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L'occhio e la spada
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L'occhio e la spada
E-book275 pagine3 ore

L'occhio e la spada

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Info su questo ebook

Zei ed Arlei sono amici dalla più tenera età.
Riflessivo uno, più passionale l’altro, nessuno dei due avrebbe immaginato di dover lasciare le Terre Verdi. Ma i soldati del re elimineranno tutti i loro affetti, costringendoli alla fuga. Inizia così un duro viaggio, una folle caccia che li trascinerà in un vortice di dolore, speranza e vendetta. Ma avranno bisogno di aiuto, perché il nemico è più forte di loro. Lui impugna un Dono degli Dei. 
 
LinguaItaliano
Data di uscita21 giu 2017
ISBN9788898585571
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    Anteprima del libro

    L'occhio e la spada - Marco Dollera

    sorridere.

    Capitolo secondo

    Athalan

    I primi raggi del sole filtrarono in camera, disegnando lunghe ombre sulle pareti.

    Il ragazzo si agitò sotto le lenzuola. Si tirò la coperta sul volto e provò a riaddormentarsi, ma in lontananza un gallo si mise a cantare e lui provò il desiderio di tirargli il collo. Gli occhi castani, ancora pesti per il sonno, osservarono la finestra. Si alzò per chiuderla, ma inciampò contro qualcosa e cadde in avanti atterrando su una nuvola di coperte, dalla quale si alzò un lungo gemito.

    Tra le lenzuola apparve una massa di capelli neri. Per tutti gli Dei, cosa ti prende Zei?

    Scusa Arlei Zei si rimise in piedi. Il tuo letto è sempre stato qui? chiese, stropicciandosi gli occhi.

    E dove altro dovrebbe essere? replicò Arlei, sbadigliando. Che ore sono?

    Zei spalancò la finestra, abbandonando ogni speranza di tornare a dormire. È mattina inoltrata.

    La fresca brezza mattutina gli soffiò sulla pelle abbronzata, spettinandogli i capelli. Adorava ammirare il panorama da lì. Dietro i tetti del villaggio di Athalan si vedeva il mare di Sedoran, e Zei amava il mare, a volte passava ore a fissarlo. Forse era per il senso di libertà che riusciva a trasmettergli, o forse gli ricordava sua madre, che quando era bambino lo portava sulla spiaggia e con i suoi splendidi occhi azzurri lo guardava giocare per ore.

    Si voltò, e trovò la stanza vuota. L’odore di cibo gli suggerì dove fosse finito Arlei. Con l’acquolina in bocca, scese le scale e trovò l’amico in cucina che stava già mangiando.

    Marion, la madre di Arlei, entrò da una porta che si affacciava sul giardino.

    Buongiorno Zei disse, inclinando la testa per allontanare una ciocca di capelli dal viso.

    Buongiorno signora Marion rispose lui, ammirando quel sorriso familiare che riceveva ogni mattina da almeno dieci anni. Non poteva dimenticare di essere orfano, ma Marion e Arlei riuscivano ogni giorno a rendere quello stato meno pesante.

    Fecero colazione insieme, come una famiglia, poi Arlei aiutò la madre a sparecchiare e Zei tornò in stanza a riordinare. Le lenzuola erano finite sul pavimento quando si era alzato. Si chinò per raccoglierle, quando un luccichio attirò la sua attenzione. Si avvicinò e afferrò una collana, da cui pendeva una pietra rossa, grande non più di un’oliva. Riconobbe il ciondolo donatogli da sua madre quando era piccolo, e la mano andò a tastare sul petto il punto in cui avrebbe dovuto trovarsi. Doveva essergli scappata quando era inciampato su Arlei.

    Mentre la legava al collo, si ritrovò a pensare al giorno in cui la ricevette; sua madre gli disse che era un oggetto cui il padre teneva molto e che gliene aveva fatto dono una volta tornato dalla guerra. Ricordava bene quel giorno, perché erano rare le occasioni in cui avevano parlato di suo padre. Zei non lo aveva mai conosciuto. Era stato richiamato prima che lui nascesse, e non aveva fatto ritorno. Sua madre gli raccontò del loro primo incontro, e di come era rimasta affascinata da quell’uomo dai capelli neri. Era un capitano dell’esercito reale sposato con un’altra donna, ma il loro fu un vero e proprio colpo di fulmine.

