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E-book262 pagine3 ore

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Alzate gli occhi, siamo nel Grande, Antico Egitto. Oltre 3000 anni fa, Akhenaton, Faraone della XVIII Dinastia, controlla tutto ciò su cui il suo sguardo si posa. Dal Nilo all'Oronte, all'ombra di piramidi maestose e giganteschi obelischi, fiorisce uno dei più enigmatici imperi che la storia ricordi. Un impero misterioso dai tratti ancora in parte oscuri. Lì, migliaia di albe e di tramonti or sono, si intrecciano le storie dei nostri protagonisti. Storie di vita quotidiana, di giochi di potere e intrighi, di amori e di riflessioni, di vita e morte. Storie di uomini e donne del loro tempo che, nonostante ciò, mostrano la loro attualità, a dimostrazione del fatto che la natura dell'essere umano, a prescindere dai secoli passati dalla sua comparsa, nonostante la sua evoluzione nel bene e nel male, sostanzialmente, non è cambiata.
LinguaItaliano
Data di uscita18 mag 2018
ISBN9788827830833
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    Anteprima del libro

    Troni - Antonio Traficante

    www.twitter.com/youcanprintit

    PARTE I

    Capitolo I

    L'INCONTRO

    Tebe, la città egiziana dalle cento porte, vive un giorno come gli altri. Sono arrivati nuovi schiavi, uomini donne e bambini, vestiti con pochi stracci, affamati e stanchi. Sono stati ammassati sotto il sole in attesa di essere destinati ai loro padroni, oppure lavorare nelle cave. Per i Tebani non è una novità, non ci fanno più caso.

    Una giovane schiava attira l’attenzione di uno straniero, anch'egli giovane. La schiava, per la sua pelle bianca e delicata che non riesce più a proteggere con quella che doveva essere stata una veste, è arrossata dal sole che le ha causato delle vesciche, i capelli sono annodati poiché da parecchi giorni non sono stati pettinati e hanno perso la lucentezza come se fossero stati bagnati dall'acqua di mare.

    Lo straniero paga un carceriere e si avvicina. Nonostante le sue pietose condizioni, è meravigliato per la sua bellezza. Gli occhi hanno il colore del cielo azzurro e i capelli, pur se sporchi, hanno il colore del grano.

    Lei si accorge d'essere osservata e ne chiede il motivo.

    Lo straniero: «Sei diversa dalle altre schiave, la tua pelle lo dimostra, devi venire da lontano».

    La schiava: «Se anche fosse, che importanza può avere».

    Lo straniero: «Devi soffrire molto per le piaghe che ti ha procurato il sole».

    Le dona una leggera veste comprata poco dopo averla notata e le dice: «Indossala, non curerà le piaghe ma eviterà di peggiorarle».

    Lei prende l'abito, lo osserva e, dopo averlo indossato, chiede Perché?

    «Non lo so, posso chiederti perché sei tra gli schiavi?».

    Lei: «Vorrei saperlo anch'io, posso solo dirti che vengo dal mare, mi ricordo che era minaccioso e la nave su cui mi trovavo si spezzò in due, non ricordo altro, sennonché mi svegliai in questa Terra a me ostile, io schiava? Non posso crederci».

    Lo straniero: «Qual è il tuo nome?»

    «Perché dovrei dirtelo?»

    «Scusami non dovevo chiedertelo».

    Lei, sentendosi in colpa: «Sono io che devo scusarmi, ma con le pene che sto vivendo, ogni buon comportamento non fa più parte di me; il mio nome è Jasmine, posso sapere il tuo?».

    «Horus e vengo da molto lontano, più lontano di quanto tu possa immaginare».

    «Non riesco a capire».

    Lui: «Provengo dal cielo, da un mondo simile a questo».

    «Vuoi forse prenderti gioco di me?».

    Horus: «Immaginavo che non mi avresti creduto ed è comprensibile, comunque è la verità».

