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Le signore per bene
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Le signore per bene
E-book156 pagine2 ore

Le signore per bene

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Info su questo ebook

Impossibile resistere al fascino d'altri tempi di questa folgorante raccolta di aneddoti! Mario Mariani ci trascina con sé alla scoperta dell'universo femminile: a volte civettuolo, a volte violento, ma non per questo meno affascinante. Prodotto tipico della sua epoca, certo, ma che mantiene in vita un lato controverso, scandaloso, che non può fare a meno di colpire anche oggi, a distanza di quasi un secolo dalla sua stesura, "Le signore per bene" si offre a più livelli di lettura. Lo si può sfogliare per rivivere un'epoca lontana, o per imparare quali concezioni si potessero avere, riguardo alle donne, ai tempi di Mariani. Ma lo si può anche semplicemente gustare per ciò che è: un'opera brillante, dai contorni vivaci e che colpisce sempre nel segno.-
LinguaItaliano
Data di uscita19 ago 2022
ISBN9788728411322
Le signore per bene

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    Anteprima del libro

    Le signore per bene - Mario Mariani

    Le signore per bene

    Copyright © 1948, 2022 SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788728411322

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    This work is republished as a historical document. It contains contemporary use of language.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    Discorso da non prendersi sul serio.

    Tseu-Mei, questa sera ho voglia di morire.

    Perchè ti chiamo Tseu-Mei?

    Perchè nella lingua più vecchia del mondo, nella prima dunque che abbia cinguettato d’amore, Tseu-Mei significa Fior d’eleganza. Questo soprannome, nel celeste impero, potè meritarlo un poeta: Tou-Fou. Visse più di mille è duecento anni fa e morì per aver mangiato troppo voracemente dopo dieci giorni di digiuno. Fu il rivale di Li-tai-pé, il grande poeta nazionale cinese. Fior d’eleganza scriveva d’amore così:

    Rapida segue la mia barca il filo dell’acqua, e i miei occhi seguono il corso dei fiume. Lassù, nella notte chiara, corrono nuvole fine. E la notte chiara è anche nell’acqua: quando una nuvola scivola sulla luna,

    io la vedo scivolare sul fiume,

    e mi sembra che la mia barca voghi sul cielo.

    E penso al mio amore

    che si specchia così nel mio cuore.

    Ma io, Tseu-Mei, stassera ho voglia di morire.

    Perchè al mondo muoiono tutte le cose belle.

    C’è una felicità, vedi, che dovrebbe concludersi con un aneurisma al cuore.

    E io non so che cosa ci restiamo a fare, noi due, nella vita: me lo chiedo e non so rispondere.

    Mettiti al piano e dondola la malinconia — della mia — felicità.

    Non c’è veramente, credi, niente di più malinconico della felicità.

    Per questo la musica del più capriccioso

    e del più allegro dei valzer strappa le lacrime.

    Alza nell’aria profumata le fragili architetture della musica che amo.

    La musica non è che un lamento, senza parole.

    E tu fammi piangere perchè io senta che posso vivere ancora.

    Tu sei, Tseu-Mei, una creatura perfetta.

    E come tutte le cose perfette tu sei misteriosa.

    Tu sei l’Enigma, la Sfinge, l’Indecifrabile.

    Io non posso dire di te se non questo:

    che sei l’essenza della tua Musica.

    Perchè la musica è la più secreta, la più occulta delle Arti.

    La musica, Tseu-Mei, è dolore fatto suono,

    è una intuizione di singhiozzo

    che comunica spiritualmente

    con le più intime fonti

    del nostro pianto.

    Io mi affondo in una multicolore

    mollezza di cuscini.

    Serici occhi di penne di pavone si schiacciano sotto la stanchezza della mia povera testa e mi stringono i pensieri malati in un alone verdazzurro avvelenato.

    Suona la « Serenata alla bambola » di Debussy.

    « Io sono un piccolo re, vorrei cavalcare con te dentro una grande foresta, cavalcare un’altana morella che ha in fronte una stella, un’ alfana, balzana, da tre piè.

    Io sono un piccolo re. Regina dai capelli di stoppa, scendi,

    scappa con me. »

    La musica è pazza e bizzarra come noi due.

