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Il cuore del male (eLit): eLit
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E-book343 pagine4 ore

Il cuore del male (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Krewe of Hunters 2

Per non turbare la rievocazione storica che come ogni anno si tiene nella tenuta di famiglia, Ashley Donegal decide di ignorare i sogni spaventosi che la perseguitano e di non farne parola con nessuno. Quando però il cadavere di una delle comparse viene trovato appeso alla statua di un angelo nel cimitero non può fare a meno di notare che quella morte, molto simile a quella del patriarca dei Donegal, sembra uscita da uno dei suoi incubi. Convinta che per far luce sull'inquietante vicenda sia necessario qualcosa di più di un normale criminologo, Ashley si rivolge all'ex fidanzato, Jake Mallory, e alla sua squadra di investigatori del paranormale. A poco a poco, la vicinanza forzata riporta alla luce la passione e i sentimenti di un tempo. Ma il male che devono affrontare ha radici profonde, e per ricacciarlo nella tomba da cui è venuto Ashley e Jake sono costretti a rischiare il tutto per tutto. Compresa la vita.
LinguaItaliano
Data di uscita1 feb 2019
ISBN9788858997864
Il cuore del male (eLit): eLit
Autore

Heather Graham

New York Times and USA Today bestselling author Heather Graham has written more than a hundred novels. She's a winner of the RWA's Lifetime Achievement Award, and the Thriller Writers' Silver Bullet. She is an active member of International Thriller Writers and Mystery Writers of America. For more information, check out her websites: TheOriginalHeatherGraham.com, eHeatherGraham.com, and HeatherGraham.tv. You can also find Heather on Facebook.

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    Anteprima del libro

    Il cuore del male (eLit) - Heather Graham

    Immagine di copertina:

    Erstudiostok / iStock / Getty Images Plus

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Heart of Evil

    Mira Books

    © 2011 Heather Graham Pozzessere

    Traduzione di Francesca Sassi

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5899-786-4

    Prologo

    Sangue.

    Riusciva a vederlo, a percepirne l’odore.

    A sentirlo.

    Plic... Plic... Plic...

    L’aria era satura di polvere nera che, mischiata al colore brillante del sangue, pareva formare un velo, una nebbiolina leggera e avvolgente, un tanfo grigio venato di cremisi. Il giorno si spegneva tingendosi di rosso, dello stesso colore del sangue che gocciolava a terra col suo terribile, caratteristico rumore. Plic... Plic... Plic...

    Ashley Donegal era lì. Non sapeva neanche bene dove, ma sapeva che non voleva stare .

    Un’improvvisa folata di vento fece turbinare la nebbia, che pian piano si posò a terra. Quando lei l’attraversò, la coltre si aprì, consentendole di guardarsi intorno. E allora capì. Era nel cimitero. Ci giocava spesso da bambina – sempre col dovuto rispetto, ovvio. Il nonno non gliel’avrebbe mai permesso, altrimenti. Le tombe apparivano raffinate, costruite con tanto amore, ma anche con un occhio alla priorità del momento. Quel luogo era opera dei migliori artigiani e artisti sulla piazza, ed era bellissimo. Schiere di angeli e arcangeli ornavano i vari sepolcri, e non mancavano santi, croci e cherubini alati. Ashley non ne aveva mai avuto paura.

    Ma ora...

    Udì delle grida in lontananza. Soldati. Ridicolo. Erano solo uomini adulti che giocavano alla guerra. Eppure erano bravi a fingere. Forse sarebbe riuscita a rientrare per tempo. La polvere proveniva dall’obice e dai fucili Enfield, si disse. Dalle urla sembrava fossero già entrati tutti nella parte, dalla strada lungo il fiume si sarebbero riversati fino alle dépendance e alle scuderie, per poi giungere allo scontro finale sul prato e nel cimitero. Il sangue finto sarebbe sgorgato dalle sacche nascoste sotto le uniformi, ma quello invece...

    Era sangue vero. Lo capiva dall’odore, perché sì, maledizione, lei lo sentiva, quell’odore così particolare. Non c’era nient’altro al mondo che puzzasse così.