    «Allora sei un Dio? Non riesco a considerarti tale, sei simile a noi mortali».

    Horus: «Infatti, non sono diverso».

    «Dici da venire dalle stelle, come sei giunto fino a noi?».

    «Qui in Terra d'Egitto spesso nel cielo vedono dei carri, li chiamano carri di fuoco ed io sono giunto con uno di questi dopo aver attraversato i cieli».

    Jasmine: «Credere è difficile, hai detto che il tuo mondo è simile a questo».

    «In parte è vero, solo che ha due soli, tanto da non conoscere mai il buio».

    «Deve essere meraviglioso; dimmi, perché sei su questa Terra?».

    «Non sono solo, siamo in molti».

    Jasmine: «Non hai risposto alla mia domanda, forse non vuoi o non puoi?».

    «Non posso e poi non capiresti».

    «Non importa, ma dimmi riusciresti a farmi fuggire?».

    «Anche se volessi, non posso».

    «Lo immaginavo, comunque grazie per il tuo gesto nei miei confronti, sono rassegnata, mai rivedrò la mia Terra e mio padre non saprà quale sarà stato il mio destino; spero solo che la morte arrivi presto e ponga fine a ogni mio tormento».

    «Finché vivrai, avrai sempre una speranza».

    «Quale speranza? Se anche riuscissi, dove potrei fuggire, poiché mi trovo in una Terra che non conosco e dove il mare è un ostacolo troppo grande per me?».

    Mentre Horus sta per rispondere, il carceriere che l'ha fatto avvicinare gli dice: «Meglio che tu te ne vada, perché gli schiavi saranno portati via».

    Prima di allontanarsi, dispiaciuto per lei: «Che dirti?».

    «In questo momento le parole sono inutili».

    Horus si allontana solo di poco.

    Sono venuti a prendere gli schiavi, ma prima li dividono; separano i figli dalle madri, sordi ai loro pianti, gli uomini più robusti sono destinati alle cave.

    Poi tutto si ferma, c'è la primogenita del faraone che cerca una schiava per sé.

    Le più giovani sono messe ben in vista. Si ferma da Jasmine chiedendole il nome, lei non risponde. Sta per essere frustata da un carceriere ma la figlia del faraone lo ferma e rivolgendosi a Jasmine: «Per meno si può anche morire, se non mi conosci, sono Meryt Aton figlia di Akhenaton, ma vedo che a te non importa».

    Jasmine dice il suo nome.

    Meryt: «I tuoi occhi, così come la tua pelle, sono diversi rispetto a noi, certamente non vorrai dirmi da dove vieni».

    Jasmine: «A che servirebbe, non mi ridarebbe di certo la libertà».

    Meryt: «Hai orgoglio, ti ammiro, ma sei sempre una schiava».

    Poi rivolgendosi ai carcerieri: «La prendo, servirà la mia persona».

    Jasmine è allontanata dagli altri schiavi e condotta alla reggia; le hanno detto che è stata fortunata, lei non vede alcuna fortuna in questo. È affidata a due serve, che la svestono e la aiutano a lavarsi. Mentre le versano addosso dell'acqua, sente dolore per le forti scottature che le ha causato il sole, vorrebbe che tutto finisse in fretta, invece deve sottostare a quello che le dicono.

    Finito di lavarsi, chiede di asciugarsi da sola: se lo facessero le altre, il dolore potrebbe essere insopportabile.

    Dopo aver indossato una veste, è fatta sedere, mostra il massimo della sua bellezza, solo la sua modesta veste è adatta all'umile condizione.

    Meryt, quando la rivede stenta a riconoscerla e le dice: «Sei bella, il tuo portamento è di una nobile, però sei una schiava e tale sarai considerata».

    Jasmine: «Io non sono come mi consideri».

