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In Egitto con il duca: Harmony History
In Egitto con il duca: Harmony History
In Egitto con il duca: Harmony History
E-book238 pagine6 ore

In Egitto con il duca: Harmony History

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Info su questo ebook

Return of the Rogues 1
Egitto/Inghilterra, 1822
Rafe ha passato gli ultimi anni a nascondersi dal passato, che lo vuole Duca di Greybourne, da un padre violento e dalla sua patria, l'Inghilterra, dalla quale ha avuto solo delusioni. Ma proprio dal Paese che ha abbandonato arriva un vento nuovo che spazza l'arido deserto che è il suo cuore: Miss Cleopatra Osbourne, giornalista e viaggiatrice dall'animo indomito. E sceglie lui affinché la accompagni in un viaggio alla scoperta dell'antico Egitto. All'ombra dei templi e sotto un tramonto infuocato, in Rafe si accendono amore e desiderio per quella figuretta che, fiera, calpesta le sabbie del deserto quasi fossero tappeti, ignorando pericoli e ammonimenti. Quando Cleo tornerà a Londra, lui riuscirà a mostrare il medesimo coraggio e a seguirla vincendo ogni paura?
LinguaItaliano
Data di uscita20 ott 2020
ISBN9788830520325
In Egitto con il duca: Harmony History

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    Anteprima del libro

    In Egitto con il duca - Lara Temple

    successivo.

    Prologo

    Greybourne Hall, Hertfordshire, Natale 1800

    Il giorno in cui fuggì fu lo stesso in cui il lago di Greybourne Hall gelò.

    La lastra di ghiaccio non era spessa, lo strato era sufficiente solo a creare una patina dura sull'acqua verde come una giada scura. C'era una spolverata di fiocchi di neve, sulle canne, e altri volteggiavano sulle rive e finivano per entrare, spinti dalle folate di vento, nella porta aperta della cappella. Lì danzavano per qualche istante, scintillanti al chiarore del pallido sole mattutino, prima di posarsi sull'insolito pavimento a scacchi, come penitenti in attesa insieme a tutte le persone addolorate che erano assiepate all'interno.

    Diversamente da molte cappelle, non c'erano banchi, ed era proibito sedersi sulle panche di pietra intagliata lungo le pareti. Tutti, dalla duchessa e suo figlio, a stallieri e sguattere, erano in ginocchio.

    Tutti tranne il padre di Rafe, il Duca di Greybourne, che si ergeva fiero e minaccioso come un orso, levando i pugni stretti mentre tuonava invocando la dannazione eterna sui presenti.

    Da anni Rafe aveva smesso di ascoltare i roboanti sermoni mattutini del padre. Da bambino si distraeva fantasticando su imprese di grande ardimento. Ora che stava per compiere sedici anni, aveva altro per la testa.

    Un mese prima l'oggetto delle sue fantasie era stata Lizzy, la bella figlia del postino del paese vicino alla sua scuola. Ma erano passate le settimane, e adesso sognava a occhi aperti la nuova cameriera, Susan, che era in ginocchio a poca distanza da lui. Aveva occhioni azzurri e lentiggini su tutta la pelle scoperta, che era ben poca, ma l'immaginazione suppliva a ciò che non si vedeva. Aveva qualche anno più di lui, e Rafe aveva sentito dire dai domestici che le piaceva Lowell, lo stalliere capo. Sapeva anche che il fremito che provava aveva ben poco a che fare con l'amor cortese, ma lei era così... abbondante. Aveva curve procaci e una risatina vezzosa che lo faceva sudare e palpitare.

    In quel momento, Susan era anche l'unico motivo per cui era grato per il sermone quotidiano di suo padre. Perciò, mentre il genitore inveiva contro i peccati, Rafe fissava la testa china di Susan, le spalle tonde, il profilo del seno generoso che neppure il severo grembiule era in grado di nascondere...

    A un tratto lei sollevò lo sguardo e lo colse in flagrante. L'imbarazzo che lo invase fu ancora più potente del desiderio. Rafe non riuscì a trattenere un improvviso rossore. Lei abbozzò un sorriso con una nota di compassione che lo colpì.