    Un rumore riportò Zei con i piedi per terra. Si affacciò alla finestra e vide Arlei che accettava ceppi per il camino, mentre Marion al suo fianco sistemava i pezzi in un’ordinata catasta. Non era raro vedere Arlei svolgere i lavori di casa. Anche lui era orfano di padre, e la realtà era che lui e Zei erano più simili di quanto potesse sembrare. Anche il padre di Arlei era un soldato, ed anche lui non aveva fatto ritorno a casa. La differenza era che Arlei, più vecchio di un paio d’anni, era riuscito a conoscere il genitore, ma probabilmente non ne conservava alcun ricordo, o comunque non ne parlava mai. La sua ragione per stare al mondo era Marion. Poteva leggerglielo in faccia ogni volta che l’amico faceva qualcosa per risparmiare alla madre la fatica di farlo da sola.

    Anche Zei cercava di fare il possibile. Arlei si era sempre comportato come un fratello nei suoi confronti. Non c’era mai stata una sola occasione in cui non si fosse schierato al suo fianco, che si fosse trattato di gioco, discussione o rissa.

    Terminò di sistemare la stanza, poi raggiunse l’amico. Finite le faccende e salutata Marion, i due si incamminarono diretti al paese. Presero un sentiero che scendeva lungo il fianco della collina, e dopo una decina di minuti giunsero al mercato di Athalan.

    Ai bordi della strada, i mercanti esibivano la loro merce. C’erano bancarelle coperte da abiti di seta e lino, attrezzi da lavoro e calzature. Un uomo offriva frutta e verdura in mezzo alla strada, affiancato da un pescatore che puzzava quasi quanto il proprio pesce. Un ragazzino che si offriva di lustrare gli stivali dei passanti per qualche spicciolo si avvicinò con aria speranzosa, aveva il volto talmente coperto di fuliggine che era difficile indovinare quanti anni avesse. A Zei dispiacque non poterlo accontentare. Il ragazzino si allontanò avvilito e si sedette di fianco a una donna anziana che, nascosta dietro una grossa palla di cristallo, era disposta a leggere il futuro di qualche sciocco.

    Athalan non era un paese grande, ma era l’unica alternativa ai campi e alle fattorie che quella zona offrisse.

    Poco oltre il mercato, la caserma della guardia cittadina sembrava abbandonata. Un soldato sonnecchiava appoggiato ai rampicanti che infestavano i muri dell’edificio. Per quanto potesse ricordare, Zei non aveva mai visto molta attività nella caserma. Athalan era un paese tranquillo, e tutti avevano di meglio da fare che mettersi nei guai.

    Lungo la strada lastricata c’erano i negozi degli abitanti e anche diverse locande, ma a quell’ora del mattino non c’era mai nessuno ed erano tutte avvolte da un silenzio spettrale.

    Zei seguì l’amico lungo la via, osservando quel paese che conosceva come le proprie tasche. I negozi erano sempre gli stessi, com’erano le stesse le facce sorridenti che li salutavano. In un paio di occasioni Arlei fu costretto a fermarsi per scambiare due parole di cortesia con alcuni conoscenti, anche se la maggior parte delle volte cercava di congedarsi con un semplice saluto.

    Da quelle parti, era facile notare quando qualcosa rompeva la monotonia. Il fabbro aveva assunto un nuovo aiutante, un giovane di nome Bill che aveva all’incirca l’età di Zei. Zei conosceva quel ragazzo, il tipico elemento tutto muscoli e niente cervello. Avevano fatto a pugni in diverse occasioni, e ogni volta se l’era cavata solamente grazie all’intervento di Arlei.

    A fianco della sua bottega c’era una sartoria, e la ragazza bionda che lavorava lì non mancava mai di lanciare qualche sguardo verso la fucina. Zei conosceva anche lei, e sapeva bene che da anni aveva una cotta per Bill. Gli sfuggì un sorriso; il ragazzo fino allora non si era accorto di nulla.

    Un paio di ragazzini uscirono di corsa da un vicolo. Il primo teneva in braccio una manciata di mele, mentre il secondo rideva di gusto. Alle loro spalle spuntò un vecchio armato di scopa. Li inseguì per pochi metri, prima di arrendersi e tornare bofonchiando sui propri passi.

    Divertito, Zei quasi perse di vista Arlei. Lo raggiunse mentre entrava in un locale talmente piccolo che quasi scompariva tra una bottega e l’altra. Era la vecchia officina di un armaiolo, adattata alla bell’è meglio alle esigenze di un piccolo paese di contadini.

    Il proprietario li accolse con un sorriso. Il giovane Dragon e il suo amico, che piacere rivedervi disse, pulendosi le mani in un grembiule talmente sporco che Zei si chiese se così non le avrebbe sporcate ancora di più. Era un uomo di mezza età, robusto, con lunghi capelli neri raccolti e una folta barba.

