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Sconforto
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E-book430 pagine5 ore

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Info su questo ebook

Un viaggio nelle allucinazioni alla ricerca di un "centro di gravità permanente" nel nostro io quotidiano. La storia di un gruppo di ragazzi che prova a crescere negli anni 90...

Andrea Collalto nasce a Vicenza il 23 ottobre 1974. Personalità introversa ama scrivere da sempre e parlare in radio. Ama i viaggi e l'avventura, ma essendo perennemente in bolletta viaggia prevalentemente con la mente in attesa di tempi migliori.
LinguaItaliano
Data di uscita24 mag 2014
ISBN9786050305517
Sconforto

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    Anteprima del libro

    Sconforto - Andrea Collalto

    57

    SCONFORTO

    ANDREA COLLALTO

    01

    Capire... no, forse non c'è niente da capire. Non so neanche perché ho deciso di scrivervi questa lettera, forse per cercare di tranquillizzarvi, forse per mettermi l'anima in pace. Lo so, vi ho fatto soffrire, ma dovete capirmi, non l'ho fatto apposta! In quei momenti, col gruppo, mi sentivo forte, sentivo di riuscire a dominare tutto e tutti, lo dovevo fare e sapevo di poterlo fare. Non esistevano tabù, cose impossibili, potevamo ed eravamo veramente capaci di tutto. Capaci di fare tutto quello che ci passava per la testa. Ce lo potevamo permettere, perché non avevano niente da perdere... O almeno così credevamo, almeno così io credevo. Forse, ripensandoci bene adesso col classico senno di poi, adesso che ho molto, forse troppo tempo per rimuginare in continuazione sui miei errori passati, non lo rifarei. Ma allora era impossibile, non potevo fermarmi neanche se lo avrei voluto. Non dovete biasimarmi per quello che ho fatto, ormai non serve; in quei momenti la sensazione che noi come gruppo - io come individuo - provavamo, era meravigliosa, forse non posso descriverla come vorrei, con parole semplici come sono io. In quel momento, quella sera, mi sentivo un’entità superiore, un comandante che sta per vincere la sua battaglia, un cercatore d'oro che ha finalmente trovato la vena giusta, un giocatore d'azzardo che ha sbancato la roulette. Era la nostra sera fortunata, lo sapevamo, il nostro sesto senso ci aveva avvertito; non potevamo sottrarci. Io stesso ho telefonato a casa di Luca per rintracciarlo, perché sapevo che quella doveva essere la nostra sera fortunata. La sera che avremmo finalmente fatto centro. Voi non potete immaginare il turbine d’emozioni che passano nella testa di un giovane in quei momenti, fagocitando ogni pensiero razionale, rendendoti incapace di fermarti anche se lo vorresti. Sapevo benissimo che lanciando quel sasso potevo centrare una macchina in corsa. Sapevo benissimo che avrei potuto tranquillamente fare un bel po' di danni alla carrozzeria. Faceva parte del gioco! Sapevo benissimo che potevo ferire gli occupanti del mezzo anche in modo grave, ma non potevo farci niente; erano stati scelti, era il caso che ce l'aveva con loro, non io, la mia mano ha solo fatto da tramite col destino lanciando quel maledetto sasso. Sapevo quello che stavo per fare. Non potevo fermarmi, quella era una sfida con me stesso, una sfida che una volta tanto volevo vincere. Ho provato a fermarmi. Poi mi resi conto che era tardi. Quando ho sentito il fracasso del vetro che andava in mille pezzi, nell'oscurità, ho incrociato lo sguardo di Luca. Avevo vinto. Vedevo nei riflessi della luce lunare il suo sguardo pieno d’ammirazione. Avevo fatto centro. Gli feci un sorriso, forse l'ultimo sorriso della mia vita. Poi vidi la macchina sbandare, la vidi cambiare repentinamente corsia, la vidi andare a sbattere contro un'altra vettura con un fragore di vetri rotti e lamiera che si attorcigliava che sembrava provenire dal più profondo dell'inferno. Ero ancora li, pochi secondi dopo, quando un camion che sopraggiungeva nella notte, non riuscì ad evitare l'impatto con le vetture che erano appena state coinvolte nell'incidente. Ed ero ancora lì quando la vettura che avevo mandato fuori strada col mio prosaico gesto prese fuoco, facendo incendiare anche gli altri mezzi coinvolti. Infine ero ancora lì mentre le fiamme divampavano nel cielo illuminando la notte. Quando decisi di guardarmi intorno, mi accorsi che accanto a me non c'era nessuno. Luca era scappato ed io ero rimasto solo, in mezzo al nulla, ad osservare una scena molto simile ad un film poliziesco americano. Sentivo in lontananza le sirene dei vigili del fuoco e delle