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Del Rosa e del Nero
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E-book321 pagine2 ore

Del Rosa e del Nero

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Info su questo ebook

Un’antologia di racconti che si muovono, come richiamato dal titolo Del Rosa e del Nero, tra temi positivi, come la dolcezza, la passione e la vita, e negativi, come l’odio, la ferocia e la morte. Dodici storie che parlano di amori veri o sognati, di incontri con creature fantastiche, di rapporti familiari, di streghe, di delitti e... di elicotteri. Escludendo l’ultimo, composto alla fine degli anni ’80, gli altri racconti sono una selezione di quelli scritti a partire dal 2012.
LinguaItaliano
Data di uscita17 lug 2017
ISBN9788826483610
Del Rosa e del Nero

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    Del Rosa e del Nero - Giovanni Odino

    Giovanni Odino

    Del Rosa e del Nero

    Dodici racconti

    Antologia

    Copyright

    Del Rosa e del Nero

    Dodici racconti

    di Giovanni Odino

    Antologia

    ISBN: 9788826483610

    StreetLib® Self Publishing

    Progetto grafico di copertina dell’autore

    Immagine di copertina di Pixabay-Twighlightzone

    licenza Creative Commons CCo-1.0

    Il carattere usato per la copertina è Holtwood One SC

    licenza SIL Open Font Licenze

    I personaggi e i nomi sono inventati. Ogni riferimento a fatti accaduti e a persone realmente esistite o ancora in vita è da considerarsi assolutamente casuale

    © Tutti i diritti sono riservati

    Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta senza autorizzazione, fatta eccezione per brevi passaggi a scopo di recensione

    I racconti

    Un’antologia di racconti che si muovono, come richiamato dal titolo Del Rosa e del Nero, tra temi positivi, come la dolcezza, la passione e la vita, e negativi, come l’odio, la ferocia e la morte. Dodici storie che parlano di amori veri o sognati, di incontri con creature fantastiche, di rapporti familiari, di streghe, di delitti e... di elicotteri. Escludendo l’ultimo, composto alla fine degli anni ’80, gli altri racconti sono una selezione di quelli scritti a partire dal 2012.

    01. La consapevolezza della situazione.

    02. Il mondo di Cristina

    03. Lupi

    04. I colori dell’Anima

    05. Zaira

    06. Ritratti

    07. Come l’acqua al mare

    08. Whiteout

    09. La colpa non è del maggiordomo

    10. L’amore del lago

    11. Una salutare passeggiata nel bosco

    12. Il viaggio

    Dedica

    Dedico questa antologia a tutte le sognatrici e i sognatori

    che riescono a vedere il mondo nei suoi aspetti più nascosti

    e non solo nella sua rappresentazione più appariscente.

    Epigrafe

    Felix qui potuit rerum cognoscere causas.

    Fortunato colui che ha potuto conoscere le cause delle cose.

    (Virgilio Georgiche, lI, 489).

    Racconto 1 - La consapevolezza della situazione

    Racconto finalista alla prima edizione del concorso #SEMantica22 indetto dalla SEM Edizioni che, nel 2014, lo ha pubblicato come e-book nella collana Short list. Il tema era libero, ma con l'obbligo tassativo di contenere, in modo coerente con il testo, queste due frasi:

    1. da Opere e giorni, del poeta antico greco Esiodo: L'uomo migliore è colui che tutto capisce da sé, sapendo ciò che in séguito meglio sarà. Ma chi non sa capire da sé, né ciò che sente da altri, quello è un uomo da poco." Che troverete nella [01] prima pagina.

    2. da Il principe, del poeta, scrittore tedesco Hermann Hesse: Ho costruito un castello su un'estrema e silenziosa altura; la mia nostalgia sta là e guarda fin alla noia, ed il giorno si fa grigio, principessa, dove sei rimasta? Inserito in [02] questo punto.

    Dal 2015 è pubblicato come e-book in self-publishing tramite la piattaforma StreetLib®.

