Attraverso gli Archetipi
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Insight. L’anima della marca Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniChiavi di Marketing Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioni
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Anteprima del libro
Attraverso gli Archetipi - Elena Barbieri
speciale.
Introduzione: gli Archetipi come chiavi di accesso all’anima della marca
Parlare di anima
nel Marketing, mi rendo conto, è strano. Soprattutto per la concezione riduttiva e superficiale che spesso si ha di questa disciplina. La parola Marketing evoca nell’immaginario collettivo, e spesso anche tra gli addetti ai lavori, l’idea che per fare andare bene un’azienda occorra piazzare
i prodotti sul mercato, occorra venderne tanti, a tutti i costi e con tutti i mezzi che si hanno a disposizione. O mi sbaglio?
La pubblicità, ritenuta quasi sempre ingannevole, avrebbe come unico scopo quello di convincere subdolamente il consumatore, instillando nella mente di chi la guarda il desiderio effimero di qualcosa che non risponde in realtà ad alcuna necessità. In questa visione manipolatoria del Marketing si ha la concezione che le aziende, soprattutto quelle che fanno pubblicità, abbiano un potere enorme sulle persone: il consumatore, fragile ed estremamente influenzabile, cadrebbe nella trappola
e finirebbe per acquistare prodotti di cui non ha alcun bisogno.
Alla prima lezione del Master di Marketing Management che tengo ogni anno, così come durante ogni mio intervento in azienda, cerco subito di sgombrare il campo da questo grande equivoco. Il Marketing NON è vendere cerini a chi non fuma
, ma è semplicemente quella conoscenza multi-disciplinare che permette di mettere in contatto, di avvicinare domanda e offerta. Il rapporto non è tra un potente manipolatore ed un succube consumatore, bensì tra due sistemi valoriali che possono interagire tra loro, trovarsi
oppure no.
Dopo oltre vent’anni di ricerche sul consumatore, posso affermare con grande convinzione che l’essere umano non è affatto così sprovveduto, né passivo. Chi concepisce il Marketing come una pura manipolazione dei bisogni
ha una scarsissima considerazione dell’essere umano e della sua ricchezza interiore, mentre tende a sopravvalutare il potere che le aziende posso esercitare su di esso.
La realtà è che il Marketing è una relazione
e, come ogni relazione, è elettiva.
Neppure il più grande conquistatore del mondo riuscirebbe ad entrare nel cuore di una fanciulla che non sia per prima attirata da qualcosa che lo caratterizza: le ragioni per le quali siamo attratti da alcune persone e da altre no è tanto misteriosa quanto fondamentale per la nostra evoluzione. Mi spiego: noi cerchiamo negli altri quegli elementi che confermano, o integrano, o completano il nostro sé
. E il nostro sé
, cioè la nostra vera natura (o anima
) evolve per progressiva acquisizione di quelle parti che ci permettono di superare determinati ostacoli e quindi di progredire.
Se siamo attirati da una pubblicità che ci parla di liberare l’istinto
, in realtà è perché in quel determinato momento della nostra esistenza abbiamo bisogno di ritrovare la nostra parte più primitiva, più istintuale per superare alcuni blocchi che l’estrema razionalità sta mettendo nel nostro percorso verso la felicità. Quella stessa pubblicità vista da qualcun altro, o da noi stessi ma in un altro momento della nostra esistenza, semplicemente scivola via senza lasciare alcuna traccia, non viene nemmeno notata.
Si tratta di punti di contatto
che non sono mai univoci e che si modificano nel tempo, col continuo progredire delle due parti in gioco. Il grande conquistatore riesce a rimanere nel cuore della fanciulla solo finché questa troverà in lui una risposta al percorso di formazione del sé
, d’altra parte lui stesso non potrà nemmeno entrare in relazione con lei se non sarà autenticamente
attratto da lei.
