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La prediletta dagli dei
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E-book229 pagine3 ore

La prediletta dagli dei

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Fantasy - romanzo (177 pagine) - L’amore degli dei solleva i mortali ad alte vette… mentre il baratro scruta!


Un grande evento si sta preparando nel teatro della Capitale: Tumha’le Lacrima Diamante terrà un concerto per pochi favoriti. L’intensità e la passione del suo canto sono capaci di scuotere i sentimenti degli esseri viventi. Dalla più alta gioia, all’amore più sublime, dalla tristezza più profonda, fino al terrore più nero. Ma il suo dono fa gola a molti e Lukkar Montego dovrà garantirne la sicurezza per tutta la permanenza nella capitale del Nehar Emìon. Un lavoro non proprio facile, dovendo bilanciare la diffidenza elfica, le trame di potere fra le razze e il rapporto privilegiato con un dio possessivo! Il tutto mentre la capitale ribolle sotto lo scontento della povera gente che vede i prezzi salire sempre più, a beneficio dei soliti ricchi.


Umberto Maggesi è nato a Bologna l’11 novembre 1970. Vive a Milano dove svolge la professione di formatore e mental coach. Insegna e pratica Qwan Ki Do – arte marziale sino vietnamita. Appassionato di lettura e scrittura fin da bambino ha pubblicato vari romanzi con case editrici quali: Stampalternativa, Delos Books, Ugo Mursia, GDS edizioni.

Redattore del periodico dell’Unione Italiana Qwan Ki Do, ha collaborato per molti anni alla rivista di settore marziale Samurai.

Ha pubblicato numerosi racconti in riviste di settore come: Tam Tam, Inchiostro, Writers Magazine Italia, in tutte le storiche 365 racconti di Delos Books e in appendice al “Giallo Mondadori”.

LinguaItaliano
Data di uscita14 nov 2017
ISBN9788825403961
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    Anteprima del libro

    La prediletta dagli dei - Umberto Maggesi

    9788825403497

    1

    1355 d.f.c. (Dopo Fondazione di Città) – stagione dell’anziano o del saggio – (autunno)

    Le pesanti suole degli stivali d’ordinanza picchiavano sull’acciottolato, scagliando suoni secchi e violenti che riverberavano sugli eleganti palazzotti di marmo. Moltiplicati per ventuno paia, creavano una cacofonia che rendeva istantaneamente sgombra la strada. Del resto non poteva essere altrimenti, con il manipolo di Guardiani dell’Ordine che occupava tutta la via, in righe da quattro con il loro capitano davanti, che marciavano come un piccolo esercito in campo nemico. Le tensioni nella capitale erano alte. I Guardiani dell’Ordine erano il fronte contro cui si scagliava ogni frustrazione, malcontento e intolleranza. L’ultima difesa prima che il malcontento si trasformasse in furia per poi consumarsi tra le fiamme della sommossa.

    Il capitano Lukkar Montego lo sapeva bene e non perdeva occasione per ostentare la forza e la compattezza dei suoi Guardiani. Intimorire per non lasciare il minimo spiraglio a un’idea di ribellione. Un servo con in mano una grossa anfora si affrettò a rientrare dalla stretta porticina da cui era spuntato. Qualche testa si sporse dalle finestre. Un uomo con un asino stracarico di mercanzia si guardò indietro allarmato, poi si mise a correre cercando di trascinare la bestia. Era troppo lento, restò qualche istante bloccato a fissarli, poi si voltò verso una casa. L’ampio portone consentiva un minimo riparo. Vi spinse l’asino e si accucciò sotto. I Guardiani dell’Ordine non si voltarono neppure. L’ufficiale continuò ad avanzare pestando rabbiosamente i piedi. Altre figure si dissolsero davanti a lui. Ombre. Niente più che ombre ai margini della sua attenzione. Ignorò anche gli sguardi torvi dei miserabili. L’astio palpabile che permeava la capitale, gettato sui rappresentanti del Consiglio a complicare ulteriormente il loro compito.

