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La memoria del delitto
La memoria del delitto
La memoria del delitto
E-book431 pagine6 ore

La memoria del delitto

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Info su questo ebook

Ricorda l'oscurità
Non riesce a ricordare perché il killer l'abbia scelta o cosa le abbia fatto. Ma la detective Claire Morgan sa che le è successo qualcosa di terribile la notte in cui uno psicopatico serial killer è evaso dal reparto psichiatrico. Per trovare piacere. Per trovare dolore. Per trovare lei…

Ricorda l’orrore
Mentre si sta rimettendo in una località sul lago, Claire spera di mettere ordine tra i ricordi perduti. Ma è appena uscita dal coma e riesce a malapena a ricordare il suo amante, lo psichiatra Nicholas Black. Riuscirebbe a riconoscere il suo rapitore se lo rivedesse? Se dovesse tornare a cercarla?

Ricorda i delitti
Se solo riuscisse a ricordare il suo viso o la sua voce… Se solo riuscisse a comprendere il male nella mente di quell’uomo o le profondità della sua crudeltà…
Se solo sapesse quanto è vicino a lei e a tutte le persone che ama.
LinguaItaliano
Data di uscita10 giu 2021
ISBN9788831399418
La memoria del delitto

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    Anteprima del libro

    La memoria del delitto - Linda Ladd

    1

    Oggi

    Non sapevo dove fossi, né chi fossi. Non mi importava. C’era solo una nebbia grigia, fresca ed effimera, come se stessi andando alla deriva dentro la più incantevole e silenziosa nuvola mai creata. Fluttuavo con dolcezza, ondeggiando piano, e mi piaceva. Era sereno e pacifico, senza alcun rumore, preoccupazione o paura. Mi rendevo conto di essere ancorata a terra, da qualche parte laggiù in fondo, dall’altro capo di una luccicante corda d’argento che si perdeva tra le nuvole soffici come grandi batuffoli di cotone sotto di me. Non importava. Non volevo pensarci. Desideravo solo stare ferma e godermi il gentile dondolio della brezza delicata. Avrei voluto salire ancora più in alto tra le nuvole, sempre più in alto, fino a raggiungere l’intensa luce bianca che faceva brillare la foschia sopra di me. Mi chiamava, ma non riuscivo a liberarmi della corda d’argento che mi tratteneva per fluttuare fino a quel luogo magnifico.

    Chiusi gli occhi e non sentii più niente fino a quando non fui svegliata dalla voce di un uomo. Era profonda e roca, insistente e determinata. Non ne fui felice, ma mi era familiare e sapevo che dovevo ascoltarla.

    «Andiamo, piccola, lo so che puoi sentirmi. So che ci riesci. Puoi tornare indietro, provaci, prova ad aprire gli occhi, cerca di seguire la mia voce.» Poi si interruppe con un suono strozzato, e nella mia mente si materializzò un volto, con occhi azzurri e capelli neri. Non capivo chi fosse. Allora lo ignorai e lasciai che le onde mi cullassero di nuovo fino a farmi addormentare.

    La voce tornò spesso. Ascoltarla mi stancava perché mi piaceva la quiete. E poi ne arrivarono altre, meno di frequente di quella del viso con gli occhi azzurri, ma abbastanza da turbare la mia pace e svegliarmi.

    «Sono io, Claire, sono Bud. Andiamo, ti prego, non farci una cosa simile. I dottori dicono che puoi riprenderti, basta solo che ti svegli. Sei in coma, è questo il problema, e invece devi risvegliarti per guarire. Anche Charlie è qui. Siamo tutti qui.»

    Non avevo idea di chi fosse, e nemmeno quelle che la seguirono. Mi addormentai di nuovo, desiderando solo che mi lasciassero in pace e mi concedessero la tranquillità che volevo. Ma non lo fecero, non smettevano, sembravano continuare notte e giorno, di continuo.

    «Sono Black, Claire, ascoltami, ascolta, dannazione, puoi farcela. Sono venuti tutti qui a trovarti. Ora ti puoi svegliare. Ti ho riportata a casa e non ti lascerò sola fino a quando non riaprirai gli occhi. Starai bene. È finita. Ho chiamato i dottori migliori del mondo a occuparsi di te. Stai guarendo bene. Adesso devi solo tornare indietro da me. Devi tornare indietro. Fallo, fallo e basta, Claire.»

    Mi addormentai di nuovo. Le voci non si volevano fermare. Adesso ce n’era una che leggeva per me. Stai zitta e vattene, pensai. Lasciami in pace. Lo stesso viso mi aleggiò nella mente. Ormai mi era quasi familiare, anche se non riuscivo a riconoscerlo. Non volevo farlo.

