Meneghetti Giovanni detto Gionson
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E quella bizzarra gara di apnea contro Enzo Maiorca…
La storia e la vita di Giovanni Meneghetti detto Gionson, nato a Rosà, Vicènsa: alpino e nonno per vocazione.
L'autore
Alessandro Carli è nato a Crespano del Grappa, in provincia di Treviso, nel 1975. Ha vissuto a Roma, a Venezia e a Rimini, dove tuttora risiede. Si è laureato in Lettere moderne a Urbino con una tesi sul teatro di ricerca in Italia. Giornalista professionista, direttore di San Marino Fixing, i suoi articoli sono stati pubblicati anche su Il Sole 24 Ore, Corriere della sera e www.dagospia.com. Ha pubblicato 015 Un terzo (di) teatro a Santarcangelo (Bookstones Edizioni) e ha curato la prefazione del libro Giacomo Gamba: Teatro (Starrylink Editrice) e la quarta di copertina di Anima e carne: donne in scena di Eugenio Sideri (casa editrice Fernandel).
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Anteprima del libro
Meneghetti Giovanni detto Gionson - Alessandro Carli
l’acqua...
Gionson
Gionson
Si scomincia sempre che è notte fonda. Chissà perché. Chissà perché si inizia sempre quando si finisce la scorta dei nonni. Si inizia sempre che mia sorella Lelena entra in camera e dice: È morto il nonno
.
Due, in sei anni. Di nonni andati, dico, e di entrate in camera di mia sorella.
Lelena, con la L in grande, che – nonostante sia nata a Roma – può essere annoverata (ma sub judice) tra il parentado veneto (Lelena è Lelena e non Elena perché a Canove di Roana e un po' in tutto il Veneto, i nomi si attaccano a tutto, anche agli articoli).
C'è sempre un vuoto, quando ci lascia un nonno. Il mio primo nonno – Roberto, canovàto – se n'è andato in agosto, ad Asiago, nell'estate 2003, tre mesi prima della mia laurea. C'era andato vicino un po' di volte, poi però ha deciso di scegliere le sue montagne. Lì è nato, lì è tornato, nonostante avesse pilotato gli aerei da giovane e avesse schincato la morte un sacco di volte che neanche ti immagini – tipo che una volta era su un aereo e l'aereo era venuto giù e del gruppo a bordo si era salvato solo lui –, quel giorno di agosto del 2003 mica ce l'aveva fatta a rimandare l'appuntamento. Chissà se ha preso l'aereo per fare prima, o se ha insellato la sua fedele due ruote a gambe. L'importante è che sia arrivato, in fondo. Per certe destinazioni, non devi per forza essere primo: lì fanno entrare anche gli altri, senza problemi.
L'altro invece – quello che mi ha lasciato a settembre del 2009 – era il nonno Giovanni detto Gionson.
Alpino, dannunziano. Montanaro. Quando è nata mia sorella avevo tre anni, mi prese per mano e mi fece camminare per Roma. La sera ha raccontato a mia nonna che avevamo fatto un giretto. Mia nonna ha contato i luoghi che abbiamo visto e ha scoperto che mi aveva fatto fare 10 chilometri a piedi. Un bòcia di 3 anni. La sera ero stràco come lo possono essere solo i bambini che hanno visitato a piedi la città eterna in un giorno.
Se sono quello che sono lo devo anche ai nonni. Una risorsa incredibile, uno scrigno di esperienza e di affetto, di amore. L'ultimo e autentico veicolo identitario che ci è rimasto: quello della loro lingua, il dialetto, usato come lingua colloquiale, di confidenza.
Il nonno Giovanni detto Gionson era detto Gionson non so perché. Però se nel campanello di casa leggi scritto Casa Gionson – Famiglia Meneghetti
significa che il soprannome è più importante del nome che ti hanno dato, del lavoro che fai, della faccia che porti in giro.
Il nonno Gionson è sempre stato nonno: impossibile pensarlo papà – come in realtà è stato, che altrimenti mica nascevamo, noi tre nipoti – perché se nasci con la faccia da nonno, non puoi decidere di cambiare il tuo ruolo: sei nonno perché hanno deciso così. E nonno rimani, sino a quando non ti chiamano in cielo, perché in cielo c'è bisogno di nonni. Soprattutto del Gionson: l'hanno chiamato su a dare un'animata alla combriccola, che da quando el Toni Peli se n'era andato in cielo, non aveva mai smesso di dire al Signore Iddio che c'era bisogno del Giovanni, su da quelle parti, che gli alpini si stavano smonando e ci voleva qualcuno in grado di portare allegria.
Un uomo mensch, per dirla alla cimbra, el Toni Peli: uno che saliva in Ortigara a 90 anni come un capretto, e uno che va sul Monte Ortigara a 90 anni senza far pause se non in cima – che in cima scondeva col Gionson una bottiglia di Prosecco – significa che ha la gamba.
Su ad Asiago, 'sti ani, tutto girava intorno a