    Sei venuto a ritirare la tua arma, vero? disse rivolto ad Arlei. Scomparve nel retrobottega, e quando tornò impugnava una lancia nuova di zecca. La ricontrollò qualche istante prima di porgerla ad Arlei.

    Anche per me è un piacere rivederti rispose il ragazzo. Impugnò la lancia e ne valutò l’allineamento tra punta e asta. È perfetta.

    Zei incrociò le braccia, e guardò l’amico destreggiarsi con la nuova arma.

    Non mi sono dimenticato come si fabbricano le armi il fabbro gonfiò il petto. Anche se ormai produco solo ferri di cavallo e zappe. Mi ricordi proprio tuo padre con quella lancia in mano il suo tono divenne nostalgico. Quanti anni hai ora? Diciotto?

    Venti. Il diciottenne è Zei lo corresse Arlei, indicando l’amico.

    Già, venti proseguì lui, perso nei propri pensieri. Pochi più di lui quando venne qua la prima volta, tanti anni fa. A quei tempi era mio padre a occuparsi della bottega e io mi limitavo a dare una mano. Al giorno d’oggi a nessuno interessa più possedere un’arma, tutti pensano solo a coltivare i campi. Vanghe e rastrelli, ecco cosa mi chiedono. Ma un’arma può sempre tornare utile, anche a un contadino disse, rivolto più a se stesso che ai ragazzi.

    Anche loro la pensavano allo stesso modo, e lo dimostrava il fatto che almeno un paio di volte a settimana, per anni, si erano recati lì per imparare le basi del combattimento. Anche se fino a quel giorno lo scontro più cruento di cui potevano vantarsi era stata una scazzottata per un cesto di funghi.

    Arlei pagò l’armaiolo. Poi fece l’occhiolino a Zei.

    Potremmo andare nella foresta a fare un po’ di pratica. Ci sono un sacco di cinghiali in questo periodo.

    Mi sembra una pessima idea, lo sgridò Zei. Abbiamo ancora diverse cose da fare, senza considerare che andare a caccia da soli è una scemenza.

    Nonostante Arlei fosse più vecchio, Zei a volte doveva tenerlo al guinzaglio come un bambino. Se non ci fosse stato lui a controllarlo, si sarebbe messo nei guai un giorno sì e l’altro pure.

    Uscirono dalla bottega, ma si bloccarono subito, come paralizzati. Zei si guardò intorno: nell’aria sentiva qualcosa di diverso. L’atmosfera calma e allegra che c’era prima era svanita. Cos’era successo? C’era qualcosa di strano e poteva sentirlo. Poteva fiutarlo: un forte odore di bruciato impregnava l’aria. Sopra di loro, una nube di fumo si allungava nel cielo. Ne cercò la fonte, e quando la trovò, fissò l’amico a occhi sbarrati, ma Arlei aveva già cominciato a correre.

    Zei lo seguì senza esitare, negli occhi il riflesso delle fiamme: il fuoco veniva da casa.

    Capitolo terzo

    L’incendio

    Il sentiero nel bosco che aveva attraversato tante volte era diventato estraneo. La schiena di Arlei si faceva sempre più piccola, mentre l’amico guadagnava terreno.

    Zei si fermò, era senza fiato. Si piegò ansimando, le mani sulle ginocchia. Era a metà strada tra il paese e casa. Prese fiato e ripartì. La nube nera cresceva sopra di lui, l’odore di fumo si faceva più intenso. Quando fu vicino, sentì sulla pelle il calore delle fiamme. Ancora pochi metri e sarebbe arrivato.

    Si bloccò di colpo. La casa era avvolta dall’incendio. Lingue di fuoco saettavano come serpenti e si intrecciavano nell’aria. Le finestre eruttavano fiamme e fumo, la cenere cadeva dal cielo come pioggia.

    Per tutti gli Dei… esclamò Zei.

    Arlei era carponi, davanti all’immensa pira. Zei si avvicinò, incapace di staccare gli occhi dalla casa. Nonostante il calore gli bruciasse la pelle, tremava.

    Appoggiò una mano sulla spalla di Arlei. La maglia era impregnata di sudore, il petto vibrava a ogni respiro.

    Il ragazzo si alzò, passandosi una manica sulla fronte. Quando si voltò, Zei lesse nei suoi occhi lo stesso pensiero che tormentava lui: Marion. Voleva dirgli che non c’era niente che potessero fare, che erano arrivati tardi, ma le parole non gli uscirono di gola.

