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Di corvi e di ombre
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Di corvi e di ombre
E-book276 pagine3 ore

Di corvi e di ombre

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Info su questo ebook

Di Corvi e di Ombre... Innanzitutto ben arrivati. Ritengo che una spiegazione sia doverosa riguardo a ciò che incontrerete nella lettura. E non solo per mettervi in guardia. Nella prima parte, ‘I Corvi’ , vi imbatterete in racconti crudeli, eventi che potrebbero accadere e magari lasciare traccia in un articolo di cronaca nera oppure in qualche segreto inconfessato ed inconfessabile di un vostro amico o familiare. Non c'è pietà e neppure redenzione. E' il buio dell'anima che avanza insieme al fruscio del volo dei corvi, al silenzio squarciato dal loro gracchiare e alla piuma nera che potreste trovare davanti alla porta. E' la parte di noi che rifiutiamo ma che comunque resta lì, ben radicata e pronta ad emergere nelle dispute di ogni giorno o nello sguardo malevolo del vostro vicino. Rappresentano la Realtà percepita e, scomodando Aristotele, è la parte Essoterica della raccolta, quindi pubblica e conosciuta a tutti. La seconda parte, più corposa, sono 'Le Ombre’ e cioè il paranormale che irrompe nella quotidianità. Situazioni inspiegabili come il brivido lungo la schiena che ogni tanto vi coglie nelle ore antelucane, quando la ragione si assopisce e le ataviche Ombre prendono il sopravvento, insinuandosi dalle crepe dei muri e dalle finestre socchiuse. E' tutto ciò che vi sveglia nel cuore della notte, madidi di sudore e con una strana sensazione alla quale non riuscite a dare forma. Ma del resto, come si potrebbe imprigionare un'Ombra? Forse neppure un'Idea è in grado di farlo... Questa è la parte Esoterica, destinata ai soli discepoli. A chi sa credere al Paranormale. A chi vuole lanciare uno sguardo verso l'Altrove. ‘Il Nulla’ invece… Beh, quello è un discorso a parte… E' il termine di tutta questa breve dissertazione. Dove non ci sono i Corvi e le Ombre c'è la quiete? Oppure il Nulla?
LinguaItaliano
Data di uscita27 gen 2014
ISBN9788868855390
Di corvi e di ombre

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    Di corvi e di ombre - Gabriele Luzzini

    Gabriele Luzzini

    DI CORVI E DI OMBRE

    Progettazione Copertina, Artwork e Fotografie: La Soglia Oscura

    Tutti i diritti sui testi presenti sono dell'autore.

    Ogni riproduzione anche parziale non preventivamente autorizzata costituisce violazione del diritto d'autore.

    Copyright © Gabriele Luzzini

    Prima edizione 2014

    Diritti di traduzioni, riproduzione e adattamento totale o parziale e con qualsiasi mezzo, riservato per tutti i paesi.

    A Voi, che state leggendo queste righe.

    Sì... proprio a Voi è dedicato questo libro.

    Forse ci conosciamo o magari ci incontreremo domani o tra mille anni.

    E' possibile che ci siamo incrociati in una vita precedente oppure in un'altra dimensione.

    Mi avete incoraggiato a raccogliere i racconti o, diversamente, avete iniziato questa lettura per caso, d'impulso.

    Può darsi che mi abbiate sostenuto, supportato ma anche che non abbiate mai sentito parlare di me, finora. 

    Ripeto. E' dedicato a Voi.

    E ai Corvi e alle Ombre che hanno ispirato questo libro.

    Introduzione

    Di Corvi e di Ombre...

    Innanzitutto ben arrivati. Ritengo che una spiegazione sia doverosa riguardo a ciò che incontrerete nella lettura. 

    E non solo per mettervi in guardia.

    Nella prima parte, ‘I Corvi’ , vi imbatterete in racconti crudeli, eventi che potrebbero accadere e magari lasciare traccia in un articolo di cronaca nera oppure in qualche segreto inconfessato ed inconfessabile di un vostro amico o familiare.

    Non c'è pietà e neppure redenzione. E' il buio dell'anima che avanza insieme al fruscio del volo dei corvi, al silenzio squarciato dal loro gracchiare e alla piuma nera che potreste trovare davanti alla porta. E' la parte di noi che rifiutiamo ma che comunque resta lì, ben radicata e pronta ad emergere nelle dispute di ogni giorno o nello sguardo malevolo del vostro vicino.

    Rappresentano la Realtà percepita e, scomodando Aristotele, è la parte Essoterica della raccolta, quindi pubblica e conosciuta a tutti.

