Safari bianco
Di Enrico Lotti
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Anteprima del libro
Safari bianco - Enrico Lotti
9788825400502
Capitolo 1
La baleniera era diventata un piccolo punto colorato che si perdeva all’orizzonte, in un turbine di nevischio. Ben presto, sarebbe scomparsa del tutto dalla vista.
Il sole diffondeva una luce rossa sulla distesa di ghiaccio, facendola brillare come se fosse acqua.
Marco scrutò intorno a sé. Il pianoro si estendeva da ogni parte, bianco e infinito, senza offrire punti di riferimento. Le nuvole, in lontananza, sembravano fondersi con il ghiaccio. Il sole stava per tramontare, gli restavano sì e no un paio d’ore per marciare, perché camminare di notte, in quel mondo così ostile e sconosciuto, sarebbe stata una follia perino nella sua condizione.
Marco era solo.
Costretto all’esilio dopo un processo sommario, accusato di essere un pirata, era stato sbarcato dalla baleniera e abbandonato da solo, nel deserto bianco. La dura legge dei ghiacci.
Forse, come aveva beffardamente osservato Erek, il capitano in seconda e suo principale accusatore, per lui sarebbe stato meglio se l’avessero impiccato: tutto si sarebbe risolto in pochi attimi. Così, invece, la sua fine sarebbe stata più lunga e dolorosa.
C’era qualcosa di paradossale, nella sorte di Marco: condannato a morte perché accusato di essere un pirata. Proprio lui, che era arrivato su quel mondo di ghiacci e di gelo inseguendo la banda di pirati che aveva rapito Alana, la figlia del professor Blumberg.
Tutto era iniziato in maniera anomala, come sotto una cattiva stella, osservò Marco.
Blumberg aveva annunciato l’apertura di un varco, l’ennesimo, nell’hinterland di Milano. Una prima ricognizione effettuata dal drone aveva mostrato immagini di un mondo ostile, una Terra nel culmine di un’era glaciale, una gigantesca palla di neve illuminata da un timido sole rosso. Il professore aveva deciso di non inviare nessuno al di là del Varco: si sarebbe accontentato delle immagini e dei dati raccolti dal drone. Alana e Daniele erano andati sul posto, un grande centro commerciale alle porte della città, per pilotare il drone e catturare quante più riprese video possibile. Marco era rimasto nell’ufficio di Blumberg, su esplicita richiesta del professore, che aveva bisogno di parlargli a quattr’occhi.
Sembrava che tutto fosse sotto controllo e che la situazione fosse di ordinaria amministrazione.
Ma i Varchi interdimensionali possono essere attraversati in entrambe le direzioni. E anche se i nostri non avevano alcuna intenzione di avventurarsi in quel mondo, l’impensabile era accaduto: un gruppo di razziatori aveva attraversato inconsapevolmente il varco. Di colpo quegli uomini, poco più che selvaggi impegnati a cacciare una specie di trichechi, si erano ritrovati proiettati in un mondo alieno e incomprensibile, il nostro. Avevano reagito seguendo la loro natura di assassini e predoni, cioè assassinando e depredando. Si erano gettati all’assalto del centro commerciale, un Brico Center, increduli di fronte a tanta ricchezza. Per loro, automobili o elettrodomestici dovevano sembrare strani mostri incomprensibili, temibili ma curiosamente vulnerabili: li avevano distrutti senza sforzo. I pochi, increduli passanti erano stati trucidati con brutalità. Ai predoni non sembrava vero di trovare tanto da razziare, e vittime così arrendevoli. Era stato soprattutto il legname a destare la loro cupidigia: si erano gettati sulle tavole di compensato, su listelli, travi e assi con la stessa cupidigia con la quale i conquistadores, qualche secolo prima, si sarebbero gettati su un cumulo di oro e pietre preziose. Ma avevano fatto anche una prigioniera: Alana, una giovane donna bionda e attraente, una preda di valore per ogni pirata, sotto ogni latitudine e in ogni mondo.
Marco aveva assistito alla razzia dal monitor, attraverso le poche immagini riprese dal drone. Si era precipitato sul posto prima che il varco si richiudesse, sulle tracce di Alana e dei suoi rapitori.
Oh, e ci sarebbe anche un altro dettaglio – pensò Marco, con un sorriso amaro – la ciliegina sulla torta
. A causa di complesse ragioni fisiche che non avrebbe mai potuto comprendere, né men che mai spiegare, il tempo trascorreva a una velocità differente su questa Terra e sulla sua. Differenti dimensioni, differente tempo, doveva aver detto una volta il professore. Il varco tra i due mondi si sarebbe riaperto nel volgere di un giorno. Sulla nostra Terra. Ma qui, in questa Terra-palla-di-neve, sarebbero trascorsi mesi.
