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Gli eretici di Zlatos
Gli eretici di Zlatos
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E-book331 pagine4 ore

Gli eretici di Zlatos

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Info su questo ebook

Fantascienza - romanzo (246 pagine) - Una saga postapocalittica che affonda le sue radici nella fantascienza più ambiziosa. L'introvabile romanzo di esordio di un autore oggi acclamato da pubblico e critica.

L’Europa ha conosciuto terribili sconvolgimenti, vittima di un olocausto che ha trasformato il continente e ha ridotto la popolazione a uno sparuto gruppo di sopravvissuti, regredito a condizioni primordiali. Sette secoli dopo il disastro, la civiltà è alla ricerca del primo passo verso la restaurazione. Ma occorre prima di tutto abbattere un intollerabile ostacolo, propagandato dalla Chiesa della Nuova Fede come il simulacro della distruzione: Zlatos, la mitica città sotterranea dove i discendenti di coloro che provocarono l’olocausto sopravvivono agli stenti del mondo… Uomini e mutanti si troveranno quindi partecipi di una imponente crociata, allestita per indagare oltre i confini delle Terre Orientali alla ricerca dell’Eresia da distruggere. Ma troppi sono gli interessi che gravitano attorno a questo grandioso proposito: è in gioco il predominio assoluto sulle  terre scampate all’olocausto. Saranno Asaf e Neftali, due giovani Missionari del Culto, a reggere nelle proprie mani il peso gravoso degli eventi… fino a quando non si scatenerà in modo risolutivo il Potere racchiuso nelle loro menti.
“Con questo romanzo, Franco Forte ha vinto una sfida non facile” – Piergiorgio Nicolazzini

Franco Forte nasce a Milano nel 1962. Giornalista, traduttore, sceneggiatore, editor delle collane edicola Mondadori (Gialli Mondadori, Urania e Segretissimo), ha pubblicato per Mondadori i romanzi Cesare il conquistatore, Cesare l'immortale, Caligola – Impero e Follia, Il segno dell’untore, Roma in fiamme, I bastioni del coraggio, Carthago, La Compagnia della Morte, Operazione Copernico, Il figlio del cielo, L’orda d’oro – da cui ha tratto per Mediaset uno sceneggiato tv su Gengis Khan – e La stretta del Pitone e China killer (Mursia e Tropea). Per Mediaset ha scritto la sceneggiatura di un film tv su Giulio Cesare e ha collaborato alle serie “RIS – Delitti imperfetti” e “Distretto di polizia”. Direttore della rivista Writers Magazine Italia (www.writersmagazine.it), ha pubblicato con Delos Books Il prontuario dello scrittore, un manuale di scrittura creativa per esordienti.
LinguaItaliano
Data di uscita10 mag 2018
ISBN9788825405897
Gli eretici di Zlatos

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    Anteprima del libro

    Gli eretici di Zlatos - Franco Forte

    9788825404166

    Introduzione

    Ah, quanti ricordi, al solo rileggere il titolo di questo libro! Il mio primo romanzo, uscito nel 1990 con quella che per me era la casa editrice numero uno, quella che pubblicava i romanzi che divoravo e che dava spazio agli autori più celebrati dalla stretta cerchia di amici che frequentavano il mondo della science fiction: l'Editrice Nord di Gianfranco Viviani, che vent'anni dopo sarebbe diventato mio socio nell'avventura di Delos Books. Per di più, la prima edizione di Gli eretici di Zlatos nella collana Cosmo Argento poteva contare su un altro sontuoso contributo, l'illustrazione di copertina disegnata da Michael Wheelan, che per me era in assoluto l'artista più quotato nel campo della fantascienza illustrata.