    La seconda parte, più corposa, sono 'Le Ombre’ e cioè il paranormale che irrompe nella quotidianità. Situazioni inspiegabili come il brivido lungo la schiena che ogni tanto vi coglie nelle ore antelucane, quando la ragione si assopisce e le ataviche Ombre prendono il sopravvento, insinuandosi dalle crepe dei muri e dalle finestre socchiuse. E' tutto ciò che vi sveglia nel cuore della notte, madidi di sudore e con una strana sensazione alla quale non riuscite a dare forma. 

    Ma del resto, come si potrebbe imprigionare un'Ombra? Forse neppure un'Idea è in grado di farlo...

    Questa è la parte Esoterica, destinata ai soli discepoli. A chi sa credere al Paranormale. A chi vuole lanciare uno sguardo verso l'Altrove.

    ‘Il Nulla’  invece… Beh, quello è un discorso a parte… E' il termine di tutta questa breve dissertazione. 

    Dove non ci sono i Corvi e le Ombre c'è la quiete? Oppure il Nulla?

    Prima arrivarono i Corvi.

    Sopraggiunsero poi le Ombre.

    Infine non rimase più Nulla.

    Parte 1

    I CORVI

    LA RISPOSTA GIUSTA

    «Sto selezionando una persona adeguata all’incarico… Lei non è il primo e pertanto non cerchi di impressionarmi. Sia solo sincero...» esordì bruscamente l’uomo in doppiopetto e dal volto malaticcio, mollemente adagiato sulla poltrona dietro la scrivania mentre si accarezzava la barba brizzolata.

    Arturo Mainoni non riusciva distogliere lo sguardo dall’espressione determinata dall’uomo. Accidenti… cosa faceva lì? Oltretutto era la sua prima esperienza in quel settore.

    Intanto, il suo interlocutore giocherellava con un avana. Stava aspettando che il ragazzo dicesse qualcosa.

    «Credo di essere la persona adatta. Può tranquillamente valutare le mie credenziali tramite la persona che mi ha presentato a lei. Innanzitutto so gestire situazioni di questo tipo…»  mentì il giovane.

    Sarebbe stato il suo esordio nello svolgere un simile incarico ma non voleva assolutamente fornire l’idea di essere quel che comunemente veniva definito un 'improvvisato'.

    Gli occhi gelidi dell’esaminatore lo stavano scandagliando senza pietà alla ricerca di una falla nella sua armatura… Una qualsiasi fessura con la quale annientarlo.

    Che sensazione assurda. Del resto si stava solo parlando di lavoro e l’uomo stava svolgendo egregiamente il compito di individuare il candidato migliore.

    «Ora un piccolo test psicologico, Sig. Mainoni… Oppure posso chiamarla Arturo?»  disse l’esaminatore con una voce lievemente baritonale.

    «Sì, certo… Arturo va benissimo…»  replicò accomodante.

    «Invece lei mi può pure chiamare Dottor Beliallo…- esclamò sornione – Dunque… E’ notte e Lei sta tornando a casa. L’aspetta la sua famiglia. L’ora è davvero tarda. E scoppia una ruota. L’auto sbanda ma riesce comunque ad accostare…».

    Il giovane annuiva in silenzio cercando di intuire cosa avrebbe sviluppato il suo interlocutore.

    «E' una strada secondaria, poco battuta e le tacche sul suo smartphone segnalano che non c’è campo. Inoltre, caro Arturo, mentre si accinge a cambiare la ruota, nota che anche quella di scorta è lacerata ed inutilizzabile. Che situazione spiacevole, non trova?»  concluse con un sogghigno Beliallo.

    «Non mi lascia molti assi nella manica...»  smorzò Arturo. Stava prendendo coraggio. Se era lì, probabilmente qualche possibilità di superare il colloquio la aveva. Doveva solo capire come rispondere.

    «Sta passando qualche altra automobile?»  si premurò di chiedere.

    «Vede due fari all’orizzonte… Sarà poco più di un chilometro…» lo rassicurò.

    «Attendo il passaggio dell’auto al bordo della strada»  dichiarò Arturo.

    Ora si stava immedesimando nella situazione proposta da quella sorta di gioco di ruolo.

    Sentiva i battiti del cuore leggermente accelerati, ma li ignorò.

    «Non si ferma…»  rimbeccò laconico il barbuto ben vestito.

    Una pausa di silenzio. Il ragazzo ebbe la sensazione di aver sbagliato la replica. E dire che sembrava l’azione più scontata.