    Lo afferrò per un braccio, ma Arlei si liberò dalla stretta e si catapultò contrò la porta dell’abitazione. Il legno, indebolito dal calore, si schiantò, e lui sparì tra le fiamme.

    Arlei! urlò Zei, correndo dietro l’amico.

    Una fiammata divampò attraverso la porta distrutta, l’ondata di calore lo travolse. Si bloccò, proteggendosi il volto con il braccio. Non sapeva nemmeno se Marion fosse in casa, entrare era una follia, ma non poté fare altro che seguire l’amico. Non poteva lasciarlo da solo, non se lo sarebbe mai perdonato.

    Si lanciò attraverso le fiamme, proteggendo la testa con le braccia. La pelle ardeva sotto i vestiti, gli occhi lacrimavano al punto che era quasi impossibile tenerli aperti. Si chinò tossendo, in cerca di ossigeno. L’aria gli bruciava i polmoni. Fece qualche passo, ma il soffitto cedette e Zei dovette scattare in avanti per non essere travolto dalle macerie. Sopra la sua testa, il fumo invase lo squarcio uscendo all’esterno. Zei si diresse verso la cucina, ma una trave sopra la sua testa si spezzò crollando davanti alla porta. Una vampata di calore lo spinse all’indietro. Era bloccato. La scala che portava alle stanze era sfondata e il fuoco divorava i pochi gradini rimasti. Gli armadi sulle pareti crollarono in cenere abbattendosi a terra in un esplosione di scintille. La legnaia di fianco il camino non esisteva più.

    Zei cadde in ginocchio. Il fumo lo fece tossire. Non c’era alcuna via d’uscita.

    La legnaia! Zei si sollevò, dando fondo a tutte le energie che aveva. Ringraziò gli Dei. L’accetta era lì, appoggiata alle pietre del camino. La afferrò, ma il manico gli si sgretolò fra le mani, ustionandogli i palmi. Strinse i denti per il dolore e impugnò il poco legno che rimaneva. Una lingua di fuoco gli ruggì in faccia come una frusta. Il dolore lo fece lacrimare, ma si costrinse a resistere. Si fece strada verso la cucina tra le macerie con tutta la forza che aveva. A ogni colpo che sferrava, una nuvola di cenere e brace gli sferzava il viso. Le mani facevano così male che avrebbe voluto tagliarsele. Stava quasi per arrendersi quando uno spiraglio si aprì tra le fiamme. Sfondò ciò che restava dei detriti con un calcio ed entrò in cucina.

    Ormai la vista l’aveva abbandonato. Annaspava, intorno a sé vedeva solo lampi di luce sfocati. Distinse una sagoma scura chinata a terra. Si accucciò a fianco ad Arlei, fissando il corpo immobile che il ragazzo stringeva tra le braccia.

    Zei rimase qualche secondo senza parole, come se tutti i pensieri in testa fossero scomparsi. Ma l’incendio era ancora lì.

    Afferrò Arlei per le spalle, scrollandolo vigorosamente. Se non ce ne andiamo subito moriremo! urlò, ma l’amico sembrava aver perso la capacità di intendere.

    Maledizione! imprecò Zei.

    Afferrò le spalle dell’altro e lo sollevò di peso, combattendo contro la sua volontà.

    Scusami, Arlei, ma non ci sono alternative. Coraggio e si lanciò contro la porta che dava sul giardino. I cardini si spaccarono e l’aria gli soffiò sul volto. Fece un respiro profondo, e sentì l’ossigeno tornare nei polmoni. Trascinò Arlei per qualche metro, non aveva bisogno di guardare l’amico per sentire il suo dolore.

    Fissò l’abitazione mentre collassava. Le mani gli bruciavano, la vista era appannata. I polmoni faticavano a prendere aria. Ma tutto questo era niente. Incapace di controllarsi, iniziò a singhiozzare.

    Capitolo quarto

    Un passo indietro

    La porta si aprì cigolando. La donna liberò i capelli dallo scialle che le avvolgeva le spalle e si incamminò verso il cancello. In cielo non c’era una nuvola e la rugiada tingeva d’argento il prato, riflettendo la luce della luna e delle stelle. Raggiunse il cancello, fece scattare il chiavistello e tornò all’abitazione. Diede un ultimo sguardo al cielo, e la luna le restituì il saluto, illuminandole gli occhi. Con un sospiro entrò in casa, chiudendosi la porta alle spalle.