Il bisogno primario di ogni essere umano è quello dell’autenticità
: alla base di qualsiasi relazione c’è l’abbandono fiducioso, e la fiducia nasce dal riconoscimento
nell’altro di qualcosa che ci appartiene. Fin dalla primissima infanzia abbiamo sviluppato questa capacità di riconoscimento dell’autenticità, attraverso l’analisi delle espressioni del volto, degli occhi e della gestualità, attraverso l’ascolto del suono della voce e prima ancora del battito cardiaco, tramite gli odori che involontariamente emaniamo in relazione alle emozioni che proviamo, e via dicendo.
Grazie al riconoscimento nell’altro degli stimoli sensoriali che anche noi stessi proviamo, quindi grazie all’EMPATIA (parola che ritroveremo molto spesso nel corso del libro) siamo in grado di leggere
le emozioni vere, autentiche delle altre persone. E questo processo lo facciamo al di là delle parole, in maniera molto istintiva, quasi primordiale direi. Torneremo su questo fondamentale processo relazionale umano nel corso del libro, ma quello che mi preme dire è che, con questi presupposti, è molto difficile ingannare
il prossimo. Sempre che non sia il prossimo stesso a desiderare di essere ingannato, val a dire se questo sceglie per ragioni di comodità di voler credere alla finzione proposta.
Ho assistito in questi anni, direttamente o indirettamente, a numerosissimi test di comunicazione sul consumatore: l’errore ricorrente degli istituti di ricerca è di fermarsi alle parole che usa il consumatore per descrivere il suo maggiore o minore apprezzamento rispetto ad un messaggio pubblicitario. Posso assicurare il lettore che nella stragrande maggioranza dei casi il consumatore mente. Mente spudoratamente, con le più buone intenzioni del mondo, ma mente.
Fa una ricostruzione razionale del racconto pubblicitario e, se la marca è famosa e a lui emotivamente vicina, la risposta sarà in genere positivo-possibilista: Carina, sì, mi ci ritrovo
, sono le tipiche parole. Poi, una volta andata in onda, la stessa pubblicità scivola via senza lasciare alcun impatto.
In taluni casi l’impatto sull’equity della marca sarà persino negativo, ma normalmente occorrono diversi anni per accorgersene. Questo è il problema più grosso per tutte le marche: trovare delle metodologie per testare le campagne pubblicitarie che riescano a leggere
le reazioni più autentiche, emotive del consumatore, al di là della risposta razionale, socialmente accettabile.
Tornando al discorso della relazione, una marca per essere realmente credibile ed innescare un sincero riconoscimento valoriale, necessita prima di tutto di autenticità
, quindi di reale, consapevole convinzione circa la propria identità valoriale. Se chi comunica non conosce questa identità e non la sente
profondamente sua, non sarà in grado di convincere nessun consumatore. Così come il conquistatore che non si ritenesse autenticamente tale non riuscirebbe mai a convincere la fanciulla delle sue intenzioni.
Ciò detto alla fanciulla non basterà appurare che le intenzioni del conquistatore siano autentiche, ella avrà anche bisogno di riconoscere in lui degli elementi valoriali che per lei, in quel momento della sua esistenza, sono funzionali al processo di autorealizzazione. E’ evidente come alla base delle relazioni ci siano dei meccanismi così profondi, irrazionali e quindi poco controllabili, così difficilmente manipolabili
che diventa quasi impossibile pensare che ci sia una parte con tutto il potere e un’altra totalmente succube!
Le aziende che non hanno una chiara identità valoriale e che quindi non riescono ad entrare in sintonia con le motivazioni profonde del proprio target di consumatori, non sono in grado neppure di portare dei solidi risultati economici di lungo periodo.
Questo è dimostrato da numerose analisi empiriche: la più rilevante è il BAV (Brand Asset Evaluator) di Young&Rubicam che dopo aver inglobato il significato emotivo di marca
tra i suoi indicatori, ha dimostrato attraverso il più estensivo e approfondito studio sulla marca a livello mondiale (13.000 marche, 33 paesi e più di 100 diverse categorie), come le marche associate ad una chiara identità archetipica
influenzino positivamente i risultati delle loro aziende, in particolare gli indicatori finanziari di lungo periodo, come l’EVA.
