Il dono della pietà
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Anteprima del libro
Il dono della pietà - Di Paolo Berardino
IL DONO DELLA PIETÀ
BERARDINO DI PAOLO
Atile edizioni
PREFAZIONE
« Coloro che non sono innamorati della bellezza,
della giustizia e della sapienza
sono incapaci di pensiero. »
(Hannah Arendt)
Con stile comunicativo semplice e diretto, Berardino Di Paolo veste di genuinità Il dono della pietà
ed evidenzia come la casualità, vista con l'ottica cristiana del disegno divino, possa portare a realizzare opere di beneficenza e a capire il significato profondo del senso della vita.
C'è nell'opera un sottile passaggio da una visione cristiana del dio che disegna i destini delle persone a quella in cui emerge il rispetto per l'induismo, religione della gente che vive nel villaggio in cui le parti centrale e finale della storia sono ambientate, ma l'ottica religiosa non invade l'intera narrazione, dalla quale emergono tratti socio-antropologici di una certa rilevanza.
Non a caso Krishna è il nome che viene dato al villaggio e questo nome – nomen est omen – sembra rappresentare la metafora (o il presagio) di un amore divino, elevato, di quell'unico amore che fa miracoli. Da qui l'implicito messaggio del nostro scrittore quale invito alla pietà, alla commiserazione. In una parola: alla carità.
Costretto a cambiare vita, il protagonista si ritrova ad affrontare un'esperienza che gli farà maturare un sentito legame affettivo verso un tigrotto e la consapevolezza che l'uccisione di un animale è finalizzata al solo scopo della sopravvivenza degli esseri viventi e non ad altro. Durante la permanenza all'interno di una grotta trova dell'oro, che gli consentirà di contribuire alla costruzione di edifici utili alla collettività in una zona dell'India molto povera. Sono per lui una ricchezza ritrovata la serenità e l'umiltà di vivere la vita nell'amore per il prossimo, che è la bellezza della saggezza.
Buona lettura.
Elena Midolo
È una mattina di aprile. Sono le cinque e fuori è ancora buio. Il trillo della sveglia sul comodino sveglia il dottor Flavio Dorati. Il quarantenne, senza aprire gli occhi, allunga una mano e la spegne, vorrebbe rigirarsi e dormire ancora un po', guarda la moglie che dorme beatamente e poi, a malincuore, si siede sul letto e fra sé e sé: andiamo a iniziare questa giornata!
Mezz’ora dopo è pronto per uscire, con la sua auto sportiva arriva nella sua clinica in dieci minuti, parcheggia. Non prende l'ascensore, per tenersi in forma, saltella sulle scale e saluta le infermiere che incontra nei vari piani. Arrivato al piano, va nel suo studio. Qui indossa il camice, lo stetoscopio, infila il termometro e delle penne nel taschino e si dà una controllatina allo specchio: tutto okay, p osso andare a visitare i miei pazienti . Va prima nell’ufficio della caposala:
– Buongiorno, come stanno i miei pazienti? Come hanno passato la notte?
– Buongiorno, dottore, – risponde la donna – tutto bene tranne il paziente della camera uno, che si è lamentato tutta la notte. Ha dei forti dolori che non lo hanno abbandonato nemmeno per un istante, ormai neanche la morfina gli fa più effetto.
– Allora iniziamo le visite proprio da lui – replica il dottor Flavio e, seguito dalla caposala che si porta appresso il carrello con le cartelle cliniche e i medicinali, va nella camera uno.
Il paziente è vivo grazie a delle macchine che lo sostengono e lo alimentano, non riesce a muoversi da solo e deve essere accudito in ogni sua necessità. I due entrano nella camera e un pietoso spettacolo li commuove: l’uomo, sofferente, madido di sudore e con le lacrime agli occhi, li guarda riuscendo a stento a non gridare per i forti dolori che lo assillano. Il medico sa che non può fare niente per lui e con uno spirito di rassegnazione:
– Buongiorno, come sta il mio paziente oggi?
– Buongiorno, dottore, – risponde l'uomo con un filo di voce – non ce la faccio più, per piacere stacca la spina, fai un atto di bontà, non farmi soffrire più, per amor di Dio.
– Ma non posso farlo, io devo curare le persone e non togliere la vita.
– Dottore, – ribatte il paziente – devo morire comunque. Forse tra un giorno o due… Perché mi fai soffrire così tanto? Abbi pietà di me, stacca la spina!
– Non posso farlo – replica il dottore.
– Sì, lo devi fare, sono io che te lo chiedo, non ce la faccio più a soffrire così tanto – e mentre parla due lacrimoni gli scendono sulle guance, subito l’infermiera gli asciuga il viso – dottore, stacca la spina, – continua l’ammalato – a che serve soffrire così tanto per vivere qualche giorno in più… Ti prego, dottore, stacca la spina – e, mentre parla, geme per i dolori che si manifestano sempre più.
Il dottor Flavio, commosso da tanta sofferenza, in un momento di pietà verso quell’uomo che lo supplica piangendo, stacca la spina che lo tiene in vita. Un attimo di gioia si legge sul viso del paziente che, abbozzando un sorriso, gli sussurra:
– Grazie dottore, Dio te ne renda merito – e con l’ultimo sospiro, come di beatitudine, rende l’anima al cielo.
La caposala guarda il dottore, che ha gli occhi pieni di lacrime, e dice:
– Secondo me hai fatto un atto di grande umanità, non c’era più niente da fare per lui e farlo soffrire inutilmente era solo una cattiveria nei suoi confronti, gli hai evitato molte sofferenze, per me sei stato molto umano.
– Grazie per la tua solidarietà – risponde Flavio – sono contento di averlo fatto, anche se so che non avrei dovuto, ma non ho resistito alle