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Se fosse amore
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E-book214 pagine3 ore

Se fosse amore

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Info su questo ebook

Notaio sessantenne, vedovo, Marcello incontra casualmente Alice, giovane e affascinante agente immobiliare, e da questo momento nulla sarà più come prima. Una relazione, la loro, fatta di illusioni e disillusioni, altalena di momenti di ritrovata felicità e profonda sofferenza. Attraverso un'intensa lettera, Marcello vive nuovamente le fasi della loro storia, un passato così recente che ancora gli pesa addosso, tra amore e affetto, sincerità estrema ed estremo tormento. Poi il presente, esperienze nuove vissute con un entusiasmo inedito, un monastero e il suo priore, padre Sandro, ben presto confessore, confidente, amico. Marcello potrebbe rinascere, se solo fosse amore quello di Alice per lui, e invece si sente come una manica al vento, in balia di sentimenti a lungo sopiti, quasi nascosti anche a se stesso. Finché, in un silenzio reale e simbolico allo stesso tempo, la voce dell'amico monaco apre in lui uno spiraglio, la speranza di potersi sentire ancora vivo, di poter essere ancora utile. Chissà, di poter ancora amare.
LinguaItaliano
Data di uscita3 mar 2022
ISBN9791220394321
Se fosse amore

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    Anteprima del libro

    Se fosse amore - Marisa Giaroli

    PRIMA PARTE

    I

    Mia cara,

    è una di quelle giornate nelle quali i ricordi diventano un coagulo di brandelli che fanno male, che fluttuano incontrollati nella mente e mi propongono l’urgenza di ricucire e superare le inquietudini che ancora turbano il mio sonno, e di affrontare un cammino senza dover usare gli artigli. E questo doloroso lavoro di rivisitazione, di un passato che abita ancora il mio presente, lo dedico a te, cara Alice, che in un freddo giorno di primavera sei entrata nella mia vita e ne hai preso l’affettività e, come una burattinaia, hai giocato con i miei sentimenti a tuo piacimento.

    Ti ho amato, anche se il giorno in cui te l’ho detto mi hai guardato incredula, col bicchiere di vino tra le mani sospeso a mezz’aria.

    Accanto a te sono riuscito a staccarmi da un passato che mi aveva invecchiato dentro, che mi aveva portato a temere le malattie, una paura che mi aveva impedito di vivere con entusiasmo la vita di ogni giorno. Avevo la consapevolezza di essere in un’età in cui non era possibile fare grandi progetti, programmare un futuro, e avevo dimenticato che c’era un oggi che andava ancora vissuto, assaporato nella sua totale concretezza quotidiana.

    Mia cara, la tua presenza mi ha sottratto a un’esistenza limitata e portato a vivere in uno spazio aperto ove passione, desiderio, progetti diventavano ancora possibili.

    Ti ho amata! Ciò spiega, almeno lo spero, perché abbia accettato di vivere la situazione che mi accingo ad analizzare, poiché ci sono degli aspetti della nostra storia che non sono ancora riuscito a capire, sui quali sento il bisogno di ritornare. A volte mi chiedo perché abbia accettato le tue mezze verità. Forse mi sto sbagliando, quelle degli amanti sono spesso verità bugiarde.

    Il pezzo di strada che abbiamo percorso insieme è stato scandito da momenti di profonda gioia, ma anche da tanta sofferenza. Alcuni episodi, in particolare, hanno causato dolore sia a te sia a me. Ripensarci non cambia la realtà del nostro vissuto; tuttavia, penso che questa consapevolezza mi aiuti a comprendere meglio le debolezze mie e degli altri. Ho imparato ad apprezzare ogni momento della vita, a valutarla in se stessa e per se stessa.

    Si dice che il tempo guarisca molte ferite e, senza che ne siamo consapevoli, riusciamo poi a rileggere gli avvenimenti con una logica diversa, ed è in quel momento che la persona amata, per la quale abbiamo penato, ritorna a essere una persona normale, con le sue virtù e le sue debolezze. Io non rinnego nulla della mia esperienza, mi ritengo un uomo fortunato e penso a quanto la vita sia breve e come nella sua brevità ogni attimo vada vissuto fino in fondo perché importante.