    Guardò a terra e vide la pozza rossa allargarsi sempre più, ma tremava all’idea di alzare gli occhi. Se l’avesse fatto, avrebbe visto un morto.

    Alla fine, però, trovò il coraggio. Ed eccolo lì. Aveva il viso mezzo coperto da un cappello, ma riuscì comunque a vederlo.

    Era un uomo nel fiore degli anni, bello, dai tratti scolpiti e l’aria risoluta. Gli occhi, però, tradivano una profonda stanchezza.

    Stanchezza e morte. Anche se in realtà quella scena era solo finzione; quel passato di lotte era un ricordo lontano...

    Lei non fiatò. Lui neppure. D’un tratto il giovane si fece scuro in volto e la sua pelle prese a decomporsi, scrostandosi sotto gli occhi atterriti di Ashley. Ben presto la ragazza si ritrovò davanti le orbite vuote di un teschio.

    Cominciò a urlare.

    Sentì che qualcuno la chiamava, forte, tanto da coprire i suoi strilli. Qualcuno gridava il suo nome. Era una voce profonda, intensa e virile, una voce che lei conosceva bene...

    Jake!

    Lui l’avrebbe aiutata... Sì, di sicuro l’avrebbe aiutata.

    Eppure non riusciva a smettere di fissare la maschera scheletrica che aveva di fronte.

    Di sentire l’odore di sangue.

    E di urlare.

    Un rumore insolito la svegliò nel cuore della notte. Ashley si alzò a sedere di scatto e si rese conto che era lei a gridare. Si coprì subito la bocca con la mano, imbarazzata, sperando di non avere svegliato tutta la casa. Restò in attesa: silenzio assoluto.

    Patetico. Terribilmente patetico. Doveva essere stata davvero in preda alla disperazione per strillare in quel modo.

    Cielo, che incubo tremendo.

    E lei non aveva mai incubi. Era la persona più concreta che conoscesse; accidenti, era cresciuta accanto a una palude zeppa di alligatori e serpenti acquatici, e ai tempi dell’università aveva vissuto in un quartiere difficile di New York, a due passi da Chinatown. Sapeva tutto dei veri mostri, i fantasmi non erano altro che un’invenzione per abbindolare i turisti.

    Però...

    S’abbandonò di nuovo sul cuscino, mugugnando, poi gettò un’occhiata alla sveglia. Aveva bisogno di dormire. Mancava solo una settimana al più importante evento annuale della tenuta dei Donegal: la rievocazione storica della battaglia che era costata la vita al loro celebre antenato.

    Ah, già, ecco cos’aveva sognato: la battaglia... o forse la sua rievocazione?

    Ora è tutto chiaro, pensò sorridendo. Aveva sognato quei fatti accaduti secoli prima perché si stavano preparando a quell’appuntamento.

    Nelle terre dei Donegal la storia era sempre viva. La casa padronale era arredata con mobili antichi, la maggior parte dei quali di proprietà della famiglia da sempre. La soffitta conteneva più manufatti dell’epoca della Guerra Civile di numerosissimi musei, comprese lettere, set da campo, zaini, pistole, fucili e baionette. Eppure la rievocazione restava sempre il clou.

    La organizzavano da prima ancora che Ashley nascesse, ormai. Ed era diventata un appuntamento fisso. Tuttavia suscitava ancora un sacco di fermento e confusione, in aggiunta al gran daffare che precedeva l’evento vero e proprio, compreso il disbrigo di una montagna di documenti sulla sua scrivania riguardanti la Tenda del vivandiere, il negozio temporaneo che vendeva abiti, rarità e altre attrezzature d’antan, come armi e oggetti d’antiquariato. Il che voleva dire un sacco di registrazioni e tasse. Poi c’era bisogno di un’assicurazione per l’intera giornata, di agenti di polizia per dirigere il traffico e via dicendo.

    Ecco tutto. Aveva solo un mucchio di cose per la testa.

    E la rievocazione le ricordava sempre Jake. Lui non aveva mai interpretato il ruolo del soldato, né nordista né sudista. Ma si era travestito e aveva suonato con la chitarra alcune musiche dell’epoca, a volte accompagnato da Ashley stessa. Ed era sempre stato capace di far rivivere il passato, di rendere tutto perfetto, con la luce della verità.