    La sua voce sembrava essere sempre lì e mi parlava incessantemente. «Lo sceriffo ha bisogno di te, Claire. Tu ami essere una detective, ricordi? Sei brava nel tuo lavoro. Hai messo molti criminali dietro le sbarre. Sei riuscita a prenderli, tutti quanti. Ora sono morti e non uccideranno mai più nessuno. Charlie ha bisogno che ritorni al lavoro. Ha bisogno di te.»

    Molto tempo più tardi, qualcun altro venne a svegliarmi, con una parlata lenta e strascicata. «Sono Joe McKay, Claire. Che cosa stai combinando, vuoi spaventarci tutti a morte? Riporta qui il tuo bel culetto. C’è Lizzie con me. Anche lei vuole salutarti.»

    Più udivo quelle voci e più mi sembravano vicine. Mi stavano trascinando sempre più in basso tra le nuvole, fino al luogo dove era ancorata la mia corda d’argento, e io non volevo andarci. Desideravo che la smettessero per poter rimanere lì nella tenera quiete, quindi opposi resistenza e cercai di arrestare la discesa, chiudendo le orecchie e rifiutandomi di ascoltarli. Perché non mi lasciavano in pace?

    Poi udii la voce di una bambina, indistinta e lontana. Poco più di un bisbiglio. «A me e a Jules dispiace che tu stia male.»

    Dentro di me sbocciò una visione, un piccolo bimbo biondo con le guance grassocce, le braccia morbide e una canna da pesca a cui era appeso un pesce persico. Non conoscevo il suo nome, ma sapevo che aveva bisogno di me. Non lo vedevo da così tanto tempo. Dovevo tornare indietro e trovarlo. L’avevo lasciato da qualche parte, ma non sapevo dove. Dovevo ritrovarlo. Senza di me avrebbe avuto paura, sapevo che era così.

    In qualche modo riuscii ad alzarmi da quel bel letto calmo e candido come un perla per afferrare la corda d’argento. Iniziai a tirarmi verso il basso, una mano alla volta, giù, giù, seguendo la voce del bambino fino a quando non raggiunsi tutte le altre, e quella di nome Black, che mi aveva assillato senza sosta esclamò: «Oh, grazie a Dio, sta riprendendo i sensi. Sta cercando di svegliarsi.»

    Mi bloccai per un po’, spaventata, perché le voci adesso erano così vicine. Alla fine, quando si azzittirono tutte, mi sentii pronta ad affrontarle. Aprii gli occhi sull’oscurità, ma li chiusi di nuovo, il terrore che mi travolgeva. Provai a risalire tra le nuvole, ma ora il bel silenzio era scomparso e i sogni più terribili mi venivano incontro come mostri nella notte. Poi udii una voce diversa, una voce terribile, che sussurrando mi raccontava qualcosa su un vecchio magazzino su un fiume, mi diceva che finalmente eravamo lì insieme, che eravamo stati a un passo dal perderci per sempre. E poi arrivò una visione, di me legata a una sedia, in cerchio con altre persone, e qualcuno ci costringeva a spararci a vicenda. Dio, ti prego, aiutami. Un uomo si alzò e venne verso di me. Aveva in mano una mannaia. Credevo che stesse per uccidermi, ma invece si voltò verso l’uomo accanto a lui e calò con forza il coltello. Lottai disperatamente contro il nastro adesivo che mi bloccava, che mi teneva ferma alla sedia, mentre lui mi si avvicinava con la mannaia sporca di sangue.

    Ansimando, terrorizzata, tremante in ogni nervo e fibra del suo corpo, Claire Morgan aprì gli occhi. Era del tutto sveglia adesso, consapevole di ciò che la circondava. Si trovava in un letto d’ospedale, in una stanza poco illuminata che non aveva mai visto prima. Cercò di muoversi, ma entrambi i polsi erano legati alle ringhiere del letto! Oddio, oddio. Poi vide un uomo muscoloso seduto su una sedia accanto a lei. Dormiva, gli occhiali da lettura ancora sistemati sul naso, una cartellina di manilla aperta in grembo. Non sapeva chi fosse. Era l’uomo del sogno, quello con la mannaia? L’aveva catturata di nuovo?

    Impaziente di riuscire a fuggire da lui e da quella camera buia, tirò con forza i legacci e si rese conto che le avevano messo anche diversi tipi di tubicini e fili sulle braccia e sul petto, che conducevano a sacche su un’asta mobile per flebo. Cosa le stava facendo? La stava drogando? Inorridita, tirò con più forza i legacci. Quando gli allarmi sul cardiofrequenzimetro accanto a lei ruppero la quiete con ronzii e campanelli, l’uomo sulla sedia balzò in piedi e si chinò su di lei. Il suo rapitore le afferrò le spalle e cercò di placare i suoi tentativi di alzarsi dal letto.

