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Senza un cemento di sangue
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E-book430 pagine6 ore

Senza un cemento di sangue

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Info su questo ebook

ROMANZO (373 pagine) - FANTASCIENZA - Il pugno di ferro dei Say stringeva i pianeti esterni senza pietà. Ma chi decideva di aderire alla Resistenza poteva davvero permettersi di essere più umano di loro?

Sono finiti i tempi in cui i Pianeti Esterni erano culla di democrazia e di cultura. Da anni l'impero di Tyros impone la propria dura legge, censura ogni tentativo di libera espressione, schiaccia ogni ribellione nel sangue. Ma la resistenza, come la speranza, non molla, anche se il costo di sangue è altissimo. Ma è proprio con un cemento di sangue che devono essere erette le mura della libertà.

Anna F. Dal Dan, nata a Udine e cresciuta a Padova, vive ormai da parecchi anni a Londra. Autrice di alcuni saggi sulla fantascienza, traduttrice, ha frequentato la prestigiosa scuola di scrittura creativa Clarion.
LinguaItaliano
Data di uscita9 feb 2017
ISBN9788825400946
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    Anteprima del libro

    Senza un cemento di sangue - Anna Feruglio Dal Dan

    Clarion.

    Perché senza un cemento di sangue (dev’essere umano, dev’essere innocente) nessun muro secolare può stare in piedi con sicurezza.

    W.H. Auden, Horae Canonicae

    Prologo

    Gli avevano spezzato le mani prima di portarlo via, i suoi compatrioti, i suoi fratelli d’arme, i figli della Cirte. Gli avevano appoggiato le mani sulla balaustra di marmo dove avevano impiccato gli altri, e gli avevano spaccato le ossa robuste delle mani con i calci dei loro Fraxen–Huey. Ma a quel punto l’avevano già spezzato, gli avevano già detto di Dora e del bambino. Ellade Tarkish gli aveva urlato in faccia i dettagli appena era arrivata abbastanza vicina.

    Nella confusione di quell’ultimo terribile tradimento, quando le truppe lealiste avevano fatto irruzione nel Palazzo, lui aveva gridato il nome di Dora. Se avesse saputo già da allora che era morta, forse avrebbe fatto la cosa più saggia e si sarebbe cacciato una pallottola in testa, come aveva fatto la povera Verityem. Ma, da stupido, da ingenuo che era, come suo padre aveva sempre detto, aveva voluto trattare. Aveva convinto gli altri ad arrendersi, sapendo che comunque andassero le cose lui non aveva alcuna possibilità di salvarsi la vita, ma sperando per gli altri, i suoi compagni, sperando che in un giorno futuro in cui la furia si sarebbe calmata avrebbero potuto essere presenti, liberi, e non domati.

    I Say al comando delle truppe che avevano attaccato il Palazzo avevano evidentemente deciso che nessuna parola valeva con lui, e alla loro resa avevano risposto con una carneficina.

    Tharand era morta strangolata dalla corda, ma come ultimo sfregio, fedeli come sempre solo alla loro ferocia, i Say del Clan Tarkish, avevano fatto precipitare il primo ministro Adlai e gli altri – ministri, soldati, civili che avevano partecipato all’ultima difesa della Rivoluzione – nella piazza davanti al Palazzo del Governo, tagliando la corda prima che potessero soffocare per farli finire a calci e pugni dalle truppe scomposte là sotto. Lui conosceva bene la Cirte e sapeva quanto di freddamente calcolato c’era in quella esibizione di crudeltà senza vergogna. Sapeva, in fondo aveva sempre saputo, cosa aspettarsi.

    Fra gli sputi e gli insulti lo trascinarono via, un muro di Say a impedire ai soldati di linciarlo, via verso la Cirte e la sua pietà. Il cielo era terso e limpido, attraversato da colonne di fumo nero come da sfregi. Lo vedeva con chiarezza mentre lo buttavano dentro il veicolo, perché non aveva lacrime negli occhi. Il giorno prima, davanti a un microfono, senza nemmeno essere sicuro che qualcuno lo potesse sentire, aveva cantato delle parole con cui pregava di non piangerlo, perché la sua morte non era la fine della storia. E, fedele a se stesso, non aveva pianto.

    Aveva trentaquattro anni, Shai Krailin Shiela, il giorno della conquista della capitale. Si lasciava dietro una Rivoluzione sconfitta, un governo rovesciato, una speranza – la promessa di Hanvard – tradita, una moglie suicida, una compagna assassinata, due figli orfani, tre libri di poesie via via sempre meno liete, una quarantina di canzoni via via sempre più accese, e l’odio della Cirte, che non si sarebbe mai spento. Non sarebbe arrivato a trentacinque anni.

    Però sarebbe stato ricordato.