    S’infilò di nuovo sotto le coperte, decisa a dimenticare sia l’ansia sia Jake.

    Non era così semplice, anche se lui non faceva più parte della sua vita da molto tempo ormai.

    Alla fine Ashley iniziò a lasciarsi andare. Si sentiva rilassata; adorava il suo letto e la sua stanza, anche se, tolti gli anni del college, vi aveva trascorso tutta la sua vita. Le piaceva conoscere posti e persone nuove, ma amava anche essere a casa.

    All’improvviso le parve di sentire un leggero tocco; un non so che di lieve e delicato che le lisciava i capelli, le carezzava la guancia.

    Si sedette. Il chiaro di luna illuminava la camera, dove a parte lei non c’era nessun altro; con tutti quegli ospiti in giro, aveva chiuso a chiave la porta. Guardò il cuscino e concluse che a sfiorarle il viso doveva essere stato il bordo della federa.

    Nel mentre, le cadde l’occhio sul cassettone.

    C’era qualcosa di diverso dal solito. Lo esaminò un istante, chiedendosi di cosa si trattasse.

    Poi capì.

    In cima a quel mobile conservava una fotografia dei suoi genitori. Risaliva a quasi vent’anni prima e li ritraeva tutti insieme; lei, che a quei tempi aveva cinque anni, stava proprio al centro. Si trattava di una stampa color seppia, uno scatto realizzato nel corso di una vecchia rievocazione durante la quale uno degli ospiti aveva escogitato un buon modo per far soldi interpretando Matthew Brady, il celebre fotografo della Guerra Civile. Per tutto il giorno l’uomo aveva risposto a domande storiche sull’arte e il ruolo della fotografia durante il conflitto.

    Com’era d’uso ai tempi, nessuno dei tre soggetti sorrideva, ma quella fotografia esercitava ancora un fascino sorprendente. Negli occhi di suo padre si scorgeva una luce, sulle labbra di sua madre un accenno di arricciatura. Lui la cingeva col braccio e le posava dolcemente la mano sulla spalla. Ashley era stretta in mezzo a loro e, nei suoi ricordi, quella era sempre stata un’immagine piena di amore. E dopo la morte dei genitori si era trasformata in un tesoro ancor più prezioso.

    Di solito la cornice era leggermente angolata in direzione del letto.

    Ora, invece, era girata dall’altro lato come se qualcuno l’avesse osservata da una prospettiva diversa. Era solo una piccolezza, ma...

    Forse qualcuno era entrato nella sua camera. Normalmente, era Cliff che si occupava di gestire la proprietà terriera, mentre lei era addetta alle incombenze domestiche, ma quando avevano ospiti nella casa padronale, ricorrevano a dipendenti extra. Nelle ultime settimane non avevano alloggiato nessuno, ma di norma la casa era aperta e al nonno piaceva accompagnare i turisti nelle loro visite. A seconda del suo umore, un tour poteva diventare piuttosto lungo.

    E quella fotografia...

    Ashley si girò dall’altra parte, bofonchiando. Era solo l’angolatura di una cornice, nient’altro.

    Dopo la risoluzione di un caso difficile, Jake Mallory avrebbe dovuto dormire come un bambino.

    Ma non era affatto così.

    La cosa strana era che gli incubi che lo assillavano erano un fenomeno recente. Quando aveva cominciato a comprendere e usare il suo dono, o maledizione che fosse – ciò che lui, chissà come, sapeva –, non aveva mai sognato nulla di particolare.

    Nell’estate delle tempeste, ai tempi di Katrina e dell’alluvione, erano stati tutti tremendamente occupati. Nel corso di quei giorni tragici non aveva mai spiegato ai colleghi che la sua incredibile capacità di trovare i resti dei morti dipendeva dal fatto che erano loro a chiamarlo; a parlargli. Era straziante; una vera agonia. Ma le vittime avevano bisogno che i loro cari sapessero che fine avevano fatto, e così lui li ascoltava. Eppure quelle notti non erano state popolate da sogni.

    I sogni erano arrivati dopo, e il loro contenuto era sempre lo stesso.