    Meryt: «Comunque sarai costretta a fare quello che ti ordinerò. Potrei punirti e anche farti uccidere volendo, tuttavia desidero che tu non mi consideri come una nemica; sappi, se anche volessi, non potrei darti la libertà: mio padre non ha mai voluto liberare uno schiavo e in ciò non vuole essere disobbedito; dipendo da lui per una decisione come questa. Perciò sforzati di accettare questa tua condizione, per te non c'è speranza e non puoi fuggire, ti prenderebbero in breve tempo. Cercherò di farti pesare il meno possibile la tua condizione».

    «Se tu fossi al mio posto che faresti?».

    Meryt: non saprebbe.

    Jasmine: «Non sai, però lo puoi immaginare e la schiavitù è peggiore di quanto credi; in ogni modo sono costretta ad umiliarmi e tu sarai la mia padrona».

    Meryt: «È' così purtroppo, non ti trattengo oltre, però ti chiedo che quando non siamo sole mi mostri rispetto, è difficile tuttavia fallo soprattutto per te».

    Jasmine: «Cercherò, ma dentro di me non mi sentirò mai una schiava».

    «Lo so, voglio che tu sappia che tra le tante, ti ho scelta perché tu possa continuare a vivere, poiché ho capito che non accetti padroni, in breve ti avrebbero uccisa, immagina che cosa avrebbero potuto fare con il tuo corpo, se sei cosciente della tua bellezza».

    «Capisco, ti ringrazio».

    «Non ringraziarmi, ho fatto ben poco per te, adesso puoi andare hai bisogno di riposare, lo vedo dai tuoi occhi che sei stanca».

    Jasmine si chiede perché Meryt si sia comportata come un'amica nei suoi confronti.

    Distesa sul letto, prima di addormentarsi, pensa allo straniero che le ha detto di essere giunto dal cielo.

    Nella reggia, la famiglia reale vive la sua vita.

    Akhenaton, più che agli affari di stato, è interessato alla costruzione della nuova città dedicata al suo dio Aton.

    La bella moglie Nefertiti spesso lo aiuta a governare, ciò nondimeno pensa alle sue tre figlie: Meryt, Ankhes e Mekhet di tenera età.

    I giorni trascorrono e per Jasmine è sempre più difficile la schiavitù, nonostante le comprensioni di Meryt.

    Un giorno, in assenza di colei che serve la famiglia reale quando è riunita, Jasmine la sostituisce.

    I reali, a parte Meryt, la vedono per la prima volta e sono affascinanti dalla sua bellezza, Akhenaton dice qualcosa a riguardo.

    Meryt: «Il suo nome è Jasmine, di sé mi ha detto ben poco, è una nobile e non riesce ad accettare la condizione in cui si trova».

    Akhenaton: «Nessuno si sente schiavo ma lo è».

    Meryt: «Padre, lei è diversa».

    Akhenaton non dà peso alle parole della figlia, e rivolgendosi a Jasmine: «Sei molto bella».

    Lei non sopporta neanche una di quelle parole: «Mi considerate schiava, io non mi sento tale e non lo sono. Schiavi siete voi: della vostra cultura, nonostante quello che vi circonda, voi egizi siete un popolo che è il peggiore di tutti i mali; al mio paese la schiavitù non esiste e ogni uomo, anche il più umile, è libero di pensare e di agire rispettando i diritti altrui. Quello che ho visto mi dà ragione di considerarvi degli incivili. Non sono i templi o le grandi statue che dimostrano la maturità di un popolo ma il modo in cui esso vive. In Egitto, come vedo, ciò non esiste, avete fondato la vostra grandezza anche sugli schiavi, ma ciò che vantate è fragile, gli stessi schiavi faranno di questa Terra quella di nessuno. Tornare indietro per voi è impossibile, non potete farne meno. Vedo che amate la famiglia, vi piace essere coccolato dalla più piccola delle vostre figlie, e lei crescerà amata dai suoi genitori e dalle sue sorelle. Vedere una famiglia felice mi riempie gli occhi di gioia, però non siete mai stato presente quando gli schiavi, che non hanno nulla di diverso da voi, sono scelti dai loro padroni, non vi siete mai trovato nel momento in cui i figli sono strappati alle madri e il pianto è solo fastidio per i carcerieri; no, non siete stato presente, dove la vita, già inumana, è spezzata completamente. Ci vuole coraggio ad amare la propria famiglia ignorando la realtà, voi forse considerate gli schiavi delle bestie. Ho cognizione che queste mie parole sono inutili, ma io vi chiedo di riflettere su quello che vi ho detto».