    Capitolo 1

    La Macchina si ferma

    Era routine. Zai Faraniy, comandante in seconda della Settima Flotta, guardava l’avvicinamento all’attracco di ARRAS distrattamente. Era incastrato comodamente fra la paratia foderata e la ringhiera che sotto gravità delimitava la zona comando. Davanti a lui c’era un grosso monitor da cui si poteva ammirare, avendone ancora voglia, ARRAS che si ingrandiva rapidamente, nera, argento, tempestata di luci. Era uno spettacolo da mozzare il fiato: intrecciata com’era all’iperspazio, ARRAS appariva come una costellazione di archi luccicanti e dischi argentati, intricata e meravigliosa, governata dalla più grande mente artificiale della Galassia come da un cuore segreto. Ma Zai Faraniy l’aveva già vista mille volte. Il personale della nave su cui viaggiava, la vecchia, solida, affidabile Gurgeh, l’aveva vista anche più spesso. Insomma, nessuno la degnava più di un’occhiata se non per ragioni di lavoro, e Faraniy ragioni di lavoro non ne aveva. Stava dando gli ultimi ritocchi al suo rapporto trimestrale, come al solito in ritardo. L’unica cosa che gli interessava, di ARRAS, era che laggiù lo Stato Maggiore era già in riunione.

    – Haber – disse senza alzare la testa. – A che punto siamo con quel collegamento?

    Un ufficiale si voltò dalla postazione sopra di lui.

    – Due minuti ancora, generale.

    – Be’, prenditela pure comoda.

    Faraniy continuò a scrivere.

    Il maggiore Rassil arrivò di corsa, si fermò scivolando sui pavimenti lucidi di ARRAS, e salutò la sentinella. Si prese un paio di secondi per riprendere fiato, e per battere le tre tavolette che teneva in mano contro il ripiano dell’analizzatore di DNA per allinearle. Poi appoggiò il palmo della mano sulla lastra ruvida. Sentì il lieve grattare sulla pelle e poi la lastra lampeggiò.

    – Tutto a posto, signore – disse la sentinella. – Può entrare. – Allungò una mano e spinse un pulsante. La grande porta di metallo scivolò di lato quasi senza rumore.

    Era una stanza non troppo grande, sguarnita ma non squallida. Le pareti qui erano verdi: zona riservata alla Flotta. Rassil entrò, si schiarì la gola e salutò il suo comandante, che sedeva a una estremità della tavola ovale e che alzò gli occhi per un secondo.

    – Si sieda, Rassil – disse, con voce secca. Riprese a scrivere sullo schermo flessibile appoggiato sul tavolo davanti a sé. – Lei è in ritardo.

    Le lampade sopra il tavolo facevano spiccare i capelli che la leggenda voleva gli fossero diventati bianchi durante l’offensiva di Mezzo Anno su Meseian, quando aveva avuto trent’anni scarsi. Era vero, ma non aveva nulla a che fare con la guerra: anche suo nonno e suo zio avevano avuto i capelli perfettamente candidi prima dei quarant’anni.

    – Sì, signore – ammise Rassil. – Mi dispiace, signore. Ho avuto un piccolo problema al momento dell’attracco, signore.

    Creyna sollevò di nuovo lo sguardo. Era alto e anche seduto manteneva un aspetto imponente: ora guardava Rassil con occhi chiari, duri e freddi. Era uno sguardo famoso quello di Creyna, e non solo nella sua Flotta. Se non fosse stato per quello, per la piega severa della sua bocca, avrebbe potuto essere un bell’uomo, e forse lo era stato, un tempo. Rassil si sentì trafitto più che fissato da quei due severi, terribili occhi verdi. Dopo Laney, quello era l’uomo più potente di Tyros, capace di muovere con una parola tanta gente quanta ce n’era in un intero Settore, che aveva al suo comando astronavi grandi come città e città militari disciplinate come astronavi; che comandava l’esercito segreto della SATO e poteva far sparire non un uomo ma un intero paese senza farne rimanere traccia, oppure poteva far strangolare un parlamentare della Federazione sulla pubblica piazza senza che nessuno potesse protestare. Ma non era per questo che i suoi ufficiali sbiancavano in volto quando li guardava così. Era sempre stato un comandante giusto ed equilibrato, in guerra e in pace, e non era uomo da cedere alla collera. Avevano messo in imbarazzo anche i suoi superiori, quando ancora ne aveva, quegli occhi tanto vecchi e tanto freddi, che sembravano sempre saperla più lunga, che sembravano avere visto tutto e avere già giudicato quello che c’era da giudicare. Questa volta c’era un lungo discorso negli occhi di Creyna, che comprendeva la necessità della disciplina, l’esempio che gli ufficiali dovevano costituire, e il fatto che purtroppo Creyna non poteva lanciarsi nel rimprovero sarcastico che sicuramente sarebbe stato opportuno perché il suo secondo era in ritardo anche lui, e Creyna non poteva né rimproverare Faraniy davanti a degli ufficiali a cui Faraniy doveva comandare, né rimproverare Rassil per poi ignorare Faraniy. Dopo un attimo, Creyna si limitò a ripetere:

    – Si sieda, Rassil – e a voltare la testa candida verso gli altri. – Possiamo cominciare senza il generale Faraniy. Come sapete, Wilkaa ha ratificato la resa da più di una settimana ormai e la Flotta si sta disponendo a ritirarsi per lasciare il posto alla forza d’occupazione del Comandante Xander Bjas, il che vuol dire che è venuto il momento di valutare i danni e assegnare le varie priorità di riparazione e rimpiazzo.