    Si trovava da solo sulla sua piccola barca a fondo piatto, anche se, in realtà, durante le ricerche aveva sempre avuto compagnia.

    Il calore del giorno aveva lasciato spazio alle temperature più miti della sera, e stava cercando qualcuno, qualcuno di preciso, ma non sapeva chi. Mentre la barca si muoveva lungo il fiume come fosse una sorta di strada, lui cominciava a vedere persone sui tetti, che si abbarbicavano ai rami sparsi qua e là e che, addirittura, galleggiavano sull’acqua.

    Lo vedevano; si allungavano per toccarlo. E Jake veniva colto da una gran voglia di piangere. Non erano vivi. Erano quelli che avevano perso la battaglia.

    La barca procedeva lentamente, e lui si voltava a guardare le persone che lo circondavano: uomini e donne, vecchi e giovani, bianchi e neri e di tutti i colori intermedi. Avrebbe voluto alleviare la loro sofferenza, ma non poteva più salvarli. Avevano facce cineree, e strutture ossee scavate, come risucchiate; sembrava non capissero che ormai lui non poteva più fare nulla per aiutarli. Nel sogno Jake sapeva che in futuro i sopravvissuti sarebbero ricorsi a lui, come ai poliziotti, cani da traccia e volontari, per ritrovare i loro morti.

    Ma ora stava cercando i vivi.

    Lo chiamavano a gran voce; cercavano di dirgli qualcosa. A poco a poco capiva che tentavano di indicargli la via. Avrebbe dovuto esserci qualche rumore di sottofondo, invece non era così. Non sentiva il fruscio del suo passaggio nell’acqua, né usciva alcun suono dalle bocche dei cadaveri che superava.

    Poi, di colpo, vedeva quella figura sul tetto, in lontananza. Sembrava una donna, vestita con un capo morbido e fluttuante. Niente di insolito. Molte vittime, vive o morte che fossero, erano state ritrovate in camicia da notte, boxer o pigiama di flanella.

    Il fatto strano era che pareva essere l’unica superstite. L’acqua continuava a salire tutt’intorno a lei ed era in grave pericolo. Jake sentiva che c’era qualcosa di familiare in quella figura, ma non capiva cosa fosse esattamente a colpirlo. La luna piena le illuminava i capelli, facendoli splendere come oro puro, la veste bianca ondeggiava al vento. Nonostante quella distruzione, lei si ergeva in tutta la sua bellezza.

    Jake cercava di avvicinarsi.

    La strada d’acqua era sempre più intasata e ostruita. Elettrodomestici e rami d’albero abbattuti gli scivolavano accanto. Un orsetto di peluche tutto inzuppato lo fissava inespressivo con grandi bottoni neri al posto degli occhi, mentre la corrente lo trasportava via. Jake si sentiva stringere il cuore; lottare contro il fiume era atroce, ma sapeva di doverlo fare. Soprattutto perché lei lo aspettava, e lui sapeva che poteva salvarla. Doveva solo riuscire a raggiungerla prima che il livello dell’acqua salisse al punto da trascinarla via.

    Si avvicinava.

    E in quell’istante esatto avvertiva l’oscurità dietro di sé.

    Provava a voltarsi, ma non riusciva. Si era alzato il vento e la fatica era troppa. Per quanto si sforzasse, non riusciva proprio a vedere cosa diamine fosse a inseguirlo.

    Un rumore improvviso. La donna. Lo chiamava.

    Lo chiamava per nome.

    Ma Jake sentiva la cosa alle sue spalle guadagnare terreno. Riusciva quasi ad allungarsi per afferrare la ragazza, ma non poteva fare a meno di girarsi, doveva scoprire cos’era a soffiargli aria fetida sulla schiena...

    Lei gridava di nuovo.

    Jake!

    Se volevano sopravvivere, se volevano sfuggire a quell’essere orrendo che lo braccava, dovevano farlo insieme.

    Jake!

    La voce della sconosciuta risuonava chiara come fosse accanto a lui sulla barca.

    Ma l’oscurità gli era addosso ormai, era così vicina...

    E alla fine si sentiva avvolgere da quella creatura ignota, che smorzava al contempo la voce della donna.