    Si parlava di un aumento del prezzo del pane e l’interruzione delle regalie al Ghetto, due argomenti che avrebbero fatto prudere le mani dei più abietti abitanti di Città. I Guardiani dell’Ordine dovevano muoversi sempre in gruppo, soprattutto nelle ore notturne, bersagli per le orde di disperati che non avevano nulla da perdere, mentre i privilegiati si trinceravano nelle loro case fortezza sigillate da incantesimi di protezione, metalli inviolabili e guardie di sicurezza.

    Lukkar Montego, capitano dell’Ordine, procedeva per le vie di Città Antica con passo lungo e sguardo torvo. Era di pessimo umore, arrabbiato e indispettito. I suoi uomini lo avevano capito e non fiatavano marciando in perfetta sincronia, bardati con cotte di maglia, elmi e daghe goblin per combattimenti in ambienti ristretti.

    La delegazione da Almonathor era già nel teatro, avevano attraversato Città in gran segreto e chissà come, mentre loro attendevano l’ordine di andare a prelevarli al Portale della Luce. Con gli elfi ogni cosa era una lotta per la fiducia, che le istituzioni di Itrìemoleth perdevano puntualmente.

    Sei serie a fissare il fuoco della mensa e non poter bere nemmeno un sorso di birra o vino. Una situazione che avrebbe fatto spazientire anche il soldato più disciplinato, oltretutto i sottoposti che gli avevano assegnato, non erano particolarmente noti per la loro disciplina. Se non altro aveva avuto tempo in abbondanza per studiare i documenti sui soggetti da proteggere. Già lui mal sopportava di avere a che fare con la razza più altezzosa di tutti i mondi possibili, pensare che questi erano artisti letteralmente venerati da ogni elfo su questo e l’altro mondo, gli faceva prevedere una missione di grossi rospi da ingoiare in silenzio.

    Uno sport in cui il capitano dell’Ordine, Lukkar Montego, non eccelleva.

    La cosa che più faceva infuriare l’ufficiale era l’atteggiamento del comandante Verimhaar. La sua reticenza metteva in pericolo i Guardiani, non era un comportamento da lui, solitamente propenso a tutelare i suoi uomini. Una ventina di elfi avevano attraversato mezzo Nehar Emìon senza che nessuno li notasse, mentendo alle istituzioni preposte a garantire l’ordine, depistando lui e i suoi per mancanza di fiducia e il comandante gli aveva ordinato di non approfondire, non fare domande. Come si dice, l’importante è partire con il piede giusto.

    Alla porta del teatro non c’era nessuno di guardia. Lui sistemò due dei suoi all’ingresso, poi avanzò nell’ampio foyer. Marmi e specchi si sprecavano, come i riflessi dei soli che attraversavano le vetrate simili a lance di luce, rimbalzando di riverbero in rifrazione, per centinaia e centinaia di volte. Montego si sentì accerchiato da quell’opulenza, fece un brusco cenno ai suoi per avanzare.

    La platea era a forma di ferro di cavallo, con tre ordini di palchi. Di fronte al palcoscenico si stagliava il palco d’onore, dove oro, tessuti e legni preziosi si sprecavano.

    Un gruppo di elfi stava nel centro del palco, una ventina in tutto. Confabulavano indicando ora questo ora quel oggetto. Tutto intorno a loro era un ingombro di casse, pacchi, borse, involti arrotolati. Poi vide, nell’estremo angolo sinistro, due figure sedute su poltrone imbottite. Una vestita di color argento, quasi nebbia. In effetti il tessuto dava l’idea della consistenza delle nuvole, riluceva madreperlaceo in bagliori rosati e lillà. L’altra figura, un esile elfo dalla carnagione chiarissima, era ammantato di porpora. Un largo mantello lo avvolgeva, chiuso da un elaborato fermaglio di cui, da quella distanza, Lukkar non riusciva a cogliere il disegno.