    «Claire, oh, grazie a Dio. Ascoltami, ascolta, stai bene. Nessuno ti farà del male. Devi aver fatto solo un brutto sogno. Calmati, sono qui. Sono qui accanto a te.» Poi la circondò con le braccia e la strinse contro il petto. La tenne lì, ma lei voleva liberarsi. Non lo conosceva!

    «Lasciami andare, lasciami!»

    La sua voce si fece rauca e arrocchita, la bocca asciutta e arida. Riusciva a malapena a parlare. Dov’era la mannaia? L’avrebbe uccisa? Un’infermiera in camice blu entrò correndo nella stanza e raggiunse il suo capezzale. Prese a regolare le macchine. «Oddio, Nick! È sveglia!»

    L’uomo la lasciò andare, ma tenne il viso molto vicino al suo. Dibattendosi e allontanandosi da lui, avvertì la sua mano sulla fronte, molto delicata. Si irrigidì ovunque. Poi si rese conto che quel Nick era l’uomo con i capelli neri e gli occhi azzurro pallido. Riusciva a vederli brillare nella penombra. La sua voce era profonda, molto bassa e rassicurante, quando parlò di nuovo. «Sono io, Claire. Nicholas Black. Ti ricordi di me?»

    «No, no! Perché è così buio? Perché sono legata?»

    «Ssh, tesoro, non fare così. Sto togliendo i legacci del letto proprio ora. Vedi? Li sto sciogliendo.» Continuò a parlarle con quello stesso tono delicato e rassicurante. La sua voce stava cominciando a sembrarle vagamente familiare, come quella che le aveva parlato così spesso. Ora l’uomo si stava rivolgendo all’infermiera. «Monica, veloce, accendi le luci, tutte.»

    L’uomo, Nick, le prese la mano sinistra tra le sue, cercando di calmare ogni paura. Il cuore le batteva forte; non capiva cosa stesse succedendo. «Hai sognato molto, tesoro, hai avuto degli incubi piuttosto brutti. Ti agitavi, lottavi contro qualcosa. Avevo paura che ti facessi male da sola, perciò ho ordinato di bloccarti. Come vedi, ora ho sciolto i lacci. Nessuno ti farà più male o ti legherà di nuovo.»

    Non appena i lacci si staccarono, Claire si allontanò da lui il più possibile. Confusa, molto debole, si coprì con un cuscino, una pietosa barriera contro di lui, cercando di capire cosa stesse succedendo. Doveva calmarsi, lo sapeva bene, ma il suo cuore batteva così forte da far tremare il corpo a ogni battito. Inspirando profondamente, riuscì a calmarsi appena, ma le ci volle un po’. La sua voce si fece aspra e tremante. «Dimmi dove mi trovo. Che posto è questo? Cosa c’è che non va in me?»

    «Adesso stai bene. Sei rimasta ferita in un incidente d’auto. Hai riportato un grave trauma cranico. Sei rimasta a lungo in coma.»

    «Non me lo ricordo,» disse, e poi aggiunse con rinnovato orrore: «Non ricordo niente.»

    «Ti verrà in mente tutto, te lo prometto. Ci vorrà un po’ di tempo, tutto qui.» Nick le sorrise. «Come ti senti, tesoro? Vuoi qualcosa... un bicchiere d’acqua, o altro?»

    Claire scosse la testa e cercò disperatamente di mantenere la calma, senza riuscirci. «Dimmi dove mi trovo!»

    «Siamo al Cedar Bend Lodge. Viviamo qui. Per favore, Claire, ti prego, rilassati e stai calma. Nessuno qui ti farà del male, lo giuro su Dio.»

    Fissandolo, non seppe cosa dire. Non aveva idea di chi fosse; non sapeva se fidarsi di ciò che stava dicendo. Non l’aveva mai visto prima e non aveva mai sentito parlare di un posto chiamato Cedar Bend Lodge. Avvertì un dolore allo stomaco, come se stesse per vomitare. Sconcertata e confusa, cercò disperatamente di rilassare i muscoli rigidi e di rimanere immobile. Il suo cuore batteva ancora forte. «Dimmi chi sei. Dimmi perché sono qui.»

    «Per prima cosa, Claire, sei completamente al sicuro qui, questa è la cosa più importante da ricordare adesso. E devi fidarti di me. Sono un dottore, il tuo dottore. Mi sto prendendo cura di te in questa stanza da qualche giorno, da dopo l’incidente. Quello che stai vivendo in questo momento si chiama amnesia retrograda. È del tutto normale dopo un trauma cranico come il tuo.» Si ammutolì, fece un respiro profondo e sembrò inquieto. «Non preoccuparti. Fidati di me, solo per ora, e ti prometto che i ricordi torneranno. La cosa più importante al momento è che rimanga calma e tranquilla, che mi permetta di prendermi cura di te.»