    A quel punto si svegliava di scatto.

    Jake era seduto sul letto, profondamente turbato dalla ricomparsa di quel sogno ricorrente. Per la prima volta, però, sapeva chi era la figura sul tetto della casa, la donna che stava per essere inghiottita dalle acque.

    Era Ashley. Ashley Donegal.

    Si alzò in piedi e si stirò, irritato. L’orologio sulla mensola segnalava che era ancora presto.

    Imprecò e cominciò a vestirsi. Sapeva perché aveva fatto quel sogno... E perché Ashley era la donna sul tetto. Sapeva bene che giorno era. Quello della rievocazione storica. La tenuta dei Donegal si sarebbe riempita di gente e di vita; Ashley avrebbe sofferto ancora per la perdita del padre, che non avrebbe mai più potuto interpretare la parte di Marshall Donegal, il suo antenato. Ma avrebbe fatto finta di niente, come sempre. Sarebbe stata la grande maestra di cerimonie, bella e regale nelle sue vesti da Guerra Civile.

    Chissà se avrebbe mai smesso di amarla. Chissà se quel sogno significava qualcosa di più. Angela, che era il membro dell’unità investigativa speciale – come la definiva l’FBI – con maggior sesto senso, gli aveva detto che i sogni erano in grado di aprire molte porte. Nella fase REM, la mente umana raggiunge uno stadio che permette l’elaborazione onirica, che a sua volta si concentra più facilmente su ciò che noi rifiutiamo a livello conscio. Quando Angela cercava di evocare ricordi del passato, ricorreva spesso al sonno.

    Se il principio era valido, bastava poco a Jake per convincersi che Ashley lo volesse. Che avesse bisogno di lui. E che il suo incubo ricorrente fosse un segno.

    Certo, quello non era altro che il metodo di Angela per cercare i fantasmi del passato, nulla di più – anche se all’interno del gruppo non erano del tutto convinti delle regole da seguire per chiedere aiuto agli spiriti.

    Non sapeva bene se ridere di se stesso oppure no.

    Erano una squadra a tutti gli effetti: agenti federali in piena regola. Avevano appena trascorso alcuni giorni al centro di addestramento locale per migliorare la loro abilità nell’uso delle armi, le competenze informatiche e la conoscenza della politica delle missioni.

    Ma erano una squadra unica nel suo genere, e la vera designazione non era scritta da nessuna parte. Tra loro erano soliti definirsi la Compagnia dei Cacciatori: sulla carta erano l’Unità Speciale di Adam Harrison. Il loro compito, quando incappavano in situazioni bizzarre, era stanare gli imbroglioni e scoprire, invece, cosa poteva davvero essere una rimanenza del passato.

    Il mondo era zeppo di cacciatori di fantasmi e aspiranti tali. Il problema, ignorato dai più, era che ben pochi spiriti si sognerebbero davvero di apparire davanti a una troupe televisiva. Certe leggende sui fantasmi sembravano essere vere. C’erano i cosiddetti infestatori residuali: entità che recitavano senza posa una particolare scena, tratta per esempio dalla battaglia di Gettysburg. E c’erano infestatori intelligenti: spettri che tardavano ad andarsene per qualche motivo preciso. A quanto pareva, i fantasmi non avevano regole. Alcuni trovavano degli individui capaci di vederli chiaramente, come fossero creature in carne e ossa; potevano sostenere lunghe conversazioni, apparire e scomparire, interagire. A volte gli spiriti avevano paura degli esseri viventi e si nascondevano, e solo qualcuno realmente in grado di sospendere l’incredulità riusciva a convincerli a mostrarsi. Era complicato; Jake stava ancora imparando. A volte i fantasmi cercavano di avvisare i loro cari di qualcosa di brutto che stava per accadere, e spesso si infiltravano nel sonno di coloro con cui non erano ancora riusciti a mettersi in contatto nel mondo cosciente.

    Perciò quell’incubo voleva dire che Ashley aveva bisogno di lui...

    O forse Jake voleva che fosse così.

