Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Luna di sangue
Luna di sangue
Luna di sangue
E-book266 pagine4 ore

Luna di sangue

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Serie Sanguis Noctis, Libro 1

Jed Walker è un killer su commissione che deve svolgere un incarico apparentemente semplice: introdursi in un’abitazione per recuperare qualcosa. Il suo nuovo cliente non sta cercando soldi o oggetti. Vuole il timido e bellissimo Redford Reed, un uomo che in un solo giorno sconvolge il mondo di Jed, che non è proprio pronto a innamorarsi così repentinamente del suo obiettivo.

Redford Reed vive rinchiuso nella casa della nonna, è afflitto da una terribile maledizione e osserva il mondo scorrere fuori della sua casa, fino a quando non arriva Jed, inviato da un uomo che non si fermerà davanti a nulla pur di reclamare Redford come sua proprietà. La sua unica possibilità di salvezza è fare squadra con Jed ma, mentre la violenza cresce, così aumenta anche la tensione fra loro. Anche se hanno entrambi trovato qualcosa per cui vale la pena vivere, ci vorrà tutta l’abilità di Jed e ogni piccola goccia di coraggio di Redford per rimanere in vita.

LinguaItaliano
Data di uscita6 set 2016
ISBN9781634778817
Luna di sangue

Correlato a Luna di sangue

Titoli di questa serie (1)

Visualizza altri

Ebook correlati

Narrativa romantica paranormale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Luna di sangue

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Luna di sangue - Robin Saxon

    Luna di sangue

    Di Robin Saxon e Alex Kidwell

    Serie Sanguis Noctis, Libro 1

    Jed Walker è un killer su commissione che deve svolgere un incarico apparentemente semplice: introdursi in un’abitazione per recuperare qualcosa. Il suo nuovo cliente non sta cercando soldi o oggetti. Vuole il timido e bellissimo Redford Reed, un uomo che in un solo giorno sconvolge il mondo di Jed, che non è proprio pronto a innamorarsi così repentinamente del suo obiettivo.

    Redford Reed vive rinchiuso nella casa della nonna, è afflitto da una terribile maledizione e osserva il mondo scorrere fuori della sua casa, fino a quando non arriva Jed, inviato da un uomo che non si fermerà davanti a nulla pur di reclamare Redford come sua proprietà. La sua unica possibilità di salvezza è fare squadra con Jed ma, mentre la violenza cresce, così aumenta anche la tensione fra loro. Anche se hanno entrambi trovato qualcosa per cui vale la pena vivere, ci vorrà tutta l’abilità di Jed e ogni piccola goccia di coraggio di Redford per rimanere in vita.

    Indice

    Sinossi

    Dedica

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Capitolo 12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    Capitolo 15

    Biografia

    Di Robin Saxon

    Di Alex Kidwell

    Visitate il sito di Dreamspinner Press

    Copyright

    Per Robin,

    Tu e io, sempre.

    Alex

    Per Alex. E i nostri grassi gatti morbidosi.

    R.

    Capitolo 1

    Jed

    LA QUIETE della notte fu squarciata dall’esplosione. Dove prima si stendeva un cielo vellutato d’inchiostro, ora le fiamme ne lambivano i bordi e lingue di fuoco tingevano di rosso la pelle dell’oscurità. Si sentì uno schianto come il rumore di un tuono, che scosse le finestre e fece tremare le testiere dei letti dell’intera città.

    Mentre le fiamme divampavano, si udì il rombo di una moto sotto il crepitio dell’incendio, e il cielo divenne un caleidoscopio di rosso e arancione bruciati. Una figura si allontanò in sella a una moto, stagliandosi contro il fuoco vibrante, accompagnata dallo scricchiolare del cuoio scuro.

    Non male per il lavoro di una notte.

    Jed Walker chiedeva solo una cosa ai suoi conoscenti: di non chiamarlo mai col suo nome di battesimo. Che era Journey, ossia viaggio, che sarebbe stato utile solo a un cantante folk malinconico, e lui di certo non lo era. No, Jed gli calzava alla perfezione. Era scritto sulle targhette militari, e gli stava bene.