    Non ancora sicura di potergli credere, rimase immobile e in ascolto delle sue parole. Si sentiva debole e aveva la nausea. Interpose il cuscino tra sé e Nick quando lui le prese la mano per misurarle il polso. Poi le chiese di togliere il cuscino per poterla visitare. Ubbidì, pur non volendo. Le infilò uno stetoscopio sotto il colletto del camice da ospedale e auscultò il battito del cuore, quindi le avvolse attorno al braccio l’apparecchio per la misurazione della pressione sanguigna. Nick annuì all’infermiera, quindi iniziò insieme a lei a togliere tutte le flebo e i fili collegati al suo corpo. Lui sorrise per tutto il tempo. Lo fece anche l’infermiera. Claire si accigliò.

    Ma si sentiva più in controllo della situazione, con le luci accese. Si trovava in una normale camera da letto, molto bella, ampia, spaziosa e con splendidi arredi, non in una stanza d’ospedale. Non c’erano persone legate alle sedie e nessuno puntava una pistola contro nessuno. Nicholas Black aveva detto di essere un medico e si comportava come tale, non avrebbe tagliato nessuna parte del suo corpo con una mannaia, perciò la prima ondata di panico si ritirò. Lo guardò prendere un bicchiere di plastica e porgerglielo. Le sue mani tremavano ancora così tanto da doverlo tenere tra i palmi, ma bevve un sorso con la cannuccia. Non lo guardò più in faccia, cercando di mettere ordine tra i pensieri e le emozioni. Si sentiva ancora a disagio, come se quelle persone fossero un pericolo per lei.

    Quando alzò di nuovo lo sguardo su Nicholas Black, lui era ancora in piedi vicino al letto, che sorrideva come se fosse molto felice di vederla sveglia. «Ti dispiace se ti faccio qualche domanda, Claire?»

    Claire? Sì, quello era il suo nome. O no? Annuì. C’era qualcosa di stonato con quel nome, Claire. Non le diceva nulla. Il panico tornò ad alzare la testa dentro di lei, ma lo costrinse ad abbassarla di nuovo. Si sentiva confusa, dolorante e spaventata. Ma Nick la stava aiutando a ricordare, lo sapeva e voleva credergli. «Non sono sicura che sia il mio nome. O forse sì, dottore.»

    Il medico alto dai capelli scuri sorrise. «Non ricordi come ti chiami?»

    Qualcosa bucò il muro di oscurità eretto nella sua mente. «Mi hai chiamata Claire, ma non sono così sicura di chiamarmi così.» Un altro varco si aprì nel muro, grazie a Dio. «Mi è appena venuto in mente un nome. Annie, ricordo il nome Annie.» Fece una smorfia, cercando di sforzarsi di più. «No, aspetta, è Claire. Claire Morgan, credo. Ridimmi cos’è accaduto. Ancora non capisco cosa mi sia successo.»

    «Ti chiami Claire Morgan, ed è un ottimo segno che te lo ricordi. Il pick-up su cui ti trovavi è precipitato da un ponte finendo dentro a un fiume, e all’impatto hai colpito la testa contro il parabrezza. Sei rimasta in coma per tre settimane. Diciotto giorni, per l’esattezza. Ricordi in che Stato vivi?»

    Ora la sua testa sembrava reagire, le tornavano in mente più cose, confuse, fugaci, ma stavano di sicuro cercando di uscire da quella nebbia oscura. «In California. A Los Angeles.» Pensò con insistenza per qualche secondo e ricordò qualcos’altro. «Sono una detective. Del dipartimento di polizia di Los Angeles.»

    Il dottore e l’infermiera si scambiarono uno sguardo rapido ma significativo che le disse di aver dato la risposta sbagliata. In qualche modo, ciò la spaventò e chiuse gli occhi per bloccare ogni incertezza. Non voleva più parlare con loro, non voleva ascoltare le domande che le stavano facendo o qualsiasi altra cosa dicessero. Desiderava che la lasciassero in pace per tornare a ricordare da sola. La voce profonda le parlò di nuovo, vicino all’orecchio, e poi, con sua grande sorpresa, l’uomo le baciò la guancia. «Va bene, Claire. Riposati e basta. Parleremo più tardi. E tra poco, quando ti sentirai più forte, ti daremo qualcosa da mangiare e proveremo a farti camminare.»

    Lo sconosciuto dottore di nome Nicholas Black si sedette di nuovo sulla sedia accanto a lei e l’infermiera di nome Monica scivolò fuori dalla stanza con il tipo di passi silenziosi che solo le infermiere hanno. Claire Morgan serrò gli occhi e cercò di ricordare chi diavolo fosse e che tipo di vita avesse avuto prima di precipitare giù da quel ponte e finire legata a un letto.