    All'improvviso, dopo tanti anni di praticantato nel mondo delle pubblicazioni amatoriali (che tanto mi hanno insegnato sul mondo della scrittura e dell'editoria), venivo catapultato nel paese dei balocchi, uscendo come numero 206 (febbraio 1990) della Cosmo Argento, subito dopo La congiura Dorsai di Gordon R. Dickson e prima di un altro capolavoro della sf anglosassone, L'inferno tra i ghiacci di Alan Dean Foster.

    Ma le ricorrenze nella mia vita di scrittore, a partire da questo primo romanzo, non finiscono qui, perché l'editor della Nord che all'epoca mi seguì durante la pubblicazione, e che scrisse una sontuosa introduzione al libro, era Piergiorgio Nicolazzini, che oggi è uno degli agenti letterari più importanti del nostro paese (titolare della PNLA – Piergiorgio Nicolazzini Literary Agency), che mi rappresenta come autore.

    Immaginate dunque l'emozione al pensiero, 28 anni dopo quella prima uscita piena di ingenuità stilistiche e bonarie castronerie dovute all'irruenza giovanile (tenete conto che Gli eretici di Zlatos uscì nel 1990, ma in realtà lo scrissi diversi anni prima, quando avevo da poco compiuto vent'anni)… l'emozione, dicevo, di ripubblicare questo libro nel formato digitale, per dare modo ai tanti che ancora oggi mi chiedono di poterlo leggere, di averlo nuovamente disponibile.

    Ovviamente non ho saputo resistere alla tentazione e una veloce ripassatina gliel'ho data, sistemando soprattutto certi errori stilistici che la Nord mi perdonò ma che oggi mi fanno accapponare la pelle, ma in definitiva non me la sono sentita di intervenire più di tanto sul testo, perché credo che questo libro meriti di conservare quella patina da opera prima che lo contraddistingue rispetto al resto della mia produzione (castronerie e ingenuità comprese), e dunque questa che avete tra le mani è quasi esattamente la versione che uscì 28 anni fa, senza alcuna correzione di rotta nella trama messa in piedi a quel tempo, e con solo qualche intervento qua e là per alleggerire il peso un po' barocco di certa mia scrittura che si compiaceva un po' troppo di se stessa (come succede a quasi tutti gli esordienti con cui mi rapporto ancora oggi. Ed ecco spiegato perché, alla fine, sono così indulgente con tutti costoro…).

    Spero che l'operazione di ripescaggio possa piacere, anche se magari qualcuno sorriderà di fronte all'irruenza di alcuni miei personaggi, che all'epoca consideravo veri e propri eroi senza macchia e senza paura… tranne forse qualcuno che cominciava già a preparare il terreno per protagonisti ben più tratteggiati e costruiti a tutto tondo, come è giusto che siano i personaggi di un romanzo.

    Sappiate che, comunque la pensiate, a me fa piacere ripubblicare questo romanzo, e di sicuro mi sono divertito un mondo nel rileggerlo.

    Prologo

    La guerra è terminata. O meglio, il suo fuoco grave e malefico si è spento a poco a poco, consumandosi nel divorare se stesso e la società impura che l'ha generato.

    È stata la collera di Dio, e insieme la sua commiserazione e il suo disprezzo per il genere umano, a decretare un termine per questo scempio, inopinata turpitudine raccolta a piene mani da uomini senza senno, le cui anime spero stiano ardendo nei recessi dell'Inferno.

    Ero un uomo di chiesa, ma allo stato attuale delle cose credo che neppure il ricordo o la venerazione del passato possano rendere meno devastante l'effetto della collera di Dio sulla mia persona.

    Il mondo è stato folgorato dai massimi risultati della scienza umana, quella splendida prostituta che ha sempre spinto il tracciato delle sue ricerche verso confini lontani dalla ragionevolezza e dalla «pietas humanitate», per approdare laddove il miglior riconoscimento viene attribuito alla realizzazione dell'arma più letale.

    Insigni cervelli premiati sul conteggio dei morti!

    E la corsa agli orrori non si è mai arrestata, sospinta e incentivata a onor di gloria dalla cupidigia e dalla perfidia dei potenti, ai quali nulla e nessuno ha mai potuto opporsi.

