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Morteschio
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E-book164 pagine2 ore

Morteschio

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Weird - romanzo (129 pagine) - Morteschio è un borgo con una caratteristica peculiare: la sua topografia è a forma di teschio umano. Ma non è l'unico aspetto misterioso della città


Italia centrale. Nella immaginaria cittadina di Morteschio, un borgo dalla topografia a forma di teschio, il tempo si è fermato e non è possibile uscire. Un rito ha messo in comunicazione le grotte sotto questo villaggio con un'altra dimensione, dove vivono i Grandi Antichi che hanno scelto proprio Morteschio per il loro ritorno…

Queste vicende seguono quelle narrate nel racconto Sotto le mura di Morteschio pubblicato nel secondo volume di Il ritorno dei grandi antichi a cura di Gianfranco de Turris, Odissea Fantascienza, Delos Digital.


Ivo Scanner è autore dei romanzi La borsa di Togliatti (Datanews 1993), Le mani del Che (Datanews, 1995), Orrorismo (Datanews, 1996), Genova ti ucciderà (Larcher, 2003), La spada nella carne (Soletti, 2017) e la novelization del film di Dario Argento Opera (Newton Compton, 1997; Alta Tensione, 2020). I suoi racconti sono riuniti in Pedofobo (Cut-Up, 2011) e Orrori sociali (Alta Tensione, 2018 e 2020). Sotto il suo vero nome Fabio Giovannini (nato a Genova nel 1958), saggista, giornalista e autore televisivo, ha pubblicato numerosi volumi sull'immaginario fantastico, gotico e noir, oltre che su temi politici e sociali. Tra i suoi studi sull'immaginario Il libro dei vampiri (Dedalo, 1985 e 1997), Necrocultura. Estetica e culture della morte nell’immaginario di massa (Castelvecchi, 1998), Boris Karloff (Profondo rosso, 2017), Il Lord del Brivido. Christopher Lee da 'Dracula' a 'Lo Hobbit' (Shatter, 2018).

LinguaItaliano
Data di uscita1 feb 2022
ISBN9788825419061
Morteschio

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    Anteprima del libro

    Morteschio - Ivo Scanner

    Prologo

    Per i nostri fratelli defunti,

    preghiamo.

    Per tutti coloro che sono morti

    nella speranza della risurrezione,

    preghiamo.

    Dove siamo? In una chiesa. Non basta: dove si trova questa chiesa? In un paese di campagna che ha un nome strano: Morteschio. E perché ci troviamo in questa chiesa in un paese di campagna? Perché in questa chiesa in un paese di campagna c’è Vento. Si chiama così, racconta lui, per un capriccio dei suoi genitori. Ma non è vero. E chi è Vento? È un uomo con i capelli striati di grigio, vestito dimessamente, seduto con le spalle chine su una delle panche di legno della chiesa. È seduto proprio a fianco di un imponente Cristo crocifisso in grandezza naturale.

    Vento è un uomo religioso? No, per nulla. Cosa ci fa in chiesa, allora? Si riposa e lascia passare le ore, annusando l’odore di cera e l’aroma d’incenso. Tutto qui? No, Vento trascorre le sue giornate seduto in chiesa perché non può andare via. Non può andarsene da Morteschio. Può solo aspettare, aspettare il Loro ritorno. Sono anni ormai che vive lì e non può andarsene. Nessuno può andare via da Morteschio.

    MORTESCHIO (666 ab.). Antico borgo, collocato tra una corona di colline, noto per le caratteristiche doppie torri. La topografia del borgo, arroccato su uno sperone di tufo cinto da rupi a strapiombo, si sviluppa a labirinto in forma vagamente circolare. Tre archi consentono l’accesso al paese, completamente attorniato da mura. L’unica chiesa, dedicata a Sant’Elfleda e restaurata nel XVII secolo, conserva un crocifisso che la tradizione vuole ricoperto di pelle umana. Nella piccola pinacoteca si segnalano i dipinti di Friedrich Iohann Ierzel che raffigurano paesaggi di Morteschio e dintorni.

    Da Guida ai borghi d’Italia, Edizioni del Touring Club Italiano, 1978

    1.

    Maggio 2018

    La scrivania è piena di fogli e cartacce, ci sono pile di libri e tutti i colori dei pennarelli rotolano in mezzo alle carte e ai libri. Su un mucchio di fogli c’è una penna stilografica.

    Su un lato della scrivania, invece, c’è un computer portatile.

    Da un anno Vento Solimano sta alla scrivania, circondato dalla carta e dalle penne.

    Sta alla scrivania e scrive. O tenta di scrivere. Potrebbe scrivere con il suo computer portatile, ma preferisce la penna stilografica, con l’inchiostro nero, anche se il tratto è molto diverso da quello che apparirà sulla pagina del libro. Perché è questo il suo obiettivo: scrivere il suo secondo romanzo e realizzare il desiderio del suo editore.

    Se solo riuscisse a scrivere qualcosa di sensato, però.

    Vento Solimano con il suo primo libro aveva vinto un grosso premio letterario. Il romanzo era diventato un evento culturale, un successo straordinario nel piatto panorama della narrativa italiana.