Tutto ciò, però, ora sembrava irrilevante.
Marco non era riuscito a ritrovare Alana. Si era unito all’equipaggio di una specie di baleniera, aveva condiviso per qualche tempo la vita di bordo, nella speranza di arrivare alla Città, meta sicura dei pirati e destinazione altrettanto certa di Alana. Poi, avrebbe dovuto scoprire esattamente dove e quando si sarebbe riaperto il varco per rientrare a casa… Ma ormai tutto sembrava perduto.
Marco aveva solo una vaga idea di quale fosse la direzione da seguire per la Città. Sarebbe stata una lunga traversata. Ma lui era solo, a piedi, senza nessun mezzo di trasporto, neppure gli sci e il bastone che aveva sottratto a uno dei pirati. Gli era stata lasciata solo una minima scorta di cibo, come prescriveva l’etica dei ghiacci, la legge non scritta che regolava i comportamenti degli uomini che solcavano i deserti bianchi su quelle curiose navi dotate di vele colorate e grandi pattini. Navi simili a grandi slitte a vela, stravaganti ma molto efficaci, in grado di traversare quei territori, se manovrate da abili timonieri, come gli uomini che aveva conosciuto. Ma che non si erano fidati di lui, e l’avevano condannato a morte.
Nessuna speranza di ritrovare la nave pirata, l’Orso Giallo, né il suo temibile comandante, il capitano Ward, il rapitore di Alana.
Ora Marco doveva concentrarsi su un unico obiettivo: rimanere vivo.
Avanzò, sferzato dal vento e dal nevischio.
Un luccichio aveva attirato la sua attenzione. Marco si avvicinò.
Un miraggio? Purtroppo, no.
I miraggi sono effetti ottici che fanno apparire oggetti lontani, o inesistenti, come riflessi su una superficie. Ciò che aveva scorto, invece, era reale. Drammaticamente reale.
Era il drone del professor Blumberg.
Giaceva al suolo, parzialmente ricoperto dal nevischio. Daniele era riuscito a manovrarlo, facendogli compiere delle evoluzioni che avevano sconcertato i balenieri, superstiziosi come tutti i marinai, in ogni mondo e in ogni ambiente. Ma quello sforzo aveva esaurito le batterie del piccolo quadricottero, che era riuscito a percorrere solo una breve distanza, prima di lasciarsi cadere a terra. Marco lo raccolse con cura, spazzò via il nevischio e lo esaminò. Non era danneggiato. Ma la carica era pressoché a zero. Forse, di giorno, se lo avesse esposto al sole, il piccolo pannello solare che l’ingegnoso Florian aveva innestato sul BeBop avrebbe potuto ricaricare la batteria… Marco sistemò il drone all’interno della sua pesante giubba di pelle. Quel drone rappresentava la sua unica possibilità di mantenere un collegamento, benché limitato, con il suo mondo. Trovarlo abbandonato a terra e spento, era stato un duro colpo. Era la conferma, se mai ne avesse avuto bisogno, che era veramente solo, ora.
Capitolo 2
– Morto.
Daniele si lasciò cadere sulla poltrona, sconsolato.
Il professor Blumberg non disse nulla. Continuava a fissare lo schermo da 27 pollici del suo computer, sul quale si susseguivano dati e diagrammi, con sguardo fisso. Assente.
Un silenzio cupo gravava sul grande locale che da qualche tempo Blumberg aveva adibito a quartier generale delle sue operazioni, nella periferia di Milano. Un silenzio inconsueto. Spesso, in quella stanza aveva risuonato la voce di Alana, sottile ma decisa; le freddure di Daniele, le puntualizzazioni tecniche di Florian, il flusso verbale del professor Blumberg. Anche qualche monosillabo di Marco, raro come se fosse stato estratto con le pinze. Nulla più di tutto questo. Si sentiva il ronzio degli hard disk esterni e il leggero sfrigolare di una delle lampade al neon, sul punto di saltare. Se ci fosse stata una mosca, avrebbe immediatamente attirato l’attenzione su di sé.
– Il drone non risponde… – continuò Daniele.
– In quelle condizioni estreme, la batteria si esaurisce molto prima… – aggiunse, con voce esitante, come per scusarsi.
Blumberg si limitò