    La Storia è una pedante ma preziosa maestra.

    Io ero un uomo di chiesa, ma ormai della mia tonaca non resta che un lacero e consunto grembiale, sul quale si sono depositate le ceneri delle ultime speranze di salvezza dell'umanità. I deserti si sono propagati ovunque, i mari sono distese di fetidi veleni, l'aria è densa di polvere e cenere. Non ci sono più alberi, né foreste, né cieli limpidi a cui volgere lo sguardo.

    Scrivo queste parole nel ricordo straziante di un mondo che non è più, illudendomi forse che il futuro possa garantire ai figli di Dio un barlume di speranza, un appiglio sempre più esile ma necessario, perché l'Essere Umano non può veder spegnere la propria fiamma vitale sotto il peso malsano della sua stupidità.

    Dalla «Introduzione alle lettere» di Padre Alonso Miguel Conteira, il Mithas-Lhanidell

    Antefatto

    la galleria

    Una goccia d'acqua stillò dalla parete rocciosa, scivolò sul granito umido e andò a raccogliersi con altre perle luccicanti nel chiarore della torcia, creando un sottile rivolo d'acqua che alimentava una pozza in espansione.

    L'uomo che reggeva la torcia non badava alle grosse gocce che piovevano dall’alto, risuonando sul suo berretto di pelle con sonori schiocchi che echeggiavano nel vasto silenzio della galleria. Stava esaminando delle tacche incise nella roccia, che il tempo aveva reso quasi invisibili. Lo spesso strato di polvere che si era depositato pareva calcificato, e ne celava quasi del tutto i contorni.

    Alcune sembravano grosse lettere squadrate, altre invece erano simili a strani geroglifici il cui significato si era forse perduto nei secoli.

    Con una mano, Goran sfiorò i rilievi di un'intaccatura che pareva una grossa E, alla quale mancava buona parte della stanghetta inferiore.

    Ecco, si disse. È questo il punto.

    Estrasse dalla cintola uno scalpello e un martello, porse la torcia al ragazzino infreddolito che l'accompagnava e si mise all'opera sulla grossa incisione incompleta.

    A ogni colpo di martello una scheggia di calcare schizzava nel pallido bagliore delle torce, e un'eco vibrante si ripercuoteva lungo tutta l'estensione della galleria.

    Cercando di scaldarsi il più possibile alla fiamma delle torce, Orislav rimase a fissare suo padre che lavorava tenacemente, concentrato in quella strana operazione come se inseguisse uno scopo di vitale importanza.

    Orislav non conosceva il significato di quelle incisioni che si perdevano all'infinito nella galleria, forse fino al grigio muro che delimitava il mondo, e sebbene gli fosse stato spiegato, ancora non riusciva a comprendere il motivo per cui suo padre insisteva nel portarlo con lui in quell'antro gelido e buio.

    Sapeva che quelle trasgressioni venivano punite severamente, e aveva cercato più volte di convincere Goran a desistere, o quanto meno a lasciarlo fuori dall'impresa.

    – Oggi capirai per quale motivo ti porto con me – ripeteva

    spesso suo padre, ma ogni volta Orislav tornava da quelle spedizioni più incerto e confuso che mai.

    Batté i piedi per terra, sciaguattando nelle pozzanghere d'acqua gelida nel tentativo di riscaldarsi le estremità intirizzite. Il suo compito consisteva nel reggere le torce mentre il padre s'affannava con lo scalpello.

    Stanco, e ormai violaceo per il freddo, Orislav lanciò un'occhiata impaziente al lavoro di Goran, desideroso più che mai di tornare al tepore della sua stanza, al suo letto e all'affetto di sua madre.

    D'un tratto accadde qualcosa, una variazione della noiosa routine alla quale aveva già partecipato troppe volte: lo scalpello rimandò un suono ovattato, compresso, diverso dal vibrante squillo che solitamente strappava alla roccia.

