La ragazza della canzone
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Romance - romanzo breve (74 pagine) - I lunghi capelli neri le arrivavano sino alle spalle. Era alta, bella, gli occhi di un colore indefinito ma meravigliosi. La vedeva girare nel salotto, guardarsi attorno, spaesata e magnifica.
̶ Chi sei? Come hai fatto a entrare?
̶ Entrare? Uscire, vorrai dire.
André e Cinzia, un amore che sembrava eterno. Come tanti.
E, come tanti, è appena giunto al capolinea, talmente in fretta che André non ha avuto nemmeno il tempo di accorgersene.
Rimanere a galla?
Lui conosce un solo modo: il lavoro.
E una canzone che gli è entrata dentro e gli sta donando quell’energia che gli serve per guardare in faccia il domani…
Una canzone che parla di una ragazza, Sophitia, e della sua travagliata storia d’amore.
La storia che tutti desideriamo: amare con tutto il cuore, senza limiti.
Un sogno, e i bei sogni si fanno solo di notte.
Tranne quando vengono interrotti da un gran baccano…
André si ritrova dinanzi una giovane fanciulla.
Non può essere… eppure sembra proprio lei, e dice di chiamarsi Sophitia.
Che fare? Ringraziarla per il sollievo che gli dona ogni giorno?
Convincersi che è un sogno e allontanarla per sempre?
È questo che vuole veramente?
E se fosse la sua ultima occasione, per amare?
Roberto Baldini nasce in un piccolo paese del mantovano qualche decina d’anni fa. Ha scritto di generi diversi, a seconda del periodo: storie spaziali, dell’orrore, d’amore… Poi, un bel giorno, deluso dal finale dell’ennesima storia d’amore che lo aveva coinvolto, ha preso carta e penna (anzi, mouse e tastiera) e ha iniziato a scrivere il suo primo romanzo, Chapter Love. Da allora non si è più fermato: scrive e legge giorno e notte, gettandosi a capofitto in questo mondo, spronato dalle due persone che più ama: sua madre e Grazia, l’amore della sua vita.
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Anteprima del libro
La ragazza della canzone - Roberto Baldini
vita.
1 – I Don't Wanna Stay A Million Miles Away
(Non voglio stare milioni di anni luce lontano)
Una sera come tante. André stava rincasando, a piedi. La sua auto era rimasta parcheggiata fuori dal ristorante. Da più di un anno stavano insieme. Incredibile, e sembravano felici anche quella sera; eppure qualcosa aleggiava nell’aria, qualcosa d’incerto, irrequieto, appena palpabile, ma niente poteva far presagire l’epilogo che ci sarebbe stato.
Avevano parlato pochissimo durante il cocktail di scampi, taciuto sul risotto ai porcini, si erano guardati appena durante il sorbetto e mentre attendevano l’arrosto, Cinzia aveva riaperto la sua bella bocca. André aveva cercato di non ascoltare, se lo era imposto, ma aveva sentito tutto lo stesso, tutto quello che lei aveva da dirgli.
Aveva ragione a non voler sentire, ma nella vita bisogna affrontare i problemi, rifugiarsi nell’oblio non serve a niente. Un minuto e le labbra rosse di Cinzia si serrarono di nuovo.
Toccava a lui, ora, parlare, ma nessuna parola gli uscì dalla bocca; il suo cervello quella sera faceva stranezze.
Lei se ne andò.
Si voltò, un istante e fu fuori dal ristorante e dalla sua vita. Per sempre? Purtroppo sembrava di sì.
Rimase lì ancora un po’, inebetito. Un minuto, dieci minuti, chissà, il tempo, come il suo cuore, si era fermato.
Si alzò, lasciò qualche banconota sul tavolo e uscì nella sera che fresca, frizzante, anche se lui percepiva soltanto un vento artico, tanto freddo che, se avesse avuto dieci cappotti, avrebbe tremato ugualmente.
Si diresse verso la sua auto ma, alla fine, decise di lasciarla dov’era. Troppo nervosismo. Andare a schiantarsi a 230 all’ora contro un albero non era propriamente una bella idea.
Era venerdì, quindi la gente era ancora in giro, a quell’ora. Coppiette felici, come i due ragazzi, forse nemmeno maggiorenni, che si tenevano per mano e si sussurravano parole dolci, guardandosi negli occhi. André pensò che, di lì a poco, sarebbero andati a sbattere contro qualcosa o qualcuno, se non avessero guardato davanti a loro, ma, in cuor suo, sapeva che l’amore stesso li stava guidando, e non avrebbe permesso a niente e nessuno di far loro del male. E li invidiava. Era convinto di avere anche lui quella sorta d’immortalità con Cinzia, invece tutto era finito. Una bolla di sapone, un sussurro e puf, l’invincibilità si era sgretolata, sciolta come neve al sole, e ora doveva soltanto raccoglierne i cocci; ma non ne aveva voglia, perché ogni frammento gli avrebbe ricordato lei, i suoi baci, la prima volta che avevano fatto l’amore, la prima fuga in un week-end felice. Era convinto che l’avrebbe sposata, avrebbero avuto dei figli, non era la solita cotta da liceali, ormai erano grandi, più vicini ai trenta che ai venti, per questo aveva messo tutto se stesso in quella relazione, aveva scommesso ogni cosa su quella partita.