    Benché fossero cose note a tutti diverse teste si chinarono su tavolette e schermi ripiegabili, per cominciare a scrivere freneticamente. Rassil stava scrivendo data e ordine del giorno su un foglio che aveva frettolosamente creato sulla prima tavoletta. Il generale Hiero, che aveva notoriamente una memoria quasi perfetta, stava mescolando il caffè. Nel visore lungo e stretto che correva per tutta la lunghezza della sala si vedevano lucine colorate, bianche, gialle, verdi e rosse, che si muovevano lentamente su uno sfondo di stelle. Traffico in arrivo e in partenza da ARRAS, uno dei nodi militari più importanti di tutta Tyros.

    – Man mano che i reparti si sganceranno, vorrei che voi…

    Creyna si interruppe improvvisamente. Teneva fra le dita una penna che toccava il tavolo e aveva sentito qualcosa che aveva risvegliato d’improvviso la sua attenzione. I suoi ufficiali vivevano spesso a bordo delle loro navi, che nonostante le griglie di gravitazione rullavano, oscillavano e vibravano. Ma Creyna comandava la Flotta da qui, da questa stazione spaziale, e ne conosceva gli umori e il respiro. Sotto le sue dita, attraverso la penna e il tavolo e il pavimento, la colossale stazione aveva tremato.

    Per un istante rimase come in ascolto, confuso e con le dita leggere di un terrore primitivo che gli sfioravano il cuore. Ci volle un attimo perché si ricordasse che non ci potevano essere terremoti qui, che non era sulla Cirte con i suoi vulcani che portavano inverno e carestia.

    Si alzò in piedi.

    Gli altri lo fissavano senza capire. Un secondo tremore, ancora praticamente impercettibile – e difatti nessun altro, nella sala, sembrava averlo notato. Ma questa volta Creyna lo sentì distintamente, sotto i piedi. Gli occhi spalancati e chiarissimi, tese una mano sopra i comandi incassati nel piano della scrivania.

    – Centro Controllo ARRAS.

    – Sì comandante – rispose una voce da sopra il tavolo, dov’era l’altoparlante di servizio.

    – L’avete sentito?

    – Sì Comandante. Stiamo iniziando i diagnostici.

    Nessuno di loro lo sapeva, ma il disastro aveva già colpito. Il resto, la catastrofe che doveva ancora abbattersi su di loro, era solo un corollario. Nulla la poteva più impedire. Le unità di controllo centrali che ordinavano la coerenza logica della Mente di ARRAS si erano già decomposte in informazione casuali e rumore; la delicata struttura che collegava le diverse parti della stazione a cavallo dell’iperspazio stava collassando, e le energie dell’universo stavano per fare a pezzi la fortezza inviolabile, il cuore della Settima Flotta, la Stazione Spaziale più grande, complessa, sicura e potente di tutta la Galassia, il vanto di Tyros e l’anello più forte della sua catena difensiva. Creyna alzò gli occhi istintivamente verso l’alto, e rabbrividì.

    Non seppe mai quale miracolo gli concesse quei pochi secondi di grazia, se fosse stata una delle innumerevoli sicurezze che per una volta, almeno una volta, aveva funzionato, o solo il lento, inevitabile attrito della materia. Ma seppe che fu il suo istinto, quello che gli aveva salvato la vita tante volte su Meseian e sui Pianeti Esterni, a far sì che abbattesse la mano senza esitazioni e senza dubbi sul pulsante rosso che si trovava a sinistra sulla sua consolle: evacuazione immediata.

    – Fuori! – gridò Creyna sopra l’urlio delle sirene. – Tutto il personale alle capsule di salvataggio! PRESTO!

    La stazione era tutta piena del suono sinistro dell’allarme. Due milioni di persone, sveglie e addormentate, impegnate a mangiare e camminare e lavorare, alzarono la testa e poi la voltarono verso le vie di fuga, le capsule di salvataggio, i bunker. Non c’era spazio per altro dentro i corridoi di ARRAS. Le voci e le urla si perdevano nel rumore.

    Gli ufficiali della Settima Flotta nella sala ovale lo guardarono per qualche istante e poi gli obbedirono alzandosi in fretta, rovesciando sedie e lasciando tavolette, schermi, penne d’oro e bicchieri d’acqua semivuoti sul tavolo. Nella gerarchia dell’evacuazione loro avevano la priorità, perché se qualcosa fosse successo la Settima Flotta non venisse decapitata. Solo Rassil si voltò a guardare, e vide che Creyna si era voltato, ma non per seguire i suoi ufficiali verso la luce rossa che indicava la via di fuga, ma verso le grandi porte che separavano la sala riunioni dal Centro Controllo di ARRAS.