ambulanze, che stavano arrivando per soccorrere i feriti e per estinguere le fiamme. Guardai le mie mani. Pensai che quel disastro lo avevo provocato io. Io solo ero il responsabile. In quel momento mi sentii grande, invinci­bile. Dalla cima di quel cavalcavia osservavo la mia opera e provavo piacere per quello che avevo fatto, ma durò poco. Subito dopo rabbrividii nel pensare a quello che potevo aver fatto alle persone coinvolte nel terribile incidente.Sentii il bisogno di scappare, di allontanarmi da quel luogo, di fuggire lontano come aveva fatto Luca. Sapevo che era la decisione più saggia. Ma il senso di colpa mi tormentava. Quale era stato il destino delle persone coinvolte nel sinistro? Mi ero trasformato in un assassino? Oppure era tutto a posto? Pregavo perché stessero tutti bene, ma in cuor mio avevo paura, paura di aver commesso un qualcosa di ben più grave che lanciare un innocuo sasso da qualche decina di metri su un’auto in corsa. Così mi avviai verso le frasche al limitare dell'argine vicino all'autostrada, dove avevo parcheggiato la mia auto, misi in moto e mi avviai verso l'entrata del più vicino casello autostradale. Impiegai un quarto d'ora per arrivare sul posto. Il traffico era fermo, una lunga coda di veicoli intasava l'autostrada, molti tenevano il motore spento. Scesi dall'auto e mi avviai a piedi verso il luogo dell'incidente. Camminai per una decina di minuti, per fortuna il traffico alle due di notte non è proprio intenso in quel tratto, la coda non era poi lunga come avrebbe potuto essere di giorno. Sentivo i rimbombi delle casse acustiche di alcune macchine cui passavo vicino mentre mi avvicinavo al luogo della tragedia. Dovevo sapere. Ma non riuscii ad avvicinarmi, non me lo permisero. Mi ricacciarono indietro, cercai di avanzare di nuovo, cercai di carpire informazioni, ma mi risposero che se non la piantavo potevano denunciarmi per aver intralciato le forze dell'ordine durante lo svolgimento del loro lavoro. Così dovetti ritornare inevitabilmente alla mia auto. Ed aspettare. La coda non si muoveva ed io ero bloccato li, ad aspettare. Accesi la radio per sentire se per caso c'era qualche radio-giornale in vista, ma sapevo benissimo che a quell'ora non v'era nessuno che trasmettesse in diretta. Spensi e mi rassegnai ad aspettare. Finalmente una mezz'ora dopo riuscirono a far aprire una corsia e le auto cominciarono a defluire lentamente. Mentre passavo vicino al luogo dell'incidente, cominciavo a sentirmi male. Vedevo quello che avevo combinato e cominciava a girarmi la testa. Era terribile. Vidi la sagoma dell'auto che avevo colpito col sasso. Completamente distrutta, bruciata. Era una Fiesta, simile a quella che guidava Cesare. Per fortuna era uscito con la sua ragazza quella sera, altrimenti poteva essere coinvolto anche lui col lancio. Ero colpevole! Stavolta ne avevo combinata una veramente grossa. C'erano due ambulanze e si stava allontanando l'elicottero. L'avevo combinata veramente grossa. Mentre oltrepassavo il luogo dell'incidente, non riuscivo a staccare gli occhi di dosso a quella Fiesta bruciata. Che cosa era successo agli occupanti? Uscii al casello più vicino e mi diressi verso casa. Ricordate? Non ho neanche messo l'auto in garage quella sera. Dovevo accendere la televisione; doveva esserci un telegiornale! No, a quell'ora c'erano solamente i soliti noiosi programmi notturni. Arrivato a questo punto non mi restava altro che andare a dormire, ma potevo dormire se prima non sapevo qualcosa a proposito di quell'incidente? Ma, ironia della sorte, non potevo carpire informazioni da nessuno ed in nessun modo. E' scontato assicurare che quella notte non riuscii a dormire, non appena mi appisolavo vedevo davanti agli occhi la scena tragica di quella Fiesta che sbandava, sentivo il rumore dei vetri in frantumi, vedevo il camion che la tamponava e le fiamme che si alzavano nel buio della notte. La scena si ripeté un’infinità di volte nella mia testa quella notte, fino all'alba, quando non ce la feci più a stare sdraiato sul mio letto e decisi di alzarmi, forse stavano trasmettendo un notiziario. Desistetti ed andai in bagno, era troppo presto, non trasmettevano telegiornali prima delle sette e l'orologio segnava appena le cinque e venti. Mi sedetti sul water con la testa fra le mani, distrutto dal sonno che non veniva e dal senso di colpa, dall'angoscia di non sapere che cosa era successo, che cosa avevo provocato. Voi dormivate in camera vostra, sentivo papà russare ritmicamente nella sua buffa maniera, volevo piangere ma non ci riuscii.