    Distolsero lo sguardo contemporaneamente, e il momento sarebbe stato dimenticato, se suo padre non avesse raggiunto il culmine della predica. Invece, in quell'istante il duca tuonò: «La fornicazione vi condurrà all'inferno!».

    E Susan ridacchiò.

    Silenzio.

    Il desiderio di Rafe si dissipò all'istante, perché conosceva suo padre. Lo conoscevano tutti. Il silenzio durante un sermone era un brutto presagio. Rafe fece appena in tempo a riprendersi che il duca si lanciò verso Susan, e le sue mani ghermirono la gola della poverina come artigli, sollevandola da terra di peso. La ragazza lo fissò con orrore, a bocca aperta, le efelidi che risaltavano come schizzi di sangue sul viso pallido.

    Nessuno aveva ancora mosso un dito, quando Rafe si scagliò contro il padre. Gli altri erano immobili come pedine di scacchi sui loro quadrati bianchi e neri. Poi, di colpo, non vide più nulla.

    Un attimo dopo si ritrovò con la faccia nella neve e i fiocchi in bocca mentre respirava a fatica, tossendo. Era pervaso da un dolore intenso mentre era inchiodato a terra da qualcosa. Vedeva solo il proprio braccio teso, circondato da neve rosa.

    «Fate dei bei respiri profondi, Padron Rafe.»

    Era Lowell, lo stalliere.

    «Susan...» gracchiò. Cercò di alzarsi, ma Lowell lo teneva giù.

    «Susan sta bene, Padron Rafe. L'avete fermato prima che le facesse del male, e vi sono grati tutti. Smettetela di dibattervi, e vi lascerò andare. Non avete niente di rotto, ma avete preso qualche colpo, prima che vi portassimo via. Adesso tornate dentro.»

    «Volevo ucciderlo!»

    «Parole coraggiose» affermò Lowell staccandosi da Rafe, «ma prima di provarci dovrete imparare a combattere. Siete un ragazzone, e diventerete ancora più robusto, ma vi manca l'abilità.»

    Rafe si rimise in piedi barcollando, scostando Lowell, che tentava di aiutarlo. Con il freddo pungente sul viso e le lacrime agli occhi, si allontanò prima che gli scendessero sulle guance.

    Quando arrivò in camera tremava per il freddo, ma si fermò sulla soglia. Sua madre era di nuovo in ginocchio, ma stavolta davanti al suo baule, mentre una cameriera vi metteva delle camicie.

    «Che cosa fai, mamma?»

    A un segnale della duchessa, la cameriera si allontanò in fretta.

    «Mi sembra chiaro, Rafael. Ho fatto preparare la carrozza. Partirai subito.»

    Lui la fissò, allibito e immobile, ma poi la collera venne in suo soccorso. «Non ho fatto niente di male! È come per Edward. Non ha fatto niente, ma l'hai mandato via. E io dove andrò? Anch'io in Egitto? O forse agli antipodi?»

    «Non essere drammatico, Rafael. Fino all'inizio della scuola andrai ai laghi. Ti piace, lì.»

    «D'estate!» esclamò lui.

    «Abbassa la voce. Il dottor Parracombe è con tuo padre e gli ha dato qualcosa per calmare i nervi, ma...»

    «Calmare i suoi nervi?» sbottò lui. «Ha cercato di uccidere Susan! Quante altre volte il caro dottor Parracombe dovrà calmargli i nervi, quando aggredirà altri domestici? Non gli serve un medico, ma una camicia di forza!»

    La duchessa balzò in piedi. Anche se Rafe era già alto e torreggiava su di lei, era sua madre ad avere il controllo. Aveva il viso gelido come il lago e gli occhi grigi e inespressivi.

    «Non dirlo mai più. Mai. Le convinzioni religiose di tuo padre possono talvolta portarlo a indignarsi esageratamente, ma niente di più. Un giorno sarai tu il Duca di Greybourne, e devi imparare che la vita richiede sacrifici.»

    Sacrifici.

    «E tu sacrifichi me, dunque.»

    «Se è quello che scegli di credere.»

    «Ti dirò io che cosa scelgo, madre. Se manderai via me e non lui, ti giuro che sceglierò di non tornare mai più a Greybourne finché lui sarà in vita.»