    Prologo

    «Nel pensiero del poeta greco Esiodo si trova una efficace anticipazione dei concetti di consapevolezza della situazione, di comunicazione e di sinergismo nel lavoro di gruppo. Come vedremo, non c’è nulla di nuovo sotto al sole. Noi parliamo di idee che erano già conosciute 2400 anni fa.»

    L’istruttore di Crew Resources Management cambia la proiezione sul muro della sala riunioni alla base Elisoccorso di Levaldigi. La scritta appare, bene evidenziata, sovrapposta all’immagine della scultura, tipicamente greca, di un viso barbuto.

    [1] L'uomo migliore è colui che tutto capisce da sé, sapendo ciò che in séguito meglio sarà. Ma chi non sa capire da sé, né ciò che sente da altri, quello è un uomo da poco. ;

    «Bella, ma cosa c’entra con noi?» interviene Giorgio con decisione. «Noi abbiamo bisogno che il tecnico abbia controllato bene l’elicottero, che il pilota sia abile, che il medico e l’infermiere sappiano come intervenire e che il tecnico del Soccorso Alpino, che oggi sono io, conosca il territorio e come muoversi. Gli antichi greci potevano anche filosofeggiare, ma noi necessitiamo di persone capaci e competenti.»

    L’istruttore annuisce e riprende il commento: «Quello che affermi è verissimo, se non foste preparati e in grado di portare a termine i vostri compiti non potreste far parte dell’equipaggio di soccorso, ma l’argomento dell’incontro CRM di oggi pone l’attenzione sulla Consapevolezza della situazione, singola e collettiva, e sulle dinamiche all’interno del gruppo…»

    Il suono della campanella e l’accensione della luce rossa ci avvisano della chiamata di emergenza.

    Corro al telefono mentre Luciano si precipita all’elicottero, parcheggiato sul piazzale a poca distanza, per approntarlo al decollo. Paolo e Monica raccolgono i loro zaini medici e lo raggiungono. Giorgio si preoccupa di prendere le ricetrasmittenti portatili.

    «Ciao, è Charlie Zero» avvisa l’infermiera della centrale 118 non appena alzo la cornetta del telefono «devi andare a Canosio in Val Maira. Codice Giallo Due Kilo. Malore di persona anziana cardiopatica. Le notizie sono di visibilità scarsa.»

    «Ricevuto. Conosco il posto. Nell’intervento di stamattina la Val Varaita era libera dalla nebbia, proverò a passare da quella parte e poi vi farò sapere. Tieni presente, se non dovessi riuscire, l'invio dell’ambulanza. Vado.»

    1

    «Riesci a vedere qualche posto idoneo per fermarci?» chiedo cercando di non tradire alcun nervosismo.

    Il comandante deve mantenere la calma e trasmettere fiducia all’equipaggio. Mi sa che avrei tanto bisogno io di qualcuno che puntellasse la mia fiducia.

    «Niente. Solo alberi. Forse conviene tornare indietro» risponde Luciano. Noto con un tono di voce leggermente più alto del normale.

    «Indietro è anche peggio.»

    «Non possiamo salire sopra le nubi?»

    «Hai letto anche tu i bollettini meteo. Sopra di noi c’è uno spesso strato con forti condizioni di ghiaccio. Significa che in pochi secondi se ne formerebbe talmente tanto sulle pale del rotore che saremmo fregati.»

    «Ma non dovevano darci l’elicottero nuovo con i sistemi antighiaccio?»

    «Aspetta e spera. Era un annuncio per il popolo.»

    «Si può sapere di cosa parlate?» interviene con decisione Paolo dalla parte posteriore della cabina. La sua voce giunge forte dagli auricolari delle cuffie: «Avanti non si va, indietro non si torna, salire non si sale, scendere non si può. E voi vi mettete a discutere dei nuovi modelli di elicottero?»

    «Ci prepariamo per quando lo compreranno» rispondo, cercando di essere spiritoso.

    «Prova a dirla in altro modo» s’intromette Giorgio.

    «Va bene, allora, se proprio lo volete sapere: non so più che cazzo fare. Il nostro Paolo, da bravo medico, ha diagnosticato la malattia dell’equipaggio.»