    2

    Mi sentii trascinare per il cappuccio del mio parka. Non riuscivo a muovere un muscolo; le braccia e le gambe erano come congelate. Udii un clic e qualcuno mi fece rotolare dentro un lungo acquario di vetro. Provai a guardare attraverso il cristallo, ma era troppo sporco. Non riuscivo a pensare correttamente. Cosa c’era che non andava in me? In preda alla disperazione, cercai di svegliarmi e dare un senso a ciò che stava succedendo. Spostai la testa e capii che un lato del mio viso era appoggiato su un morbido bozzolo bianco. Ragnatele. Oddio.

    Lottai più che potei per muovere gli arti, ma sembravano pesi morti. Sopra di me, la parte superiore del vetro presentava diversi buchi. Non riuscivo a vedere nulla, ma temevo che ci fosse qualcos’altro nell’acquario. Qualcuno era sopra di me e guardava giù attraverso il vetro. Non riuscivo a prendere la pistola. Dovevo uscire di lì. Dovevo scappare, ma poi qualcosa cadde attraverso il buco e mi rimbalzò sul petto. Oddio, cos’era? Dovevo togliermelo di dosso. Dovevo togliermelo di dosso!

    Claire si svegliò di soprassalto, urlante e isterica, respirando affannosamente, nel tentativo di uscire da quella terribile bara di vetro, poi mani gentili afferrarono le sue e le tennero strette. Il dottore era lì, chino su di lei, e le sussurrava parole sommesse.

    «È solo un sogno, Claire, nient’altro. Un brutto sogno. È tutto a posto. Sono qui accanto a te. Non permetterò a nessuno di farti del male.»

    Le ci volle un po’ per credergli e, mentre si asciugava il sudore dalla fronte, continuò a tremare, cercando di ricordare altro senza tuttavia riuscirci. Tutto ciò che rammentava era la paura, l’orrore e la consapevolezza che le sarebbe successo qualcosa di terribile.

    «Ssh, tesoro. È solo un incubo. La tua mente ti sta proteggendo da alcuni brutti ricordi, solo ricordi, ma il tuo subconscio ne lascia passare alcuni. Sei al sicuro. Adesso ti somministrerò un farmaco che ti aiuterà a dormire senza sognare.» Sentì la puntura dell’ago e la accolse con piacere. «Rimarrò qui con te, Claire. Proprio qui. Non vado da nessuna parte, te lo prometto.»

    Claire non riusciva a smettere di tremare e non capiva cosa stesse succedendo, ma quell’uomo era lì con lei la prima volta che si era svegliata. Non era la persona del suo incubo; ne era sicura. Non le avrebbe fatto del male, pensava di no, quindi si aggrappò alla sua mano e non la lasciò andare. Dopo alcuni minuti, mentre stava per scivolare in quel sonno indotto dai farmaci, profondo e desiderato, lo sentì sdraiarsi sul letto accanto a lei e attirarla a sé. La sua prima reazione fu di shock assoluto, incapace di credere che un medico avrebbe mai potuto fare una cosa del genere. Il suo istinto fu quello di protestare, ma non ebbe la forza o la volontà di farlo, sapeva solo che si sentiva più protetta con quelle braccia attorno.

    Soprattutto, non voleva essere lasciata sola ad affrontare quella vista strana e sconosciuta dentro la sua testa. Voleva che qualcuno la tenesse stretta e la proteggesse da qualunque male la stesse perseguitando. Il dottor Black era ben messo, forte e protettivo, e l’abbracciava come se non volesse lasciarla andare. Col tempo smise di preoccuparsi di tutto ciò, il suo cuore imbizzarrito rallentò fino alla normalità, e giacque piacevolmente nella sua stretta.

    In quel momento non le importava sapere chi fosse; tutto ciò che contava per lei era essere al sicuro. Combatté il sonno il più possibile, con lui che le bisbigliava piano tra i capelli parole rilassanti, sussurrando che tutto sarebbe andato bene. Piano piano anche lui si addormentò, tenendola ancora tra le braccia. Quindi, contro la sua volontà, i farmaci la portarono nell’oscurità, e Claire chiuse gli occhi allontanandosi in un sonno irrequieto, tormentato, ma privo dei sogni di pericoli che non riusciva a spiegarsi.

    Quando riaprì gli occhi, scattò a sedere e si ritrovò da sola nel letto; il dottore se n’era andato e non c’era nessun altro in vista. Lo chiamò, ma fu l’infermiera di nome Monica a correre da lei. Aiutò Claire ad appoggiarsi ai cuscini. «Mi dispiace. Ero uscita solo un attimo. Non abbia paura. Va tutto bene.»

    «Dov’è il dottore?» domandò, meno calma. «Era proprio qui, con me. O no? L’ho sognato?»