    È passato del tempo, ma ricordo bene che a indirizzarmi alla tua agenzia immobiliare è stato un amico e collega al quale avevo confidato il desiderio di lasciare il centro storico per trasferirmi in periferia o in campagna. L’appartamento nel quale abitavo era pieno di ricordi di cui sentivo il bisogno di liberarmi. Non ero mai riuscito a portare in quel luogo una donna, anche se, in tutta onestà, in quel periodo il sesso non mi creava grossi problemi: il desiderio si era un po’ spento. Dicevo che da qualche tempo avvertivo il bisogno di respirare aria pulita e mi sentivo sempre più frastornato dal traffico che rendeva le vie del centro pericolose, soprattutto a quanti, come me, amano recarsi al lavoro in bicicletta.

    «È un’agenzia seria. La proprietaria è una donna vivace, molto esperta nel suo lavoro. Ha la capacità di comprendere immediatamente le esigenze del cliente» mi aveva assicurato l’amico collega. Un paio di giorni dopo ti ho chiamata.

    La tua voce al telefono mi ha colpito subito: una voce professionalmente cortese, ma anche calda, che ha subito suscitato il mio interesse.

    «Mi chiamo Alice» è stata la tua presentazione, e mi hai fissato un appuntamento per il giorno dopo. È stata la tua segretaria a ricevermi, sarebbero passate due settimane prima che noi due c’incontrassimo di persona.

    Tu però mi hai telefonato quella sera stessa. «Ho esaminato la sua richiesta. In questo momento non ho ville singole, ma il mercato immobiliare muta di giorno in giorno.»

    Più delle parole, è stata la tua voce a incuriosirmi, a interessarmi; a far nascere l’ansia d’incontrarti. La prima abitazione che la tua collaboratrice mi ha mostrato, una settimana dopo, era molto grande e non rispondeva alle mie necessità. La successiva villetta che ho visitato era su due piani, situata nell’immediata periferia. Il lato destro era già occupato da una giovane coppia con tre figli piccoli. Non sono neppure entrato perché mi sono subito reso conto che quei piccoli monelli mi avrebbero reso la vita difficile: già sentivo lo schiamazzo, il pallone che invadeva il mio giardino oltre la siepe. Nei giorni successivi, sempre accompagnato dalla tua segretaria, ho visionato altre abitazioni, imparando a valutarne lo stato di conservazione, i serramenti, le porte, gli impianti igienici. Ogni volta la mia immaginazione andava alle persone che avevano vissuto in quelle case, avevo la curiosità di conoscere, di indovinare i segreti, le vicende che quelle pareti custodivano.

    È stato davvero sorprendente quel periodo, con le sue sensazioni stranissime, non usuali per una persona positiva, concreta per natura, per formazione, per esperienza di vita, quale sono sempre stato io: un notaio per il quale gli immobili non erano altro che materia di catasto e di rogiti.

    Col passare dei giorni le nostre telefonate sugli immobili visitati si sono trasformate in piacevoli conversazioni serali che via via hanno assunto un tono sempre più confidenziale.

    Ascoltarti, sapere come trascorrevi le tue giornate, entrare nell’intimità della tua vita stimolava la mia curiosità; presto mi sono reso conto di quanto la malattia di mia moglie avesse inciso sulla mia vita e mi avesse isolato dal mondo. Alla sua morte la mia vita si era fermata; solo il lavoro e gli impegni sociali avevano riempito i miei giorni.

    Prima della sua malattia la mia vita era stata in salita; una salita lenta, senza grossi scossoni. Avevo svolto il mio tirocinio da notaio presso lo studio di un amico di famiglia e, dopo un lungo periodo passato con quell’uomo saggio, che mi aveva insegnato più di quanto avessi appreso sui libri, ero stato ammesso nello studio di mio padre.

    Nel frattempo avevo sposato un’insegnante di matematica ed ero diventato padre di una femminuccia. Vivevamo una vita semplice e serena: un paio di viaggi l’anno, una settimana bianca, vacanze al mare e montagna dai nonni materni. Poi ho toccato con mano la sofferenza, l’aggravarsi della malattia.

    È stata una realtà dura da accettare e da gestire, ma c’era nostra figlia e, vicendevolmente, ci siamo sostenuti. La amo profondamente e in tutti i modi ho cercato di riempire il vuoto lasciato dalla madre, i miei ultimi cinque anni li ho vissuti per lei e per il mio lavoro.

    Una sera mi hai confessato di essere divorziata e di avere un figlio studente universitario che viveva con te, ma che trascorreva buona parte dell’estate dal padre, che abita sul lago di Como con la nuova moglie.

    I giorni passavano e la nostra amicizia si consolidava, si arricchiva di particolari tuoi, miei. Ero lusingato, divertito e incuriosito per l’interesse che mostravi nei miei confronti.

