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Baci al chiaro di luna
Baci al chiaro di luna
Baci al chiaro di luna
E-book153 pagine2 ore

Baci al chiaro di luna

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Info su questo ebook

Lei ha salde radici.
Violet Campbell vive nella proprietà dei genitori, dove ha avviato una fiorente attività di vivaista. Tra le varie piante di cui si occupa c'è una particolare varietà di lavanda, molto interessante per l'industria dei profumi. Forse si può trovare un accordo.

Lui è un giramondo.
Cameron Lachlan arriva al vivaio di Violet per conto della Jaunesse, in qualità di agronomo esperto, con il compito di seguire il raccolto e rilevarne le caratteristiche. Ma sembra esserci un viavai eccessivo per poter discutere insieme d'affari. L'unico posto dove riescono ad avere un po' di tranquillità è il campo di lavanda. Di sera. Al chiaro di luna. Se la sente Cameron di sedurre Violet anche se entro un mese se ne dovrà andare?
LinguaItaliano
Data di uscita10 set 2020
ISBN9788830519435
Baci al chiaro di luna

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    Anteprima del libro

    Baci al chiaro di luna - Jennifer Greene

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Wild In the Moonlight

    Silhouette Desire

    © 2004 Alison Hart

    Traduzione di Silvia Zucca

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-943-5

    1

    Violet Campbell fece appena in tempo a zoppicare attraverso la porta della cucina che sentì suonare il campanello all’ingresso.

    Decise semplicemente di ignorarlo. Non che avesse altra scelta: aveva la vista offuscata dalle lacrime e quasi non respirava per il dolore, mentre cercava di raggiungere il lavello. Dopo aver passato ore e ore sotto il sole accecante del Vermont, la sua cucina sembrava buia come l’antro di una strega. Ovviamente non lo era, solo che le sue pupille non erano ancora abituate alla luce più fioca. Oppure la realtà vera era che quella terribile vespa le aveva inferto col suo pungiglione un dolore talmente intenso da accecarla.

    Ma quel qualcuno alla porta non voleva desistere e suonò di nuovo.

    Perdendo la pazienza, Violet gridò: «Accidenti! Non posso venire adesso perché sto morendo, quindi datti una bella calmata».

    La conoscevano tutti a White Hills, quindi, se si fosse trattato di qualcosa di vitale importanza, quel qualcuno alla porta non avrebbe aspettato un invito formale, e sarebbe entrato senza tante storie. Comunque, Dio solo sapeva perché si ostinava a tenere in funzione quel dannato campanello visto che la gente, di solito, andava e veniva in casa sua senza troppi complimenti.

    Stringendo i denti e barcollando, riuscì ad alzare la gamba dolorante e, dopo essersi levata il sandalo, ad appoggiare il piede nel lavandino. Alzò l’orlo del gonnellone che indossava per vedere bene il piede. Fin da quando aveva aperto l’erboristeria, aveva preso a vestirsi in modo eccentrico, tanto da sembrare appena uscita da un catalogo per gitani. Quel giorno, però, la gonna lunga e ingombrante, che la copriva fin oltre le caviglie, le era d’impiccio perché quasi non le permetteva di vedersi il piede malconcio. Una tazzina vuota barcollò pericolosamente dopo che l’ebbe urtata e un cucchiaio cadde rumorosamente sul pavimento. Uno dei suoi gatti, ma non riusciva ancora a distinguere bene quale, doveva aver pensato che si fosse recata in cucina per prendere del cibo e aveva iniziato a strusciarsi contro di lei, e a fare le fusa.

    Non ci fece caso. Dannazione, il piede le faceva un male del diavolo. Doveva pulirsi la ferita e disinfettarla al più presto.

    Solo dopo che si fosse lavata il piede, avrebbe potuto affrontare la puntura di quel maledetto insetto. Con tutta probabilità, pensò, l’aculeo le era rimasto conficcato dentro. Altrimenti non sarebbe riuscita a spiegarsi il dolore intenso e violento che sentiva. Be’, a essere sinceri poteva esserci anche una seconda spiegazione... I suoi amici e tutta la sua famiglia ignoravano il fatto che fosse un’assoluta codarda, ma Violet aveva scoperto già tre anni prima che uno dei fantastici vantaggi dell’essere divorziata e vivere da sola era quello di potersi comportare da pappamolle e piangere come una bambina ogni volta che voleva.