    Scesi dabbasso che albeggiava, aprii le imposte e stetti ad annusare l'aria fresca che spirava dalla riva del lago. Sentivo i cinguettii degli uccellini sugli alberi, il fruscio delle foglie che con i loro rami sembravano danzare nel vento caldo d’Agosto. Il cielo era limpido, sereno; il sole si stava alzando da dietro la collina. Sapete, è bella la vita, è bella la libertà, ma si capisce solo quando ti manca, quando ti è tolta. Cazzeggiai fino l’ora del primo notiziario, poi, mentre voi ancora dormivate al piano di sopra, accesi il televisore a volume basso e diedi una scorsa ai vari canali in cerca di un tg qualsiasi. Probabilmente non avrebbero detto nulla, a quell'ora l'informazione era solo nazionale, il primo telegiornale locale lo trasmettono alle dieci, ma restai sintonizzato lo stesso, forse per tranquillizzarmi, per essere sicuro di non aver commesso una cazzata più grossa di me stesso. Così seppi che la cazzata l'avevo fatta, e grossa anche! Quando fecero vedere quel misero servizio, mi sentii girare la testa, mi aggrappai al tavolo per non cadere e chissà come restai in posizione abbastanza eretta. Il cuore cominciò a battere irregolare nel petto, pulsando forte nelle orecchie, che m’impedivano di sentire come avrei voluto (Dio, come non avrei voluto!) la cronaca della tragedia. Li avevo uccisi, capite? Seppi di essere diventato un assassino! Gli occupanti della macchina erano morti carbonizzati, riuscirono a risalire al conducente solo dal numero di targa dell'auto, che forse non si era bruciata. Il conducente del camion aveva riportato fratture multiple, ma almeno era vivo. Gli altri coinvolti nel tamponamento stavano bene, nonostante diverse contusioni che qualche minuto prima non avevano per niente. Ero diventato un assassino! Poi fecero i nomi. Così seppi di aver ucciso il mio miglior amico. Mi sentii travolgere da un’ondata d’emozioni più forti di me, sentivo le gambe molli, il cuore in preda al panico, cose difficili da spiegare fuori del momento in cui si vivevano. La ragazza che sedeva nel sedile di fianco a lui non era ancora stata identificata, ma io sapevo di chi si trattava: Giuliana. Doveva uscire proprio con lei Cesare quella sera. Dovevano andare a cenare fuori, al cinema, non s’immaginavano che nella strada del ritorno avrebbero trovato la morte. Non avrebbero mai pensato che potessi essere io la causa della loro dipartita. Neach'io volevo pensarlo. Eppure lo avevo fatto. Ero un assassino. In quel momento, mentre stavo per elaborare quei pensieri seguendo con occhi sbarrati lo schermo televisivo, che a quel punto aveva cambiato servizio e stava parlando di politica estera, squillò il telefono. Feci del mio meglio per avvicinarmi al mobile che lo ospitava ed alzare la cornetta, ma le gambe m’impedivano di muovermi come avrei voluto. Non so come, ma ce la feci. Era Luca. Luca, che era scappato la sera prima. Luca, che non voleva essere complice di un omicida. Luca, che mi chiedeva con voce strozzata se avevo visto il telegiornale di poco prima. Risposi di sì. Lo avevo seguito. Sapevo di averne combinata una grossa. Sapevo che averne combinata una grossa era un concetto troppo ridotto perché spiegassi quello che avevo fatto. E non c'erano scuse. Decidemmo di vederci; dovevamo discutere sul da farsi. Lui aveva paura di rischiare; io