    Noi due siamo il capriccio, la follìa, il peccato, la verità, la libertà.

    Ma c’è un terzo fra noi, che tornerà fra poco: tuo marito.

    Ed egli è IL MONDO.

    Traduci: le idee accettate, l’ordine, il dovere, la vita, lo sbadiglio, la menzogna.

    Egli è persuaso che io sia qui, nel tuo salotto, sopra questi cuscini di seta, vicino alla tua pelle che odora di muschio, alla tua bocca che odora di sandalo, e che m’accontenti d’intrayvederla dagli sdruci della vestaglia la tua pelle, e che m’accontenti di sentirla parlare, la tua bocca. Egli che inganna trecento persone al giorno vendendo prodotti adulterati e cavillando su ambigue frasi di contratti, egli che è amico di tutti solo per potere accostar gente da truffare legalmente, stimerebbe obbrobrioso il tuo inganno, turpe la mia mancanza agli obblighi dell’amicizia.

    Quando egli comparirà su quella soglia di qui a un quarto d’ora, di qui a mezz’ora, entrerà con lui la vita ad ammazzare il sogno, la realtà ad accoppare la poesia, la volgarità a sgozzare la bellezza.

    Comparirà su quella soglia la consuetudine, la convenzione, la falsità.

    Tu non potrai più imperlare l’aria con le tue fresche risate, non potrai più camminare speditamente per eccitarmi con le tue movenze lascive, non potrai più guardarmi con gli occhi morti di voglia; la scatola della signora per bene dovrà chiudersi sulla baiadera esperta d’ogni lussuria e d’ogni pervertimento.

    Io non potrò più parlarti col tu. Dovrò prendere un’aria cerimoniosa che mi s’attaglia quanto la cortesia a un poliziotto. Dovrò non cercare più con gli occhi i tuoi occhi, con le mani la tua carne, dovrò ascoltare le sue lezioni di morale e di politica; la scatola dell’uomo qualunque si chiuderà sul pazzo innamorato.

    Ed egli siederà al suo solito posto, in quella poltrona.

    E, dopò il solito « ciao, come va?» incomincerà a parlare. E parlerà a lungo: implacabilmente.

    Mi dirà il suo pensiero politico che io ho già letto stamattina nel « Corriere della Sera ».

    E commenterà il giornale con gli stessi spropositi del giornale; il luogo comune con il luogo comune.

    Mi spiegherà la necessità dell’istruzione religiosa nelle scuole. E io penserò con Zarathustra: Questo vecchio non sa dunque ancora che Iddio è morto ». E penserò con Stendhal: « L’unica scusa che abbia Iddio è quella di non esistere ».

    Ma gli darò ragione.

    S’accalorerà parlando di  pensiero italico ».

    E io rugumerò fra me: Vico, Rosmini, Ferrari? Sono morti. Croce e Gentile? Hegel.

    Ma continuerò ad annuire.

    E converrò anche con lui che ormai abbiamo trovato la vera « áncora di salvezza », che finalmente è risorto lo spirito patriottico della nazione e che finalmente le « aristocrazie intellettuali » governano il paese e lo salveranno.

    E io, Tseu-Mei, penserò al disegno mera-

    viglioso delle tue reni falcate di cui l’aristocrazia intellettuale di tuo marito non potrà mai capire l’importanza.

    Ma mi congratulerò con il paese e con lui.

    Egli però non s’accontenterà della mie approvazioni. S’accorgerà, forse, che lo piglio dolcemente in giro, s’offenderà perchè non voglio discutere con lui e s’ostinerà viemaggiormente a consigliarmi, a riprendermi:

    — Ah! tu non vuoi sentir ragione, eh?… Non discuti; ti dài delle arie di superiorità, eh? Bada, caro mio, finirai male, finirai molto male…

    E mi dispiace, mi dispiace perchè a. me, vedi, non ostante il tuo « persiflage » sei simpatico… Ma finiscila una buona volta, metti la testa a posto!… Sarebbe ora, per Dio!… I denti del giudizio li hai fatti da un pezzo. Non vedi quante inimicizie ti sei attirato con la tua cocciutaggine e la tua strafottenza?… Ci deve essere un bel gusto ad andar sempre contro corrente… —

    E concluderà con un bel pistolotto intorno al costume, alla legge, alla virtù.