    Ed era proprio quello che intendeva fare in quel frangente. Per quanto la riguardava, la puntura di una vespa giustificava in pieno il suo comportamento da femminuccia. Mise il piede sotto il rubinetto, e aprì l’acqua calda. Il tepore la fece quasi svenire per il sollievo.

    Forse stava esagerando un pochino, ma non le importava. Tutta quella situazione era così dolorosamente ironica. Tutto intorno a lei sembrava fiorire e riprodursi lussureggiante: le piante, i gatti, persino i calzini nel cesto della biancheria da lavare o i grovigli di polvere che, sotto al suo letto, parevano moltiplicarsi lascivi ogni volta che spegneva la luce per dormire.

    Il mondo intero sembrava amoreggiare e fare bambini. Tutti tranne lei. Anche quelle vespe insidiose sembravano essersi decuplicate in un paio di giorni. Ma, forse, il fatto di possedere all’incirca venti acri di lavanda che stava fiorendo poteva, diciamo poteva, aver incoraggiato l’arrivo di qualche altro sciame. Però non le era mai successo di non potersi avvicinare alle sue piante. In più, di solito le vespe non le davano alcun fastidio, anzi, le erano simpatiche. Sembravano addirittura apprezzare la sua presenza in mezzo a loro.

    Ma non quella bestiaccia che l’aveva punta, ovviamente. Di sicuro doveva essersi trattato di una vespa maschio. Ma non aveva letto da qualche parte che i maschi delle vespe morivano dopo aver punto qualcuno? Lo voleva proprio sperare. E si augurava anche che il suo trapasso fosse stato lento e tra atroci tormenti.

    Il campanello suonò, di nuovo.

    «Oh, santo cielo, chiunque tu sia, puoi smetterla di tormentarmi con quel campanello? Non posso venire fino alla porta, quindi entra oppure vattene!»

    Stringendo i denti, si mise del sapone antibatterico sul piede. Trattenne un grido di dolore quando questo toccò la puntura che, nel frattempo, si stava arrossando e gonfiando a vista d’occhio. Quindi, si sforzò di rimettere il piede sotto l’acqua tiepida.

    Proprio dietro alla sua testa c’era lo sportello della credenza dove teneva la scatola del pronto soccorso ma, quando tentò di voltarsi per raggiungerlo, il movimento le fece acuire il dolore dandole una sferzata lungo tutta la gamba.

    Il primo gatto era stato raggiunto da un altro ed entrambi sedevano osservando gli strani movimenti della padrona col naso per aria. Sapevano perfettamente tutti e due che non era permesso loro di salire sul tavolo o sugli altri mobili della cucina, quindi, si accontentavano di guardarla da sotto in su, come attenti spettatori del suo particolare dramma.

    Nel frattempo l’orlo della gonna si stava infradiciando e anche la sua schiena, visto che sentiva le gocce di sudore scenderle lungo la spina dorsale. Faceva caldo, ma probabilmente quella era una reazione allo shock. Poi notò l’unghia spezzata del mignolo. Odiava spezzarsi le unghie!

    «Bonsgiorno.»

    Il suono di quella voce le fece alzare la testa all’improvviso come un coniglio che avesse fiutato un giaguaro nel suo territorio. Quella era la sua cucina, non un territorio dove i giaguari potevano aggirarsi. Dopo il divorzio era tornata a vivere nella casa della sua infanzia, prima di tutto perché era libera, visto che i suoi genitori si erano ritirati in Florida e, anche se aveva tardato un po’ a rendersene conto, per stare in un luogo sicuro dove poter curare le ferite del suo cuore.

    Aveva cambiato molte cose della vecchia dimora, facendola sua. Sua madre non aveva mai avuto molto gusto decorativo e Violet aveva colto l’occasione per tenersi occupata e non pensare a Simpson, che l’aveva lasciata, e alla sua straordinariamente feconda donnina. Si diede un’occhiata in giro per rendersi conto di essere al sicuro. Quello era il suo mondo, la sua vita. La vecchia credenza nascondeva ancora quella collezione di brutti bicchieri rossi che suo padre aveva comprato per corrispondenza; una cucina a gas dall’aspetto vetusto troneggiava sul pavimento in cotto, a poca distanza dal lavandino; e, dalla parte opposta, c’erano ancora la sedia a dondolo in vimini e il vecchio sgabello ridipinto in rosa antico che solitamente erano occupati dai suoi gatti.

