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L'ultima porta
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E-book163 pagine2 ore

L'ultima porta

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Info su questo ebook

Cosa c’è di meglio che una scampagnata in moto tra amici di vecchia data? Una giornata perfetta, spensierata, allegra, certo, ma che anche porta con sè un epilogo drammatico, che tramuterà quella gioia di poco prima in sguardi impietriti, lacrime amare e domande senza risposte.
Claudio, uno del gruppo, muore infatti a causa di un accadimento impreventivabile, un incidente che gli ruba la vita.
Cosa accade quando terminiamo la nostra parte in questo mondo? Com’è l’aldilà? Ci sono nuovi compiti da svolgere?
L’ultima porta ne dà una propria interpretazione, accompagnandoci in un viaggio fantastico, incredibile, che mescola divertimento e riflessione.
L’ultima porta è un romanzo di formazione, d’avventura e di brillante fantasia, che ci farà maturare e sorridere.

Sono subdoli, ingannevoli, cattivi e soprattutto entrano in qualsiasi buco libero di questa città. Solo la luce ci mette al sicuro e poi tu ormai sei segnato, sentono il tuo odore e ti daranno la caccia tutte le notti. Se per noi anime è importante mettersi al riparo, per te diventa vitale.
Sinossi da inserire.
LinguaItaliano
Data di uscita12 giu 2017
ISBN9788867933143
L'ultima porta

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    Anteprima del libro

    L'ultima porta - Davide Gastaldi

    http://creoebook.blogspot.com

    Davide Gastaldi

    L’ULTIMA

    PORTA

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono fittizi o usati in modo fittizio. Tutti gli episodi, le vicende, i dialoghi di questo libro, sono partoriti dall’immaginazione dell’autore e non vanno riferiti a situazioni reali se non per pura coincidenza.

    IN OGNI MOMENTO

    Claudio aveva ormai lasciato gli uffici dell’azienda per cui lavorava e la sua auto camminava spedita verso casa, verso un week-end che si prospettava davvero incantevole. Nel tragitto le ultime telefonate di rito a un paio di clienti per poi chiudere quella noiosissima settimana. Claudio amava molto il suo lavoro, quello che amava un po’ meno era sicuramente il suo capo, un despota ignorante che si riteneva una mente illuminata. La giornata era trascorsa tranquilla, lenta e noiosa, ma tranquilla e quell’atmosfera, che lui definiva di vita persa, che viveva in ufficio, lo aveva sicuramente fiaccato, ma, intraprendente com’era, gli bastava togliere la sua figura da quel mausoleo e già la vita assumeva una tonalità più rosea. Claudio aveva una splendida famiglia e questo lo aiutava a caricare le batterie dalla sua stressantissima vita lavorativa. Sua moglie Monica lavorava presso un importante istituto finanziario come impiegata nell’area valutazione fidi e le sue giornate erano scandite dalla monotonia quotidiana come quelle di tanti. Non dava molta importanza al lavoro, le carriere delle sue colleghe non la disturbavano minimamente e più di una volta fu lei stessa a respingere educatamente alcune richieste di superiori, quelle che spesso portano a cambiare le poltrone. Amava la vita all’aperto, occuparsi della sua casa e un paio di volte alla settimana prestava servizio come volontaria in una pubblica assistenza, ma dopo il terzo figlio decise di farsi destinare alla centrale operativa, per gestire meglio i turni e riuscire a occuparsi della famiglia numerosa. La figlia più grande si chiamava Laura e aveva compiuto da poco vent’anni. Un bel tipetto tutta lingua e giustificazioni, non a caso aveva finito per studiare giurisprudenza all’università Cattolica, tanto che Claudio, durante le discussioni famigliari, la richiamava spesso:

    Non potevi fare altro che l’avvocato tu. Ricordati che questo non è un tribunale e che non devi sempre sollevare obiezioni; noi siamo i tuoi genitori, non la controparte.

    La seconda, Anna, 17 anni, studiava al liceo di Scienze sociali, molto più riflessiva e disponibile e con una passione sfrenata per la cucina e i programmi dove gli chef massacrano psicologicamente gli aspiranti cuochi.

    Il terzo si chiamava Francesco e aveva 15 anni. Un artista fin dalla tenera età, era sempre impegnato in qualsiasi forma di creazione, montaggio e smontaggio, frequentava il liceo Artistico e, come tale, amava vestire in modo a dir poco strano. Un bel patrimonio, non c’è che dire, ma che famiglia movimentata.

    L’auto giunse davanti al cancelletto della loro casa situata in periferia e quando il motore si spense e la portiera si aprì, Claudio aveva sistematicamente dimenticato il delirio in cui lavorava. Era venerdì nel tardo pomeriggio e di lì a poco si sarebbe trovato a cena con i vecchi amici per i dettagli della gita domenicale in moto. Avevano programmato da tempo quell’uscita e poi, una volta l’impegno improvviso di uno o l’influenza dell’altro, la cosa si era protratta, generando non poche seccature, ma sicuramente aumentando il piacere dell’attesa della vigilia.

