Xto Ferens: Come l'Ammiraglio Colombo sconfisse l'intolleranza in una notte
Di Sergio Cappa
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Anteprima del libro
Xto Ferens - Sergio Cappa
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uno
Cascano le rose e restan poi le spine
non giudicate nulla innanzi il fine…
Uno… tra i Carmina un sogno…
Orientando le lunghe ombre dei larici, il sole frizzante di quel mattino di primo autunno gl’indicò la direzione: l'Occidente, tante volte sognato, sino al mare ed oltre.
Per buona parte della notte Eolo aveva giocato a rimpiattino con gli improvvisati compagni di piazza, mostrando tutta la grinta che lo aveva reso famoso; poi, con la voce acidula di una sordina, il bosco oltre la locanda lo aveva invitato a riprendere il cammino, ed il cupo brontolio dell'ultimo temporale sembrava segmentargli il ritmo.
Era stato accolto da uno spiazzo erboso ombreggiato dai fiori in tirsi bianchi e profumati, macchiati di rosso, d’ippocastani dalla chioma folta e dai frutti coriacei; superato un portale aveva inizio una via interna pavimentata a lastre di granito e ciottoli, che guidava il viandante in un percorso ad anello tra case rustiche con tetti neri di beola e piccoli aranceti cintati, sino al muro perimetrale del seminario e del palazzo episcopale.
Di fronte s’ergeva la Basilica, rimaneggiata nei secoli ma che ancora sapeva mostrare l'originario impianto romanico a croce latina, con la facciata tripartita da contrafforti di pietra squadrata e racchiusa da torri scalari. Lo sguardo veniva richiamato, dai piedritti laterali, oltre il timpano sino alle trifore del campanile che, esterno alla Basilica, suggerivano alla fantasia di comporre intriganti relazioni; l'interno a tre navate presentava tre absidi e transetto sporgente che mostrava orgoglioso l'ambone in marmo nero di Portovenere; i matronei delle navi laterali erano collegati al di sopra dell'ingresso da una galleria sostenuta da due colonne con capitelli compositi; gli affreschi della bottega del Brunelleschi, sulla via per Pisa, nella parete destra ed i bassorilievi dei Quattro Evangelisti, anch’essi in marmo nero, del pulpito sembravano essere le uniche immagini a segnare la storia; il pavimento musivo delle navate e del transetto guidava il fedele attraverso i Segni dello Zodiaco ed i Cinque Pianeti; solo l'anno prima si erano iniziati i lavori per rinnovare il pavimento del presbiterio. Sostò in quieto raccoglimento sorretto, nel correre errante della poesia, dall'emozionante silenzio e da un biavo e tremolante raggio di luce che, per l’indubbia suggestione del luogo, parea mosso da inquietante loquacità; con curiosa laicità si dispose ad ascoltarlo. La sua prosa era enigmatica e scorreva altalenante con frequenti cambi di timbro e lunghe pause a corona; la sintonia era instabile e frammentato il dialogo anche se un canovaccio sembrava mostrarsi, riservato e schivo, solo per quanti, con umile e sincera disponibilità, avessero voluto dialogare con il codice impalpabile delle emozioni; quanto più veniva trascinato nel vortice dialettico tanto più la sua presenza nella navata si faceva assente; poi il linguaggio si vestì di musica, in un dialogo serrato ed ironico, ma troppo scoperto e secolare per la sacralità di quello spazio. Uscì e seguì le voci che sembravano provenire da una locanda non lontana, dove si consumava il rito dell'ultima sera prima delle nozze: di nuovo un coro misto, l'allegria spavalda e la serenità di circostanza. Mentre compativa la lunga cerimonia, con compunzione condivise il regalo della notte: la fine dell'estate porta altissima, nel cielo della sera la costellazione del Cigno, là dove la Via Lattea comincia a dividersi in due rami: Deneb a nord, una supergigante di grande splendore, con Albireo a sud, è ad un estremo della croce; nelle calde sere d'estate e d'autunno è curioso vedere una stella così splendida segnare lo zenit.
Più ad est la costellazione del Pellicano, ed a sud il Cavalluccio, sembravano chiedergli, sornione, se il suo viaggio avesse un percorso, e quale.
Visse l'impressione di essere atteso: accompagnato da un tepido zefiro da ponente, donde anche lui era arrivato quando, attraversato il Mare Oceano vasto come mantello di re, era tornato dal Nuovo Mondo ed aveva annunciato al Mondo Antico l'Età dello Spirito Santo, si trovò sulla soglia della locanda della Volpetta poco oltre le mura perimetrali, le stesse che vedevano il Serchio andar per Ponte Nuovo.
L'interno, semplice e ben tenuto, con tavoli d’onusto massello di rovere in ogni dove, con panche lucide e sudate ai fianchi, con un’orgogliosa buffetteria posta a brolo di un superbo caminetto prospiciente l'ingresso, e capace di abbracciare due ospiti giunti dopo il temporale, con un'allindata credenza d’abete rosso che custodiva, con altera gelosia, vivande crude e preparazioni fredde, e con alcune sedie che, aristocratiche e sicure della loro solidità, sedevano accanto all'ingresso di un altro vano che forse ospitava botti di Trebbiana, dal vino dolce e robusto, o di Pignuola di pianura, dagli acini stretti ed allungati per lo zibibbo.
Accanto all’ingresso Il Canto dei Lanzi di Guglielmo detto il Giùggiola ricordava all’avventore la vocazione della locanda:
Lanzi casse fuor cortelle
Prime infilze con forchette
Perché carne del bielle
Star galante, e buon polpette,
trince, taglie, arocchie e affette,
puoi gustar suo buon sapore
Al lato opposto una finestra troppo piccola, e dagli infissi precari e datati, tentava di portare le ore di un giorno, ormai al volgere del suo turno. Una trinciante, solerte ed inespressiva, riconoscibile nel suo grembiule in tela a pettine, con un vassoio di sommata alessata in vino e sugo di melangole s’attardava, con aria interrogativa e sopra di lei, come serto d'alloro, un'immagine della battaglia di Montemurlo, scura e dimenticata nella memoria collettiva.
Il tempo