    Orislav fissò suo padre, che aveva riposto martello e scalpello nella cintura e ora tastava con i polpastrelli i bordi della tacca, soffiando per allontanare la polvere.

    – Che succede? – chiese piano, quando vide l'eccitazione che infervorava lo sguardo di Goran.

    – Ci siamo, Orislav! – esultò il padre sottovoce. – Fammi luce!

    Il ragazzo dimenticò per un attimo il freddo e lo stillicidio delle perle d'acqua e avvicinò le torce. Il padre stava facendo pressione con le dita sui bordi scheggiati della tacca.

    Gli sforzi di Goran si accentuarono e cambiarono direzione parecchie volte, prima che l'uomo si rendesse conto della loro inutilità. Con un sospiro di rassegnazione si abbandonò contro la parete di roccia, rimanendo con gli occhi chiusi. Pur avvolto in una pesante pelliccia, Orislav tornò a rendersi conto che era intirizzito da capo a piedi.

    – Padre… – lo supplicò.

    Goran trasse un profondo respiro, voltò lo sguardo su di lui e finalmente allargò un sorriso pieno di comprensione.

    – Lo so, Orislav – disse. – Hai molto freddo. Ma vedi – gli si inginocchiò accanto, mentre una strana luce gli brillava negli occhi, – quello che stiamo cercando è molto importante. Quando ero giovane, appena qualche anno dopo essere stato scacciato dall'alloggio del Primo Pensatore, sono stato inviato quaggiù per assistere un uomo che doveva compiere uno studio sulle incisioni.

    «A un certo punto quell'uomo inciampò, e per non cadere appoggiò una mano alla parete, aggrappandosi al bordo di una tacca simile a una grossa E. Quello che accadde resta ancora un mistero, per me. Un'intera sezione della volta della galleria cadde di schianto, schiacciando l'uomo e scaraventando me lontano. Quando mi ripresi, vidi davanti a me una specie di grande cabina rettangolare, sotto la quale giaceva privo di vita l'uomo che accompagnavo. Io ero confuso e terrorizzato, e non appena le forze me lo consentirono tornai indietro ad avvisare il responsabile di zona.

    «Da quel giorno non seppi più nulla della galleria e di quello che avevamo scoperto. Mi trasferirono a un altro reparto, e mi diffidarono dal far parola con chiunque su quello che avevo visto. Io naturalmente obbedii, ma qualche anno più tardi riuscii a tornare nella galleria di nascosto, e l'attraversai da cima a fondo senza trovare traccia di quello che era accaduto.

    «Cercai la tacca a cui si era aggrappato il tecnico, ma non ne trovai nessuna della stessa forma. Continuai a cercare per mesi, indagando lungo tutta la galleria, esaminando le incisioni della parete sinistra a una a una, fino a quando non mi colsero sul fatto. – Il volto di Goran si rabbuiò. – Da allora è trascorso molto tempo, io ho pagato fin troppo per la mia trasgressione, ma il ricordo di quel mistero non si è attenuato. – Abbassò ancora la voce, come se avesse timore che qualcuno potesse sentirlo. – Ora ho di nuovo l'opportunità d'indagare, e stai certo che prima o poi riuscirò a trovare quell'incisione. Loro sono riusciti a dissimularla, ma io la riporterò alla luce. Aveva la forma di una grossa E contorta, non sarà difficile trovarla.»

    Finalmente tacque, afferrò la torcia dalle mani intirizzite di Orislav e gli diede una pacca affettuosa sulla spalla.

    – E se io non dovessi riuscirci – dichiarò, – sarai tu a farlo, perché continuerai a cercare dopo di me.

    Orislav annuì in fretta, battendo i denti per il freddo, sperando che adesso il padre lo riportasse a casa.

    Goran si attardò ancora un attimo a studiare i contorni di una tacca, poi disse, facendo sospirare Orislav: – Ci occuperemo di questa la prossima volta.