    I secondi passavano con lentezza esasperante. Era certo che ormai era prossimo al congedo: Se fosse riuscito a dare la risposta giusta! Conscio della propria inadeguatezza, attendeva il commiato.

    «Ancora due fari all’orizzonte…».

    Arturo trasalì… Il Sig. Beliallo sembrava porgergli un’altra possibilità. Ora non avrebbe fallito.

    «Mi metto in mezzo alla strada, rischiando di essere investito!» rispose con fermezza.

    «L’auto inchioda lasciando una striscia di pneumatico sull’asfalto… Il guidatore scende imprecando…» visualizzò l’esaminatore.

    «Mi avvicino e gli sfondo il cranio col crick della mia auto… Dopodiché, ripulisco gli eventuali grumi rappresi sull’estremità di acciaio dello strumento, carico il corpo nel bagaglio dell’auto e mi metto al posto di guida…» affermò gelidamente l’esaminando.

    Beliallo sorrise come uno sciacallo, mostrando gengive consunte e denti ingialliti e porosi. Dopodiché, aprì un cassetto della sua scrivania di mogano e mise sul tavolo una busta colma di denaro ed un revolver col silenziatore.

    Arturo osservò la busta e, quasi timidamente, disse: «Posso?».

    L’uomo annuì bonario.

    Il ragazzo li contò. Erano 30.000 esatti. Come pattuito.

    Subito dopo, prese la pistola ed esplose due colpi in pieno volto al dottor Beliallo che sussultò sulla poltrona e si accasciò. I riflessi nervosi fecero vibrare la mano sinistra ancora per qualche secondo. Arturo Mainoni era abituato a questo, aveva già visto altre volte quella bizzarra reazione del corpo umano durante alcune  missioni.

    Si alzò, lisciò la cravatta e si avvicinò al cadavere. Tastò il polso evitando accuratamente gli schizzi di sangue che imbrattavano la scrivania. Nessun segno vitale.

    Il giovane prese i soldi e pulì accuratamente l’arma per poi abbandonarla appena uscito dall’edificio in un cestino della spazzatura.

    Arturo era un killer professionista che aveva già risolto decine di contratti, ma quella era la prima volta che un malato terminale lo contattava… Una morte dignitosa evitando il sinistro carosello di ospedali che avrebbe solo protratto l’agonia.

    Il cancro non perdona. Neppure gli uomini ricchi. Arturo aveva ucciso una persona già morta.

    Quasi gli sembrò di aver fatto una buona azione.

    IL PRIGIONIERO

    Il vecchio sdentato, con una ciotola tra le mani, scese gli scalini facendosi largo nella penombra che si annidava nei sotterranei. Con passo inusitatamente agile, raggiunse l’inferriata di una cella angusta, posta nell’ala più remota.

    Le scarpe malridotte sbattevano sulla roccia sbrecciata del pavimento mentre un movimento ondoso animava il contenuto della scodella.

    Mani ben curate si protesero oltre le sbarre, per afferrare la pietanza brodosa.

    Con l’occhio buono il carceriere frugava nello sguardo del nobile imprigionato. Era uno importante, così continuavano a ripetergli, ma lui lo sapeva bene. Qualcosa di innominabile lo aveva trascinato lì. Ovunque, non si parlava d’altro.

    «Sai chi sono, pover’uomo?» profferì altezzosamente l’ospite forzato.

    L’anziano intanto lo stava squadrando, cercando di non soffermarsi troppo su quella bocca ferina incorniciata da una barba nerissima coi riflessi bluastri.

    «Certo Barone… Shignoria Voshtra ha delle necesshità?» replicò strascicando le S.

    «Che fastidioso difetto di pronuncia, vegliardo. Per ascoltare da te un discorso più complesso sarebbe necessaria una settimana. In altri tempi ti avrei fatto strappare la lingua…» lo piccò con ferocia dialettica.

    L’anziano esibì un ghigno irregolare, dove spazi scuri si alternavano a zanne squadrate.

    «E per favore, risparmiami la tua dentatura equina. E’ ributtante» concluse il prigioniero tirando a sé la stoviglia colma di liquame. Ma il vecchio sembrava non volerla cedere. Il barone non si aspettava una presa così sicura e determinata.

    Un refolo di aria stantia gli solleticò le narici, insieme ad un penetrante puzzo di cipolla. Non era certo un piatto prelibato quello per il quale stava lottando e comunque non era nella miglior posizione per far sfoggio della sua abituale arroganza.