    In alcune cartelline di leggero cartone Vento ha raccolto tutte le recensioni e le interviste suscitate dal suo libro, e ogni tanto le riguarda.

    Un libro appetitoso e sconvolgente.

    Ecco come costruire un romanzo nel Terzo Millennio.

    Uno scrittore barocco, intelligente, intemperante, audace, crudele.

    Ma anche:

    Attendiamo i risultati di una maggiore maturità e una maggiore sapienza conquistate nel tempo.

    Pubblicato da un grosso editore, Il professorino era la storia apparentemente banale di un giovane che aveva studiato come tutti nel suo ceto, come tutti non trovava il lavoro voluto, per qualche anno s’era limitato ad attendere l’occupazione adeguata e poi stufo della nullafacenza aveva fatto un concorso, diventando insegnante: il professorino, appunto. Ma a questo canovaccio senza originalità, Vento Solimano aveva aggiunto un flusso delirante di riflessioni esistenziali e un tocco di erotismo. Tanto bastava per trasformare Il professorino in un romanzo da vendere al pubblico di massa, quello che si affolla nelle librerie supermercato e chiede consigli ai commessi su quale volume regalare alla nipote o all’amico.

    Lo aveva scritto con furbizia, quel romanzo. Aveva pensato a tutti gli ingredienti capaci di piacere a chiunque, inserendo allusioni per il lettore colto e sofisticato quanto per il lettore occasionale e ottuso. In realtà a Vento Solimano piacevano solo le storie terrificanti e soprannaturali. Il suo scrittore preferito era sempre stato H. P. Lovecraft, che leggeva e rileggeva dai tempi dell’adolescenza. Ne provava una tale adorazione che non aveva mai tentato di scrivere qualcosa che si avvicinasse ai temi e all’immaginario di Lovecraft. Sapeva, tra l’altro, che scrivere horror lo avrebbe confinato nel ghetto dei lettori di nicchia, senza permettergli quel successo globale che cercava. Così si era fatto furbo e aveva scritto Il professorino, un romanzo acchiappapremi e acchiappalettori, quanto di più lontano dal suo amato Lovecraft.

    Certo, la qualità del romanzo, se ve n’era, aveva poco da spartire con le ragioni del suo successo. Nessuno si sarebbe mai interessato a quel testo se Vento Solimano non fosse stato raccomandato da uno scrittore importante, apprezzato anche come esimio critico letterario: Fabio Ivo Inganni. A quello scrittore Vento doveva la copertina di un prestigioso settimanale, che lo celebrava come rivelazione dell’anno e che aveva dato inizio al successo travolgente del romanzo, un successo arricchito da apparizioni televisive, recensioni sempre più entusiastiche sui maggiori quotidiani e migliaia di seguaci sul web.

    Dopo gli allori di quel trionfo, però, era arrivato il momento più difficile: la richiesta pressante di un nuovo romanzo. Il direttore editoriale lo chiamava continuamente, ma Vento era rimasto alla sua scrivania. Si era fermato lì, davanti alla sua scrivania, ormai da molto tempo, e scriveva sempre le stesse cose.

    Almeno mi chiamo Vento, pensava mentre tentava di scrivere, e sono interessante per il mio nome.

    In realtà il suo vero nome era Alberto, il suo cognome Vento. Quando si era accorto che il suo nome e cognome erano davvero banali e che esistevano centinaia di suoi omonimi, aveva deciso di creare un nom de plume per avere successo. Ci pensò a lungo, scrivendo su fogli, con la solita penna stilografica, diverse ipotesi. Poi trovò la soluzione. Si sarebbe chiamato Vento Solimano. E aveva escogitato un’origine romantica per quel nome inventato.

    Vento è inventato, però Vento se ne vantava egualmente, con le ammiratrici del suo romanzo che affollavano le affollate presentazioni in libreria.

    – Sai – diceva di solito alle ragazze a caccia di un autografo, per incuriosirle – è stato mio padre a impormi un nome tanto strano. E tutto perché, lo sanno in pochi, quando venni concepito i miei genitori si stavano amando su un colle ventoso, infreddoliti dalla brezza gelida. Così per ricordo di quel vento che piegava e scompigliava fronde e spighe insieme ai capelli dei due amanti, il nascituro si chiamò Vento.

    Altre volte, con lo sguardo perso nel nulla, raccontava che l'episodio del concepimento era avvenuto mentre i genitori guardavano Via col vento in tv. Ma le ragazze stupivano comunque. Anche se sarebbe stato facile per loro capire che Vento era un nome finto, una finzione letteraria si dice. D’altra parte la sua donna si chiamava Ansia. O meglio, lui la chiamava così. Il suo nome, in realtà, era Anita.

    Due nomi inventati, è chiaro, una finzione letteraria. Nessuno per le strade o nella vita ha mai incontrato una coppia con questi nomi, lui Vento, lei Ansia. L’artifizio è presto scoperto, Vento e Ansia non esistono, sono nomi finti: Vento non esiste, né esiste Ansia, dai nomi subito si capisce che non esistono, non esistono i nomi e non esistono loro, che i nomi portano. Ma le ragazze a caccia di autografi non se ne accorgevano mai.

