Racconti dietro l'angolo
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Anteprima del libro
Racconti dietro l'angolo - Lorella Fanotti
Indice
Prefazione
BRICIOLE DI VITA
EFFETTI COLLATERALI
L’ABBIGLIAMENTO DI UN FUOCHISTA
IL CULO DELLE DONNE
UN’ALTRA STORIA
IL VIAGGIO DELLA SPERANZA
MI CHIAMO JANE
LA MAESTRA CLELIA
LA SCOMMESSA
LA SIGNORA VIAGRA
LA TINCA
IL PROFESSORE
TRE NOTE DI FLICORNO
ULTIMO
UNA MANO PER CHI?
AIYANNAR
UNA PROVA D’AMORE
BIRILLINO
CIAO RIVO
SUL FILO DI LANA
LA FELICITÀ
IL MULO
INCONTRO A GARIBALDI
Prefazione
Legendo atque scribendo
vitam procudito*
Varrone
Briciole di vita
è il titolo di uno dei Racconti dietro l’angolo di Lorella Fanotti, ma potrebbe essere anche la cifra – metafora del suo narrare
. Le briciole
sono il risultato dello sminuzzamento di vicende più cospicue che occorrono ad ogni vita e che il sermo humilis soffuso di aura poetica trasforma in un’operetta quanto mai interessante. Queste vicende avvengono dietro l’angolo
, in un luogo non visto dallo sguardo frettoloso dei più. Per questo c’è bisogno di un surplus di attenzione e di qualcuno che sopravviva alle prove. Abbiamo ragione a non crederci padroni di ciò che passa visto che il presente
, al di fuori dell’istanza verbale, è senza presenza
.
Solo chi scrive (e legge) produce un riverbero attivo del passato mediante una riattivazione o analessi delle azioni e di chi le ha compiute.
È così che scrivere diventa più prossimo al reale del parlare soprattutto quando il testo produce contiguità tra poesia e racconti che per l’essenzialità corrispondono alla pregnanza del linguaggio. La Fanotti offre pagine spaziate, ariose e, paradossalmente leggere nel loro carico di pathos, di destino e di hegeliana Schmerzwelt. Queste pagine possono anche far percepire un suono che proviene dallo stesso buio dell’esistenza nella quale la scrittrice coraggiosamente avanza e noi lettori con o dietro di lei.
I personaggi dei Racconti dietro l’angolo spesso si dibattono in conflitti e paure che faticano ad affrontare (La scommessa
). Talvolta si combatte con la malattia e l’incomprensione (Un’altra storia
, Effetti collaterali
, etc.).
Padrona sicura di tutte le più efficaci tecniche narrative, la Fanotti passa dalla narrazione interna
che talora coincide con tranches autobiografiche, a quella esterna
sia pure in forma di monologo interiore come in Mi chiamo Jane
, in cui poco spazio è lasciato all’illusione. Anche se non mancano spassose vicende quali Aiyannar
in cui è evidente un’intertestualità risalente ad Erica Jong, la raccolta ha tonalità malinconica per il prevalere del disincanto e per l’assenza di ogni trito moralismo. I fatti però sono trattati con partecipazione empatica, con una delicatezza per noi salutare perché troppo assente ormai nel deserto infuocato
** del nostro III Millennio.
* È leggendo e scrivendo che si forgia la propria vita come il ferro.
** Magister Raphael, presentazione all’opera musicale (cd) di Ugo Sani.
Montepulciano, 3 aprile 2011 Marco Montori
Per quelli che ancora credono
In un posto dove non uccidono le bambine
E neppure le loro mamme
Un posto dove i giovani
Hanno speranze
E i vecchi chi ascolta
I loro ricordi
Un posto dove sei libero di vivere
Ma anche di morire
Un posto senza uomini e donne
Ma con tanti individui
BRICIOLE DI VITA
Vien qua Pichino
bisbigliò con la voce dura a mascherare la tenerezza dell’intenzione lo zio Santi. Il piccolo Gino si acquattò furtivamente sotto il tavolo e il vecchio zio gli diede qualche pezzettino di carne. Gino non era un cane ma il più piccolo dei 12 bambini di casa Ginetti. Lo zio Santi era il fratello del nonno, un omone robusto con due baffi alla Stalin e la testa rasata a zero. Gino, che era uno scricciolo tutto orecchie e ossa spigolose, osservava incantato questo vecchio orco buono. La mattina, anche in pieno inverno, si gettava la brocca dell’acqua in testa e con un unico gesto, accompagnato da un sonoro grugnito, si passava la mano dalla nuca al mento.