    – I responsabili dell’Ordine?

    Un elfo dai profondi occhi nocciola si avvicinò a loro.

    – Capitano Lukkar Montego!

    – Che il vostro spirito sia lieto, il cuore leggero e la vostra favella portatrice di buone novelle. Sono Lumason Amitoniahl. Il Caleth della rappresentazione.

    – Piacere mio… avevamo ordine di venirvi a prendere al Vicariato… come avete fatto ad arrivare sin qui?

    – Gli ordini sono stati cambiati all’ultimo momento… per il resto, meglio che rimanga un segreto. La salvaguardia della delegazione è sopra ogni cosa.

    – Certo… Ho saputo che avete dieci uom… elfi a protezione dei soggetti.

    – I nostri soldati più abili. Venite vi presento Ghiollà Menauelle, la Prima Lancia della scorta.

    Il soldato era vestito come gli altri, solo un piccolo pugnale alla cintura lo identificava come guardia del corpo.

    – Non portate nemmeno un corpetto – constatò Montego con un certo disappunto. – Se i soggetti sono così preziosi come dite, ci vorrebbe un minimo di protezione e… armi più decisive.

    – Tumha’le e Liomanthill sono preziosi come il più ricco dei tesori – intervenne il Caleth. – Grati agli dei e benedetti dalla Luce.

    Lukkar evitò di verbalizzare che, se erano così grati agli dei, non avrebbero dovuto aver bisogno di protezione. Talvolta persino lui sapeva usare la diplomazia.

    – Capisco, quindi possiamo aspettarci orde di disperati che cercheranno di attaccare il teatro… Non c’era nessuno a guardia dell’ingresso…

    – In effetti, stiamo ancora organizzando le cose – replicò il Caleth.

    – Il controllo delle vie d’accesso è una priorità – sottolineò l’ufficiale, poi si rivolse al capo della scorta. – Per quale motivo non portate un’armatura e armi più pesanti?

    – L’ho ordinato io. – L’elfo vestito di porpora si era avvicinato, sovrastava tutti dall’alto di una statura notevole, anche per uno della sua razza. Occhi gialli baluginavano di un fuoco sepolto nei recessi di quell’anima. – Le armi mi offendono, sono nemiche dell’arte. Non voglio essere circondato da un esercito pronto alla battaglia.

    Al capitano Montego non sfuggì l’occhiata gelida fra lui e la Prima Lancia.

    – Capisco, ma se servono a difen…

    – Gli elfi possono creare o distruggere. Io creo, chi distrugge non è di mio interesse, sebbene a volte debba rincorrervi per la mia stessa sicurezza.

    Montego si sentiva minuscolo davanti a lui. Gli occhi arrivavano giusto all’elaborata spilla che chiudeva il mantello: Una fenice, avvolta da rubini che parevano fiamme.

    – Liomanthill Alta Rocca, suppongo. Sono Montego, responsabile della vostra sicurezza – fece cenno alla figura vestita di nebbia che era rimasta sulla sedia. – Tumha’le Lacrima Diamante non si sente bene?

    – È la prima volta che viaggia, tutto le sembra così strano. – Parlava a voce alta, girando di continuo gli occhi per controllare chi lo stesse guardando.

    – Capisco, non vogliamo disturbare i preparativi. Voi proseguite pure, diamo un’occhiata in giro.

    Aveva studiato la pianta del teatro per giorni, facendo numerosi sopralluoghi, non fu difficile distribuire i soldati, poi andò in fondo al palco, passando davanti all’elfa. Una bellezza davvero notevole.

    – Che il vostro soggiorno sia lieto e foriero di pace e serenità. – Lukkar cercò di non suonare impacciato.