    Un tempo Ansia lo ammirava, non certo per il nome, e lo lodava. E lui non era ancora scrittore. Era affascinata dai suoi capelli e dal suo cervello, un tempo. Ora non più, anche se ha mantenuto per alcuni mesi le attenzioni gentili di cui sono capaci, talora, le donne. Nonostante il poco tempo che aveva, appena possibile gli portava qualcosa da bere, per lui seduto alla scrivania.

    – Ecco, per te, Alberto.

    E posava il bicchiere con un piattino sulla scrivania. Non solo. A tavola il coltello con la lama più tagliente era sempre per Vento, e per sé lei teneva il coltello che non taglia: erano le attenzioni, le gentilezze e le differenze di una donna. Lei era un libro, un libro sfogliato e profumato. Ansia e Vento. Lei non si vantava del nome, non ne sentiva il bisogno, al contrario di Vento.

    – Stai lavorando? Scrivi?

    – Sempre le stesse cose.

    – Non è una novità.

    – Cosa vuoi dire?

    – Niente cambiamenti?

    – No.

    – Potresti scrivere un lungo dialogo tra una donna e un uomo. Lei gli chiede se sta scrivendo. E lui risponde: non ci riesco, scrivo sempre le stesse cose. E allora lei aggiunge: niente cambiamenti? E lui dice: no. Potresti provare a scrivere questo dialogo.

    – Già fatto.

    – L’hai già scritto?

    – Poco fa, prima che tu entrassi. Ecco, puoi leggere.

    – Ti credo sulla parola, è inutile che lo legga.

    Era l’ennesima volta che ripetevano quel gioco, lei che gli chiede cosa stai scrivendo, lui che dice di aver appena scritto il loro dialogo. Le prime volte ridevano insieme e poi si baciavano, in seguito avevano continuato a ripetere il gioco, ma senza risate e senza baci.

    Vento scriveva le stesse cose da un anno. Dopo il primo e unico libro scriveva solo appunti, solo brandelli. Non sapeva se scrivere al passato, non sa se scrivere al presente e, al passato, non sa quale passato, accadde oppure era accaduto: è antiquato scrivere al passato e non ci sono troppe scelte.

    Ci fosse almeno la decadenza. Ma c’è già stata, Vento era senza rivoluzionari e senza decadenti, si sentiva prigioniero di un’epoca fatta solo di divertimenti sporchi o cretini. Ma non poteva fare la vittima, non si sentiva per niente vittima. Solo, scriveva sempre le stesse cose, se scriveva. Sapeva di poter copiare, ma non aveva da scrivere che le stesse cose. Se scriveva. Allora, per dimenticare, si rifugiava nei mondi di Lovecraft.

    Vento si era messo a studiare il periodo eocenico, sicuro che fosse lì la chiave per capire Lovecraft e il Culto di Chtulhu. Si considerava un esperto di folklore preistorico. Lui, autore considerato mainstream, difficilmente rivelava in pubblico quella sua passione segreta, della quale si vergognava. Letteratura bassa, avrebbero pensato i critici letterari a cui teneva, nonostante lo scrittore di Providence fosse ormai considerato con grande apprezzamento persino da chi detestava da sempre il fantastico o l'orrido.

    Per superare la paralisi della scrittura, Vento aveva persino tentato le nuove strade della scrittura elettronica. Con un programmino da lui inventato, le storie che aveva scritto si scomponevano e si ricomponevano sullo schermo del computer. Ma erano sempre le stesse storie.

    Vento non scriveva il secondo libro, rileggeva per l’ennesima volta ll caso di Charles Dexter Ward e perdeva tempo, salvo andare una volta ogni settimana alla radio dove conduceva con due amici una trasmissione sul jazz. La trasmissione gli dava pochissimi introiti e intanto dilapidava gli incassi arrivati dai diritti del primo libro e si faceva mantenere da Ansia. Aveva tutto il tempo che voleva per essere libero di avere il tempo libero, il bel tempo della vita sottratto al lavoro. Ma non riusciva a scrivere niente.

    In realtà qualcosa aveva scritto, qualche pagina nuova: erano le vicende del professorino del suo primo romanzo, ora in trasferta in un paesello di campagna. Pochissime cartelle.

    Vento non era per nulla soddisfatto di quelle poche cartelle. Gli sembrava una storia già letta cento volte, un luogo comune. Avrebbe avuto lo stesso successo del primo libro? Senz’altro no. Eppure, nonostante tutto, sentiva che avrebbe potuto trarre dalla situazione epocale in cui viveva un po’ di apocalisse, un allarme per la xenofobia, oppure per il macabro e il demoniaco delle cronache. Oppure poteva soltanto buttarsi nel linguaggio, forse nella poesia, e cercare nuove comunicazioni al passo con la sua epoca disordinata, l’epoca dello scrivere digitale e in cui muore la penna. Oppure narrare qualcosa di vita, con il viaggio e con la meta, per ricostruirsi scrivendo. O perché non parlare di ansia? Non di Ansia, ma di ansia: nevrosi e sociale, uno spunto buono, se possibile

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