    I muscoli delle braccia si contrassero sotto la pelle scurita dal sole mentre imboccava una curva veloce, evitando a malapena un’autopompa sulla strada dalla quale proveniva. L’autogrill aperto ventiquattro ore su ventiquattro prometteva caffè e compagnia, ed entrambi erano prospettive troppo allettanti per rinunciarvi.

    Ehilà, bellezza, ghignò all’indirizzo dell’anziana donna che lavorava dietro al bancone in uniforme e collarino rosa. Lei sollevò appena un sopracciglio e gli fece scivolare davanti un menù, chiaramente non impressionata dall’approccio. Andava bene lo stesso. Probabilmente non avrebbe saputo come continuare. Una donna in grado di portare i capelli arricciati in quel modo doveva essere una tigre a letto.

    Quattro uova appena cotte, pane tostato, caffè nero come il peccato e due volte più amaro, e una mezza porzione di pancake. Proprio quello che aveva ordinato il dottore. Jed sedette al bancone, le gambe inguainate in vecchi jeans, gli stivali consunti che battevano contro la placca di metallo. Socchiuse le labbra carnose per soffiare sul caffè e all’altro capo del bancone vide un tipo che gli stava dando più di un’occhiata. A lui andava bene, decisamente. Il tizio aveva capelli sale e pepe, era piuttosto grosso, e aveva delle dita che Jed avrebbe voluto sentire dentro di sé. E una fede nuziale che siglava l’affare.

    Un tempo poteva essere stato un idealista. Tutti lo erano, a un certo punto della vita. Ma quando aveva raggiunto la veneranda età di quattordici anni, suo padre aveva usato la cinghia una volta di troppo. Jed aveva imparato in fretta che a nessuno fregava un cazzo degli altri. Gli uomini sposati erano un divertimento facile. Scopavano come se non potessero farne a meno e la consideravano soltanto una novità. Poi si tiravano su i pantaloni e fischiettavano fino a casa, lasciando Jed esattamente come preferiva stare. Da solo.

    Questo qui sembrava proprio un tipo terra terra, logorato dal tempo e trasandato. Probabilmente era fuori per una colazione veloce prima del lavoro o sulla via di casa dopo il turno di notte. Perfetto per una sveltina, giusto per levargli l’effetto dell’adrenalina. Jed inzuppò un pezzo di pane in quel che restava del tuorlo d’uovo, se lo mise in bocca con voracità, poi si leccò le labbra senza preoccuparsi di togliersi quel sorrisetto sconcio dalla faccia. Scivolò giù dallo sgabello e gironzolò intorno all’uomo, squadrandolo più di una volta per fargli capire per quale motivo si trovasse lì.

    Alle quattro del mattino il locale era pressoché vuoto. Quando Jed si sistemò sullo sgabello accanto al tipo, non c’era modo di sbagliarsi sulle sue intenzioni. Allungò la mano, sorrise, lo sguardo carico di aspettativa. Mi chiamo Jed, mormorò. Piacere di conoscerti.

    L’uomo sbuffò piano, abituato a liberarsi della gente in quel modo. Ma la sala era deserta, a parte la cameriera, che era troppo impegnata con i piatti e con un vecchio ubriaco in un separé sul retro. Trovando il coraggio, aiutato dagli ormoni, l’uomo fece scivolare una mano callosa in quella di Jed. Mark, si presentò, la voce ruvida come ghiaia. Jed sorrise e si tirò indietro, la testa inclinata in modo invitante.

    Beh, Mark, speravo mi potessi aiutare con un problemino. Vedi, il mio cazzo sta per scoppiare e mi sembri uno che saprebbe cosa fare. Gli fece l’occhiolino e si diresse verso il bagno degli uomini, dando a Marky tutto il tempo di guardargli il culo.