    Per un po' c'è silenzio, poi Akhenaton: «Parole che possono demolire un regno, solo la tua vicinanza con gli schiavi darebbe origine a una rivolta; non posso lasciarti vivere ancora».

    Meryt interviene: «Perché arrivare a toglierle la vita? Donale la libertà, una schiava in più o una in meno che importanza può avere?»

    Akhenaton: «Non posso, in lei c'è il vero, la sua verità è il nostro male, sono costretto a farla morire».

    Mentre giungono le guardie, per condurla via, come dal nulla un giovane sconosciuto irrompe armato.

    Jasmine lo riconosce, è Horus e lo chiama.

    Nel silenzio che si è creato tutto, si ferma, Nefertiti e le sue figlie sono spaventate.

    Akhenaton invece è irato per quell'intrusione.

    Prima di ordinare alle sue guardie di intervenire gli pronuncia: «Vedo che vi conoscete, meglio, morirete assieme, prima voglio sapere come sei giunto fin qui».

    Horus: «Che v'importa, sono qui per portare via questa donna».

    Akhenaton: «Sei sicuro di te ma se ti è stato facile entrare, ti sarà difficile uscire, anzi impossibile».

    Horus, con abilità, senza che le guardie possano fare nulla, prende in ostaggio Tut, il figlio adottivo dei sovrani, minacciandolo di morte e dice: «Adesso uscirò con Jasmine e costui sarà mio ostaggio finché lo riterrò opportuno, la sua vita dipende da voi».

    Akhenaton non può far altro che sottostare al ricatto.

    Horus dice a Jasmine di rimanere vicino a lui e lentamente, seguiti dalle guardie a distanza, guadagnano l'uscita della reggia.

    Intravede un carro da guerra con due cavalli, fa salire Jasmine e prima di lasciare libero l'ostaggio gli proferisce: «Comunque fosse andata, non ti avrei fatto del male».

    Poi, salito anche lui sul carro, dà libera briglia ai cavalli che partono con vigore travolgendo tutto quello che si trova sulla loro corsa.

    Horus non ha scelta: ne va della sua vita e di quella di Jasmine.

    Poiché gli inseguitori incalzano, sprona i cavalli per le vie di Tebe fino a sfiancarli, però la distanza da quelli diminuisce sempre di più.

    Jasmine, tenendosi stretta a lui, dice: «Il tuo eroismo è inutile». Horus: «Forse, ma quando questi cavalli cadranno stremati, mi porterò con noi molti di coloro che ci inseguono».

    Gli inseguitori si avvicinano sempre di più; un ultimo sforzo, poi i cavalli stramazzano a Terra rovesciando il carro con i due giovani.

    Nella caduta Jasmine si fa male lievemente, Horus l'aiuta a rialzarsi e tentano di continuare la fuga a piedi.

    Ormai gli inseguitori si sono avvicinati, lui si dovrà difendere e forse per l'ultima volta.

    Giunge inaspettata una voce: «Non di là, seguitemi».

    Seguono una persona dall'aspetto nobile, fino a raggiungere un'abitazione e vi entrano.