    Ma Goran non avrebbe mai più rimesso piede nella fredda galleria: pochi giorni dopo, durante una pausa di lavoro, si accasciò a terra con un gemito, stringendosi una mano al petto.

    Alcuni suoi compagni di lavoro lo trovarono riverso sul terreno esanime, e con un rivolo di sangue che gli colava da un angolo della bocca.

    Orislav, che a quell'epoca aveva nove anni, dimenticò in fretta la galleria e la promessa che aveva fatto a suo padre.

    L'attentato

    Tira si rigirò nel letto, afferrò il cuscino con entrambe le mani e, con un sospiro, si abbandonò al delicato massaggio di Orislav.

    – Credi che abbiano dei sospetti? – domandò lui, tramutando lentamente il massaggio in una dolce carezza.

    – Hmmm?

    – Il sabotaggio. Credi che stiano organizzando una trappola? Tuo padre è in buoni rapporti con un capo-settore, forse potrebbe…

    – Piantala, Orislav – l’interruppe lei in tono deciso. – Quante volte ti ho già detto di no? Mio padre non deve saperne niente.

    Orislav sbuffò, accostò una guancia alla spalla di Tira e fece scivolare lentamente la mano lungo la schiena della donna. Scostando le coperte risalì la china delle sue natiche.

    – Mi fai il solletico – protestò lei debolmente.

    – Suvvia – mormorò Orislav chinandosi a baciarle la schiena, – so che ti piace.

    Tira si girò di scatto, agguantò Orislav per il collo e lo fece rotolare sul letto. Inscenarono una piccola zuffa, e al culmine di quell'eccitante schermaglia, stretti in un tenero abbraccio, si scambiarono un lungo bacio.

    – Non abbiamo tempo – mormorò Orislav con un sospiro. – Yuri e Paloa ci aspettano.

    – Per questa volta – sussurrò Tira stringendosi a lui, – saranno loro ad aspettare.

    L'enorme coperchio d'acciaio si sollevò quel tanto che bastava per consentire a Yuri di versare nella fessura il contenuto di una tanica d'acqua distillata. L'uomo si guardava intorno spazientito e preoccupato. Paloa era al suo posto accanto a uno degli enormi cassoni, tenendo la tanica inclinata per favorire il regolare deflusso dell'acqua. Si fissarono per un attimo, uniti dalle medesime preoccupazioni.

    Dove diavolo sono finiti quei due? parvero chiedersi in silenzio.

    All'improvviso, una sirena lanciò uno strido acuto, e Yuri depose la tanica, imitato da Paloa. Si unirono alla lunga colonna di operai che lentamente procedeva verso il refettorio ed entrambi avvertirono crescere la tensione passo dopo passo.

    Poi, finalmente, un uomo spuntò da un corridoio secondario facendo loro un segnale. Yuri e Paloa si avvicinarono a Orislav e lo superarono, sforzandosi d'ignorarlo. Orislav si accodò, seguito da Tira.

    – Dove vi eravate cacciati? – La voce di Yuri vibrava di collera.

    – In paradiso – mormorò Orislav, poi diede una leggera pacca a Paloa, che si era voltata a fissarlo con aria interrogativa.

    – Lascia perdere – soggiunse Tira, soffocando una risatina. – Abbiamo avuto un contrattempo, ma ora siamo qui.

    – Per un pelo – concluse Yuri, troncando la discussione.

    Giunsero nel vasto refettorio illuminato dai neon al sodio e parvero confondersi nella folla vociante, ma in realtà ognuno di essi si diresse verso un punto prestabilito.

    Avevano studiato il piano mille volte, in quell'ultimo mese, e ora non avevano più bisogno di consultarsi per agire: Yuri si sistemò al tavolo che fiancheggiava uno dei grandi bocchettoni per il condizionamento dell'aria, Tira e Paloa andarono a mettersi in coda per ritirare le loro razioni, mentre Orislav attaccò discorso con uno dei sorveglianti, fingendo grande ammirazione per l'uniforme verde oliva tenuta in perfetto ordine.