    Monica non sembrava conoscere la risposta a quelle domande, ma le sorrise, molto tranquilla, efficiente e piacevole. Era una ragazza carina, molto minuta e magra. «È tutto a posto. Non stava sognando. Ha lasciato la camera poco fa. Doveva farsi la doccia e controllare gli altri pazienti nei bungalow. Tornerà presto.»

    L’atteggiamento sereno della gentile infermiera Monica la contagiò e Claire si rilassò. Stava ancora combattendo la confusione, ma la sua mente si era schiarita e si sentiva un po’ più se stessa. Ricordava di essersi svegliata. Ricordava come il dottore l’avesse abbracciata, tenendola al sicuro da quei sogni terribili.

    «Scommetto che gradirebbe qualcosa da mangiare, vero? Che ne dice di una colazione leggera? Non possiamo darle di più fino a quando non si sentirà meglio.»

    Il desiderio di cibo non le era venuto in mente, ma annuì. «Mi ridice il suo nome?» chiese, mentre Monica raddrizzava i cuscini e sistemava lenzuola e coperta.

    «Monica Wheeler. Sono un’infermiera diplomata. Il dottor Black mi ha assunta come infermiera privata. Non sa quanto sia felice di vederla finalmente sveglia.»

    Claire rifletté su tutto ciò, ma rimase immobile e guardò Monica prendere un menu dal comodino e aprirlo. «Le andrebbe il succo d’arancia, Claire, o preferisce il pompelmo? Succo di mela, forse. Le va? O brodo di pollo caldo? Deve iniziare con qualcosa di leggero, ma prima mette un po’ di cibo nello stomaco, più forte si sentirà.»

    «Voglio alzarmi.»

    «Va bene. Ma aspettiamo un pochino. Dopo mangiato sarà un buon momento per provare a camminare. Okay?»

    «D’accordo. Posso avere il caffè?»

    «Certo. Chiamo il piano di sotto per far mandare su un piatto. Dovrebbe riuscire anche a tollerare il pane tostato. Poi, se il medico è d’accordo, la aiuteremo ad alzarsi e a farsi la doccia.»

    Le sembrava un buon piano. Voleva uscire da quel letto. Claire si sdraiò e guardò fuori dalla finestra quando l’infermiera aprì le tende inondando di luce la stanza in penombra. La finestra era grande e con niente che bloccasse la visuale, e il suo sguardo incontrò una bella e scintillante distesa di acqua lacustre e un cielo azzurro. Il sole splendente l’aiutò a mettere da parte i luoghi bui dei suoi sogni.

    Il dottore tornò mentre stava mangiucchiando un toast secco come cartone e l’infermiera uscì in silenzio dalla stanza. L’uomo le si avvicinò e si fermò al suo capezzale, sorridendole raggiante. «Vedo che oggi stai molto meglio.»

    «Grazie per essere rimasto ieri sera,» disse subito, e lo pensava davvero.

    «Era da settimane che volevo abbracciarti così.»

    Che diavolo? Aggrottando le sopracciglia, Claire non ribatté mentre l’uomo afferrava il thermos dal vassoio della colazione e si versava una tazza di caffè; dalla cucina ne avevano mandato su una gran quantità, quasi prevedendo che ne avrebbe voluto anche lui. Il commento di Black la confuse. «Perché?»

    «Perché ti amo.»

    Quello sì che era uno shock. Santissima merda. «Mi ami?»

    «Sì, e anche tu mi ami.»

    «Ma se non so nemmeno chi sei.»

    «Presto lo saprai. Ci amiamo da molto tempo ormai.»

    Wow, quel tipo metteva proprio le cose in chiaro. Ma quelle erano più informazioni di quante fosse in grado di gestire al momento. Non era nemmeno troppo sicura di credergli. Chiuse gli occhi e fece finta di dormire finché non se ne andò. Ma si sentiva più forte, ora che aveva mangiato un boccone, ed era ben determinata ad alzarsi da quel letto prima di sera.

    Il pranzo consistette in fette biscottate, crema di pollo, gelatina di lime e succo di mela. Già, un pasto davvero appetitoso dopo diciotto giorni di digiuno. Lei lo trovò disgustoso e non ne mangiò molto. A quel punto, i suoi nervi logori si stavano riprendendo e rimettendo in sesto, e Claire cominciò a sentirsi più simile a se stessa. Ma non era sicura di chi fosse in realtà, quindi doveva scoprirlo. La sua confusione stava iniziando a svanire e trovò strano, quasi interessante, non ricordare molto del suo passato. Alcune cose erano tornate a posto, ovviamente, come le routine quotidiane. Ma non riusciva a ricordare nessun incidente o ciò che le era accaduto da quando aveva lasciato Los Angeles. Perfino alcuni dettagli prima e durante il soggiorno a Los Angeles erano confusi e si nascondevano in grandi abissi del suo cervello.