    Dopo che il vociare degli inseguitori si è placato, si presentano: chi li ha aiutati è Manekhetef, architetto e responsabile della costruzione di Aket Aton. Ascolta con interesse la loro storia, dopo chiede a Horus: «Come mai, tu che potevi, non hai fermato le guardie del faraone?».

    Horus: «Dall'alto dei cieli i miei poteri hanno forza tanto da penetrare anche la mente degli uomini e condizionarla, mentre qui in Terra sono quasi un mortale».

    Manekhetef intuisce che ne parla mal volentieri ed evita di fare altre domande sull'argomento; li prega di pranzare con lui, ed essi nell'accettare ringraziano.

    L'architetto batte due volte le mani, viene un servitore, e lo presenta, dice: «Questo è Arrit, anch'egli ha avuto delle disavventure e la mia casa è sicura per lui».

    Poi lo prega di portare delle pietanze accompagnate con la birra.

    Quando Arrit si allontana, Horus gli chiede: «Avete fiducia di quell'uomo?».

    Manekhetef: «Uscire da questa casa per lui sarebbe morte certa, è ricercato sia in Egitto che fuori. Dovete sapere che egli nacque in un villaggio povero dell'Egitto e suo padre lo avviò con la forza alla carriera militare dicendogli che questa era adatta a lui e che avrebbe dato prestigio alla famiglia. Prestò servizio come comandante, però pensava in modo diverso da un soldato, parlava di pace, spargendo nell'esercito questo seme e creando il malcontento. Allora l'Egitto era in guerra; l'esercito cominciò a conoscere la sconfitta per l'abbandono delle file e così il faraone ordinò di prendere i disertori e giustiziarli. Fece cercare Arrit che riuscì a fuggire oltre l'Egitto, ma gli fu negata l'ospitalità per timore del suo parlare; in seguito m'incontrò».

    Poi ogni discorso riguardante Arrit cessa perché è tornato con cibi e bevande, e augura loro un buon pasto. La birra è versata nei bicchieri; Jasmine la sorseggia, mentre Horus la beve tutto di un fiato. Mangiano e bevono fino a saziarsi.

    Lei si complimenta per la gentile ospitalità, confidando: «Sono ritornata a vivere, tuttavia i miei pensieri sono per mio padre e per il mio regno che sono oltre il mare».

    Horus promette di aiutarla, conscio degli ostacoli che incontreranno.

    L'unico aiuto che gli può dare Manekhetef è di fuggire dall'Egitto.

    Nello stesso tempo Akhenaton ordina al messaggero di estendere la ricerca dei fuggitivi anche fuori Tebe.

    Partendo a gran galoppo, il messaggero di buone e cattive notizie si dirige, dove il vento sparge i semi dei fiori, polvere e sentenze del faraone.

    Intanto il sonno di Horus è turbato, gli appare in sogno un suo simile, Seth, che gli dice: «Ti parlo dall'alto del pianeta. Il tuo comportamento è contrario ai nostri precetti ed è stato deciso che mai più lascerai la Terra, sarai un semplice mortale, i pericoli terreni ti seguiranno fino alla fine dei tuoi giorni, maggior pena non ti si può augurare».

    Horus, dopo le rivelazioni del sogno, si sveglia e medita: non si aspettava una simile sentenza.

    Il suo sguardo si volge verso Jasmine che dorme, la osserva per un po' e alla fine sorride, come se del suo mondo e della sua gente non gli importasse più nulla.

    Riprende il sonno interrotto.

    Quando è ormai notte, sono svegliati da Manekhetef; questo è il momento favorevole alla fuga e la via da percorrere è lunga.

    Uscendo da casa, una leggera brezza li avvolge; i cavalli sono nervosi, a stento Arrit riesce a trattenerli, Horus e Jasmine lo ringraziano.

    Con Manekhetef che li guiderà, s'incamminano.