    Gli occhi verdi del ragazzo seguirono ogni suo movimento. Le orecchie tese a cogliere anche il minimo rumore, i muscoli pronti a scattare. Le mani si strinsero attorno al ramo che lo sosteneva. Inspirò profondamente, sentendo l’aria scorrergli nelle narici. Una leggera brezza scosse il silenzio. Uno scricchiolio, niente più di un ramoscello spezzato, gli fece drizzare le orecchie. Rimase immobile, celato dall’ombra delle foglie sotto le quali era appostato, teso al punto di sentire il battito del suo cuore.

    Tra i cespugli sotto di lui, un’ombra si mosse.

    Il ragazzo si sfregò le mani con un ghigno. Atterrò alle spalle della sua vittima, silenzioso come una faina. I muscoli scattarono e con un balzo gli fu addosso, la mano destra fulminea a coprirgli la bocca, la sinistra a torcergli il braccio dietro la schiena.

    Ridendo, allentò la presa.

    Non ci trovo niente di divertente, Davi si lamentò il nuovo venuto, massaggiandosi il polso.

    Davi squadrò il compagno dalla testa ai piedi. Sei silenzioso come un cinghiale, Wolly.

    Non dimenticare che è il mio primo colpo si giustificò il ragazzo.

    Davi gli affondò l’indice nella pancia. È quello che dirai se ci prenderanno? commentò. Comunque, sei proprio sicuro che ne valga la pena? disse. Ho spiato la padrona di casa tutto il giorno, e non mi sembra affatto ricca.

    L’ho vista con i miei occhi comprare una collana d’oro giusto ieri.

    D’accordo Davi si sfregò di nuovo le mani. Allora questo è il piano: tutto quello che troveremo in più, lo spartiamo, ma la collana è mia.

    Ehi. Non erano questi gli accordi si lamentò Wolly. Stai cercando di fregarmi, mi avevano avvertito che…

    Davi gli tappò la bocca con la mano. Le mie condizioni sono queste. Se non ti va bene, puoi tornartene da dove sei venuto.

    Wolly annuì, ma con aria risentita.

    Davi fece un cenno al compagno e si mossero. Girarono intorno all’abitazione, senza lasciare il riparo degli alberi. Diede un’ultima occhiata in giro e scattò. Raggiunse la parete e si acquattò, nascosto nell’ombra. Fece un cenno e Wolly lo raggiunse.

    Davi esaminò le persiane chiuse. Fece scorrere la mano sul profilo irregolare del legno. Era solido, per scassinarlo ci sarebbe voluta tanta fatica e tanto rumore. Guardò Wolly e si portò il dito indice davanti le labbra. Girò intorno all’abitazione, e trovò sull’altro lato quello che cercava. Al piano superiore una finestra era rimasta aperta per fare entrare un po’ della brezza estiva. Fece mettere Wolly spalle al muro, le mani intrecciate l’una nell’altra. Mise un piede sui suoi palmi, poi l’altro sulla spalla e con una spinta raggiunse il ballatoio. Si issò e sbirciò all’interno. Il corridoio che aveva davanti era deserto, le porte tutte serrate.

    Fece cenno al compagno di tornare sul retro e scivolò all’interno. Attese che gli occhi si abituassero all’oscurità e con passo felpato scese al piano terra. Arrivato alla sala, fece scattare il chiavistello della finestra e aiutò l’amico a entrare. Di solito preferiva lavorare da solo, ma questa volta aveva voluto fare un’eccezione. Wolly gli aveva fornito le informazioni per il colpo e aveva insistito per partecipare, e Davi aveva finto di esserne contrariato, anche se il suo piano era stato fin dal principio portarsi dietro quel panzone per usarlo come vittima sacrificale se le cose si fossero messe male.

    Davi si guardò intorno. Gli scaffali alle pareti, il focolare, un divano. A occhio, non c’era nulla che valesse la pena di essere rubato. Provò ad aprire qualche cassetto, ma senza alcun risultato. Se le due donne di cui Wolly gli aveva parlato erano benestanti come diceva, i valori non erano lì.

    Alle sue spalle, Wolly sbuffava. Davi ricordava il giorno del suo primo colpo. Si trovava con suo padre ed era tutto meno che calmo. Ogni passo che faceva gli sembrava producesse un fracasso bestiale, e si rifiutava di toccare qualsiasi cosa per paura di combinare qualche guaio. Ricordava ancora come gli sudavano le mani, e come si era sentito sollevato una volta uscito. Oramai quelle sensazioni erano solo un lontano ricordo. Aveva perso il conto dei colpi fatti.

    Si voltò verso il compagno, cercò di tranquillizzarlo e gli fece segno di seguirlo. Prese le

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