    – Comandante! – urlò Rassil.

    Creyna si girò. – Non ha sentito i miei ordini, Rassil? – Doveva urlare per sovrastare il rumore delle sirene. Le paratie nere si chiusero su di lui e lo nascosero alla vista. Rassil si mise a correre per seguire gli altri.

    La stazione ora era in subbuglio. Erano passati sì e no trenta secondi dall’allarme e le prime capsule cominciavano a essere espulse. Creyna correva nel corridoio, per una volta ignorato dai suoi uomini, contro un flusso di gente che fuggiva. Avevano evacuato ARRAS più volte nel corso di questa o quella esercitazione, e ora sembrava che tutto stesse andando liscio. Probabilmente molti di quelli che fuggivano credevano che si trattasse anche stavolta di un’esercitazione, ma Creyna coglieva sguardi terrorizzati nei volti che incrociava. Era tutta gente che viveva nello spazio e aveva sentito, come lui, quei tremiti.

    Finalmente arrivò alla grande sala circolare da dove ARRAS veniva sorvegliata e amministrata e dove gli schermi e i globi olografici di controllo sembravano impazziti. Il direttore tecnico di ARRAS si voltò di scatto quando lo vide arrivare.

    – Non riesco a capire cos’è, signore, ma credo che abbia fatto bene a ordinare l’evacuazione.

    Parlava così in fretta che Creyna faticava a capirlo.

    – Cosa sta succedendo?

    – I sistemi stanno crollando uno dopo l’altro, signore, è saltato l’ancoraggio e poi abbiamo perso le periferiche e ora ci stanno sparendo interi settori dagli schermi, signore non sappiamo più cosa sta succedendo là sotto, abbiamo perso il contatto con gli attracchi abbiamo perso le comunicazioni con il reattore centrale signore ab…

    – Il reattore centrale è isolato?

    – Certo signore, è la prima cosa che ho fatto, l’ho isolato e sganciato e adesso è lì nell’iperspazio ma signore, temo che buona parte delle sezioni tecniche ci stiano ancora attaccate, signore, noi non…

    – Vuoi dire che abbiamo perso l’integrità strutturale?

    – Voglio dire che abbiamo perso i ponti iperspaziali, signore.

    Creyna si girò a guardare il grosso schema tecnico di ARRAS che di solito aleggiava in aria sopra la consolle principale, e vide, quasi incredulo, lo sferoide verde che oscillava, si apriva e si disgregava silenziosamente, con frammenti che si allontanavano e uscivano dalla rappresentazione e altri che svanivano semplicemente nel nulla. Qualcuno gridò nella sala, di orrore e di spavento, anche se l’immagine non era in tempo reale e quello che vedevano doveva già essere successo da diversi secondi, nel momento stesso in cui erano venuti meno avevano ceduto i ponti iperspaziali che tenevano assieme le parti della Stazione costruite in luoghi diversi della Galassia, lontani anche diverse migliaia di anni luce nello spazio convenzionale.

    – Oh Signora, Signora misericordiosa – sentì sussurrare Creyna accanto a sé.

    – Quanti siamo riusciti a evacuarne, Vela? – chiese a bassa voce.

    Il direttore tecnico di ARRAS, gli occhi fissi sull’ologramma in disfacimento, con voce altrettanto sommessa: – Non abbiamo modo di dirlo, signore, e non so cosa sia successo in quelle sezioni. Ma sono passati già diversi minuti, e credo che almeno la metà del personale…

    In quel momento le luci si spensero, e un silenzio mortale si diffuse nella stanza. Creyna si trovò, cieco, a respirare un’aria che era divenuta improvvisamente nera e gli sembrava densa e pesante. Poi ci fu un sibilo e il rumore delle pesanti porte d’acciaio che cadevano dall’alto, sigillando il Centro Controllo in un bozzolo di metallo a prova di esplosione. Creyna pensò a quello che aveva visto nell’ologramma. Si sentiva tremendamente vulnerabile. Sperava con tutto il cuore che Zai Faraniy fosse ancora lontano quando aveva dato l’ordine di evacuazione. Adesso era lui a capo della Flotta.

    – Vela? – chiese, con voce calma. C’era trambusto dentro il Centro Controllo: gente che gemeva e urlava e mobili che cadevano.

    – Sono qui, signore.

    – Che cosa…

    Prima che potesse terminare la frase, il pavimento impazzì sotto i suoi piedi. Non era un tremito questa volta, ma uno scossone possente, come un vulcano che stesse sorgendo sotto i loro piedi. Si sentì buttare a terra e scivolò sul pavimento, incapace di fermarsi. Alle urla, ora divenute parossistiche, si era unito un rombo profondo, un gemito di metallo spaventoso e inarrestabile. Batté la testa contro una superficie liscia, e cercò disperatamente di aggrapparsi a qualcosa prima che l’agonia della sua stazione spaziale lo sbattesse contro una paratia, uccidendolo. Era così che si moriva nello spazio, Creyna lo sapeva: nel buio di una nave che non governa più, soffocati, spappolati dalla gravità, incapaci di fare nulla per difendersi, in preda a forze disumane create da quanto di più profondamente umano ci fosse: un manufatto nel vuoto, un’isola di vita nel buio.