    Ormai non rimaneva altro da fare che attendere l'arrivo del Primo Pensatore, annunciato quel giorno in visita ufficiale al refettorio del Quinto Reparto Manutenzione ai generatori principali della città.

    Mangiarono in silenzio, con ordine e disciplina, sorvegliati dal folto gruppo di guardie armate disposte lungo il perimetro del refettorio.

    Quando giunse il momento di rivolgere la rituale prolusione, il Primo Pensatore si alzò in piedi, subito salutato da uno scroscio di applausi. Era un uomo basso, di corporatura piuttosto robusta, con capelli radi e occhi sottili come fessure. Esordì a gran voce, caricando d'enfasi ogni parola e indugiando in lunghe pause cariche di tensione. Era un gran bel discorso, adatto a quelle teste vuote che riusciva a coinvolgere facilmente sul piano emotivo.

    Mentre la voce veemente del Primo Pensatore risuonava in quell'aria stagnante e pregna di odori di cucina, Yuri diede un'occhiata alla grata del condizionatore, verificando per l'ennesima volta che tutto fosse pronto: le viti erano state segate e la pesante inferriata era solo appoggiata alle scanalature del muro. Sarebbe bastato uno strappo deciso per scardinarla.

    Orislav, ancora fermo accanto alla guardia armata, fingeva grande entusiasmo per la prolusione del Primo Pensatore. Attendeva il momento giusto per affondare il coltello nello stomaco del soldato.

    Tira e Paloa, sedute a un tavolo poco distante dal palco d'onore, mostravano grande tranquillità, e non tradivano in alcun modo la loro tensione interiore. Sapevano ciò che dovevano fare e quando agire.

    Il momento finalmente giunse.

    Fu quando il Primo Pensatore concluse con un monito veemente il suo discorso e la folla saltò in piedi esultante, applaudendo e invocando a gran voce il suo nome.

    Senza esitazioni Tira e Paloa estrassero le tozze pistole a tamburo, con la canna arrugginita ma ancora funzionanti, e aprirono il fuoco, sparando una rapida successione di colpi verso la figura tarchiata sul palco.

    Quando il grilletto scattò a vuoto, le due donne gettarono le armi e si diedero alla fuga, facendosi largo attraverso la folla frastornata e allibita.

    Nello stesso istante in cui erano risuonati gli spari, Yuri e Orislav avevano agito con decisione: la grata era stata divelta, e una lama affilata si era fatta strada nella carne del sorvegliante che avrebbe potuto impedire la fuga di Tira e Paloa.

    Poi tutti e quattro s'infilarono strisciando nel condotto d'aerazione e si divisero alla prima biforcazione.

    Trascorse qualche minuto prima che le forze dell'ordine si riavessero dalla sorpresa e riuscissero a organizzare un inseguimento.

    Il Primo Pensatore giaceva riverso a terra in una pozza di sangue, raggiunto al petto da tre artigli di piombo che lo avevano attraversato da parte a parte.

    La fuga

    Pur avendo memorizzato la piantina dei condotti d'aerazione, Yuri e Paloa si accorsero che in realtà quel mondo era assai più complesso di quello rappresentato sulla mappa. Svoltarono un paio di volte a sinistra, poi a destra, poi ancora a sinistra, fino a quando non si accorsero di avere imboccato un vicolo cieco.

    Yuri si lasciò sfuggire una bestemmia, fissò Paloa furente, poi le fece segno di tornare indietro.

    – Eppure dovrebbe essere la direzione giusta – mormorò Paloa sottovoce, facendo attenzione a non propagare l'eco nei condotti.