    Passa qualche secondo prima che si senta la voce di Monica.

    «Scusate, sarà che io sono Infermiera e ho fatto qualche anno d’università in meno del medico, ma non ho mica capito: di quale cazzo di malattia parli?»

    Decisamente la tensione sta salendo. Altrimenti Monica non si sarebbe espressa così. Meglio essere seri.

    «Scusami» le rispondo. «In queste condizioni mi era venuto in mente l’argomento dell’incontro CRM che abbiamo interrotto.»

    «E allora?»

    «L’istruttore ci ha detto che la cosa più importante è che la nostra mente deve sempre mantenere una chiara e precisa Consapevolezza della situazione.»

    «E allora?» ripete.

    «Ecco, siccome qui nessuno riesce a prendere decisioni, mi pare chiaro che non abbiamo consapevolezze di sorta. Quindi le nostre menti hanno un grave deficit.»

    «La tua mente. Siamo in volo, quindi sei tu che deve decidere cosa fare.»

    La logica di Monica non fa una piega, ma neanche porta elementi per aiutarmi aiuta a decidere cosa fare.

    «Lì va bene. Vira a sinistra!» quasi urla Luciano. Inclino l’elicottero per virare stretto e permettergli di non perdere di vista il luogo individuato. «Si, sì, va bene. Lo vedi? C’è una casa diroccata e subito a lato uno spiazzo.»

    «Lo vedo» rispondo per rassicurarlo.

    Cambio il senso della virata. L’inclinazione a destra mi permette di esaminare bene il piccolo appezzamento di terreno. Mi faccio la mappa mentale della traiettoria di volo che devo seguire per atterrare.

    «Avete sentito?» avviso a tutti «Rimanete seduti correttamente, stringete le cinture e controllate che tutti gli oggetti siano vincolati. Per favore guardate fuori anche voi e se vedete teleferiche o linee elettriche segnalatelo. Atterriamo.»

    «Falla finita e vai» mi esorta Paolo.

    «Hai finito di blaterare? Vuoi deciderti?» insiste Giorgio.

    «Se non te la senti posso pilotare io» conclude insolente Monica.

    Chissà se il nostro ispettore dell’aviazione civile avrebbe da dire sulla standardizzazione delle comunicazioni. Altro che: Aquila uno chiama Aquila due; Roger; Come mi ricevete? Passo e chiudo. O cose simili. Qui va di moda la fantasia al potere.

    Eseguo la manovra con cautela e attenzione. Arrivati sopra il punto di atterraggio, Luciano mi avvisa: «Apro la porta per verificare il terreno. Mi avvicino a circa venti centimetri dal terreno e mantengo l’elicottero fermo senza appoggiarlo a terra, mentre Luciano scende spostando il peso con lentezza e senza movimenti nervosi, così da facilitarmi la manovra. Le poche oscillazioni non sono un problema. Una veloce occhiata da vicino e poi si mette davanti a me e mi accompagna, usando i segnali con le braccia, sul punto esatto dove prendere contatto con il terreno.

    «Anche questa volta è andata» commenta Paolo non appena l’elicottero si è appoggiato stabilmente al suolo.

    Sempre a fare quello che, quando piloto io, scampa alle catastrofi. Se non fosse che lo conosco bene e so che mi stima, mi farebbe incazzare.

    Metto le turbine al minimo per i canonici due minuti di raffreddamento.

    «Giorgio!» chiamo, ancora seduto in cabina, sporgendomi dal finestrino. «Dovresti provare con la tua ricetrasmittente a sentire qualcuno sulla frequenza del Soccorso Alpino. Chiunque sia, spiega bene la situazione e chiedi che informino la Centrale 118.»

    Giorgio annuisce e si allontana trafficando con i tasti delle frequenze.

    Fermo le turbine e controllo la procedura di spegnimento. Lascio la batteria inserita e provo, senza tante illusioni, a contattare la Centrale Operativa.

    «Charlie Zero da Charlie Eco.»