    Alla fine le sue dita incontrarono qualche cosa, un tubo freddo e liscio, e strinsero. Non sapeva cos’era, se non che era la sua ultima speranza di vita. La stazione si muoveva attorno a lui, e lui era a mezz’aria, ancorato al suo punto stabile. La gravità era scomparsa. Qualche istinto gli disse di avere qualcuno vicino, e afferrò al volo la stoffa di un’uniforme. Per un istante sentì una mano, bagnata, che cercava la sua. Cercò di stringerla ma un’ennesimo scossone la strappò via e Creyna sentì un urlo e un corpo che colpiva qualcosa di spietatamente duro. Era Vela? Era stato Vela quello? Con gli occhi della mente vide il giovane maggiore ferniano dal volto piacevole e gli occhi scuri andare alla deriva nel buio, la schiena spezzata, come un giocattolo rotto. Non poteva mancare molto perché lo stesso succedesse anche a lui.

    Poi si rese conto che la violenza degli scossoni era diminuita. Riuscì ad afferrarsi alla sua maniglia di sicurezza con l’altra mano, aspettando.

    Quelli era erano stati sommovimenti tellurici divennero vibrazioni.

    Poi oscillazioni lente, che gli rivoltarono lo stomaco.

    Poi nulla.

    Buio, silenzio.

    Qualcuno gridò e Faraniy alzò la testa di scatto. Uno degli ufficiali di coperta indicava freneticamente, col dito, il visore principale, dove qualcosa stava andando terribilmente storto, anche se lui non riusciva ancora a capire che cosa. Si alzò e si avvicinò e solo allora il respiro gli morì in gola. Stavano sorvolando ARRAS, in avvicinamento all’ormeggio, e sulla superficie nera e buia avrebbero dovuto brillare le luci guida, e i finestrini illuminati degli alloggi, e i fari di segnalazione… ma non c’era nulla di tutto questo. Solo il buio, il buio assoluto, mortale. Faraniy, istupidito, fissò senza capire.

    La comandante della Gurgeh stava urlando con voce roca: – Via! Via! Via! Allontaniamoci!

    Zai Faraniy si scosse e girò su se stesso. Spiccò un salto e si spinse di maniglia in maniglia verso la stazione comunicazioni. – Chiama il Controllo ARRAS – ordinò all’ufficiale avvolto dalla sua seggiolina attrezzata. L’uomo mosse le mani guantate e alzò su Faraniy due occhi nascosti dai voluminosi visori. Scosse la testa. La comandante continuava a urlare. La nave si mosse sotto di loro.

    – Ho perso il contatto, Generale.

    Faraniy afferrò la seggiola accanto alla sua e si girò in aria per infilarcisi dentro. – Dammi il comando – ordinò.

    Lanciò un’ultima occhiata ad ARRAS, che si allontanava sotto di loro e sulla cui superficie buia cominciavano a disegnarsi esplosioni e fuochi, poi si calò in testa il casco attrezzato mentre la seggiola lo stringeva saldamente nel suo abbraccio di sicurezza. Davanti a lui il campo visivo divenne scuro, mentre il visore si sigillava al suo capo, poi si animò di schemi e di figure. – Ha il comando, signore – disse una voce nelle sue orecchie.

    – Settima Flotta – esordì Faraniy con una voce secca e fredda che non gli era capitato spesso di dover usare. – Abbiamo perso il contatto con il comandante; da questo momento assumo il comando delle operazioni. Sezione Coordinamento, rapporto.

    Davanti a lui comparve il busto tridimensionale del colonnello Arenna. Non era a lei che toccava il compito di tenere informato il comandante della Flotta, ma gli uffici del Comando erano laggiù, su ARRAS, e il Coordinamento invece agiva dall’Ammiraglia, la Aetrypter in orbita attorno a Mesnes.

    – Signore, abbiamo perso qualunque contatto con il Comando di Flotta su ARRAS. Cinque minuti fa il Comandante Creyna ha dato l’ordine di evacuazione immediata della stazione. Abbiamo ricevuto il segnale di una navetta di salvataggio con a bordo il personale che era impegnato nella riunione dello Stato Maggiore, ma il Comandante non è con loro. Ora non riusciamo a capire che cosa sta succedendo su ARRAS…

    – Glielo posso mostrare io, cosa sta succedendo. – Accanto al busto di Arenna comparve la comandante della Gurgeh. – Noi ci siamo sopra. Vuole la visuale esterna, signore?