    Era tutto normale. Tutto come al solito... a parte il fatto che sentiva i passi pesanti di qualcuno, che probabilmente indossava degli stivali, avvicinarsi alla cucina e, nello stesso tempo, la voce profonda da giaguaro dire: «Bonsgiorno, sc’è qualcuno?».

    Non che le importasse particolarmente che un estraneo fosse entrato in casa sua. Nessuno straniero rimaneva tale molto a lungo a White Hills, vista la cordialità delle persone, e un potenziale serial killer probabilmente non si sarebbe annunciato a gran voce prima di entrare. Eppure, non le veniva in mente nessuno che potesse dire: bonsgiorno, invece di buongiorno o semplicemente ehilà. Ma non era lo strano accento a renderla nervosa. Piuttosto, c’era qualcosa nel timbro della sua voce, qualcosa di speziato ed esotico. Semplicemente era un po’ troppo sexy per quel sonnolento pomeriggio di giugno e per quella cittadina di provincia del Vermont. Il suono di quella voce le faceva tremare le ginocchia, come se fossero fatte di burro.

    D’altra parte, Violet conosceva perfettamente la propria indole adolescenziale e propensa al dramma, quindi era abituata a non fidarsi mai del proprio istinto. La verità era che non si sentiva dell’umore di avere visite.

    Senza quasi alzare lo sguardo, gridò: «Santo cielo! Sono quasi morta di paura. Chiunque tu sia, puoi raggiungermi in cucina e passarmi la scatola del pronto soccorso? Dietro di me. Secondo scaffale. Ho bisogno delle pinzette. E anche della crema disinfettante. Ah, e anche della boccetta di plastica rossa per ripulire le ferite... come diavolo si chiama... Perossido d’idrogeno, mi pare. Oh, dammi pure tutta la scatola, faccio da me».

    Lo straniero interruppe la sua lunga lista di istruzioni con la stessa voce tranquilla e pericolosa di poco prima.

    «Tanto per cominciare... dove, esattamente, ti sei fatta male?»

    Come se avesse tempo per delle domande!

    «Non mi sono solo fatta male. Sono in preda a dei dolori atroci. Ah, perché non ho pensato di tenere anche degli antidolorifici in casa? Oppure dei narcotici... pillole, qualcosa. Accidenti all’omeopatia! Suppongo che tu non abbia della morfina, vero?»

    «Uhm... veramente no.»

    «Suppongo che tu possa pensare che sono una pazza visto che mi metto a parlare tranquillamente con uno sconosciuto. Be’, se sei venuto qui per derubarmi, fai pure. Non me ne importa. Basta che prima mi passi la cassetta delle medicine, okay?»

    Silenzio. Non solo da parte dell’uomo ma anche di Violet che di colpo si rese conto di essere mezza nuda. Infatti, teneva ancora la gonna sollevata ben oltre metà della coscia. E non si erano neppure presentati.

    Violet deglutì.

    Ora che aveva sollevato la testa e lo vedeva bene, capì che era uno di quei ragazzi che riuscivano ad alzare il livello degli estrogeni di una donna in un nano secondo. L’estraneo attraversò velocemente la stanza e chinò la testa bionda sul piede di lei, per rendersi conto dell’entità della ferita. Era alto e magro ma con le spalle larghe e grosse e così muscolose da sembrare scolpite; e poi aveva dei piedi enormi. Sembravano due grandi barche sul suo pavimento. Aveva i capelli biondi e lunghi che sembravano arruffati dal vento, come se fosse stato all’aria aperta per ore. Non riusciva a vedergli più del profilo: un bel naso importante e la pelle abbronzata dal sole. Vestito di un color kaki piuttosto anonimo, non era però il tipo da passare inosservato, anzi, si poteva pensare che fosse abbastanza forte da mandare chiunque K.O. in pochi secondi, se solo l’avesse voluto.

    Quando, finalmente, si voltò a guardarla, Violet scorse il luccichio dei suoi occhi azzurri e notò le labbra strette che sembravano determinate a non lasciarsi sfuggire un sorriso.

    «Tutto quel gridare» osservò in tono calmo, «per questa punturina?»

    «Ehi, non è affatto una punturina! E tu non hai visto quant’era grossa la vespa che me l’ha fatta: praticamente un elefante. E...»

    «Sei allergica alle vespe?»

    «No, grazie al cielo, no. Non sono allergica a niente. Scoppio di salute. Ma ti dico che quella bestiaccia era veramente enorme. E penso che

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