Il volo della ghiandaia
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Info su questo ebook
E' stata un pò una sfida, e spero di averla vinta e di incuriosire il lettore.
Una città dilaniata dalla guerra, Bologna. Personaggi reali che soffrono, combattono, vivono il quotidiano con angoscia e sofferenza. E sullo sfondo appare come un miracolo l'amore, la strada maestra percorribile per ridare dignità alle persone.
Voi che ne dite? Lascio a voi la parola e le considerazioni.
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Anteprima del libro
Il volo della ghiandaia - Felice Diego Licopoli
Editore
Dedica
Alla mia famiglia, che c'è sempre
e sempre ci sarà
Perché se incontrarsi è la vera magia,
è non perdersi la vera favola
(Massimo Gramellini)
Giulia
1
Giulia fumava una sigaretta,sotto il portico della fabbrica, mentre osservava l'uccello tentare invano di spiccare il volo, con in bocca un piccolo pezzo di carne, che sarebbe servito da pasto. L'uccello era una piccola ghiandaia, dal petto marrone e le ali azzurre e nere, che si riflettevano nella tenue luce del mattino. Erano i primi bagliori dell'alba, in quel freddo gennaio del '44 a Bologna, e di lì a poco, la ragazza avrebbe dovuto cominciare il suo turno lavorativo. Giulia osservava fremente l'uccello, mentre consumava il mozzicone che aveva tra le mani, speranzosa di vederlo volare in cielo, ma la povera ghiandaia non ci riusciva; probabilmente doveva avere un'ala od una zampetta rotta, il che non le permetteva di librarsi nel cielo grigio e nuvoloso. Giulia, osservando quella povera creatura, rimase per un attimo impigliata tra i suoi pensieri. Tornò con la mente alla sera prima, alla riunione del GAP, di cui faceva parte, tenutasi a piazza Maggiore, allo strano discorso in codice che i partigiani avevano fatto, riguardo l'angusta questione di sbarazzarsi di un problema
, anche se non era stato ben definito di cosa si trattasse. Giulia sapeva solo che qualcosa bolliva in pentola, qualcosa di molto grosso, ma non sapeva ancora cosa fosse. L'avrebbe probabilmente saputo a tempo debito, quando le cose sarebbero venute a galla. Per il momento, doveva pensare al suo impiego di copertura, e ostentare una certa aria di indifferenza. Se i fascisti l'avessero scoperta, per lei sarebbe stata la fine. Così spense la sigaretta, si avvicinò alla piccola ghiandaia e la prese tra le mani; era talmente tenera e spaventata da sembrare un batuffolo di cotone tra i suoi palmi. Poi entrò nella fabbrica, trovò una vecchia scatola di scarpe, a cui fece dei buchi di modo che potesse passare l'aria, e ripose lì dentro la piccola ghiandaia, nascondendola in uno scaffale. Prima di lasciarla, si avvicinò con la testa al suo beccuccio a patata e le sussurrò: «Verrò a darti da mangiare tutti i giorni piccola mia, non temere». Poi se ne andò, il lavoro chiamava.
Era una fabbrica che lavorava la lana, che lavorava ventiquattr'ore su ventiquattro, nella zona di San Donato. Il prossimo turno lavorativo di Giulia sarebbe stato quello notturno, il che le dispiaceva, perché la costringeva a disertare le eventuali altre riunioni clandestine, ma c'era comunque un lato positivo; il mattino seguente, alla fine del turno, poteva gustare uno dei deliziosi cornetti alla crema del fornaio lì accanto, che li manteneva caldi e soffici sul bancone. Dolce consolazione dopo una nottata di duro lavoro.