    Yuri non le badò. Imboccò una svolta a sinistra, poi s'infilò nel successivo condotto a destra. Strisciarono per qualche minuto finché incontrarono una grata che s'affacciava all'esterno, lasciando filtrare una luce fioca dal locale attiguo.

    Yuri e Paloa rimasero immobili a osservare il gran trambusto: i sorveglianti marciavano a ranghi serrati, mentre i fischietti trillavano ordini e altre ombre confuse correvano disordinatamente da una parte all'altra. Due figure si piantarono a gambe larghe davanti alla grata. Li stavano chiudendo in trappola.

    – Andiamocene! – grugnì Yuri, sospingendo Paloa all’indietro fin quando non si trovarono di nuovo nel condotto principale. Si trascinarono in avanti carponi, sperando di puntare verso la periferia della città, quando all’improvviso una paratia di metallo calò dall'alto sbarrando loro il cammino.

    – Maledizione! – esclamò Yuri, mentre la sua voce rimbalzava contro le pareti.

    Qualche attimo più tardi li raggiunse il frastuono di una grata divelta.

    – Ci hanno individuati – mormorò Paloa con il terrore negli occhi.

    Stringendo le mascelle, Yuri fece dietrofront, afferrando Paloa per un braccio e lanciandosi nel condotto principale. I due percorsero solo pochi metri, prima di accorgersi che un'altra paratia bloccava la strada. Senza pensarci due volte, Yuri s'infilò in una derivazione laterale, sperando nella buona sorte. S'imbatterono in un altro vicolo cieco. Pareva non esserci via d'uscita, in quel maledetto labirinto. Con il respiro sempre più affannoso, si voltarono per tornare sui loro passi, ma in quel momento la fiamma impetuosa di un lanciafiamme li investì in pieno, uccidendoli prima ancora che potessero accorgersi di quello che stava succedendo.

    Orislav e Tira furono più fortunati. Imboccarono anche loro una diramazione sbagliata, addentrandosi sempre più nel labirinto del sistema d'aerazione. Strisciavano in silenzio sui pannelli di metallo grigio, freddi al tatto, con i capelli appiccicati alla fronte per il sudore e una gran frenesia nel cuore.

    Orislav sapeva che si erano perduti, ma non disse nulla a Tira per non allarmarla, dal momento che lei non conosceva la planimetria dell'impianto e faceva totale affidamento su di lui.

    Si fermarono un attimo per riprendere fiato, e in quel momento udirono il clangore metallico delle paratie che calavano dal soffitto. Con un brivido di terrore si resero conto che stavano per essere intrappolati.

    Ripresero a strisciare velocemente, e Orislav imboccò un condotto che piegava con una stretta curva a gomito. Ma subito al di là incontrarono la prima paratia sigillata. Imprecando tra i denti, il giovane spinse Tira in una diramazione laterale. Anche quella via era sigillata, ma nel pavimento si apriva un quadrato nero che dava sbocco in un condotto inclinato verso il basso. Orislav non ricordava di averlo notato nelle mappe.

    Il giovane spinse lo sguardo all'interno del condotto e si accorse che la pendenza non doveva essere superiore ai quaranta gradi, il che avrebbe permesso loro di scivolare agevolmente fino a raggiungere il fondo. Il rischio di trovare una paratia sigillata era enorme, ma Orislav non vedeva altre vie di scampo. Dietro di loro si avvicinava il ritmico clangore delle paratie che, a una a una, si sollevavano per consentire il passaggio dei loro inseguitori.

    Di tanto in tanto, con un brivido che gli faceva rizzare i capelli sulla nuca, Orislav avvertiva un rombo sinistro di cui intuiva il significato e che si propagava nei corridoi portando fino a loro l'alito infuocato dei lanciafiamme.

    – Figli di puttana – mormorò Tira a denti stretti, mentre si lasciava cadere nel condotto. – Vogliono bruciarci come topi.

    Piombarono verso il basso con velocità crescente, poi la pendenza del condotto diminuì fino a stabilizzarsi in

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