sapevo di essere già nella merda fino al collo, se non fino all'altezza delle labbra. Con la scusa di fare una camminata uscii da casa. C’incontrammo al boschetto vicino al lago, in territorio neutrale e fuori dei piedi. La mattinata era fresca, il sole penetrava appena dal fogliame sovrastante e gli uccelli cantavano. Ci sedemmo all'ombra di un pioppo. Luca appena mi vide cominciò a piangere come un bambino. Io volevo piangere ma non ci riuscivo. Devo essere apparso freddo, duro, ma dentro di me non era per niente così. Non sapevo cosa avrei dovuto fare a questo punto. Parlare con voi poteva essere una buon’idea, ma cosa vi avrei potuto dire? Papà, mamma, vedete, ieri sera non avevo niente di meglio da fare, così ho buttato un sasso dal cavalcavia ed ho ucciso Cesare. Si, ma non è niente... come l'avreste presa? Molto male suppongo. Dovevo andare alla polizia? Sicuramente lì mi avrebbero creduto; anzi, per premio mi avrebbero messo addirittura dentro. Ma non era una bella prospettiva. L'ideale sarebbe stato fare finta di niente, continuare a vivere senza dire niente dell'accaduto e girare al largo dai cavalcavia autostradali. Magari procurarsi un alibi, così, per scrupolo, nel caso fossero riusciti a risalire a me, a noi. Ma proprio il fatto che eravamo in due quella sera, non giocava particolarmente a mio favore. Io sarei potuto stare zitto, ma Luca gliel’avrebbe fatta? Sembrava così fragile, impaurito... no, lui non gliel’avrebbe fatta. E forse neanch'io. Come avremmo potuto affrontare i familiari del nostro migliore amico? Come potevo avvicinarmi alla sua bara, pregare per lui, partecipare alla cerimonia funebre facendo finta di niente, come se fosse tutto normale? Lo avevo ucciso io! E anche la sua ragazza purtroppo. E non era stato un incidente, io ero consapevole di quel cui andavo in contro lanciando quel sasso. Non avrei più potuto vivere in pace. Restavano due soluzioni possibili a quel momento: il suicidio o la confessione. Il passo fu breve. Ero troppo codardo per uccidermi, per questo preferii confessare. Anche Luca era d'accordo con me. Prendemmo la mia auto e ci recammo alla stazione dei carabinieri. Confessai tutto quello che dovevo confessare, ma non provai sollievo dopo averlo fatto, perché non potevo. Avevo ucciso due persone, due amici. Sapevo che il senso di colpa mi avrebbe perseguitato per il resto dei miei giorni, ma per lo meno mi ero tolto un peso. Adesso tutti sapevano quello che avevo fatto Anche voi. E non vi biasimo se non mi siete venuti a trovare per due giorni quando avete saputo la notizia; l'avevo combinata proprio grossa, avevate tutte le ragioni. Per ovvi motivi non sono potuto andare ai funerali, e non ho voluto lanciare messaggi alle sventurate famiglie che ho malauguratamente distrutto. Non ne ho il coraggio. Ora voglio solo pagare per quello che ho commesso. Domani c'è il processo, so con certezza che sarò condannato, perché ho confessato e so d’essere colpevole. Perché me lo merito. Luca se la caverà con gli arresti domiciliari, pochi mesi forse; io no ma va bene così. Solo una cosa voglio chiedervi prima che venga il momento, il mio turno di affrontare la realtà: siatemi vicino, non abbandonatemi! Almeno voi statemi vicino, ho bisogno di tutto l'amore possibile. E voi siete gli unici che possono aiutarmi.