    Con la forza di volontà, riuscì ad alzarsi e lasciò che Monica l’accompagnasse in bagno. Si fece la doccia e si lavò i capelli aggrappandosi alla maniglia sul muro della doccia, con la sempre attenta Piccola Monica in piedi accanto a lei, che la attendeva con un grande e soffice asciugamano nero. Claire tenne d’occhio la porta del bagno, temendo quasi che il dottor Black, ovvero l’uomo-che-sosteneva-di-essere-il-suo-amante-ma-che-non-aveva-mai-visto-prima-in-vita-sua, si intrufolasse lì dentro per insaponarle il corpo con un bel po’ di bagnoschiuma. Se lo poteva scordare. Gli avrebbe fatto cambiare idea alquanto velocemente.

    Okay, la notte prima l’aveva tenuta tra le braccia e lei lo aveva apprezzato per quanto umanamente possibile, quello era certo. Ovvio, dopo quell’orribile incubo spaventoso. Forse prima dell’incidente avevano davvero fatto faville assieme… ma di sicuro non aveva idea se fosse vero o meno. Non che il dottore fosse un pessimo uomo con cui dare sfogo ai bollenti spiriti. Ma anche se erano davvero amanti, lui era l’unico dei due a saperlo. Perciò la sua reticenza a condividere la doccia e il suo corpo nudo con lui era comprensibile.

    Iniziò a desiderare qualcosa di più sostanzioso, come un bell’hamburger maxi al formaggio o un Big Mac, o magari entrambi; patatine fritte grandi con una Cherry Coke sarebbero state davvero un toccasana. Ma il suo desiderio non venne esaudito. Protestando per il fatto che ora riusciva a camminare bene, tante grazie, fu accompagnata sulla sedia a rotelle dalla già citata Monica in un lungo e lussuoso corridoio di marmo nero fino allo studio privato del dottor Black. Lui non c’era. Era così che si trattavano i pazienti? Menomale che aveva tanto professato di essere il suo unico e grande amore, e bla bla bla.

    Monica la sistemò di fronte alla gigantesca e costosa scrivania del dottore, mise i freni alla sedia a rotelle e fece altre cose da infermiera. Accidenti, dov’erano la coperta e gli apparecchi acustici? Cominciava a sentirsi un’invalida di ottant’anni con le gambe fuori uso. La verità era però che si sentiva molto meglio dopo quel pranzo tutt’altro che delizioso. Tutto ciò che doveva fare era tenerlo giù, e magari qualcuno le avrebbe portato di nascosto un po’ di cibo decente da un fast food. Per il momento, comunque, andava tutto bene. Era divertente come l’assenza di una mannaia rendesse la vita grandiosa. Tutto sommato si sentiva decisamente bene, considerando il fatto che il giorno prima a quell’ora si trovava in coma con creature demoniache che la inseguivano armate di coltelli.

    Quindici secondi dopo che Monica ebbe lasciato la stanza, Claire si alzò senza l’aiuto dell’infermiera e si sentì un po’ stordita per un secondo o due ma, ehi, era abbastanza comprensibile. I capogiri scomparvero in fretta. Ma non era pazza, era solo preda di un’amnesia, quindi doveva prendere le cose con calma e attenzione, a meno che non volesse finire di nuovo legata in quel letto. Dopo la doccia si era ispezionata a fondo viso e corpo nello specchio del bagno. Le sue braccia e gambe erano piuttosto muscolose e magre, e nulla sembrava particolarmente fuori posto, rotto o dolorante ai suoi occhi. Aveva notato sul corpo alcune cicatrici gigantesche e orribili di cui non era riuscita a spiegare l’origine, e neanche Monica. Ma sotto tutti gli altri aspetti, era un esemplare abbastanza in salute di rappresentante della legge sopravvissuto a quel coma seccante.

    Claire scoprì di riuscire a camminare bene, proprio come aveva detto a Monica in precedenza. Era solo un po’ traballante e scoordinata, ma riusciva a farsi strada dal punto A al punto B. Non avrebbe di certo potuto fare presto una corsa di 5 chilometri, ma non era nemmeno una selvaggia impulsiva, quindi mise una mano sulla scrivania lucida mentre si muoveva accanto a essa. Un momento dopo interruppe il suo estenuante viaggio verso l’altra estremità e si mise a fissare la vasta serie di finestre dal pavimento al soffitto che si affacciavano sul lago e offrivano una dolce vista. L’attività del dottor Black doveva andare alla grande, pensò. Una meraviglia, se si poteva permettere posti come quello. Beh, ottimo, forse significava che possedeva le capacità per farle ricordare quasi tutto di se stessa, dato che al momento persino una lavagna intonsa era più chiacchierona di lei. Il pensiero la fece riflettere, addirittura rattristare.