    – Sì – disse Faraniy. Davanti a lui lo sfondo nero divenne una finestra sullo spazio esterno. Il programma colorava ARRAS, che altrimenti sarebbe stata invisibile, nera sul nero, e Faraniy vide la stazione spaziale che si disgregava con lentezza sognante. – Chi si sta occupando di quella navetta di salvataggio?

    Una voce senza volto. – L’abbiamo raccolta noi, signore, la corvetta Transeat in servizio di pattuglia attorno ad ARRAS. – Il programma della stazione di comando collegata alla sua seggiola selezionava automaticamente i messaggi.

    – Bene, voglio tutti gli ufficiali al loro posto appena possibile. Arenna, quante navi abbiamo qui attorno?

    – Due incrociatori di ritorno da Wilkaa, danneggiati, le sedici navi di pattuglia, la Quinta e Quarta Squadra in orbita attorno a Mesnes, e in più l’incrociatore Maryin e dodici trasporti leggeri che erano attraccati ad ARRAS e che non trasmettono più. Il grosso della Flotta, signore, è ancora…

    – Sì, Arenna, lo so. – Faraniy respirò a fondo. – A tutte le navi – riprese, facendo un gesto in aria che apriva i canali generali. – Da questo momento, voglio il completo silenzio radio verso l’esterno. Quello che sta accadendo qui è segreto militare. Non voglio che esca una sola parola su ARRAS da questa Flotta. La nostra versione ufficiale è che in corso un’esercitazione a sorpresa. Tutte le licenze sono sospese. Le comunicazioni con l’esterno possono essere effettuate solo per ragioni di servizio e devono essere filtrate. Arenna – un altro gesto, che escludeva tutti i canali tranne quello con il Coordinamento – dammi lo schematico della Flotta.

    Davanti a lui comparve un elenco di navi e, in secondo piano, una mappa tridimensionale della dislocazione delle forze.

    – Tutte le navi del settore convergano su ARRAS e si tengano a distanza di sicurezza. Voglio qui tutte le squadre di soccorso della Flotta, comprese quelle ora addette alle riparazioni attorno a Wilkaa. Incrociatori Dessock, Varaness e Shialinenn, dirigetevi subito verso ARRAS, con tutte le navi di scorta. Nave ospedale Ars, lo stesso vale per voi. Cura e Virtus, trasferite i vostri pazienti alla stazione civile del Centro e imbarcate tutti rifornimenti che potete. Poi venite qui anche voi. Terza e Seconda Squadra, appena potrò rimpiazzarvi attorno a Wilkaa verrete anche voi. Nel frattempo preparatevi e non fate scendere nessuno.

    – Apritemi un canale con il palazzo del governo su Tyros. Voglio il Presidente in linea entro cinque minuti. Apritemi un altro canale con il Comando della Seconda Flotta.

    – Signore, abbiamo l’ufficio del Comando della Seconda in linea.

    – Signore? – Un’altra faccia comparve davanti agli occhi di Faraniy. – Sono l’aiutante di campo del comandante Himago, signore. In cosa posso esserle utile?

    – Ho bisogno del comandante Himago in linea, caporale.

    – Signore, oggi è sabato, signore, il Comandante…

    – Caporale, voglio il generale Sherom Himago in linea e la voglio adesso, sono stato chiaro?

    Scariche nel campo. – Signore? Abbiamo il Presidente in linea, signore.

    Faraniy strinse i braccioli della sua sedia. Le immagini davanti a lui scomparvero e furono sostituite da una stanza ampia e soleggiata, con una lunga finestra che dava sul mare, trecento piani più in basso, una lunga scrivania grigia e Jazel Laney, appoggiato al tavolo con un gomito e con la testa su una mano, che lo guardava negli occhi. Faraniy si era sempre sentito a disagio davanti a lui. Su Tyros era il tramonto: la luce che invadeva la stanza, obliqua, era di un rosso carico.

    – Che cosa c’è, Faraniy?

    – Signore, è un canale protetto, questo?

    Laney sollevò la testa e abbassò la mano sul tavolo. – Sei tu che ci hai chiamato. Dovresti saperle tu queste cose. – Ma gettò comunque un’occhiata al display accanto a sé. – Sì – confermò. – Non ci sente nessuno, Faraniy. Siamo solo tu e io. Allora, cosa succede?

    – Signore… abbiamo avuto un problema su ARRAS, a quanto sembra. Sì, abbiamo… abbiamo perso ARRAS, signore.

    – Abbiamo perso ARRAS?

    – Sì. Non so che cosa sia successo esattamente, ma una decina di minuti fa Creyna ha ordinato l’evacuazione generale e poco dopo abbiamo perso i contatti. Ho assunto il comando della Flotta e ho ordinato il silenzio radio, perché data la situazione, signore, con la Settima schierata attorno a Wilkaa, lei capisce, se trapelasse qualcosa…

    – Ha fatto benissimo.