    Vi voglio bene.

    Vostro figlio,

    Alessandro.

    02

    -Patetico! mormorò Cesare sghignazzando mentre schiacciava la sua MS sul portacenere.

    -Mieloso e noioso come una telenovela... Commentò Luca prendendo un salatino dalla scatola abbandonata sul tavolo di fronte.

    Luca non fumava.

    -Vedo che siete entusiasti del mio nuovo racconto! Borbottò Alessandro abbastanza risentito. Aveva lavorato alacremente a quel manoscritto. Aveva passato serate intere a ticchettare sulla tastiera del suo computer di seconda mano fino l’ora di andare a dormire per completarlo e dargli la giusta ambientazione, il giusto profilo, per creare la tensione adeguata, per costruire i personaggi... e adesso i suoi amici demolivano il tutto in cinque secondi.

    -E' troppo attuale! Commentò luca con la bocca piena di salatini.

    Alessandro lo guardò con espressione vacua.

    -Come troppo attuale? Chiese sbigottito.

    -Anche ammettendo che tu riuscissi a piazzarlo ipoteticamente sul mercato con l'aiuto di qualche editore, andresti in rischio di beccarti una bella denuncia per istigazione. Spiegò Luca prendendo un’altra manciata di salatini.

    -In che senso? Volle approfondire Alessandro.

    -"Nel senso che lanciare sassi dai cavalcavia è una cosa stupida, che:

    Primo: sta passando di moda.

    Secondo: è tenuta nascosta dai telegiornali per non turbare l'opinione pubblica e per non istigare una nuova ondata di lanci per emulazione.

    Terzo: perché semplicemente è meglio non parlarne."

    -Secondo me, non dovresti insistere con la scrittura... Commentò Cesare prendendo un salatino dalla scatola che aveva vicino.

    -...Prova ad andare a donne piuttosto, forse potresti riuscire a combinare qualcosa finalmente. Terminò mentre lo portava alla bocca.

    Alessandro incassò senza proferire parola.

    Cesare lo aveva colpito nel suo punto debole: le ragazze. Lui non era mai andato a donne; non sapeva andare a donne. Era il tipo che quando si trovava di fronte ad una ragazza diventava rosso come un peperone maturo, le labbra gli si serravano e faceva ripetutamente la figura dell'imbranato. La sua fama di solitario poi, lo allontanava ancora di più dalla vita mondana cui avrebbe voluto partecipare. Fece un alzata di spalle, accantonando l'argomento, almeno per il momento. Allungò la mano destra e prelevò alcuni salatini dalla scatola che aveva di fronte.

    -Però non è male... Cercò di difendersi studiando con lo sguardo i suoi interlocutori.

    -No... Ammise Cesare mentre si accendeva l'ennesima MS.

    -Come storia non ci sarebbe male, il fatto sta tutto nella scelta delle parole... Terminò con un pizzico di sarcasmo. Alessandro non rispose. Non lo prendevano sul serio. Non lo prendevano mai sul serio. Si riempì la bocca di salatini, ripensando al suo racconto. Forse avevano ragione, non era niente di speciale, ma l'aveva prodotto lui! L'aveva partorito lui! E n’era pienamente soddisfatto, di quello e dell'altra dozzina che conservava gelosamente stipata con ordine nel cassetto della sua scrivania. Loro non avevano mai prodotto niente, o per lo meno non ci avevano mai provato, era impossibile che capissero. Deglutì, prese un’altra manciata di salatini che, notò, cominciavano a scarseggiare e si mise a masticare sonoramente mentre Cesare si avvicinava allo stereo per cambiare cassetta. Eppure era una bella storia, pensò...

    ...Pensò a quel sogno che l'aveva svegliato in piena notte. Aveva quasi gridato, preso dal panico com'era, ma poi era riuscito a trattenersi. Una volta sveglio, non fu difficile stendere un riassunto particolareggiato di quello che aveva visto. La penna scorreva velocemente sul foglio a quadretti del piccolo quaderno che teneva sempre sul comodino vicino al letto, per ogni evenienza, tutte le notti. Trascrisse con cura ogni particolare, e prima di stendersi nuovamente aggiunse delle note a piè pagina che gli sarebbero tornate utili il giorno dopo. Prima di prendere sonno nuovamente aveva già in testa l'intera vicenda, dall'inizio alla fine. Quella fu una notte produttiva.

    Tutto iniziava sopra un ponte, primo piano del personaggio principale che si sporgeva dal parapetto. Occhi lucidi che brillano nelle tenebre come tizzoni ardenti. Capelli cortissimi. L'occhio si abbassa all'altezza delle caviglie del ragazzo e va ad incontrare un mucchio di pietre poste a montagnola sull'asfalto. Il ragazzo si sporge ed osserva le auto in transito nelle varie corsie di marcia; a quel punto risulta facile identificare il luogo in cui si svolge la vicenda: un cavalcavia autostradale. Traffico scarso, fari che illuminano la notte. La luce arancione dei lampioni illumina fiocamente la scena. Il personaggio principale si chiamava Alessandro, ed era la sua proiezione tridimensionale in carta. Era lui. Basso, rotondo, con gli occhiali, carattere introverso. Poi dall'ombra esce un altra persona, avanza ed é illuminato per alcuni secondi dalla fioca luce arancione. E' un ragazzo.