Alla stessa maniera Byron Sharp, insieme ai suoi collaboratori dell’Ehrenberg-Bass Institute for Marketing Science presso l’University of South Australia, ha analizzato i dati di vendita e di acquisto di tutte le principali marche a livello globale per ricavare delle leggi empiriche che spiegano in maniera scientifica i fattori determinanti del successo, inteso come crescita
di lungo periodo, delle marche. Byron Sharp arriva alla conclusione che il successo di una marca si basa su due grandi driver: l’accessibilità fisica
, che possiamo descrivere come la probabilità che un potenziale cliente entri in contatto con la marca, e l’accessibilità mentale
, vale a dire la probabilità che un potenziale cliente ha di prendere in considerazione la marca, quindi la capacità della marca di assumere un significato emotivo
per il suo target, di entrare negli schemi mentali dello stesso.
Siamo in un terreno più buio, poco battuto, quello degli schemi mentali del consumatore, quello dei processi di significazione
che sono alla base di qualsiasi relazione umana, e quindi anche della relazione consumatore-marca. In un mondo economico guidato dal controllo
sui numeri, parlare di anima
del consumatore, così come della marca, mi rendo conto sia destabilizzante. Tuttavia, in base a quanto affermato prima, e ormai suffragato dalle neuroscienze nell’ultimo ventennio, la crescita avviene attraverso un processo di progressiva consapevolezza delle nostre motivazioni più profonde. Troviamo noi stessi
attraverso un processo di elaborazione delle relazioni che coltiviamo e delle motivazioni che le sottendono: solo così potremmo essere liberi, liberi di essere noi stessi.
Questo libro non ha l’ambizione di aiutarci a trovare noi stessi, la nostra anima, ma di migliorare la consapevolezza delle motivazioni profonde che muovono le relazioni tra esseri umani, così come tra consumatore e marche. Lo scopo ultimo è dare la possibilità a chi opera nel Marketing di trovare una reale connessione emotiva
tra la marca ed i suoi potenziali clienti, partendo dalla consapevolezza del significato profondo che questa assume non solo nella testa, ma soprattutto nel cuore del proprio consumatore.
Capitolo -1. Un passo indietro negli Insight
Nel mio precedente libro Insight. L’anima della marca
avevo raccontato di come la marca è viva.. una parte significativa delle ripercussioni, in termini di produzione di senso, di emozioni e valori generati dalla marca e l’ombra lunga che essa è in grado di proiettare nel tempo e nello spazio, esorbitano dalla immediata percezione che il pubblico può averne
. In quell’occasione mi sono soffermata maggiormente sul concetto di Insight
, e di come la sua comprensione permetta di facilitare la connessione emotiva tra cliente e marca, ma anche sui benefici di business, nonché sui processi attuativi di tale approccio, in una logica di affinamento delle strategie di Marketing.
E’ in questo libro che andremo invece a trovare la bussola
sia concettuale che metodologica che ci permette di comprendere gli Insight e quindi i punti di connessione emotiva tra cliente e marca.
Facciamo un passettino indietro: che cosa intendiamo per Insight? Si tratta di una parola che volutamente non ho tradotto perché riassume in sé i due significati di intuizione, illuminazione
da una parte e di immedesimazione, comprensione empatica
dall’altra. Per comprendere i processi mentali di un altro essere umano occorre prima di tutto immergersi nella sua realtà, per poi riconoscere quelle istanze psicologico-relazionali che chiamiamo motivazioni
, e che in realtà appartengono anche a noi.
L’assunto di base della teoria degli Archetipi che ci farà da bussola
per tutto il corso del libro è che gli esseri umani sono fondamentalmente fatti tutti della stessa natura, vale a dire che le dinamiche psicologico-relazionali di base sono tutte presenti nel bagaglio esperienziale (anche pregresso) dell’essere umano.