    Si avvicinò alla finestra dell’hotel e guardò le vie buie del Quartiere Francese. Quanta storia c’era in quelle strade. Quante vite erano state vissute; quanti drammi si erano consumati. A volte era impossibile credere che l’energia del passato non si soffermasse lì, da qualche parte. I fantasmi non dovevano essere per forza vecchi; Jake lo sapeva da sempre, ma non aveva voluto accettare la verità finché non aveva incontrato Adam Harrison e non era diventato parte dell’unità che il suo capo aveva creato per conto dell’FBI. Jake era contento di quella sua strana abilità nel sentire dove si trovavano le persone; nell’immaginare di udirle invocare il suo aiuto. A volte era riuscito persino a rintracciare i sopravvissuti. Altre aveva sentito la voce dei morti, quando ancora non sapeva che lo fossero.

    Ma il suo dono gli era costato Ashley.

    E allora perché, dopo tutti quegli anni, la vedeva andare alla deriva, in procinto di essere sommersa, eppure protesa verso di lui, che a sua volta cercava di prenderle la mano?

    1

    «Oh, accidenti! Non voglio essere uno Yankee» disse Charles Osgood.

    Era il gran giorno, finalmente; Ashley ne era davvero grata.

    E la mezza tragedia in atto era la dimostrazione che la sua mente aveva solo cercato di avvertirla dell’inevitabile dose di seccature cui avrebbe dovuto far fronte, tant’è che quel pomeriggio si stava rivelando un vero inferno.

    La mattina era stata la volta della colazione, con una marea di visitatori che si era riversata nella proprietà per trascorrere qualche ora negli accampamenti. Adesso si stavano avvicinando all’evento principale della giornata, la rievocazione della battaglia che si era svolta nella tenuta dei Donegal nel 1861.

    Non si sarebbe mai aspettata che il problema maggiore finisse per essere l’improvvisa malattia di un finto Yankee.

    «Accidenti!» esclamò di nuovo Osgood.

    Ashley pensò che si stesse comportando da ragazzino petulante, ma sapeva che Charles non intendeva realmente litigare. Non in un giorno come quello. Mentre le parole gli uscivano di bocca era arrossito e le aveva lanciato uno sguardo costernato. Non era compito di Ashley assegnare le parti, ma in quel momento era l’unica Donegal presente. Il sottile piacere che il gruppo stava provando nel comunicare a Charles il suo nuovo ruolo la turbò un poco. Charles Osgood era l’ultimo arrivato nell’unità di cavalleria dei rievocatori, perciò toccava a lui interpretare un personaggio dello schieramento nemico. Ma ora sembrava che la questione si stesse trasformando in un patetico episodio di nonnismo da college; erano tutti amici, e di solito erano gentili gli uni con gli altri.

    «Dai, Charlie! Fare lo Yankee sarà divertente. Okay, i nordisti erano una manica di idioti, perlomeno quelli finiti quaggiù; non sarebbero neanche stati in grado di vedere un’insegna illuminata a giorno, figurati cacciare o sparare... Però, dai! Fare lo Yankee sarà divertente!» lo punzecchiò Griffin Grant.

    Ashley scrollò il capo; com’era possibile che uomini di quell’età fossero così immaturi?

    Anche se adorava vedere la storia riprendere vita all’interno della sua proprietà, per lei restare attaccati alla cosiddetta gloria del passato non aveva alcun senso. Quell’episodio si era concluso con la morte di uno dei suoi antenati, non con una festa.

    «Ehi, voialtri!» disse Ashley, rivolgendosi agli uomini intorno a lei con lo stesso tono che avrebbe usato con i bimbi delle elementari che venivano in gita alla tenuta. «So che vi piace aggrapparvi alla magica illusione che prima della guerra il Sud fosse un luogo di bellezza, grazia e onore, dove gli uomini erano veri uomini, che andavano a caccia e a cavallo e si prendevano a botte, ma sempre in modo leale. Sì, è vero, noi ricordiamo quel che era. Ma oggi è oggi, e il passato è passato! Nessuno di voi vorrebbe tornare davvero ai tempi della Guerra Civile, e nessuno di voi qui presenti soffre di pregiudizi. La schiavitù era una pratica orrenda.»