    Certo, Jed ebbe appena il tempo di appoggiarsi allo squallido lavandino prima che Mark irrompesse dalla porta con uno sguardo incazzato e un’aria deliziosa. Non sono frocio, ragazzo, ringhiò, ma Jed gli girò intorno per chiudere la porta, ammiccando.

    Certo che no, lo assecondò. Mi sembrava che ti servisse divertirti un po’.

    Classico preludio. Niente smancerie e rose rosse, gli uomini che Jed tendeva a rimorchiare dicevano tutti che non pendevano da quella parte. Anche mentre si struggevano perché si togliesse i pantaloni. Jed aveva smesso da tempo di capirci qualcosa. Forse, una volta che uno aveva moglie e figli a casa, era importante essere qualsiasi cosa tranne quello che si era realmente. Quelle per fortuna erano questioni alle quali Jed non aveva mai dovuto pensare. Sapeva ciò che gli piaceva, e non c’era niente in questo mondo, o nell’altro, che riuscisse a trattenerlo: erano uomini più vecchi di lui, robusti, sposati. Uomini che lo prendevano e lo fottevano forte senza prestare la minima attenzione a parole che non fossero ancora, ti prego e più forte.

    Non c’era altro. Che senso aveva parlare? Invece le labbra di Mark si sporsero verso le sue, esitanti e leggere come piume, ed emisero un ultimo respiro prima di spingersi in avanti. Quel bacio si infranse su Jed come un’onda, come una forza dura e contundente, che lo trascinava in basso. Riprese fiato quando Mark lo spinse contro il ripiano; all’improvviso i suoi jeans si ritrovarono da qualche parte sul pavimento e il suo cazzo era duro e teso contro il tessuto sottile dei boxer.

    Mark era pesante e caldo sotto le sue mani. Jed gli aprì la patta e si lasciò cadere in ginocchio, strofinando la guancia contro quella carne soda. Chiuse le labbra sulla punta ingrossata, ne assaporò il sudore salato e l’uomo gemette rauco sopra di lui. Gli infilò le dita fra i capelli e lo obbligò a scendere fino alla base della sua erezione. Jed soffocò appena quando la cima gli urtò la gola, quindi gli strinse le mani intorno alle natiche cercando di trovare un punto di appoggio sui jeans dell’uomo, che intanto gli stava scopando la bocca.

    Colpì il bordo del lavandino con la testa, mentre la mano di Mark lo tirava indietro a ogni colpo. Grugniti e respiri affannati si mescolarono col suono della loro pelle che si strofinava e, mentre il sesso di Mark si muoveva umido, Jed si abbandonò completamente a quelle sensazioni. Fece scivolare una mano fino ad afferrarsi il membro dolorante e iniziò a masturbarsi. Quando Mark venne, emise un lungo gemito, la testa reclinata all’indietro, la lingua serrata tra i denti e l’uccello che fremeva e gli schizzava nella gola. L’orgasmo di Jed, appiccicoso e bagnato nella sua mano, colò sul pavimento. Per un momento, appoggiò la fronte sulla coscia di Mark, ansimando per riprendere aria.

    Un minuto dopo il bagno era vuoto, la porta si chiuse con un colpo sordo, e Jed rimase solo.

    Gli ci volle un po’ per riprendersi e pulire. Ma quel piacevole bruciore non se ne sarebbe andato così presto, nossignore. Raggiunse la moto, montò in sella e si rimise in viaggio sull’autostrada. Dopo essere stato congedato, lo strizzacervelli che gli era stato imposto gli aveva domandato perché lo facesse. La politica del Don’t Ask, Don’t Tell – Non chiedere, non dire – valeva soltanto se eri in forze nell’esercito, chiaro, e una volta libero dal dovere non c’era motivo di tacere. Aveva un leggero problema di rabbia. Piccolissimo, niente di grave, ma il punto era che, poiché aveva militato nelle Forze Speciali, si erano interessati a lui una volta che era tornato un civile. Forse perché gli piacevano le esplosioni. Parecchio. Così il suo strizzacervelli, quello lì almeno, gli aveva chiesto una spiegazione per quegli uomini rimorchiati e le scopate da una botta e via, di tutto quello scopare che non portava da nessuna parte.