    Rimasero in silenzio per un istante, poi lei fece un cenno di assenso. «Forse è meglio così. Ora vai a lavarti e a cambiarti, e poi di' addio alle tue sorelle.»

    Cupo e ancora infuriato, Rafe appoggiò lo zigomo pesto contro il vetro del finestrino della carrozza. Si erano fermati di nuovo per cambiare i cavalli. Dovevano essere vicini a Manchester, perché il cortile della locanda era pieno di carrozze e passeggeri che andavano e venivano.

    Poi, al margine del cortile, in mezzo a tutto quel grigio e marrone, Rafe scorse un lampo scarlatto. Prese il borsello e scese, fermandosi a guardare insieme agli altri dei soldati dalle giubbe rosse che marciavano lungo la strada fangosa. Quello che chiudeva la fila era un uomo basso e tarchiato. Un bambinetto si staccò dal gruppo degli astanti e marciò al suo fianco, finché il soldato non gli sorrise e gli arruffò i capelli senza perdere il passo.

    «Chi erano?» domandò al ragazzino quando tornò nel cortile, dandogli una moneta.

    «Il trentaseiesimo reggimento di fanteria di ritorno dall'Irlanda, sir. Quello era il sergente Birdie. Mio fratello era sotto il suo comando» rispose il monello con orgoglio.

    «Dov'è la caserma?»

    «A Bolton, sir. A nord.»

    «Ottimo. Sto andando anch'io a nord.»

    Rafe diede un'altra moneta al bambino e risalì in carrozza. Bolton... Birdie... Gli serviva un nuovo nome. Qualcosa di semplice e comune, per non attirare l'attenzione. Grey.

    1

    Syene, Alto Egitto, 1822

    «Ta'al. Entrate.»

    La voce profonda apparteneva a un inglese.

    Finora tutto bene, pensò Cleo mentre faceva un respiro profondo e apriva la porta di legno. Sotto i piedi aveva un pavimento di dura pietra, ma era consapevole di trovarsi su un ponte pericolante sopra un abisso. Il passo successivo l'avrebbe condotta alla salvezza, o alla perdizione.

    Entrò nella stanza e si fermò, la mano ancora sulla porta, perché l'uomo che si voltò verso di lei non era affatto come se l'era immaginato.

    Di certo era imponente. Cleo era piuttosto alta, ma lui era più alto persino di suo fratello. Ma, soprattutto, era nudo. O, per la precisione, era a torso nudo, ma la porzione scoperta di pelle era tanta.

    Non che per Cleo fosse insolito vedere uomini a busto scoperto. Nel corso degli anni, da quando lei e il fratello avevano cominciato a seguire il padre nei suoi viaggi, era stata in luoghi in cui non era insolito vedere uomini nudi dalla cintola in su, e a volte anche donne. Tuttavia quell'uomo non era uno spettacolo a cui era abituata.

    E poi c'erano le cicatrici. Gli coprivano le spalle e si estendevano sul lato destro del collo. Nel complesso era una visione che incuteva timore.

    Tranne che per il sapone da barba.

    Non avrebbe dovuto fare differenza, ma il viso insaponato stranamente sminuiva l'effetto impressionante.

    «Che vuoi, ragazzo?» L'uomo pulì il rasoio sull'asciugamano e si girò verso lo specchio appoggiato sul davanzale alto della finestra.

    Almeno adesso Cleo aveva la conferma che era inglese, come aveva sentito dire al mercato. «Mi sono perso, sir.»

    «Perso? E come hai fatto? Come ti chiami, a proposito?»

    «Patrick.» Cleo gli diede il solito nome, guardando il gigante che si radeva, i muscoli della schiena che guizzavano. Un tempo era stato facile farsi passare per maschio, ma era fuori esercizio. «Cercavo mio padre e mio fratello a Meroe, ma sono spariti, per cui ho deciso di tornare al Cairo a cercarli.»

    Il gigante la osservava attraverso lo specchio con i suoi occhi chiari, grigioverdi. «Però adesso sei nel mio umile alloggio, invece che su una barca lungo il Nilo. Vuoi forse cambiare versione?»