    Stava lottando per riacquistare la memoria sin da quando si era svegliata spaventata e piangente, ma doveva ancora superare quell’ampio buco nero che le risucchiava tutto dal cervello. Continuava ad avere rapidi flashback, brevi filmati piacevoli, in realtà, di volti, luoghi e persone, tantissimi, ma ancora non sapeva chi, cosa o perché. Sì, quel dottore coccoloso le aveva assicurato che tutto sarebbe andato per il meglio con la lunga giornata ancora davanti a sé, ma poteva credergli? Sì, era finita nel proverbiale pozzo senza fondo, garantito.

    D’altronde, il buon dottor Black doveva essere un grande esperto nell’esaminare la mente. Bastava dare un’occhiata a quel Picasso appeso al muro dietro la scrivania. Il dipinto sembrava il viso di una donna con un grande e piuttosto bulboso occhio a mandorla, un naso simile al grugno di un maiale che sporgeva di lato e che le scivolava lungo il collo. Accidenti, aveva visto disegni migliori in una scuola materna. Ma, ehi, aveva riconosciuto l’artista. Buon segno, vero? Se riusciva a ricordare Pablo Picasso, forse alla fine le sarebbe venuto in mente dove abitava.

    Claire zoppicò attorno alla scrivania e diede un’occhiata alla firma dell’artista, solo per assicurarsi di non stare più sognando. Sì, certo, era un vero Picasso, per l’amor di Dio. E con tanto di piccolo riflettore che lo illuminava. Diamine, quel trofeo doveva essere costato un sacco di soldi al dottore. Di solito odiava gli uomini ricchi con una passione per qualcosa, e il loro comportamento arrogante ancora di più, quindi forse Claire non amava il dottor Nick tanto quanto lui pensava.

    E comunque, dov’era finito il suo presunto medico-amante tanto in gamba? Quel tizio sosteneva di essere innamorato di lei, giusto? Perciò dove si era cacciato e cosa stava facendo in quel momento? Un sonnellino in corridoio? Magari era così, se aveva davvero passato tutte quelle notti a vegliare sul suo letto desiderando di entrarci lui stesso. Tuttavia, Claire aveva apprezzato il suo precipitarsi subito da lei la notte prima, quindi non avrebbe avvisato l’AMA. Caspita, ricordava anche l’acronimo dell’associazione dei medici. Sì, tutte le cose importanti le stavano tornando in mente, volente o nolente. Nick Black non era stato obbligato ad abbracciarla per farla addormentare, la notte precedente. Nessuno gli aveva puntato una pistola alla tempia. E, a proposito, dov’era finita la sua arma? Era un ufficiale delle forze dell’ordine. Rivoleva la sua pistola.

    Ma tornando al signor dottore, con ogni probabilità aveva altri pazienti ugualmente incasinati ed ex-comatosi da visitare. Si chiese se facesse quella cosa del letto anche con loro, sdraiandosi sul materasso e mettendosi subito comodo. Probabilmente aveva anche usato le coperte tutte per sé la notte prima, dopo che lei si era addormentata. Magari in quel momento era a letto con una povera e ammalata signorina da qualche parte, a rubarle le lenzuola ogni volta che si girava. Claire immaginò il dottore bello e muscoloso che entrava e usciva dai letti di un intero reparto di pazienti mentre percorreva il corridoio. L’idea la colpì in modo strano e rise piano tra sé e sé. Bene, almeno aveva ancora il senso dell’umorismo.

    C’erano una mezza dozzina di fotografie sulla scrivania di Nick Black, racchiuse in costose cornici d’argento, tranne una più piccola in oro, e tutte lucidate fino a brillare, per giunta. Questa gente ricca come Onassis… cosa riesce a fare alle ragazze! Claire prese la più grande, cercando di non lasciare segni per paura che il dottore uscisse dai gangheri al pensiero di doverla lucidare di nuovo. Non fosse stato mai. La foto ritraeva il dottore e lei, e sì, si stavano divertendo alla grande in quell’idromassaggio a giudicare dalle loro facce. Sapeva di essere lei perché aveva studiato bene la sua faccia allo specchio del bagno dopo aver esaminato il corpo malmesso. Il suo viso al momento non era una bella vista, no, neanche lontanamente. Soprattutto in quel punto rasato dove avevano ricucito la ferita sulla tempia destra. I capelli stavano ricrescendo, però, con una specie di peluria bionda che la faceva assomigliare a Paperina neonata. Monica aveva insistito nel dire che le ferite alla testa stavano guarendo abbastanza bene, e che avevano rimosso i punti alcuni giorni prima. Anche quello sulla fronte, e ora Claire era quasi tornata come nuova. Tutto ciò di cui aveva bisogno era rimettersi in forze. E riacquistare la memoria. E riprendersi la sua vita. Non sarebbe stato male nemmeno capire dove diavolo abitava,

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