Nel frattempo, chissà da dove, una musica si levò nell’aria. Easter, dei Marillion.
Proveniva da un chiosco in riva al fiume, notò, e quelle dolci note lo rilassarono un attimo, ma il dolore, anche se rallentato, scavava e si faceva largo ugualmente tra le sue viscere. Si fermò. Doveva tornare a prendere l’auto, già, ma dov’era finito? Si guardò intorno.
Incredibile come il corpo si muova velocemente quando la mente è occupata.
Realizzò che ormai era più vicino a casa che al parcheggio. Vabbè, altri due passi, in un quarto d’ora fu davanti alla sua porta, entrò e regolò le luci col dimmer. Basse, molto basse. Guardò il divano, il caminetto, il tappeto dalle setole alte, tutte cose che aveva acquistato con Cinzia: quella doveva essere la loro casa, lei avrebbe dovuto trasferirsi. Avrebbe dovuto tante cose.
Prese il telecomando e accese la tv. Non voleva vedere niente, era solo una vecchia abitudine, quand’era in casa qualcosa doveva andare, fosse la tv o lo stereo poco importava.
Andò in camera a cambiarsi. E ora? Che fare? Guardò il cellulare. Nessuna chiamata. Be’, era presto. Spense la tv. Accese lo stereo. Prese un cd.
Un cantante rock, un certo Hogson. Schitarrava come un pazzo, di solito, ma aveva anche composto una splendida ballad, intitolata semplicemente Sophitia.
Era un pezzo meraviglioso, parlava di un amore struggente tra una ragazza e un ragazzo. Si amavano, si lasciavano, si ritrovavano insieme, ma verso la fine del brano tutto sembrava concludersi al meglio. Sembrava la sua storia, finale a parte.
Quelle furono le ultime parole che pensò prima di addormentarsi.
2 – It's Not Your Fault
(Non è colpa tua)
Mattina. Le otto. André era davanti allo specchio. La schiuma bianca gli lasciava scoperta soltanto la fronte e gli occhi verdi. Le quattro lame stavano svolgendo egregiamente il lavoro per il quale venivano pubblicizzate. Camicia stirata, pantaloni impeccabili, scarpe lucide. Un’altra giornata era iniziata, per l’avvocato.
Era sabato, ma non gliene fregava niente.
Aveva concesso in extremis un appuntamento e il cliente era stato ben felice di pagare l’extra per il giorno prefestivo. Una causa semplice, se la sarebbe cavata in un paio d’ore. Avrebbe fatto del bene al cliente, che avrebbe dormito di nuovo sonni tranquilli dopo settimane, e a se stesso, che avrebbe dedicato due ore a un pensiero diverso da Cinzia.
Verso mezzogiorno tutto era finito. Avevano patteggiato, ora il suo assistito poteva tornare alla vita di tutti i giorni e riprendere quei cinque chili che aveva perso, ma André aveva già finito il suo, diciamo, svago, e il pensiero di Cinzia tornò prepotente. Non gliene fregava niente che fosse ora di pranzo, a quel pensiero, lui pasteggiava felice con la disperazione di André.
Infilò la penna usb e fece partire la canzone prima di mettere in moto. Sophitia.
3 – Sophitia
Dolce pioggia che cade dalle nubi che squarciano il cielo
Una brezza che l’accompagna
Lo zaino in spalla, le botte a casa, quella casa che s’allontana
Un ragazzo la vede, la guarda, tutti i giorni, da mesi
Ma non trova il coraggio di parlarle
Meglio un amore sperato che un rifiuto in faccia
Ma oggi lei si ferma
Lo saluta
Lui sorride, lei ride, parlano, con la giacca di jeans lui la protegge dalla pioggia
Fuggono, si baciano, si amano
Finalmente Sophitia è felice, ha trovato Ian
Ora ha qualcuno che la proteggerà, non tornerà più a casa
Rimarrà per sempre col suo amore
4 – While You Are Sleeping
(Mentre stai dormendo)
S’era addormentato ascoltando la canzone, dopo aver mangiato un piatto di spaghetti in bianco che per metà gli erano rimasti sullo stomaco. Fortunatamente il sonno era arrivato in fretta.
Aveva messo il repeat allo stereo e Sophitia aveva continuato a suonare per lui, lo aveva fatto sognare; avrebbe voluto sognare Cinzia che, almeno nei suoi pensieri, poteva vederla ancora sua, almeno quello. Ma non era successo.
Aveva dormito quasi tutto il giorno, senza sogni.
Un altro suono gli entrò di forza nella testa, un suono semplice, ma sgraziato, gracchiante, sempre la stessa nota ripetuta.
– Arrivo!
Ma il trillo continuava, inesorabile.
– Eccomi.
Aprì la porta e un giovane uomo alto