    «Non capisco, sir.»

    «Ah, no? Più di un interprete mi si è avvicinato per offrirmi i propri servigi, da quando sono arrivato in città. Se hai solo bisogno di aiuto per raggiungere Il Cairo, uno qualsiasi di loro sarebbe disposto ad aiutarti, a un costo ragionevole.»

    Il gigante si pulì il viso con l'asciugamano di lino e si girò. Per un attimo Cleo fu invasa da un moto di sorpresa e compassione che superò la paura. Sul davanti le cicatrici erano ancora più evidenti, e risalivano sul lato del collo come tralci di edera contorti sulla mandibola per terminare alla base dell'orecchio.

    Non si sarebbe dovuta sorprendere. I mercanti che aveva sentito parlare di lui l'avevano chiamato nadab, cicatrice. Però per il resto era incredibilmente perfetto. Sembrava l'incarnazione di un angelo caduto, con i capelli neri come la pece e gli occhi tempestosi. Però quell'angelo non era riuscito a evitare le fiamme dell'inferno. Quando le sorrise, la cicatrice chiara lungo la mandibola si contrasse.

    «Ti fa ribrezzo, ragazzo?» le domandò.

    «No, sir, però non posso fare a meno di pensare a quanto dev'essere stato doloroso. Chiedo scusa per avervi fissato.»

    Il suo sorriso si addolcì, dandole l'impressione di una porta che si apriva un po' di più. «Fissare è sincero, è distogliere lo sguardo quello che non sopporto. Allora, cosa vuoi da me, oltre alle indicazioni per Il Cairo?»

    Cleo tese l'orecchio. Si era intrufolata senza farsi vedere dal locandiere, ma probabilmente gli uomini la stavano cercando in tutta Syene. Non sapeva cosa sarebbe successo, se l'avessero trovata, e preferiva non immaginarlo. «Ho paura a viaggiare solo» gli rispose. «Ho sentito dire al mercato che siete diretto a nord. Non ho molto, ma posso pagarmi il passaggio.»

    Il gigante si diede un'ultima passata di asciugamano sul viso e lo posò sulla spalla mentre si avvicinava. Cleo si accorse che aveva anche altre cicatrici, oltre a quelle lasciate dal fuoco. Si sforzò di sollevare lo sguardo dal busto nudo e dalla peluria scura che scendeva verso i pantaloni. Ma i suoi occhi non la tranquillizzavano di più, erano di uno strano grigioverde metallico, impenetrabili. Le rimandavano solo il suo riflesso, e Cleo pensò che era troppo vicino, considerato il suo travestimento. Però rimase immobile, resistendo. Era un ragazzo, solo un ragazzo...

    «C'è qualcuno che crede a questa baggianata di Patrick?» chiese lui tirandole una ciocca di capelli.

    Di solito li teneva corti, ma abbastanza scompigliati da nascondere le sopracciglia arcuate che potevano tradirla. Fu indecisa se protestare, ma l'espressione di lui, priva di curiosità o rimprovero, le impedì di mentire. «Funzionava bene quando ero più giovane.»

    «Molto più giovane, presumo. La tunica di foggia locale non nasconde bene le vostre forme, ora. Se non foste tanto smunta, potreste tentare di sembrare un uomo panciuto con l'imbottitura sul ventre, ma prima dovreste mettere un po' di carne sulle guance.»

    Smunta... Sì, gli ultimi mesi erano stati difficili, ma non pensava di sembrare tanto scarna. Cleo abbassò lo sguardo verso il seno, che aveva fasciato, ma evidentemente non abbastanza stretto, pensò, delusa.

    «Grazie del consiglio, sir, però, considerato che al momento non posso farci molto, volete aiutarmi? Posso pagare.»

    «Ah, sì? E quanto?»

    Accidenti. Sperava di impietosirlo, prima come connazionale e adesso come donna, ma evidentemente non era così. «Ho questo» rispose. Strattonò la catenina che aveva al collo e tirò fuori un pendente da sotto la gallabiyah. Anche se la montatura era scurita e contorta perché vi era caduto sopra un baule, la qualità dello smeraldo era inequivocabile.