    Un tipo magrolino, con i capelli lunghi raccolti a codino dietro la schiena. Non porta occhiali, ed è il sosia di Luca. Si chiama Luca. Del gruppo di questi ragazzi faceva parte anche Cesare, il fumatore, che quella sera non era andato con loro a lanciare sassi perché doveva uscire con la sua ragazza, Giuliana. Praticamente aveva descritto il gruppo di cui faceva parte, le uniche persone che conosceva bene. La ragazza era la sosia della vicina della porta accanto, la figlia dei Rossi. Lo svolgimento del racconto poi, era molto semplice. I due ragazzi facevano parte di una compagnia di tre persone. Tutta gente per bene che studiava o lavorava, che per passare il tempo o per sfida, alcune sere andavano sui cavalcavia a praticare la moda dell'anno: lanciare sassi alle auto di passaggio. Chi riusciva a prenderne una vinceva una pizza, una cena, poteva guidare la macchina al ritorno, riceveva soldi, secondo la mercanzia messa in palio. I tre però, non avevano buona mira, e non riuscivano a colpire una merda di vacca con una biglia. Le automobili non facevano eccezione. Così, una sera che il loro amico Cesare doveva uscire con la ragazza, agli altri due viene in mente di andare a fare quattro lanci prima di andare a dormire. Forse era la sera buona che riuscivano a colpire qualcosa. E quella si era rivelata proprio la serata ideale. Luca era stanco, non aveva voglia di provare, tanto sapeva che non ci sarebbe riuscito! Alessandro invece aveva insistito per provare alcuni lanci. I primi due andarono a vuoto; uno colpì la colonnina del SOS rompendo la protezione in resina trasparente, ed il terzo colpì in pieno un automobile. Luca guardava con ammirazione Alessandro, che si sentiva un dominatore assoluto, il signore delle pietre, colui che aveva colpito per primo la sua preda. Era lui adesso che avrebbe potuto esercitare predominio assoluto sul gruppo, se mai avessero avuto bisogno di un capo. Poi i due si soffermavano a guardare l'auto sbandare, cambiare direzione, andare a sbattere contro un altra vettura ed essere investita da un camion. Dentro la sua testa era una scena apocalittica, e non fu facile per lui riuscire a metterla sulla carta. Ma ci riuscì.

    Poi i veicoli presero fuoco, s’incendiarono con un tremendo boato che andò ad illuminare la notte.

    Mentre Luca scappava, Alessandro restava a godersi estasiato la scena: l'aveva creata lui. A quel punto cominciava a subentrare il senso di colpa, e quella curiosità morbosa di sapere come andava a finire.

    Così prendeva la macchina ed andava sulla scena del delitto, ma per sapere qualcosa di preciso doveva seguire il notiziario all'indomani mattina.

    La notte non riuscì a dormire ed il giorno seguente scoprì di essere un assassino. Aveva ucciso il suo amico Cesare, che malauguratamente aveva deciso di prendere l'autostrada per accompagnare a casa la sua fidanzata. Nell'incidente era morta carbonizzata anche lei. Non riuscendo a coesistere col suo senso di colpa e dovendo confidarsi con qualcuno per scaricarsi almeno in parte la coscienza, i due, dopo essersi riuniti per decidere il da farsi, decidono di andare a costituirsi.

    Il racconto termina con una lettera autografata di Alessandro ai genitori, in cui chiede di non essere lasciato solo al suo destino nell’attesa dell'imminente processo.

    Per arrivare a quel finale aveva pensato per due giorni lavorativi, sui banchi di colaggio, ed era giunto a due conclusioni diverse che convergevano poi con l'arresto dei due:

    -1°. I ragazzi decidevano di tenere il segreto, partecipavano ai funerali, continuavano a coesistere apparentemente tranquilli coi loro sensi di colpa fino a che un poliziotto invadente non li faceva crollare con la ricostruzione dei fatti accaduti.

    Il racconto sarebbe terminato con l'ispettore che li ammanettava mentre recitava loro i diritti.

    Scena degna di un telefilm americano, piuttosto prevedibile da parte di tutti.

    -2°. I ragazzi vanno a costituirsi e si assumono le loro responsabilità di fronte al mondo.

    Tanto imprevedibile quanto poco realistica, almeno per un racconto.