    – Grazie signore – rispose Faraniy senza entusiasmo. – Ho detto che è stata indetta una esercitazione a sorpresa, lei mi potrebbe fare il favore di confermare la mia versione, signore. Ho intenzione di far affluire forze dal fronte per le operazioni di salvataggio. Naturalmente, lei capisce, il Comando di Flotta si trovava su ARRAS e ci troviamo in una brutta situazione, qui, in questo momento. Mi sono messo in contatto con la Seconda Flotta che è la più vicina al nostro settore. Ho intenzione di chiedergli di sostituirci al fronte.

    – D’accordo, Faraniy. Ha informato il Comandante Himago?

    – Non ancora, signore, sto aspettando che si metta in contatto, sa, è sabato signore, e il Comandante Himago…

    – Ah, be’, certo.

    – Era in corso una riunione degli ufficiali dello Stato Maggiore, signore, ma a quanto pare sono riusciti a evacuare in tempo. Quindi la catena di comando, perlomeno, non si è interrotta.

    – E tu perché sei al comando? Dov’è Creyna?

    – Un attimo, signore. – Faraniy voltò la testa e disse: – Nave picchetto Transeat? Mi avevano detto che il Comandante non era a bordo della nave di salvataggio, voi mi date conferma?

    Un’altra immagine tridimensionale oscurò per un attimo l’ufficio del Presidente della Federazione. – Affermativo, generale, ehm, Comandante, signore. Il maggiore Rassil che era a brodo ci ha detto di avere visto il Comandante Creyna dirigersi verso il Centro Controllo di ARRAS.

    – Grazie. – Faraniy tornò a voltare la testa verso Laney. – Ha sentito, signore?

    Laney lo fissava con i suoi occhi grigi, il volto inespressivo e immobile. Faraniy sentì che il cuore gli saliva in gola. Oh Creyna, pensò. Oh Dio no, non tu.

    – Vuol dire che Creyna è ancora laggiù, Faraniy? Che è ancora là dentro?

    – Così pare, signore.

    Laney chiuse gli occhi per un istante. Si passò una mano sulla faccia.

    – Pensa di potermi dare conferma che è… che il comandante Hayderad Creyna è morto, Faraniy?

    – Attualmente lo consideriamo disperso. Se ha raggiunto il Centro Controllo, sa, è uno dei rifugi di sicurezza, quello. Potrebbero esserci dei sopravvissuti.

    Laney annuì, senza guardarlo. – Be’… – Sollevò uno sguardo chiaro e desolato su Faraniy. – È estremamente importante per me, generale. Non posso sostituire Creyna. Se è ancora vivo vedete di tirarlo fuori da lì.

    – Sissignore. Certamente, signore. – Faraniy soppresse il desiderio di fare una smorfia.

    – Se è morto, lo devo sapere. Faccia del suo meglio, generale.

    – Si signore. Arrivederci, signore.

    – Arrivederci, Comandante.

    Faraniy voltò la testa e interruppe il contatto. Si lasciò sfuggire un sibilo. Escluse tutti i canali e borbottò nella sua lingua madre – Comandante ’sto cazzo.

    Vedeva di nuovo ARRAS nel suo casco. Ora sembrava immobile, un pezzo di metallo morto su uno sfondo di stelle. – Non lasciarmi nella merda in questo modo – bisbigliò. – Non morirmi così, Creyna.

    Un segnale rosso lampeggiò alla sua sinistra. Faraniy aprì il canale. – Sì?

    Una donna anziana, con i capelli biondo scuro sciolti sulle spalle e un volto pesante, lo stava guardando con la fronte aggrottata.

    – Zai? Sono Himago.

    – Sherom? Ciao, Sherom. Scusa se ti disturbo di sabato, ma abbiamo qualche problema, qui. Avrei bisogno che tu ci sostituissi al fronte.

    – Al fronte? Come, al fronte?

    – A Wilkaa.

    Il Comandante Sherom Himago strinse le labbra. – Zai, credevo che foste voi della Settima a occuparvi delle guerre di conquista della nostra gloriosa patria. – Aveva parlato in tono leggero, ma i suoi occhi erano seri.

    – Sherom, non è il momento. Ho appena perso ARRAS e sono al c…

    Himago non seppe evidentemente resistere al sarcasmo.

    – Sei sempre stato un ragazzo distratto. È previsto anche questo dalla vostra esercitazione? Non sarebbe meglio se Creyna le concordasse con me, queste cose?

    Faraniy, che normalmente a questo punto avrebbe dato in escandescenze, fece un respiro profondo.

    – Sto parlando sul serio. Sono al comando della Flotta, ho appena visto ARRAS disintegrasi sotto i miei occhi, ho bisogno di portare qui la Flotta per cercare di salvare il salvabile. Mi vuoi aiutare o preferisci che chiami Laney e te lo faccia ordinare?

    Himago sollevò le sopracciglia. – D’accordo, Zai. D’accordo. Anche se mi pare che la Prima sia in posizione molto migliore di noi. Vedo che hai preso qualcosa da Creyna, eh? Riconosco il suo stile.