    «Mandami una foto» ti ho chiesto un giorno. Quello stesso pomeriggio hai esaudito il mio desiderio via internet. Era l’immagine di una giovane donna sportiva, in tuta, su una moto. In seguito mi hai spiegato che avevi partecipato a gare motociclistiche insieme al tuo ex marito.

    Una settimana prima del nostro incontro ho fatto un viaggio di lavoro a Londra con mia figlia. Notaio anch’essa, al tempo aveva trentadue anni e conviveva con un avvocato.

    Londra era fredda, ristagnava di pioggia, le mie ossa crocchiavano, ma lei aveva in corpo il calore della gioventù e, appena gli impegni di lavoro lo permettevano, mi trascinava da un punto all’altro della città: c’era sempre una mostra da visitare, uno spettacolo da vedere.

    Partendo, avevo pensato che tu non mi avresti telefonato, ma ho dovuto ricredermi perché lo hai fatto tutte le sere. Durante il giorno erano i miei messaggi a raggiungerti. Tramite loro ti ho sempre aggiornato sui luoghi che stavamo visitando e a sera quelle visite erano motivo delle nostre conversazioni. Dopo una di queste telefonate, mia figlia mi ha chiesto se avessi una donna. Credo di essere arrossito come un ragazzino. Ho spiegato che eri solo un’amica.

    «Un’amica che telefona tutte le sere? Alla quale mandi almeno tre messaggi al giorno?»

    «Esagerata!»

    «Non me la racconti giusta, papà!»

    Sopravvissuto al clima piovoso di Londra e alle scorribande di mia figlia, appena sceso dall’aereo ti ho inviato un messaggio. Desidero vederti, conoscerti di persona.

    Sapessi con quanta impazienza ho atteso la tua risposta! Ogni ora che passava diventavo più nervoso, ma non volevo metterti fretta.

    Come hai avuto modo di vedere, il nostro studio notarile ha sede in una villetta a due piani situata in uno dei viali che circondano la città. La fece costruire mio nonno. Al piano rialzato hanno sede gli uffici di mia figlia e del suo compagno, quello della loro segretaria, una sala d’attesa e l’archivio dei clienti. Al primo piano ci sono il mio ufficio, quello della mia segretaria, l’archivio e un cucinotto. In questo piano abitai durante i primi anni del mio matrimonio e qui nacque Matilde. Il terzo piano è tuttora occupato da mio padre, che ha più di novant’anni e vive con una governante.

    Finalmente hai risposto alla mia richiesta.

    Ti sta bene per domani pomeriggio?

    Nel leggere quelle parole mi sono sentito leggero come una piuma! Ho pregato la mia segretaria di spostare tutti gli appuntamenti di quel pomeriggio e subito dopo ti ho chiamata.

    La tua voce al telefono tradiva la mia stessa emozione.

    «Ci troviamo alle quindici davanti alla farmacia del centro commerciale. Indosserò un impermeabile grigio» sono state le mie ultime parole prima di riattaccare.

    II

    Non ricordo se pioveva, quando ci siamo incontrati, forse aveva piovuto qualche ora prima. So che era una giornata fredda. Mi guardavo intorno e osservavo le persone che transitavano assorte, frettolose, col cuore che mi batteva perché di lì a poco ti avrei vista: tutto mi sembrava un bizzarro scherzo del destino, o della fantasia. Ricordo di aver pensato ad alcune frasi opportune da dirti, ma di non averne trovata una che meritasse di essere detta. Non ti ho vista arrivare, ma a un certo punto ho interrotto la lettura e ho alzato gli occhi dal giornale.

    Sono passati dei mesi, ma ancora la mia memoria contiene quel momento in cui ho sentito che eri lì. Da quanto tempo mi osservavi? Sì, perché era abbastanza evidente che tu lo avessi fatto prima di avvicinarti. Un attimo di silenzio confuso, un tumulto di emozioni.

    «Non è grigio» hai esordito indicando l’impermeabile. Eri voce che mi aveva incuriosito e che ora si vestiva di te. Avevi uno sguardo incerto e, quando il mio ha penetrato il tuo, ho avvertito un tremito inspiegabile, ma quasi subito ti sei aperta al sorriso.

    «È nocciola, non grigio» hai ripetuto. Il tuo volto si è illuminato di un sorriso. Siamo rimasti per alcuni istanti a cercare parole che l’emozione tratteneva.

    La mia mente ti ha catturata tutta: il volto senza trucco, le sopracciglia folte e nere, gli occhi marroni. Ho ripiegato il giornale e l’ho abbandonato sulla panchina.