    «Cielo, Ashley, detta così sembra che essere un vero uomo sia un difetto!» commentò Cliff Boudreaux, ridendo. Il responsabile delle scuderie della piantagione era visibilmente divertito.

    «Ma certo, Ashley, non la stiamo prendendo troppo sul serio, te l’assicuro» intervenne Griffin Grant, guardandola come se fosse lei a non aver capito la questione. Griffin era un bell’uomo, sui trent’anni o poco più, pettinato e ben vestito, amministratore delegato di una società di TV via cavo a New Orleans, anche se i suoi antenati erano originari di quella regione, a due ore di strada dalla grande città. «Sappiamo bene qual è la realtà, e ci piace così. Ma questa simulazione è importante!»

    Ashley si lasciò sfuggire un gemito sommesso.

    Erano bravi ragazzi, davvero.

    Si trattava di uno spettacolo, in fondo, e per farlo funzionare si sforzavano di credere con tutto il cuore che il fine di quella battaglia fosse difendere i diritti dei singoli stati. Ashley conosceva tutte le statistiche relative ai combattenti: la maggior parte degli uomini che aveva lottato ed era morta per il Sud durante la guerra non poteva neanche lontanamente permettersi uno schiavo, e di rado i conflitti nascevano per un’unica ragione. Ma i suoi genitori e suo nonno non erano mai stati tipi da sorvolare sulla complessa storia della tenuta. E anche Cliff, con quei suoi occhi verde oro, la pelle bronzea e i capelli bruno fulvo, ne era consapevole. Ashley sapeva che metà dei visitatori restava affascinata da lui sin dal primo momento. Recitava tra le file dei Confederati perché nelle sue vene scorreva il sangue dei Donegal. In un remoto passato, una vedova della casata si era innamorata di uno schiavo, creando così il primo caso di mescolanza razziale nella famiglia di Cliff. Negli anni Venti, il suo bisnonno aveva sposato una cugina Donegal, fatto che ai tempi aveva causato un grosso scandalo e che ora invece suscitava in entrambi i rami della famiglia un senso di orgoglio e soddisfazione. Ashley non sapeva mai come inquadrare i legami di parentela, tra cugini di primo e secondo grado e figli di figli di cugini... Insomma, considerava Cliff semplicemente suo cugino.

    La storia era storia. La famiglia Donegal vi era immersa, nel bene e nel male, e non ne faceva mistero.

    «Hanno ragione, Charles. È soltanto una messinscena, lo sai» disse Ashley. «È uno spettacolo, forse persino uno spettacolo importante, nel suo piccolo. Che permette alle persone di vedere che armi si usavano a quei tempi, quali uniformi si indossavano. E poi, sinceramente, ricordati che questa battaglia ha avuto inizio per una banale rissa da bar tra uomini – che poi è diventata una scusa per combattere perché stava scoppiando la guerra. Voi siete un esempio di come mantenere viva la storia, e io vi sono estremamente grata.»

    Charles la guardò con occhi vuoti; gli altri sogghignarono.

    Perché non lo capivano? Erano attori di una commedia, che nel frattempo avrebbe dovuto far conoscere la storia americana da diverse prospettive. Ma c’erano mentalità dure a morire da quelle parti, nell’area delle piantagioni. La famiglia era ancora tutto. Come la fedeltà alla propria terra, casa, stirpe, contea e stato. I sudisti avevano sbagliato, erano stati sconfitti e lo sapevano; eppure solo una parte del cast di attori veniva considerata un’élite, degna dei ruoli migliori. E i rievocatori sapevano essere incredibilmente snob.

    Era questo a far sentire Charles Osgood un intruso.

    Toby Keaton si schiarì la voce, poi disse piano: «Dai, Charles. Sei fortunato a essere nel XXVII squadrone della milizia del Bayou. Di solito, in queste zone, a prendere parte alle rievocazioni sono i discendenti diretti di chi ha combattuto a quei tempi. Devi guardare in faccia la realtà. Tu hai acquisito un posto tra le fila dei combattenti grazie a un matrimonio: so che il tuo patrigno era un O’Reilly e che ti ha cresciuto lui, ma sai com’è, questo non conterebbe nulla in

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