Ognuno di noi le ha in qualche maniera vissute in un momento della sua esistenza e le ha immagazzinate nel cervello attraverso processi associativi. Più esperienze sono state vissute ed elaborate dal nostro cervello, più ricco sarà il bacino dal quale possiamo attingere: questo processo ci permette da una parte di sentire empaticamente
l’altro, perché riconosciamo in lui le stesse dinamiche emotive da noi già sperimentate anche se in situazioni diverse, dall’altro ci permette di arricchire sempre più il nostro bagaglio conoscitivo, attraverso la condivisione e la rielaborazione anche delle esperienze altrui. Il fine ultimo a cui tendiamo è la completezza della panoramica esperienziale, la confluenza delle diversità verso un centro esistenziale tutto nostro, unico e speciale. Si tratta di una tensione evolutiva alla quale non possiamo resistere e che è destinata a procedere di pari passo con il fluire della vita stessa.
La famosa intelligenza emotiva
di cui tanto si parla non è che questa capacità innata dell’uomo di conoscere attraverso il riconoscere
nell’altro le principali dinamiche psicologico-relazionali alla base dell’esistenza: l’uomo si nutre delle esperienze altrui, le rielabora, le fa sue e le incasella in un bagaglio di risorse sempre più ricco, dal quale potrà attingere ogni qual volta si troverà a dover superare un ostacolo, una difficoltà, un blocco alla sua evoluzione.
Possiamo dire che per osmosi noi apprendiamo, ma elaboriamo le informazioni attraverso un processo di riconoscimento
. Riconoscere vuol dire ricondurre a degli schemi mentali innati nell’essere umano, che sono appunti gli Archetipi. I modi in cui incaselliamo nella nostra testa le diverse dinamiche psicologico-relazionali utili all’esistenza sono incredibilmente, inconsapevolmente, ma inesorabilmente le stesse.
La scoperta degli Archetipi per me è stata una vera rivelazione, un’illuminazione nel percorso di comprensione intima, profonda delle motivazioni che guidano l’essere umano, e quindi il consumatore. Grazie all’individuazione degli Archetipi mi è stato possibile leggere
gli Insight in maniera chiara, trasparente e potente allo stesso tempo. Da allora mi sono dedicata per anni alla verifica empirica e alla finalizzazione delle loro caratteristiche, con rigore scientifico e metodologico, con onestà intellettuale, ma anche con grande passione.
Oggi posso dire di avere in mano una bussola
potente per leggere
l’animo umano, le sue motivazioni più profonde, al di là delle distorsioni che l’approccio linguistico-razionale spesso comporta.
Le parole delle persone spesso sono fuorvianti, perché l’essere umano non è mai pienamente consapevole di quelle che sono le profonde motivazioni che determinano i suoi atteggiamenti ed il suo agire. Per questo motivo gran parte delle ricerche di mercato che le aziende si ostinano a pagare profumatamente sono illusorie, inutili, se non addirittura dannose, quando nascondono la verità. Ma se sapremo andare oltre i processi di razionalizzazione dell’essere umano, se sapremo riconoscere
le motivazioni psicologico-relazionali che guidano le nostre scelte, allora la nostra visione sarà più nitida e sarà più facile trovare il punto di connessione
.
Ma gli Archetipi non sono solo uno strumento potente di lettura delle motivazioni umane, esse rappresentano una risorsa a mio parere unica per la comprensione, definizione e comunicazione di quella che possiamo definire l’anima della marca
.
L’essere umano nasce come essere relazionale, ma le relazioni non avvengono solamente con altri esseri umani reali: da sempre, sin dall’antichità, avvengono con ogni forma sensibile alla quale possa essere attribuito un senso, un significato e quindi un’anima
. Quest’anima può essere riconosciuta in un animale totem, in un sasso, come avveniva nelle culture primitive, in un simbolo, un disegno, un numero, e via dicendo. Molti ricorderanno la scena del film Cast Away
, quando il protagonista Robinson Crusoe (interpretato da Tom Hanks) riconosce in Wilson, una semplice palla trovata sull’isola deserta, un amico fidato con il