    Inutile dire che scelse la seconda ipotesi. Sembrava la più realistica, la meno prevedibile; anche se con la prima avrebbe potuto allungare il racconto di un altra decina di pagine almeno. Forse avevano ragione i suoi amici: era negato per la scrittura.

    Ma almeno sapeva inventare le storie!

    Marco Masini cominciò a spiegare quanto era difficile vivere in questo mondo di merda, e mentre stava mandando a fare in culo tutti (lui per primo), Cesare alzò il volume dello stereo per sentire meglio i Vaffanculo gridati disperatamente dall'artista. Alessandro allungò la mano per prendere altri salatini, ma si accorse che la scatola era ormai vuota. Mentre si alzava dalla poltrona del salotto per andare verso la cucina, Luca alzò la voce per mandare a quel paese Cesare minacciando di andarsene se non abbassava il volume e cambiava quel cazzo di nastro.

    -Va bene, va bene... Sì arrese Cesare premendo stop all'ennesimo vaffanculo. Cercò un altro nastro che poteva accontentare tutti, poi optò per un compact di musica mixata dell'anno prima. Andava decisamente meglio. Alessandro ritornò in salotto con un sacchetto di cracker che appoggiò sul tavolino di fronte ai suoi amici.

    -Spiacente, i salatini sono terminati... Annunciò sedendosi sulla poltrona preferita del padre. Anche Cesare si sedette, sul divano di fronte. Vicino a lui Luca stava scartando un chewing gum alla menta, di quelli che portava sempre nel taschino della camicia. Luca era un tipo simpatico, altezza media per la sua età, capelli rossicci e la faccia butterata dall'acne giovanile che stentava a cedere il posto alla barba dell'età adulta, se sedici anni era un età da considerarsi minimamente adulta. Per loro era un età rispettabile. Luca era il più giovane del gruppetto, Alessandro e Cesare erano coetanei; trentotto anni in due. Non che importasse molto la differenza d'età, a loro bastava divertirsi e lo facevano. Il loro era un gruppo omogeneo. Avevano Alessandro, il cantastorie; Cesare, il dj, che collaborava già da un po' di tempo con una radio privata e contava di diventare presto speaker; Luca, il disegnatore. Ognuno era capace nella sua arte, anche se non la prendevano del tutto sul serio; per loro era più un hobby, uno sfogo creativo, un modo per non sprecare il tempo come facevano i loro coetanei. Nessuno aveva preso in considerazione l'idea di trasformare l'hobby in lavoro, in qualcosa di remunerativo, anche se in fondo ognuno di loro ci sperava.

    -Io continuerei ad insistere... Buttò lì Luca alludendo chiaramente al racconto che Alessandro aveva propinato loro poco prima.

    -...Hai visto mai che un giorno riesci a pubblicare qualcosa!

    -Già, cominceresti a guadagnare e ti compreresti finalmente una macchina decente! Concluse Cesare facendo allusione alla vecchia Panda che Alessandro aveva comprato di terza mano dopo aver preso la patente.

    -Forse... Pensò Alessandro a voce alta.

    -...Ma non so se riuscirei mai a lavorare se dovessi sforzarmi di produrre sotto pressione...

    -...Ce la faresti benissimo; lo fai tutti i giorni giù al laboratorio coi tuoi cocci...

    Per cocci Cesare intendeva i pezzi di ceramica che Alessandro lavorava tutti i giorni giù dai fratelli Viviani.

    Alessandro annuì.

    -forse hai ragione... Disse.

    -Ma certo, diventerai un grande scrittore, pieno di soldi, corteggiato da tutte le ragazze più belle e stimato da tutti... Sostenne Cesare sfilando un pacchetto di cracker dal sacchetto sopra al tavolino di fronte a lui. Lo aprì rumorosamente decantando la genuinità e la bontà del prodotto, in pieno delirio da stress pubblicitario.

    -E piantala! Lo ammonì Luca riprendendo a masticare.

    -E le tue prodezze radiofoniche? Volle sapere Alessandro.

    Cesare lo studiò divertito da sopra le lenti con i suoi occhietti azzurri. Si tirò su gli occhiali col medio della mano destra agendo appena al centro degli stessi, sopra al naso, con una mossa velocissima.

    -Qualcuno qui vuole sapere delle mie prodezze radiofoniche? Ma è uno sballo! Quasi gridò diventando allo stesso tempo speaker radiofonico.

    -Ebbene signore e signori, avete davanti a voi il nuovo asso del microfono, datemi un mixer e un paio di piatti e restate all'ascolto!