    – E che la mia presenza vi porti pace e letizia – rispose con una debole voce, come il vibrare nel cristallo quando un dito lo strofina. Alzò un volto da lineamenti perfettamente proporzionati. Le curve parevano accarezzare la luce delle torce, donandogli morbidezza. Gli occhi grandi baluginavano di un viola molto intenso. Capelli color oro le incorniciavano le guance, precipitando diritti appena oltre le spalle. Un diadema si allungava al centro della fronte, sorretto da una sottile catenina, una piccola fenice color argento e rubini come fiamme. Quando si mosse, una decina di farfalle s’alzarono in volo. Avevano ali dello stesso colore della veste, perfettamente mimetizzate fino a un istante prima. Sbatacchiando le ali, fissarono l’ufficiale dei Guardiani con piccoli occhi neri perfettamente rotondi. Le antenne vibravano forsennatamente e Lukkar aveva la sgradevole sensazione che stessero comunicando e che il soggetto della conversazione fosse lui.

    – Spero che il viaggio sia stato di vostro gradimento, e che il nostro mondo vi possa piacere.

    – Grazie – sorrise, evitando abilmente ogni riferimento al suo arrivo alla capitale. – Sono certa che troverò molte cose curiose e per me insolite, non mi è mai capitato di lasciare Almonathor – sorrise illuminando tutto ciò che c’era intorno. – È tutto così nuovo.

    – Qualsiasi cosa possa fare per voi non esitate a chiedere. – La voce tremava, l’ufficiale dovette fare uno sforzo per staccare gli occhi da quel viso. – Perdonate, devo continuare con i miei doveri.

    Il Guardiano dell’Ordine proseguì dietro le quinte, immergendosi nella penombra di uno stretto corridoio, si fermò a riprendere fiato e ritrovare lucidità. C’era un magnetismo, un… un’aurea di grande carisma in quell’elfa, come un gorgo che ti trascina sott’acqua.

    Lì dietro tutto era angusto: scale, passaggi, porte. Parti di scenografie erano accatastate a ingombrare il passo, insieme a grossi fagotti di tessuti. Meglio. Difficile gestire una carica in massa e facilmente difendibile. Lì ci passavano due uomini a dir tanto. Ripercorse l’elenco dei posti idonei a piazzare i Guardiani, non aveva neppure bisogno di controllare la pianta del teatro. Salì una scala trovandosi su un soppalco polveroso. Quattro nani interruppero le loro faccende fissandolo. Lui non li degnò di uno sguardo, concentrandosi tutto intorno dove decine e decine di corde s’incrociavano, passando intorno a carrucole, annodandosi su fermi, fissandosi a leve pesi e contrappesi. Una teoria di travi sosteneva tutto quanto sopra il palcoscenico. Chiunque poteva starsene lì appollaiato con un’arma. Una balestra magari! Ma, per quanto aveva capito, i due erano utili per un riscatto. Più la cantante che il suonatore di arpa. In ogni caso meglio tenere aperte tutte le possibilità. Scese nuovamente la scala di legno, ignorando i mugugni in lingua nanesca che gli sventolarono alle spalle. L’odio per le divise era ovunque. Istintivamente strinse l’elsa della daga al suo fianco. Piccole stanze si aprivano sul lato più interno del corridoio. Bussò a ogni porta e, non ottenendo risposta, le aprì una alla volta, scoprendo altri bagagli cacciati alla rinfusa. Una stanza era piena di costumi, gli unici già sballati e sistemati ad aste. La testa di un’elfa spuntò da dietro i colletti e le lunghe gonne.

    – Voi chi siete?

    – Capitano Montego, Ordine della Guardia, per servirvi.

    L’altra non sembrò molto impressionata. Appoggiò qualcosa e fece il giro della fila di vestiti.

    – Non c’è bisogno di essere così cerimoniale con me. – Aveva capelli rossicci e lentiggini. La prima elfa che vedeva con le lentiggini. – Sono la Custode delle Vesti… poco più di una cameriera.

    Gli occhi verdecastani erano piuttosto stretti, ma riverberavano i loro colori intensamente.