    Perciò sorrise. Improvvisamente la scodella era nelle sue mani. Dimentico della grazia che lo aveva sempre contraddistinto nelle occasioni di convivialità, serrò le labbra e bevve con rapidità, senza avvertirne l’aroma penetrante ed acidulo.

    Quando finì, l'anziano individuo era ancora lì con le braccia conserte, accanto alla torcia che ardeva sulla parete, e continuava a fissarlo.

    La lezione di umiltà che aveva appena subito alimentò improvvisamente la protervia, che divampò come un incendio.

    «Cosa hai da guardare, dannato vecchio? Sono pur sempre Maresciallo di Francia e ho combattuto pure per la tua misera vita. Vattene!» urlò con rabbia.

    Ma lui non si mosse. Era sempre lì a guardarlo. Una strana luce dardeggiò nell’occhio grigio ed anche l’altro, lattiginoso e circoscritto da una cicatrice, sembrava aver ripreso vita.

    Una lacrima scendeva sulle gote rugose ed il suono della goccia che si abbatteva sul suolo fu perfettamente percepibile. Stava piangendo per un dolore antico e per uno recente. 

    Il barone percepiva la fisicità dell’abisso che si era spalancato nel cuore del vivandiere.

    «Io shono Pierre du Champ, padre di Vincent…- si presentò il vecchio - Mio figlio ha combattuto al vostro fianco nella battaglia di Patay…».

    Il carcerato inarcò una sopracciglia mentre con la mano si accarezzava la barba. Ancora ricordava il clangore dei combattimenti ed i polsi che parevano voler cedere ad ogni colpo di spada.

    Non rammentava questo Vincent du Champ ma il cognome era ben infisso nella sua memoria. Per quale ragione?

    «il mio ragazzo è morto combattendo e ho penshato io a tirar grande il shuo ragazzo Michel» continuò a raccontare il vecchio, asciugandosi l’occhio con la manica della casacca logora che indossava.

    Improvvisamente, nella mente del barone tutto si riallineò. Il mosaico si compose. Michel du Champ. Il nome lo aveva sentito quando gli avevano letto i capi d’accusa.

    Pierre avvertì che l’aristocratico aveva compreso… «Dicono che ve ne shiete preshi almeno 200. Che li avete masshacrati, macellati, fatti a pezzi, shacrificati a Shatana… A me non interesshano tutti gli altri. A me importa shapere perché proprio mio nipote» sbraitò l’uomo. La voce tremava, eppure la potenza e la risolutezza erano innegabili.

    «Mi vuoi uccidere?» domandò esitando il prigioniero. La morsa della pena che provava il vecchio lo stava attagliando, gli spappolava il fiato, rendeva inutili i polmoni. Era una sensazione nuova. Qualcuno l’avrebbe potuta scambiare per rimorso.

    «Non intendo anticipare il voshtro deshtino, Barone de Rais… - proseguì il vecchio – Voglio sholo shapere se eshishte un significato per la malasorte di mio nipote…».

    Gilles de Rais incurvò le spalle possenti e si tuffo nelle buie acque del volto di Pierre. Pensò alla follia che lo aveva governato per tutti quegli anni, alle pratiche occultiste sviluppate con Francesco Prelati, al demone Barron e a tutte le efferatezze che aveva compiuto, al di là di ogni comprensione, oltre ogni senso.

    Era stato tutto così veloce. Non riusciva a guardare cosa c’era stato in lui prima dell’assoluta pazzia. Si sentiva vuoto. Neppure le parole degli inquisitori lo avevano scosso così. Aveva confessato solo per evitare la tortura.

    Ma ora… Non poteva sfuggire ai tormenti terribili coi quali il vecchio lo aveva ammorbato. L’angoscia era qualcosa di reale, tangibile, che si poteva trasmettere come la peste. E ora sentiva le pustole della coscienza esplodergli dentro e fuori il corpo.

    «Insegnami la Pietà…» sussurrò rocamente il barone. Non fu più capace di dire altro.

    Il vecchio attese ancora qualche minuto ma de Rais si era completamente ammutolito.

    In silenzio, risalì la scala di pietra.

    Quella sera, poco prima di addormentarsi, il prigioniero ricordò Jehanne Darc, la sua fierezza e la sua dignità. L’inviata di Dio. Si rammentò delle battaglie combattute insieme. Il demonio ora dormiva, la sua mente non era più obnubilata.

    Un torpore si diffuse nel corpo mentre sensazioni che non conosceva lo avvolsero. Presto tutto sarebbe finito. Era questioni di giorni, lo sapeva bene. Una sorte analoga a quella di Jehanne… Eppure, in quel momento, l’unica cosa che avvertiva era il calvario di Pierre, che ancora aleggiava nelle vicinanze.