    Faraniy strinse i denti. – Creyna era laggiù. E siccome tu, come me, sai benissimo cosa succederà nel momento in cui lui non ti potrà più proteggere, io personalmente ti consiglio di andartene su Wilkaa il più velocemente possibile… da dove, semmai ce ne fosse bisogno, puoi varcare la frontiera molto più facilmente.

    Sherom rimase zitta per un attimo, poi disse: – Ordinerò alla Flotta di spostarsi. Hai pensato di avvertire il Centro?

    Faraniy trasse un profondo respiro. – No. Aspetto di vedere il cadavere, per quello.

    Creyna sentiva il rumore del suo respiro e un rombo nelle orecchie che poteva solo essere il suo cuore. Tastò la parete. Era proprio una maniglia d’emergenza quella che aveva afferrato, messa lì per quando le griglie di gravità venivano spente per questo o quel motivo. Lui non aveva mai immaginato che ARRAS potesse disgregarsi, potesse perdere il reattore e la cpu, con il personale ancora all’interno. Ma, chi lo sa, forse i suoi costruttori avevano previsto anche quello.

    – Vela? – disse a voce alta.

    Qualcuno – diversi qualcuno – stavano gemendo, e quindi erano ancora vivi. Feriti, forse, ma vivi.

    – Qualcuno mi sente? Siete in grado di rispondere?

    Una voce fievole. – Sì, Comandante.

    – Tu chi sei?

    – Tenente Tedare, signore, sistemi di sostentamento vita.

    – Sei ferito?

    – Solo delle botte signore.

    – Signore! Maggiore Hasna, signore! Credo di avere una gamba rotta.

    – Maggiore Vela, signore.

    Creyna si girò di centottanta gradi. Non ricordava dov’era stato il pavimento. – Vela? Sei tu?

    – Sì, signore. Sto bene, signore. Lei sta bene?

    – C’è qualcun altro?

    – Maggiore Iderian, signore.

    – Caporale Disen. Signore, c’è un ferito qui. Voglio dire, respira ancora, ma non mi risponde.

    Creyna sospirò.

    – Tenente Madraxas, signore.

    – Caporale Deren, signore.

    Silenzio. – Nessun altro?

    Silenzio.

    – Va bene. Ci dovrebbero essere dei dispositivi di emergenza in sala controllo. Vela, pensa di riuscire ad attivarli?

    – Signore? Non riesco a toccare terra, signore. La gravità è scomparsa. Lei ci riesce?

    – Sì. Sono a una maniglia.

    – Ah, allora ci dovrebbe essere uno sportello sulla sinistra della maniglia. Contiene una torcia e forse una cassetta per il pronto soccorso, non ne sono sicuro.

    Creyna tastò nel buio assoluto. Avrebbe preferito che ci fosse Vela, o qualcun altro, al suo posto. La Sala Controllo, nella quale era stato centinaia di volte, al tatto era sorprendentemente sconosciuta. Prima che riuscisse ad aprire lo scompartimento, qualcun altro aveva acceso una torcia. Era solo una luce fievole, ma sembrò illuminare a giorno tutta la stanza. Qualcosa si sciolse nel petto di Creyna, che si rese conto solo in quel momento di quanto disperatamente avesse desiderato la luce. Si guardò intorno. Vela era poco lontano, e sembrava avere abbandonato solo in quel momento una sensata posizione fetale. Creyna tese una mano e lo tirò verso di sé.

    – Vela – cominciò con voce tranquilla. – È un rifugio, questo, vero? Ci devono essere tute a pressione, un generatore autonomo, e qualche mezzo per mettersi in contatto con l’esterno.

    Vela annuì. – Sì, signore. Provvedo subito, signore.

    – E ci devono essere altri superstiti a bordo. Cerchiamo di metterci in contatto.

    Voltò la testa, avvertendo un movimento. Qualcuno si era tolto la giacca dell’uniforme e la stava avvolgendo attorno al volto di un cadavere. – Madraxas – disse a voce alta – si tenga la giacca addosso. Lo coprirà dopo avere indossato la tuta a pressione. – L’uomo sobbalzò e guardò nella sua direzione. Creyna ripensò per un istante lacerante agli anni di guerra della sua infanzia, a Tar Azyl sotto il blocco. – Farà molto freddo qui fra poco, e i vivi hanno la precedenza sui morti.

    Faraniy stava respirando affannosamente. Il casco gli dava sempre un po’ di claustrofobia. Per adesso lo aveva sollevato sopra la testa. In battaglia lo aveva tenuto anche per otto ore di fila. Ma c’era sempre stato anche Creyna allora, presente da qualche parte nell’universo fittizio del casco. Faraniy non aveva mai comandato la Flotta da solo.

    – Tutte le bande – ripeté. – Potrebbero avere una radio o magari un telefono personale, per quanto ne sappiamo noi. Creyna aveva un telefono da campo con sé, credo. In genere se lo porta dietro.

    Ma

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