    Era semplice, davvero. Mentre quelli lo usavano, mentre i loro uccelli si spingevano in fondo alla sua gola o talmente dentro la sua carne da fargli vedere le stelle, si sentiva importante. Freud se la sarebbe spassata ad analizzarlo, questo era certo, ma Jed non lo vedeva proprio il problema. Tutti avevano una fissazione. La sua si curava in modo facile con una bella scopata vecchio stile.

    Per di più, aveva avuto una buona giornata. Il lavoro freelance voleva dire arraffare quel che capitava, ma quella era andata bene. Imbastire un’esplosione di gas che sembrasse accidentale era davvero una faccenda complicata. Le frodi alle assicurazioni risalivano al tempo di Al Capone, ma non diventavano mai noiose. Qualcuno lo assumeva e boom, poche settimane dopo loro si ritrovavano con un bel mucchio di cenere e lui con un grosso, grasso assegno.

    Era stata una giornata positiva. E adesso che era pure venuto, tutto quel che desiderava erano una sigaretta, un drink, o anche tre, e il suo letto. Purtroppo la sua fata madrina era in ritardo di circa trentatré anni e nessuno gli aveva ancora regalato il genio della lampada, non importava quel che dicevano le canzoni. Strofinare le cose nel modo giusto, sebbene piacevole, non aveva impedito al suo telefono di mettersi a suonare nel momento in cui aveva messo piede in casa.

    Oh, Gesù Cristo dai capezzoli pelosi, mormorò, tirandosi i guanti con i denti e cercando, allo stesso tempo, di prendere il telefono. Lo aprì e ci gracchiò dentro: Walker. Guardò torvo il gatto siamese che si stava strofinando contro le sue gambe, miagolando triste. Certo, quello sguardo non gli impedì di prendere in braccio la bestiaccia, sospirando, mentre la micia faceva le fusa e si sfregava sul suo mento.

    Stupido gatto.

    Signor Walker, il suo nominativo mi è stato dato da un amico comune. Possiamo incontrarci?

    La voce all’altro capo era pura seta, avvolta nel velluto, e Jed si sentì ribollire le viscere. Knievel adesso faceva le fusa più forte; avvertiva che non era il centro del suo universo e cercava di toccargli il naso. Voltò la testa dall’altra parte e mollò la gatta sul divano mentre ci passava accanto. Col telefono incastrato fra la spalla e l’orecchio cercò una birra nel frigorifero evitando, se possibile, il latte scaduto e il formaggio ammuffito. Spiacente, principessa, grugnì, mentre spingeva via la senape, non faccio visite a domicilio. Tutto può essere portato avanti per telefono o e-mail, senza traccia e pronto per essere cestinato, e poi ognuno va per la sua strada. Lei mi capisce. Sono molto timido e riservato. Di indole delicata.

    Eccola, alla fine. Jed stappò la bottiglia e prese una lunga sorsata, chiedendosi chi lo avesse raccomandato al signor Voce Profonda. Forse era stato Kenny. Sennonché Kenny era ancora incazzato con lui per via dell’Irlanda, cosa comprensibile, considerato che lo aveva lasciato su un sentiero in fiamme con un gruppo di membri dell’IRA alle calcagna. Non sembrava che avessero avuto intenzione di organizzare un falò sulla spiaggia.

    Questo è inaccettabile. Devo vedere…

    Affare saltato. Jed interruppe allegramente la conversazione e sprofondò sul divano. Strofinava Knievel dietro le orecchie mentre faceva zapping, in attesa. Sottoponeva i nuovi clienti a un trattamento brusco, e non erano esattamente dei tipi qualsiasi quelli che lo chiamavano. Erano abituati a ottenere ogni volta ciò che volevano. Quel che dovevano capire era che Jed non lavorava per loro. Non a quelle condizioni. Era un professionista, il migliore sulla piazza, e non ascoltava i civili, a prescindere da quanti soldi fossero disposti a investire.