    Escono da Tebe senza difficoltà, poi s'inoltrano nel deserto, la luna, quando non è nascosta dalle nuvole, illumina il loro cammino; riescono ad arrivare al mare, e qui Manekhetef: «Più nulla posso fare per voi, solo dirvi di attraversare il mare; la barca che vedete vi aiuterà nell'intento.

    Gli uomini che la governano sono amici fidati, non fate domande come loro non le faranno a voi, e non chiedetemi il perché.

    Quando sarete approdati sull'altra sponda, potete cercare di raggiungere la Terra di Hatti; qui forse vi aiuteranno, tuttavia fate attenzione ai nomadi che sono alleati a noi egizi e vivono di razzie. Non ho altro da dirvi, andate, attendere oltre può essere pericoloso».

    Un breve saluto e si lasciano.

    Imbarcati con i cavalli, navigano verso la sponda opposta; Manekhetef ritorna a Tebe, dove si fermerà ancora per qualche giorno, poi andrà nella nuova città in costruzione Aket Aton.

    Quando il sole si mostra all'orizzonte, la riva egizia è distante tanto da confondersi con il mare.

    Horus e Jasmine, non scambiano una parola con l'equipaggio, dopo aver raggiunto l'opposta riva, s'inoltrano nell'interno, camminano di giorno, riposandosi la notte.

    Dopo alcuni giorni, Jasmine rivolgendosi a lui: «Il nostro cammino fino ad ora è stato favorevole».

    Horus: «Sì ma adesso dovremmo essere nella Terra dei nomadi e questo silenzio che si è creato non mi convince».

    Terminata la frase come se fosse stato un segnale, una freccia colpisce il cavallo di Jasmine che cade con un nitrito di dolore.

    Tutto succede in breve tempo: lei dolorante per la caduta si rialza e corre vero Horus, che l'aiuta a salire sul suo cavallo e lo spinge ad un galoppo veloce.

    Dietro di essi dei nomadi li stanno inseguendo, ma per il peso maggiore e per la stanchezza accumulata dal cavallo, perdono terreno.

    Lui dice a Jasmine: «Io salterò, approfitta, cercherò di fermarli il più possibile».

    Senza che essa possa dire una parola, attua ciò che ha in mente.

    Lei continua la corsa a cavallo che intanto ha ripreso fiato perché alleggerito di peso, Horus è pronto per offendere e difendersi.

    Non tutti lo affrontano, tre di loro proseguono con l'intento di raggiungere Jasmine.

    Si crea uno scontro tremendo; gli inseguitori hanno sottovalutato Horus e alcuni sono feriti anche mortalmente, poi una voce: «Arrenditi straniero o questa donna sarà uccisa».

    Jasmine non c'è l'ha fatta, vedendosi costretto, si arrende.

    È ghermito e portato davanti a quello che sembra essere il capo che dice: «Vi dovrei togliere la vita, invece c'è chi deciderà la vostra sorte».

    Uno dei nomadi chiede di seppellire i morti, il capo: «Non c'è tempo per questo, dobbiamo essere al campo prima di notte».

    Quando è ormai buio, giungono in vasto accampamento illuminato da una moltitudine di torce.

    Molti si riversano al centro del campo nel vedere il gruppo con i prigionieri; le donne di chi è caduto nello scontro chiedono che ne è stato, e intuendo la verità ancor prima di avere risposta, si avvinghiano ai prigionieri e sono allontanate a stento.

    I due sono spinti in una tenda e fatti inginocchiare di fronte a quello che sembra il capo in assoluto.

    Costui fissa gli occhi di Jasmine: non ha mai visto una donna così bella.

    Informato di come sono stati catturati e credendo a stento al valore di Horus, dice: «Straniero, ti dovrei dare una morte lenta, però il tuo valore è stato esaltato. Avrai la possibilità di difenderti, però sappi che anche se uscirai vivo dalla prova di domani, la tua donna sarà una mia concubina finché non mi stancherò di lei e tu avrai una morte rapida ma se mi dovessi deludere,

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