Erano 26 in tutto e al momento di mangiare si seguiva la rigida regola patriarcale. Prima mangiavano gli uomini, seduti intorno al lungo tavolo. Le donne sbocconcellavano intorno al focolare, le più volte senza nemmeno sedersi, poi toccava ai ragazzi grandicelli, quelli in grado di aiutare nei campi. Datemi un pochino d’olio!
a volte osava chiedere qualche ragazzo ma la risposta era sempre la stessa L’olio fa veni’ i grolli!
. Un po’ perché non era lecito rispondere ad un adulto, un po’ perché i mocci al naso ce li avevano i più piccoli, nessuno insisteva nella richiesta.
I più piccoli, i cittini, erano gli ultimi. Gino se non trovava qualcuno che gli allungava qualcosa, spesso e mal volentieri, faceva il digiuno. Mangiare a sufficienza, anche a scapito degli altri, era il fine di tutti. Chi andava al mercato riusciva a far la cresta sulla spesa e a riportare un paio di acciughe che venivano nascoste in camera nel canterano. Ma il puzzo e il continuo andirivieni tradivano la furberia. E allora erano liti furibonde.
Eravamo negli anni ’50, nelle città giravano le automobili e ci si riprendeva dalla guerra. In campagna ancora si andava a dormire nel soppalco con le foglie di tabacco appese sopra il letto. I Ginetti erano contadini che venivano dalla Misericordia, vicino Castiglion Fiorentino, e come tutti i mezzadri lavoravano per il boccon di pane. Il resto era del padrone. Ogni anno il capoccia si recava in bicicletta ad Arezzo a fare i conti con il Papini, il padrone. Ma i conti non tornavano mai e si chiudevano sempre a debito per i contadini. Il debito lievitava di anno in anno come la pasta del pane chiusa nella madia. L’unica era arrangiarsi un po’, vendere le uova per esempio. Oppure sottrarre un maialino appena nato.
Una volta una scrofa partorì 10 maialini e a Fernando non sembrava giusto ingrassarli tutti per quello strozzino del Papini. Appena svezzato ne nascose uno. Ma andò male. Il Papini fece il conto della miscela che prendevano per i maiali e si insospettì. Controllò a tappeto la proprietà e scoprì il maialino nascosto in un piccolo stabbio ai confini del campo. Rischiarono di essere cacciati dal podere, li salvò il fatto che erano vicini alla mietitura e difficilmente il padrone avrebbe trovato da sostituirli.
Con le uova andava meglio ed erano buona merce di scambio. Quando i ragazzi andavano a scuola potevano ogni tanto barattare una coppia d’uova con un panino con la mortadella, oppure con una manciata di spiccioli per comprare la carta e l’inchiostro. Ma che vergogna se suonavano quando la bottegaia li scuoteva vicino all’orecchio! I grandi erano più smaliziati. Quando si cominciarono a vedere i biliardini a turno rinunciavano alla colazione e gli spiccioli dell’uovo venivano utilizzati per giocare al calcio balilla.
Un’altra furberia era di fingersi malati. L’uovo sbattuto era la cura di ogni indisposizione, ma spesso la malattia si chiamava fame.
Gino cresceva, ma era sempre il più piccolo, oggetto di angherie e dispetti. In casa c’era una sola bicicletta e a lui non toccava mai. Gino smaniava per poterla provare, se la sognava la notte. Lui con il berrettino con la visiera come Bartali che tagliava un traguardo immaginario in fondo alla discesa di casa sua.
Venne una grande nevicata e nessuno pensò di prendere la bicicletta con quel freddo e le scarpe sfonde. Erano rimasti tutti in casa intorno al focolare, nemmeno gli uomini erano andati nei campi. Era il suo momento, ora o mai più si disse Gino. Si coprì meglio che poté e corse incontro alla sua avventura. Partì a rotta di collo per la stradina che portava al paese, incurante del freddo che gli sferzava le orecchie a sventola e gli intirizziva le dita. Nella neve si andava che era una bellezza ma non era nemmeno a metà della discesa che la corsa