    Entrò in casa e con un passo quasi rituale baciò Monica: Tutto bene? Ti ricordi che questa sera sono a cena con i ragazzi?. Mentre lei tentò di articolare una risposta Claudio si era già rivolto ad Anna chinandosi al suo fianco mentre studiava sul tavolo vicino alla cucina: Ciao, stai ancora lavorando duramente? Hai bisogno di aiuto?. No, ho quasi finito…. La voce di Monica fece capolino: Anch’io sono fuori, devo sostituire Barbara in croce e sarò di turno fino a mezzanotte. Ho già organizzato la cena per i ragazzi, che si guarderanno un film tutti insieme.

    E Laura? Avete notizie?, chiese Claudio mentre stava prendendo le scale. Sì, l’ho sentita e sta arrivando; oggi ha avuto lezione anche nel pomeriggio.

    Al piano di sopra si diresse verso la camera di Francesco, da dove proveniva un rumore infernale: mitragliatrici, aerei, bombe; sembrava di essere al fronte. Lo trovò attaccato alla play-station intento a conquistare il mondo; neppure si accorse della porta che si apriva.

    Pronto, pronto, tenente, qui è il quartier generale, come procedono le azioni diversive concordate…. Francesco alzò gli occhi, schiacciò il tasto start per bloccare temporaneamente il conflitto e replicò: Ciao pà, i compiti li ho finiti e poi non sto giocando da molto….

    Ok, ma non esagerare, tra poco sarà qui anche Laura e la cena è quasi pronta. Richiuse la porta e si diresse verso il bagno, doccia ristoratrice e scelta degli abiti più adatti.

    Dedicò alla preparazione quasi un’ora, tanto che quando scese trovò tutti i ragazzi intenti a cenare e Monica era già uscita.

    Ciao Laura, com’è andata oggi? Ma la mamma dov’è?.

    Bene, oggi abbiamo avuto un intervento in assemblea di un magistrato, molto interessante. La mamma è già uscita, non hai sentito quando ti ha salutato?.

    Claudio si rese conto che ormai la sua mente era sintonizzata sulla serata, chiacchierò un po’ con i ragazzi e intorno alle 20.15 uscì di casa.

    Dopo dieci minuti di auto giunse al punto di ritrovo classico, al piazzale dell’ipermercato e là trovò Fabrizio, Stefano e Luigi, arrivati prima di lui. Scese dall’auto e si tuffò in mezzo alla conversazione, tanto, tra di loro, gli argomenti si capivano al volo mentre ci si avvicinava. Erano amici da circa quarant’anni e tra loro esisteva una magia speciale, una sintonia di intenti e visioni che solo i veri amici hanno. Le discussioni erano feroci a volte, ma alla fine nessuno era incazzato. Dopo altri venti minuti arrivò il ritardatario del gruppo, Micio, abbreviazione di Maurizio, statale, pacifico e sempre, inspiegabilmente in ritardo. Tutti a bordo, la macchina partì per il ristorante prenotato da Fabrizio. Questo è uno dei loro posti preferiti, in collina, dove già all’arrivo ti riceve un piazzale con dei vecchi mezzi agricoli parcheggiati. Una grande veranda, preferita da chi fuma, precede l’interno, dove un arredamento misto tra il rustico e lo chalet ti regala l’impressione di essere fuori dai coglioni. La serata trascorse tra rievocazioni, risate e frecciate e infine, davanti a una bottiglia di nocino, s’iniziò a preparare le gita. Ovviamente Micio proponeva il solito itinerario della tirata in val Trebbia e poi ripiegamento classico da Genova per Finale Ligure. Altri si sentivano più a loro agio nel scegliere qualcosa di nuovo, magari verso le Dolomiti o verso la Toscana, ma ovviamente, non avendo cognizione di causa, faticavano a pianificare un itinerario avvincente. Nemmeno Finale era avvincente, ma quanto meno sperimentato e conosciuto. Si optò ancora per quello, tanto l’importante era il gesto, lo stare insieme, il superarsi e aspettarsi e, una volta là, ammirare le ragazze in costume e pigliarsi per il culo reciprocamente. Si fissò per la domenica mattina alle sette e trenta al solito piazzale, del solito ipermercato.