    Il telefono squillò di nuovo dieci minuti più tardi e Jed sorrise lasciando che entrasse in funzione la segreteria. Il suo nuovo miglior amico richiamò subito dopo e stavolta rispose, senza togliersi il sorrisetto dalla voce. Tutto può essere portato avanti per telefono o e-mail, senza lasciare tracce, grazie. Bene, è sicuro o vuole richiamare quando si è chiarito le idee? Si prenda tutto il tempo necessario. Nessuna fretta da parte mia.

    Le mando i dettagli. Ooh, quella voce sembrava incazzata. Jed amava davvero il suo lavoro, a volte. Mi contatti se i termini le sembrano accettabili. E signor Walker? Non mi piace che si giochi con me. Non lo faccia più.

    La conversazione era finita. Jed gettò da qualche parte il telefono, si distese stiracchiandosi e lamentandosi un po’ quando Knievel decise che la sua schiena era un buon posto sul quale dormire. Be’, la faccenda sembrava sul punto di farsi più interessante del solito.

    Capitolo 2

    Jed

    I WEEKEND erano fatti per il relax. Magari per tirare qualche calcio a un pallone ovale, ovunque si praticasse quel cliché, roba da americani. Forse, per gustare una birra fredda, un barbecue piacevole. Di sicuro, per fare un bel pisolino. Cose che richiamavano un senso di pigro benessere primordiale.

    I week end non si dovevano passare in un’auto puzzolente, a fissare una casa apparentemente vuota. Che la macchina puzzasse non dipendeva da lui. Knievel stava male durante i lunghi viaggi e lui forse aveva perso un hamburger da qualche parte nel sedile posteriore.

    Okay, forse era un po’ colpa sua.

    Qualcosa in quel lavoro stava andando per il verso sbagliato. Intanto, la paga era troppo alta e, benché Jed non avesse l’abitudine di fare domande, l’insistenza del cliente a non dire una parola sull’incarico era irritante. Perdio, non aveva bisogno di conoscere la sordida storia che stava dietro all’affare, ma in un lavoro di recupero sarebbe stato bello sapere se la cosa per cui avrebbe dovuto fare irruzione era più grande o più piccola di un maledetto portapane.

    Di qualunque cosa si trattasse, a quanto pareva si trovava in quella casa. Il cliente, conosciuto solo come Fil, benché Jed nelle sue note lo avesse soprannominato Voce Profonda – perché, in fondo, a chi non piace un soprannome eccentrico? – aveva detto che lo avrebbe capito una volta che fosse entrato. Davvero molto utile, sì. In base alle istruzioni, ciò che doveva prendere era l’unico oggetto di valore all’interno dell’abitazione.

    Jed, a dire il vero, voleva soltanto sbrigarsi e andare a casa. Era stata una settimana lunga, ed era più che pronto a concedersi una meritata vacanza. Forse poteva andare in uno di quei posti dove servivano i drink con le spadine di plastica al posto degli stuzzicadenti. Poteva affittare una casa sulla spiaggia, davanti all’oceano, sedersi sul molo e pescare tutto il giorno. Non era mai stato a pesca. Pensava che comunque se la sarebbe cavata.

    Se ne stava seduto lì da sei ore. Sei ore merdose e non si era mossa nemmeno una tenda. Se qualcuno si trovava in casa – cosa che dubitava – si trattava del più grande recluso dai tempi di Michael Jackson. Basta, mormorò fra sé spingendo una pistola nella cintura dei jeans, dietro la schiena, e allacciandone un’altra nella fondina sotto all’ascella. Adesso entro.

    Indossava un’uniforme generica da operaio. La targhetta sulla tuta grigia diceva Ted, aveva una cartellina per appunti e fogli. Alle quattro e mezzo del pomeriggio nessuno lo avrebbe degnato di un’altra occhiata. E poi sembrava che la casa avesse ricevuto l’ultima mano di vernice quando usare il piombo come componente era ancora legale, quindi a nessuno sarebbe probabilmente importato comunque.