    – Bene, io sono solo qualcosa di più che un soldato. Lukkar, se preferite.

    – Mahithal Passo Leggero.

    – Un bel nome.

    – Me lo hanno dato i miei genitori a quattro anni, perché li sorprendevo sempre. Non c’era verso di sentirmi arrivare nella nostra casa… e sì che non era molto grande.

    – Quindi siete la custode dei costumi… li scegliete anche?

    – Vorrete scherzare? I costumi li sceglie il Caleth personalmente. Medita in comunione con gli dei ogni volta.

    – Per scegliere i vestiti? – Domandò stupito lui.

    – Tutto deve essere in armonia durante il concerto. – La voce li fece sobbalzare entrambi. Liomanthill Alta Rocca era entrato senza fare il minimo rumore. – Anche il mio passo è leggero. Perdonatemi se ho turbato il vostro cuore… è come una cerimonia. I paramenti, gli accessori, la liturgia, i suoni, anche gli odori, devono essere in armonia con l’umore degli dei. Del resto ogni nota che esce dai nostri strumenti è per loro, ogni sillaba pronunciata dalle labbra è preghiera.

    – Capisco…di chi è questo camerino?

    – Di Tumha’le, l’hanno scelto i nostri soldati.

    Lukkar si guardò intorno. La stanza era a metà del corridoio, non aveva finestre verso l’esterno, neppure la più piccola apertura. File di costumi occupavano gran parte dello spazio. Il Guardiano controllò un piccolo armadio e i bauli accatastati sul fondo. Sulle pareti sigilli elfici luccicavano di pittura ancora fresca, non ne capiva il significato ma certamente dovevano essere delle protezioni.

    – Bene mi sembra che sia controllabile, ho saputo che sarete ospiti nel quartiere governativo.

    – Sì, io e Tumha’le saremo ospiti di Numa Fainilortell. Il Caleth ha pensato che fosse più sicuro e poi è un lontano parente del padre di Tumha’le. Gli altri troveranno ricovero secondo il rango.

    – Bene, vi prego di informarmi quando intendente partire da qui.

    – Intendiamo partire immediatamente! Tumha’le ha bisogno di riposo, ci penseranno gli altri a sistemare costumi e scene.

    – Allora chiamo i miei uomini.

    Fece un cenno di saluto poi uscì.

    – Thoy!

    Non riusciva a ricordare il nome completo del suo maggiore ausiliario e gli aveva affibbiato quel nomignolo che il nano non sembrava gradire particolarmente.

    – Signore?

    Il grugnito stizzito ricambiò il poco rispetto del superiore.

    – Undici uomini con le due star, gli altri alloggiano in tre gruppi, mettine tre per gruppo a controllare che i nostri ospiti restino nelle rispettive case e che non vengano molestati.

    Star… signore, cosa…?

    – Secondo te a chi do la maggior parte della scorta?

    – Ai… due… quelli più importanti…

    – Ecco bravo, star. Importanti… e ora vediamo di sgomberare. Voglio fare un sopralluogo dove ci sarà il banchetto di benvenuto. Vi aspetto lì… mi raccomando durante i trasferimenti, li voglio circondati da guardie e facciamo che i tirapiedi dei nobili non ci si mettano di traverso. – Fissò il sottoposto qualche microserie in più. – Qui comanda l’Ordine della Guardia, sotto la mia responsabilità che non ci siano fraintendimenti, ora va.

    Non rimase a controllare. Il nano era duro a capire le cose, ma eseguiva gli ordini alla lettera, ottime qualità per un sottoufficiale.

    2

    Il palazzotto in cui si sarebbe svolta la cena era di proprietà di un umano membro del Consiglio, che possedeva di tutto, dalle mandrie di pecore a una piccola flotta di pescherecci. Persino diritti su alcune miniere del Tricorno che, una volta esaurite, aveva trasformato in musei per ricconi, facendosi pagare sia da chi installava le proprie sculture che da chi

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