    NdA: Il 26 ottobre 1440 Gilles de Rais venne giustiziato per impiccagione e il suo corpo arso. Poco prima dell’applicazione della pena capitale, la curia permise ad un sacerdote di impartirgli l’assoluzione, a fronte della contrizione manifestata negli ultimi tempi per le azioni commesse.

    IL FOTOGRAFO

    Amerigo arrivò in ritardo, come spesso gli accadeva negli ultimi tempi a causa del cattivo rapporto che aveva sviluppato con la radio-sveglia.

    I fiori riempivano di profumo armonioso la stanza addobbata a festa e le ghirlande annunciavano una cerimonia imminente.

    C’è sempre un incantesimo che permea l’atmosfera di una promessa nuziale e anche lui lo percepiva.

    Amerigo si muoveva con calcolata lentezza, per non perdere alcun dettaglio mentre il flash della reflex che portava al collo fremeva con energia.

    Aveva appoggiato la borsa con tutti gli obiettivi all’ingresso affinché non lo intralciasse nei movimenti, ma ne aveva selezionati un paio che si era messo nelle tasche capienti della giacca che indossava.

    Scattare fotografie era un’Arte, indubbiamente, e ogni elemento concorreva alla realizzazione di una foto perfetta.

    Ne era passato di tempo da quando armeggiava con le pellicole che, peraltro, aveva anche imparato a sviluppare da solo. Ora con la macchina fotografica digitale era tutto più semplice e immediato anche se era sempre la sensibilità di colui che premeva il pulsante a fare la differenza.

    Nella sua vita aveva conosciuto diversi sedicenti artisti ma non erano che abili mestieranti, senza quella naturale e divina attitudine che invece Amerigo sapeva di avere.

    Portò l’occhio al mirino e, quasi colto da un’estasi frenetica, cominciò ad inondare la stanza con la luce dei flash.

    Chi aveva organizzato il matrimonio non aveva tralasciato nulla e ogni particolare lasciava presagire lo sfarzo della cerimonia.

    Se mai si fosse sposato, Amerigo avrebbe desiderato un’attenzione simile per i dettagli. E anche Raffaella. 

    A proposito, che film sarebbero andati a vedere quella sera? Lei aveva proposto 3 o 4 titoli ma in quel momento non se ne ricordava neppure uno. La sua consueta natura distratta… Ecco perché amava fotografare. Gli permetteva di ritornare sempre su qualcosa che aveva scordato. Di fissare ogni momento. Lui stesso si definiva un ‘collezionista di attimi’.

    Regolò manualmente lo zoom, per avere una maggior nitidezza e documentare i locali al meglio.

    Mentre lavorava, tendeva sempre ad estraniarsi per cogliere ogni istante, senza tralasciare nulla.

    Il bisbiglio sommesso del flash che ora si stava ricaricando lo accompagnava quieto, mentre passava davanti ad un grosso specchio ovale.

    La cornice era essenziale, dorata e lui si riflesse per alcuni istanti, giusto per sistemare meglio il nodo alla cravatta e per notare le prime rughe intorno agli occhi e i primi capelli grigi sulle tempie. Il tempo passava e sì, avrebbe dovuto anche lui accingersi a fare il grande passo e sposare Raffaella.

    Sospirò. Il suo ostinato rimandare.

    Lei avrebbe accettato immediatamente, ne era certo. Chissà, forse ne avrebbero parlato quella stessa sera, dopo il cinema, magari davanti a una buona bottiglia di rosso ed un mazzo di rose.

    L’anello di fidanzamento glielo aveva già consegnato da tanto tempo. Troppo. Forse ne sarebbe servito un altro per rinnovare l’impegno dato.

    Sorrise. Le promesse non hanno una scadenza.

    Guardò il quadrante. Aveva già scattato un buon numero di fotografie e non era ancora arrivato al salone. La batteria era però completamente carica e la scheda di memoria, di rapida sostituzione, offriva ancora un migliaio di scatti disponibili.

    Raggiunse la sala dove si trovava la sposa. Una glaciale luce alogena lo accolse.

    Fece scorrere lo sguardo lungo tutto il colonnato in fondo e oltre le ampie vetrate che concedevano una visione mozzafiato sulla scogliera che si apriva subito sotto. Chissà se a Raffaella sarebbe piaciuto sposarsi in un luogo così. Ne avevano parlato alcune volte e si era sempre dichiarata per una cerimonia intima, con pochi invitati. Ma poi, scorrendo la

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