    Riprovo: «Charlie Zero da Charlie Eco.»

    Decido di trasmettere un messaggio all’aria, nella speranza, seppur minima, che loro mi possano sentire e che sia io a non riceverli.

    «Charlie Zero da Charlie Eco, trasmissione all’aria. Causa cattive condizioni meteo, siamo atterrati in Val Varaita, pochi chilometri a sud di Villar e Sampeyre. Siamo chiusi dalla nebbia. Aspetteremo che la situazione migliori.»

    Ripeto una comunicazione simile sulla frequenza dell’aeroporto di Levaldigi. Sanno che quando siamo nelle valli il contatto radio è precario, ma quando l’attesa si prolunga cominciano a preoccuparsi.

    «Ho provato, ma zero assoluto» m’informa Giorgio sui risultati dei suoi tentativi.

    Metto in Off la batteria e scendo dall’elicottero. Il freddo è pungente.

    «E adesso?» chiede Monica? Ma si capisce che è la domanda di tutti, escluso Luciano, conscio che ci vuole pazienza.

    «Adesso aspettiamo che diminuisca la nebbia. O che si alzino le nubi. Noi siamo in mezzo ai due strati.»

    «Riusciremo ad andarcene?» chiede Paolo.

    «Non te lo so dire. Sono le due e delle volte succede che nel tardo pomeriggio la nebbia diminuisca. Non farei affidamento sull’alzarsi della base delle nubi, perché il bollettino meteo ci ha avvisato che è una condizione stabile. Non ci resta che avere pazienza e aspettare.»

    «Hai idea di dove siamo?» mi chiede Monica.

    «Più o meno. Ti faccio vedere.»

    Prendo la cartina dei sentieri di montagna dalla cabina dell’elicottero.

    «Ecco, vedi» le mostro aprendola «La chiamata era per Canosio, nella Val Maira. Non potevamo andare direttamente per colpa della nebbia. Nella mia immensa stupidità avevo pensato di risalire la Valle Varaita e poi di scavalcare la catena montuosa. Ti ricordi che appena dopo Sampeyre ho detto che mi sembrava buono e ho virato a sinistra cominciando a salire?»

    «Mi ricordo, eri basso sulle piante, mi sembrava quasi che fossimo in seggiovia, più che in elicottero.»

    «Eravamo bassi, ma a velocità ridotta potevo separarmi dagli ostacoli in sicurezza.»

    «Qui ho dovuto arrendermi, a sud di Villar.» Le faccio un circoletto con le dita sulla cartina.

    «Siamo abbastanza vicini al paese, volendo potremmo andarci a piedi.»

    «In teoria sì. Ma dubito che il sentierino sia ancora praticabile.»

    «Giorgio riuscirebbe a arrivare a Villar o a Sampeyre. Lui si sa muovere su questi terreni. Luciano potrebbe andare con lui. E io e Paolo ce la faremmo. Ma tu dovrai invecchiare in questo posto» mi risponde comunicandomi chiaramente cosa pensa delle mie capacità escursionistiche.

    «Andiamo a vedere com’è dentro?» chiede Giorgio.

    Ci voltiamo a guardare bene la costruzione. Mi prende un freddo improvviso.

    «È inquietante» dice Monica, rubandomi la parola di bocca.

    La casa è una costruzione in pietra. Si capisce che all’origine doveva essere di due piani, ma quello superiore è completamente collassato. Le capriate di legno sono rotte e le lose della copertura cono sparse all’interno e all’intorno del rudere.

    Come casetta d’alta montagna aveva delle pretese: normalmente sono più modeste e hanno il piano superiore adibito a fienile o a essiccatoio per le castagne, a seconda di quanto offriva il territorio. In quello inferiore c’erano la stalla e l’abitazione vera e propria.