    «Ormai non serve più, possiamo andare» mi sono sentito dire. Un intreccio misterioso ha iniziato il suo percorso così, quasi per caso.

    Abbiamo lasciato il centro commerciale, con la sua gente indaffarata a spingere carrelli spostandosi da un negozio all’altro, toccando tutto e comprando niente sotto gli occhi irritati delle commesse. Sconosciuti che mi avevano tenuto compagnia mentre ti aspettavo. Nel breve tragitto in auto, ho ammirato la tua guida sciolta e sicura.

    «Bel posto» hai osservato guardando la facciata dello stabile deve abitavo. Nell’accendere la sigaretta, il leggero tremore della tua mano ha evidenziato una tensione che era anche mia.

    «Il mio appartamento è all’ultimo piano» ho detto indicandolo.

    Hai guardato su e sorriso. Pochi minuti dopo eravamo nell’appartamento. Mentre ti mostravo le stanze, mi sentivo euforico e per lo più ero io a parlare. Rammento di averti raccontato che l’appartamento era stato scelto da mia moglie.

    «In quel periodo abitavamo nel piano ove oggi c’è il mio studio. Quando avrai modo di vederlo ti renderai conto della sua bellezza, ma mia moglie riteneva che l’appartamento fosse piccolo per le nostre esigenze e anche poco sicuro per tutto quell’andare e venire di clienti a ogni ora. Ne discutemmo per un po’ e alla fine la lasciai fare. Fu abile a cercare casa e non si lamentò mai delle mie assenze: lei aveva uno spiccato senso degli affari, qualità che io non possiedo. Un giorno mi disse che in centro storico, poco distante dalla scuola media dove insegnava, avevano demolito un palazzo e al suo posto stava sorgendo una casa con appartamenti in vendita. Il proprietario dell’impresa di costruzione era il genitore di un suo alunno. Acquistammo tutto questo piano. Fu necessario modificare il progetto, che prevedeva due appartamenti. Mi occupai personalmente del problema e alla fine entrammo in questa grande abitazione con la sua bella e ampia terrazza dalla quale si può spaziare su di una parte della città.»

    Mentre terminavo di raccontare, siamo giunti nella mia camera, dove mi sono affrettato a far scorrere la finestra per permetterti di uscire nell’ampia terrazza.

    Ti sei avvicinata per appoggiarti al parapetto. Sotto le strade stridevano di rumori che però giungevano a noi smorzati. Hai guardato giù un attimo, poi i tuoi occhi si sono fermati sull’orizzonte, ove la città finiva e iniziava la campagna. Un bel sorriso illuminava il tuo volto quando ti sei voltata per rientrare. «Bella vista!» hai commentato convinta.

    In quella manciata di minuti, trascorsi in silenzio, mi sono sentito pervaso da una sensazione di piacere e di eccitazione che da qualche tempo non provavo più. Mi piacevi, non c’era alcun dubbio, e non solo per il tuo aspetto attraente, l’agilità e la flessuosa eleganza con cui ti muovevi da una stanza all’altra, ma anche per le battute che ogni tanto facevi e che ti rendevano accattivante; come quella che hai detto davanti al mio letto a una piazza e mezzo mentre ammiravi i pomelli in ferro battuto.

    «È comodo quanto è bello?»

    «È il mio letto da ragazzo» ti ho spiegato ignorando le tue parole. «Mio padre lo fece fare a un fabbro nostro lontano parente. È rimasto per tanti anni in cantina. A mia figlia non piaceva. Solo di recente ho trovato un fabbro che mi ha rifatto la rete.»

    Una fotografia sopra il comò che era stato di mia nonna ha poi rapito la tua attenzione. Ti sei fermata a osservarla.

    «È tua figlia?»

    Alla mia risposta affermativa hai aggiunto: «Bella ragazza! Ha i tuoi stessi occhi profondi.»

    «Siamo molto affiatati, anche sul lavoro.»

    Rimessa al suo posto la fotografia, ti sei girata verso di me e sei rimasta ferma a guardarmi. Sull’antico comò accanto alla fotografia c’era una sveglia e il suo ticchettio per qualche istante è stato l’unico suono a rompere il silenzio.

    Eri lì davanti a me, piena di vita, e sorridevi. La curiosità provata al telefono udendo la tua voce si è risvegliata. Non avevo mai provato un senso di così forte affinità con qualcuno, come se ci fossimo già visti e conosciuti a fondo. Il nostro

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