    «Dio, chi vi odiava tanto da donarvi tale mostruosità?» Il gigante tirò la catenina per scrutare meglio il gioiello. Da così vicino, il suo sguardo la intimidiva ancora di più. Le iridi erano verde chiaro, con intorno un fascia di ferro, e gli occhi erano bordati da lunghe ciglia scure. Non le capitava spesso di essere intimidita dagli uomini, ma lui la inquietava.

    «Dove l'avete preso?» le domandò infine.

    «Da mia madre» rispose Cleo. «È un gioiello di famiglia. Mi hanno detto che lo smeraldo è di valore. È vostro, se mi porterete al Cairo.»

    «No, non vi conviene. Probabilmente lo butterei nel Nilo o lo regalerei a un mendicante. Mettetelo via.» Lo lasciò ricadere, e lei lo infilò in fretta sotto la gallabiyah, poi indietreggiò di un passo.

    «Quindi non mi aiuterete?»

    «In che modo? Il fiume dista circa cento iarde. Se siete già arrivata fin qui da Meroe, perché vi serve il mio aiuto per la parte più facile del viaggio?»

    «Perché...» Cleo tacque e tese di nuovo l'orecchio, sentendo dei cavalli e una sgradevole voce familiare che chiamava il locandiere in arabo. «Lasciate stare.»

    Si diresse alla finestra, ma l'uomo fu più veloce di lei e sbarrò con il braccio gli scuretti di legno. «Non è una buona idea. Se sono furbi, hanno un uomo sul retro. Sono furbi?»

    «Non lo so... Sì, io... Oh!» Cleo rimase senza fiato perché lui la prese di peso e la depositò dietro una tenda di spesso cotone che chiudeva una specie di guardaroba improvvisato in un angolo della stanza. Dietro c'erano dei ganci con appesi degli abiti e un comò.

    «Ora rimanete qui nascosta nell'angolo dietro il comò, assolutamente zitta, qualunque cosa io faccia o dica. Capito?»

    Lei annuì, piena di timore e gratitudine. Era quasi sicura che l'avrebbe consegnata con lo stesso atteggiamento impassibile che aveva mostrato scoprendo che era una donna, però non poteva fare a meno di nutrire un barlume di speranza. Fissò la tenda che lui lasciò ricadere, poi prese una camicia di cotone appesa a un gancio e se la portò alla bocca, per soffocare un eventuale colpo di tosse. Nonostante fosse stanca e spaventata, non poté fare a meno di avvertire il profumo gradevole che emanava dall'indumento, un vago sentore che le ricordava i boschi dietro la sua casa d'infanzia, dove il ruscello creava un isolotto coperto dalla vegetazione. Le sembrava quasi che si trovassero al di là di quella tenda... Forse il caldo e la paura le avevano fatto liquefare il cervello.

    I colpi alla porta furono forti come quelli di un martello.

    «Andate via, mi sto radendo!» esclamò il gigante. Ma dall'altra parte non smisero di bussare. «Oh, santo cielo!» La porta cigolò quando l'aprì. «Chi diavolo siete?»

    «Scusateci, basha» pronunciò la voce tanto odiata. «Cerchiamo un giovane inglese.»

    «Allora andate a cercarlo altrove. Solo perché sono inglese non vuol dire che qui ci sia un convegno di miei conterranei.»

    «È stato visto venire in questa direzione.»

    «E con ciò?»

    L'uomo esitò, poi aggiunse, in tono meno perentorio: «Pensavamo che forse avrebbe cercato un altro inglese».

    «Perché? Per nostalgia di casa?»

    «No, per paura. Ha rubato qualcosa al mio padrone.»

    «Allora non è molto furbo. Quanto mi darete se lo trovo?»

    Cleo si irrigidì, con il cuore in gola, premendosi la camicia sulla bocca.

    «Quanto...?» ripeté l'uomo, meravigliato. Cleo sentì un altro, dietro di lui, che imprecava in arabo contro l'avidità degli stranieri.

    «Presumo che il vostro padrone paghi i vostri servigi. Anch'io sono un mercenario, perciò sono più che disposto a cercare il reo. Se lo trovassi, quanto mi paghereste se vi consegnassi lui e la refurtiva? A proposito, di che

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