    Alessandro e Luca scoppiarono in una fragorosa risata.

    -No, dico sul serio, - Continuò Cesare - perché cari ragazzi, avete di fronte a voi, nel tuo caso di fianco, per essere precisi - Disse rivolto a Luca - il nuovo speaker di Radio Isabella, l'emittente provinciale che più locale non si può; la magnificenza assoluta delle trasmissioni in FM, le play list più accurate, gli speaker più in gamba tra i quali...

    -...Non sta mica dicendo sul serio... Esclamò Luca con sarcasmo.

    -...Non può essere... Confermò Alessandro.

    Ma quando osservarono meglio Cesare, quando incontrarono il suo sguardo raggiante che li osservava spiritato da dietro le lenti, seppero che il loro amico non stava cacciando balle: diceva solo la pura verità.

    -Ma come è successo! Cercò d'informarsi Luca, tra lo sbigottito e il divertito.

    -Vedi baby, è una lunga storia... Recitò Cesare cercando di imitare Humprey Bogart (senza successo alcuno).

    -Dai! Lo incitò Alessandro.

    -Il fatto è molto semplice: Ti ricordi di Tullio, dj J.J. si fa chiamare.

    I due amici annuirono.

    -Ebbene, ha deciso di abbandonare per un po' la carriera di disk jockey per dedicarsi alla vita matrimoniale.

    -Si sposa? Chiese Luca esitante. Aveva conosciuto il dj J.J., strano nome per un tipo normale, il mese prima durante una discoteca all'aperto per una sagra paesana. Solo che il ragazzo in questione non era un tipo normale. Avrà avuto una trentina d'anni o giù di li, capelli biondi cortissimi, bermuda e giubbotto di pelle; camminava in continuazione percorrendo tutto il perimetro del palco ciabattando con quelle che dovevano essere proprio le ciabatte che usava in camera da letto, si sgolava all'inverosimile gridando a tutti che se non battevano le mani insieme con lui non rombavano più per tutta la vita. Sembrava strano che un tipo così fosse riuscito a trovare una fidanzata, pura utopia che avesse deciso di sposarsi. Ma le donne erano strane, forse non c'era da stupirsi più di tanto.

    -Bene, così coso, lì, se ne va in licenza matrimoniale e a te hanno chiesto di sostituirlo... Cercò di ricostruire Luca.

    -Beh, non proprio...

    -Cioè?

    -...Mi sono offerto io, volontario capisci? Mi sono avvicinato al direttore, ho detto che gli volevo parlare e senza girarci intorno più di tanto gli ho chiesto se mi dava la conduzione del programma, almeno momentaneamente.

    -E lui ha accettato... Concluse Alessandro divertito.

    -...Beh, sai com'è, era proprio con le palle inchiodate il nostro Baffo, e poi come diciamo noi dello spettacolo lo show deve continuare ed al momento l'unico sostituto disponibile ero io, perciò...

    -...A quando il debutto? Tagliò corto Luca.

    -Domani sera, con un bel programma in diretta di musica italiana.

    Se volete potete venire anche voi ad assistermi.

    -Io non saprei cosa fare in una radio... Si scusò Luca.

    -Io potrei rispondere alle telefonate. Si offrì Alessandro.

    -Ottima idea, se le cose vanno come prevedo, il telefono sarà bollente, senza un attimo di pace... Sì, mi servirebbe proprio un centralinista. Concluse Cesare.

    -Allora vengo anch'io! terminò Luca alzandosi dal divano.

    Gli altri due lo imitarono.

    -Bene bene, mi sembra sia giunta l'ora di andare. - Recitò Cesare in tono serioso. - Domani ci attende una lunga e faticosa giornata; il sudore della fronte sgorgherà maestosamente e ci farà guadagnare il pane...

    -...Ciao! Tagliò corto Alessandro impedendogli di concludere la frase e conducendolo allo stesso tempo verso la porta. Luca li seguì sorridendo.

    -Bene, ci vediamo domani al lavoro... Disse Cesare prima di uscire.

    -A domani... Mormorò Luca guardando l'orologio. Mancavano pochi minuti alla mezzanotte.

    -A dopo... Li congedò Alessandro con un sorrisetto sarcastico sulle labbra. Cesare fece tintinnare le chiavi della Punto bianca di suo padre ed aprì lo sportello di guida. Luca si sedette al posto del passeggero.

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