    Domenica mattina le moto arrivarono alla spicciolata al punto d’incontro, tutte meno una; Micio era sempre il solito, patologico, ritardatario. Una volta radunata l’intera brigata, motori rombanti verso Rivergaro, porta d’accesso alla Val Trebbia. Come al solito l’inizio fu da risveglio, velocità mantenuta e sorpasso molto discreto con sorriso, poi, quando la strada cominciò ad arrampicare e le curve a far scaldare il bordo esterno delle gomme, l’approccio divenne un po’ meno soft. Tirate e staccate sui rettilinei e piega estrema per non farsi passare e una volta giunti al barettino di mezza via, pausa caffè e sigaretta. L’aria era fresca ma tendeva rapidamente al tiepido e il paesaggio appenninico di alberi e vedute forzava gli occhi a piccole pause dalla strada; si attraversava una meraviglia paesaggistica senza nemmeno avere il tempo di fermarsi ad ammirarla, perché era lì a portata di mano, in qualsiasi momento potevi tornare a vederla, anche se la volta dopo sarebbe stata come la precedente. Arrivarono a Genova e, costeggiando lo stadio Marassi, presero la direzione di ponente e il mare si mostrò loro come compagno di viaggio. Già, chissà perché quando arrivi e vedi il mare, cominci a sentirti arrivato. Genova, impegnativa, li costrinse a lunghe serpentine nel traffico e numerosi start e stop ai semafori e poi via verso Finale. La giornata trascorse serena in spiaggia, tra bagni, risate e discorsi impegnati, ma la chicca della giornata fu certamente la nuotata fino alla piattaforma davanti alla spiaggia, dove un paio di ragazze prendevano il sole e non disdegnarono la compagnia di tre simpatici burloni che scherzavano con loro e tra loro e infine venne l’ora del ritorno. L’ottima frittura di pesce mangiata a pranzo, tra cameratesche battute e qualche incipit di discorsi seri, ancora dava l’effetto malinconico a quella giornata che volgeva al termine.

    Mi raccomando disse Claudio, cerchiamo di prenderla un po’ più dolce… ci manca solo di stamparsi alla nostra età.

    Già, così c’è da farsi dare del coglione a vita rafforzò Micio.

    Luigi, l’ottimista, incalzò: Anche perché se cadi, non è detto che la racconti, e dopo una generale toccata, tutti in sella e ripartirono. Ovviamente, nonostante la mancanza di luce e la stanchezza della giornata sulle spalle, nessuno si sentì in dovere di rallentare il passo, anzi. Si trovarono ad affrontare l’Appennino a sera inoltrata e la sola luce che vedevano era quella del fanale, dietro le curve il buio, il brivido d’indovinare l’ampiezza della curva e il fanalino davanti da tenere d’occhio per controllare il passo. Giunsero in bassa Val trebbia, a Rivergaro, dove fecero una pausa per fumarsi una sigaretta e per salutarsi, perché qualcuno avrebbe deviato per tornarsene a casa. Claudio, passando le mani sulla gomma davanti, disse: Comunque non si può andare così, il rischio di lasciarci le piume è troppo alto; ragazzi, abbiamo famiglia….

    Gli altri si limitarono ad annuire, a evidenziare l’effettiva esagerazione, ma la volta dopo sarebbe andata ancora allo stesso modo.

    Nel ripartire Claudio affiancò Luigi per dargli alcune indicazioni sulla strada da fare, portandosi verso il centro della strada. Fu in quel momento che sentì un suono di clacson insistente e vide dei fari lampeggiare minacciosamente; un’auto era in sorpasso ed essendo andata lunga non aveva previsto la partenza dei motociclisti. Si sentì un forte stridore di gomme e il clacson che non smetteva di suonare. Luigi fece appena in tempo a stringere verso la destra, mentre Caudio perse momentaneamente la cognizione spazio temporale e mentre stava cercando d’inquadrare ciò che stava succedendo, la parte anteriore dell’auto non rientrò completamente e l’impatto contro la moto di Claudio fu violentissima.

    Gli amici spaventati e sotto shock riuscirono a fermare le moto una decina di metri più avanti, ma il terrore di ciò che poteva essere accaduto li fece avvicinare con estrema lentezza. In realtà la loro mente non aveva ancora elaborato l’accaduto, qualche minuto prima a ridere insieme ed ora l’incubo. L’auto ferma con la parte anteriore seriamente danneggiata, la moto distrutta poco lontana, il buio, e i fanali accesi che fissavano solamente vetri ed una sventagliata di rottami e pezzi di plastica, rendevano quel momento surreale, difficile da comprendere nella sua gravità. L’autista, sceso dall’auto con le mani nei capelli, farneticò qualcosa di poco comprensibile; lo shock era evidentissimo.

    Claudio, a una ventina di metri di distanza si guardava le ginocchia ed i gomiti, poi le mani. Era in piedi, frastornato ma in piedi. Si sentiva la testa ovattata, non riusciva a distinguere bene le figure e gli sembrava che tutto si stesse svolgendo al rallentatore. Intravide vagamente i suoi amici che si mettevano le mani in faccia e nei capelli, ma faticava a sentire le voci. Si sforzava di gridare loro di essere in piedi e intero, ma faceva fatica a parlare, era quasi afono. Attribuì all’urto violento quello strano stato confusionale, ma forse non si rendeva conto di far parte di quell’evento, e più il tempo passava, più non

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