    La porta è sfondata. Entriamo. Ci troviamo in una stanza illuminata solo dalla luce che entra dalla porta, perché le due finestre alle pareti laterali sono coperte dalla vegetazione esterna e da imposte molto malmesse. Se c’era, la mobilia è stata portata via. La parete di fronte è occupata da un camino. A lato c’è una porticina sgangherata e messa mezza di traverso dalla quale si accede a quella che doveva essere la camera da letto che ha una piccola finestra nelle stesse condizioni delle altre. Non riesco a vedere bene. Abbiamo tutti delle piccole torce elettriche, fanno parte della dotazione. Le accendiamo, illuminando l’ambiente.

    Un’atmosfera strana, quasi triste. Eppure… mi sembra di esserci già stato. Devo chiedere a Luciano se siamo già atterrati qui. Me la ricordo messa meglio. Molto meglio. Una casa abitabile. Impossibile che fosse questa.

    Di nuovo quel senso di freddo. Sembra provenire direttamente dalla casa. Eppure... io sono già stato qui. Ma quando la casa era nuova. Ora mi sembra di ricordarla bene. Non può essere, questa casa era già in cattivo stato non meno di cento anni fa e da quando è stata costruita saranno passati duecento anni.

    Che bella casa ho costruito.

    Ho costruito? Vaneggio.

    E adesso è pronta. Ci sono i gerani alle finestre e le camere sono completate.

    Ma cosa succede? Sono io quello che parla?

    È tanto che ti aspetto, principessa. Avevi promesso che se avessi costruito una casa per noi, una bella casa, con le tendine e i gerani alle finestre, saresti venuta da me.

    Ho le allucinazioni. Oppure uno sdoppiamento di personalità. Ma se così fosse non mi ricorderei dell’una quando sono l’altra e viceversa.

    ***

    «Ofelia.»

    "Guardo con trepidazione quella terrazzina che sporge dalla facciata della casetta allineata con le altre lungo la stradina del paese.

    «Ofelia, mostrati.»

    Eccola. Meravigliosa principessa dagli occhi verdi come i prati davanti alla casa che ho costruito per noi.

    «Perché mi chiami? Cosa vuoi? Non ti conosco.»

    Sono in ombra e fa fatica a riconoscermi. Ha i capelli biondi come il grano che coltiverò per lei e le labbra rosse come le fragole che crescono nei boschi intorno alla nostra casa.

    «Ofelia, sono io, Giovanni. Ho costruito il nostro castello.»

    «Giovanni? Io ti conosco, mi dici?»

    «Ofelia, sono Giovanni.»

    «Non ti conosco e non so di quale castello tu vada parlando.»

    «Ofelia, non prenderti gioco di me. Ho davvero finito il nostro castello.»

    «Il nostro castello? Ma quali parole escono dalla tua bocca?»

    «Ofelia, il nostro castello, non ricordi?»

    «Cosa dovrei ricordare?»

    «I nostri progetti per una vita insieme, Ofelia..»

    «E quando avremmo fatto, codesti progetti? Perché non li ricordo?»

    «È stato alla festa della Madonna Nera di Becetto. Ti ho incontrata al Santuario e ti ho avvicinata. Ricordo che indossavi la veste fiorita e che dalla cuffia ti uscivano i capelli come raggi di sole.»

    «E dunque?»

    «Ti dissi com’eri bella e tu accettasti la mia corte.»

    «Era la fine di maggio… alla festa. Ora ricordo. Ma non fu in quella del mese appena trascorso. E neanche l’anno passato. Fu più di due anni fa.»

    «E così fu. Dio ti ringrazio. Ti ricordi della promessa?»

    «Quale promessa, di grazia?»

    «Tu mi dicesti che se io avessi costruito per noi un castello sui monti, in un posto da dove si vedessero i lontani boschi silenti, oltre i fiumi e i prati, una dimora da decorare con canti di gioia e dove tu avresti potuto cingerti il capo con le trecce dei tuoi capelli frammiste a corone di felicità…»

    «Ero fanciulla, allora…»

    «Dunque ricordi? Mi riconosci? Sono Giovanni. L’amore improvviso, ecco, così mi chiamasti: amore improvviso sceso dal monte sulle ali dell’astore.»

