresceva in grembo una bambina, ma infelice perché aveva in casa mio padre. Le prime settimane lo chiamava con una specie di lamento rabbioso: Francesco fammi questo e quello, passa di là, fai la spesa, non tardare, mangia da uomo civile, non essere buzzurro, sei il solito cafone
e tanto altro. Il fidanzato non si vide più, la sua vita tornò quella di prima, a me non mancava nulla, a mio padre pure, anzi il mattino era tutto sorridente, rilassato, disse che si trattava di una seconda luna di miele per lui, che amava la sua donna, che la perdonava, ma se anche lui cornificava che perdono doveva dare?! Intanto il tempo passava, io compii quindici anni, ed ero - lo dicevano tutti - un bel maschione. Nacque mia sorella.
Era bellissima, rosa, nata senza complicazioni, avevano fatto il cesareo. Anche mia madre stava benone, e vedendo la bambina le passò tutto e si riavvicinò a mio padre, richiamandolo come prima della litigata, cioè Franco. Lui si sentiva importante, ora aveva quarantasei anni, mia madre trenta e io quindici, mia sorella appunto zero, dunque ritrovavamo un’armonia.
A scuola andavo bene, mi ero fatto la ragazza. Con fatica, promesse e regalini finalmente me l’aveva data, così adesso ero uomo fatto, mi sentivo importante, potente, la mostravo a tutti, la presentavo come la mia ‘donna’, gli amici mi davano manate sulle spalle, pugni sulle braccia, insomma si complimentavano, ero fortunato, lei era bellissima, che dire, poi molto corteggiata e io gelosissimo. Non passeggiavo in modo rilassato perché letteralmente la scortavo come una mia proprietà; la chiamavo Carlotta. Se i primi tempi lei era orgogliosa di me, alla fine si scocciò, cioè il fatto che io la considerassi come una sorta di mio possedimento le dava fastidio, facendomi notare appena poteva che