    Bussò vivacemente alla porta, diede un’occhiata alle grondaie, in attesa. Tutta la casa era ormai spacciata, cazzo. Anche se si poteva intuire quanto fosse stata bella un tempo, anni e anni di trascuratezza l’avevano resa di un grigio malsano, macchiata dal tempo e in piena decadenza.

    Quando fece per bussare di nuovo, la porta si aprì improvvisamente, e se c’era un’azione che si potesse definire nervosa, era quella. Occhi che sembravano come l’oceano in tempesta, grigio-blu e profondissimi, lo guardavano da sotto una chioma ribelle di capelli castani. Jed balbettò fino a zittirsi, rimuginando una menzogna. Una delle molte, una fra le migliaia che aveva pronte. Tutto quel che faceva era mentire, ma quei dannati occhi, grandi e sorpresi, guardavano dritto verso di lui, e riuscivano a mandare ogni cosa in fumo.

    Io… Jed fece un respiro profondo e si riscosse un po’, sfoderando un sorriso intrigante, obliquo e sicuro di sé. Sono qui per controllare i tubi. Il suo vicino, là in fondo, ha avuto problemi con una perdita e avrei bisogno di far scorrere dell’acqua dai suoi rubinetti per vedere cosa succede. Va bene se entro?

    Senza attendere la risposta, superò l’uomo ed entrò nella stanza osservandola con attenzione. Se aveva pensato che l’esterno fosse deprimente, l’interno portava quel concetto a un nuovo livello. Una volta, quando si trovava in una stupida base all’estero, aveva visto un film. La sua squadra aveva usato quella base come scalo prima di recarsi nella giungla per un omicidio vecchio stile, ed erano arrivati in tempo per la serata del cinema. Dio solo sapeva di cosa parlasse – Jed se n’era andato a metà film per trovare un po’ di sollievo dallo stress che il governo non avrebbe approvato – ma c’era stata una scena ambientata in un manicomio che lo aveva tormentato per molti anni in seguito. Lo stesso colore triste ovunque, nulla che ispirasse calore o facesse sentire che qualcuno viveva ancora lì.

    Era questo che gli ricordava quella casa. Niente quadri. Nessun calore. Come se qualcuno ci fosse morto, anni prima, e soltanto le mura lo sapessero, nessun altro. Nel salotto c’era un divano quasi marcio, librerie coprivano la parete di fondo, i dorsi dei volumi consunti dall’uso. Eppure, era pulito. Tutto. Morto e appassito, senza colori né sentimento, ma pulito.

    Come si chiama? domandò Jed, spostandosi dal salotto alla cucina, attraverso il corridoio, l’andito e trovando l’identica situazione. Era come se l’intera casa avesse smesso di respirare.

    Redford, sentì bisbigliare alle sue spalle, con cautela, da una voce incerta e disorientata. Jed si scosse un po’, voltandosi per guardare l’uomo.

    Gesù, lei è un tipo silenzioso, mormorò Jed, passandosi la mano fra i capelli ed entrando nella camera da letto. Le prenderò un campanellino o qualcosa di simile. Redford lo seguì, ovviamente confuso ma senza protestare. Bene. Gli evitava di dover fare conversazione. Sono Jed. Cioè… Ted. Comunque, sono quello delle riparazioni. Sarò fuori dalle scatole in un attimo.

    La camera da letto non gli sembrava un posto nel quale potesse dormire qualcuno. Il letto era in ottone, spazioso, coperto da uno spesso strato di polvere. Eccola la fonte di tutta quell’oppressione soffocante, il posto dove finiva ogni cosa. Rose, che Jed immaginava fossero state di un rosso vivido, si erano scolorite fino a diventare di un colore pallido sulla trapunta che giaceva, intatta, sotto a un telo di plastica. C’era una lampada su un tavolo accanto al letto, delicati pizzi disposti come lacrime sul legno scuro. Lì non c’era mobilio marcio, consumato e rovinato. Non c’era legno scheggiato o tappezzeria strappata. Era tutto rimasto come congelato, mentre il tempo stendeva il

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1