    «Ero giovinetta, non sapevo…»

    «Ma giurasti che mi avresti aspettato e che se avessi costruito un castello per noi, tu lo avresti abitato con me. Lo avresti decorato con tende bianche e fiori a tutte le finestre e avremmo dimenticato ciò che è piccolo e brutto.»

    «Sì, ma ero una bambina sciocca che parlava per sentire il suono delle parole.»

    «Non importa. Ho costruito il nostro castello. Ci attende per la nostra felicità. Potremo disimparare tutto e ricominciare.»

    «Mi dispiace, è troppo tardi, Giovanni…»

    «Vedi che ti ricordi di me? Come è dolce il mio nome sulle tue labbra. Anche allora lo pronunciasti più e più volte, in un gioco di canto e controcanto: Giovanni, Giovanni, Giovanni… Per questi due anni mi ha tenuto compagnia, pietra dopo pietra, trave dopo trave, losa dopo losa. Mentre costruivo il nostro castello, sentivo nelle orecchie e nel cuore la tua voce che pronunciava il mio nome. Mi dava la forza, nel gelo, nella neve, nella pioggia. Non ho mai smesso di costruire. Tutti i mobili ho tagliato e tutti li ho decorati con rosoni e fiori. Non un cassetto, per scaldare la nostra casa, ho lascito senza il simbolo del sole. Ora è pronta. Aspetta noi, aspetta te. Perché senza di te è solo un luogo senza senso.»

    «Giovanni. Non ti ho mentito allora. Sarei scappata subito con te. Ma il tempo, i parenti, la mamma. Sono promessa, Giovanni. Sono promessa.»

    «Come promessa? A me facesti la promessa. Quale altra potrebbe avere più valore? Fu una promessa d’amore e io ho rispettato l’impegno. Non ho neanche più pensato ad altre. Sapevo che c’era la tua promessa, che c’eri tu.»

    «Giovanni, oh Giovanni, potessi tornare indietro.»

    «Perché non potresti? Abbiamo la nostra casa. L’ho costruita alta come un castello perché tu possa guardare dalla finestra i boschi silenti.»

    «Giovanni, come i boschi, anche tu eri silente nel mio cuore. Non udivo più l’impeto delle tue parole e ho potuto dimenticarmene. E tra un mese, nei giorni di San Magno, andrò sposa a Richard.»

    O Signore, Signore, non permettere questo. Non permettere che il dolore s’impossessi del mio cuore. Tu sai che non ho peccato se non, forse, della presunzione di costruire da solo la casa alta come un castello. Non devi, Signore, renderla una Babele, perché non l’hanno elevata moltitudini di uomini, ma solo io, con l’aiuto Tuo e nel ricordo della promessa di Ofelia. Perché permetti, signore, che venga meno al giuramento?

    «No, no, nooo… Non voglio sentire questo. Dimmi che non è vero, che vuoi divertirti. Mi ricordo che anche allora ti piaceva scherzare con il mio cuore. E lo facesti: quante volte hai permesso che le mie labbra sentissero il calore delle tue, per poi ritrarti. Un gioco impudente che è inciso nel mio cuore come i segni del sole nel letto che ho preparato per noi.»

    «Pensavo che fosse come un sole al tramonto che ti scalda quel tanto prima d’inabissarsi; che fosse come il volo di una farfalla, un disegno bellissimo ed effimero; che fosse come un fiocco di neve catturato con la mano: ne intravedi i disegni e già è disciolto. Io non sapevo dell’amore.»

    «Ofelia, cosa fai alla finestra? Sei anche senza cuffia. Chiudi e vieni ad aiutarmi, dobbiamo completare i ricami del corredo.»

    «Ora vengo... Giovanni, perdonami.»

    «Non andare. Ofelia, vieni via con me. Scendi dalla finestra. Ti prendo io, con queste braccia. Sono diventate fortissime per costruire la nostra casa e potranno sostenere anche il tuo volo verso di me.»

    «Ofelia! Allora? Con chi parli?»

    «Vengo! Giovanni, devo...»

    «Non devi. Non devi niente. Devi

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