2
La fabbrica disponeva di due grandi telai industriali e diversi telai jacquard, sui quali venivano disposti i fili di ordito che si dividevano in due serie, pari e dispari; aprendo le due serie, una in alto e l'altra in basso, si otteneva un varco, in cui inserire il filo di trama orizzontale. Dopo di che le serie si scambiavano di posto, quella in alto andava in basso e viceversa, ottenendo così un incrocio che bloccava il filo di trama, che poi doveva essere battuto e schiacciato contro la trama precedente, andando così a costruire il tessuto. Il compito di Giulia era proprio quello, ovvero di lavorare il filo di trama continuamente, per otto ore al giorno, senza sosta. Era davvero dura, per lei, poveretta, schiacciare e battere incessantemente; ogni azione si ripeteva sempre uguale, minuto dopo minuto, ora dopo ora, e la fatica era tanta da avere il fiato era corto, gli occhi che bruciavano e le ossa delle spalle dolenti che schioccavano come le dita di una mano. Era un lavoro estenuante, massacrante, ma era l'unica risorsa, sia per lei che per la sua famiglia. Giulia era la prima di sei figli, e doveva badare sia ai fratelli che ai genitori, col misero stipendio che si ritrovava. Anche Antonio, il secondo dei fratelli lavorava, ma solo di tanto in tanto per una paga a dir poco irrisoria. Il padre, Anselmo, era un ubriacone dannato, che riceveva una modestissimo sussidio per invalidità, che non riusciva a coprire nemmeno le spese per mangiare. La madre, Elena, era malata di reni, ed era difficile se non impossibile per lei badare ai figli, per via delle sue condizioni. Così, era proprio lei, Giulia, l'unica speranza per quella famiglia di restare a galla, e non andare a finire in qualche rifugio o peggio ancora, in mezzo alla strada a chiedere l'elemosina, con la guerra che incombeva su tutta Europa. Ma Giulia, si sentiva stanca di quella vita che conduceva già da alcuni anni, stanca dell'inferno della fabbrica, della casa che non era mai pulita, dei fratelli che le ronzavano sempre intorno con le loro richieste, stanca di vivere in miseria, e col pericolo di un bombardamento che incombeva su tutti loro come una spada di Damocle. Spesso si sentiva sola ed abbandonata, e si rifugiava nella sua cameretta, a piangere, con la testa sul cuscino, mentre fuori il mondo girava, i bambini giocavano e le milizie fasciste passavano davanti casa sua. Non poteva nemmeno sfogare il suo conflitto interiore con un uomo, giacché la sua vita impegnata non le permetteva di avere relazioni, né tantomeno, la sua attività di carbonara.
Dentro di se sentiva che la sua vita doveva cambiare, prima o poi, quella maledetta guerra doveva avere una fine, e magari lei, insieme agli altri partigiani avrebbe potuto dare il suo contributo, perché finisse. Non sapeva in che modo, ma sentiva che un vento di speranza dentro di lei cominciava a soffiare, speranza di una vita migliore, di un mondo migliore. Prima o poi passerà
diceva spesso tra sé e sé per consolarsi. Non poteva nemmeno immaginare, che di lì a poc'anzi, la sua vita sarebbe stata completamente stravolta.
3
Appena terminato il turno, nel pomeriggio, andò a sincerarsi delle condizioni della povera ghiandaia e decise che, se voleva sfamarla, doveva portarla con sé a casa. Così aprì la scatola e notò che il povero uccellino, si avvicinava a lei, quasi come se volesse le coccole dalla mamma. Giulia sorrise e sporse il dito indice, accarezzando la testolina piumata; «Ti chiamerò Biro, anche se non so se sei maschio o femmina...che ne dici, ti piace?» La piccola ghiandaia continuò a farsi accarezzare, era come se si fosse affezionata. Dietro le spalle di Giulia sbucò Carla, la sua collega e migliore amica, che non appena la vide le chiese: «Ehi Giulia, che fai con quella scatola?» Giulia ripose prontamente il coperchio e rispose: «Nulla, Carla, solo un vecchio paio di scarpe che mi devo provare niente di più»
«Ah, d'accordo, com'è andata la giornata?» chiese nuovamente Carla.
«Massacrante come al solito. Non vedo l'ora di tornare a casa.» Rispose Giulia.
«A chi lo dici, anche io ci ho dato dentro. Non riesco a contare quante maglio ho fatto.»
«Beh....finalmente è finita almeno per oggi.» rispose Giulia.
«Già, finalmente si torna a casa.»
Nell'aria si sentì il sibilo di una sirena. Un presagio di un eventuale bombardamento.
«Dio mio, finirà mai questa maledetta guerra?!» Commentò Carla.
«Speriamo presto Carla, speriamo presto.» Rispose Giulia.
«Hai per caso sentito in giro qualcosa di strano?» Chiese nuovamente Carla.
«Non che io sappia.» Rispose Giulia.
«Ne parlavamo oggi al lavoro. Sembra che ci sia nell'aria un attentato.»
Giulia sentì un fremito risalire lungo la schiena. Possibile che fosse proprio quello di cui stavano parlando alla riunione?
Sbarazzarsi di un problema, un problema, un problema grosso quanto una casa
«Io non ho sentito niente a dire il vero.» Rispose Giulia.
«Mah, che importanza ha...tanto ormai non si contano più i morti. Andiamocene a casa, prima che ci facciano saltare in aria.» Ribatté Carla.
«Buona idea.» commentò Giulia con un sorriso, e si girò per andarsene. Le due ragazze uscirono dalla fabbrica e si salutarono, poi Giulia tornò di corsa a casa, con la scatola in mano. Prima però passò al negozio di animali, in modo da comprare del mangime per