    E io, forse, dentro lo stomaco, bofonchierò che le persecuzioni degli apedeuti e dei pastofori sono il mio unico orgoglio, che non invidio i buoni successi de’ segnaventi, che, forse, in questo momento varrebbe la pena di ripigliare il lavoro al punto in cui lo lasciò Voltaire…

    Ma, a voce alta, converrò con lui che egli è nel vero perchè mi dice le stesse cose che mi diceva la buon’anima di mia nonna quando avevo dodici anni e ch’è proprio un peccato che il padre eterno non m’abbia fabbricato d’un’altra pasta.

    Però, alla demanda che egli ripete sempre per sollevarmi un nuvolone nero davanti agli occhi, alla sacramentale domanda che sembra picchiare alle porte dell’inferno perchè si spalanchino e m’inghiottario, al suo « dovè vuoi andare a finire?», questa sera avrei voglia di rispondere serenamente: « A letto con tua moglie ».

    Chi sa che faccia farebbe?

    Io mi sono inimicato con mezzo mondo perchè tutte le persone con le quali m’accozzavo a caso per strada o volevano insegnarmi qualcosa o volevan regalarmi dei consigli.

    Oh potessi vendicarmi una volta!…

    Dire a tuo marito con calma:

    — Io voglio finire a letto con tua moglie. Anzi ci son già finito e più d’una volta. Perchè tua moglie è la mia amante e appunto perchè è la mia amante vale qualcosa: è una donna dell’arte. Se fosse semplicemente tua moglie, sarebbe una donna della specie. Le donne dell’arte e della poesia son tutte adultere e peccatrici; han nome Clitennestra e Fedra, Mirra e Medea, Semiramide ed Erodiade, Isotta e Francesca, Lucrezia Borgia e Maria Stuarda. E tua moglie, che è la poesia, ama me perchè sono la follia, il sogno, il capriccio; non te che sei la noia, il costume, la mediocrità: il MONDO. —

    Chi sa che faccia farebbe?

    Forse tirerebbe fuori un comunissimo revolver e — bum! bum! — ci ammazzerebbe.

    Vieni. Siediti sulle mie ginocchia, baciami in bocca ed aspettiamo che entri, abbracciati, così… Forse ci ammazzerà.

    E sarà giusto perchè, da che mondo è mondo, la volgarità ha sempre ucciso il sogno, la stupidità ha sempre ucciso la bellezza.

    E noi due abbiam bisogno di morire perchè siamo tristi di felicità.

    Notte di nebbia.

    Questa me l’ha raccontata il capitano Ravizza, del settimo.

    — Fu subito dopo la rotta di Caporetto. Noi, del mio battaglione, non sapemmo quasi nulla del disastro e non riuscimmo nemmeno a capirne i motivi e l’entità. Facevamo parte dell’armata di Robilant che ebbe l’ordine di ritirarsi e si ritirò tranquillamente senza colpo ferire. Il mio battaglione era alla sinistra del Cauriol, del Cardinal — nomi ormai d’alta sonanza — e per portarsi nella piana di Bassano dovette scendere a Sorgazza e a Castel Tesino, poi infilarsi per la valle del Brenta. Tutti gli ufficiali erano esasperati; ci sembrava ingiusto di dover lasciare posizioni che avevamo rafforzato durante un anno intero per andar forse a cacciarci in nuove linee sprovviste di trincere, reticolati, ripari, baraccamenti; di tutto. Nè potevamo capire perchè la rotta della seconda annata dovesse travolgere tutto l’esercito.

    I soldati obbedivano senza almanaccare, ma per loro, incolpevoli e inconsapevoli, anche la ritirata non potè rivestirsi di colori tragici. Ci avevan detto di distruggere tutto, ma senza incendi perchè il nemico non potesse accorgersi dell’ abbandono delle posizioni e ci avevan detto anche di portar via con noi soltanto le artiglierie e le munizioni. Era la fine d’ottobre e siccome noi avevamo imaginato di dover svernare a duemila metri, sotto gallerie di neve, tagliati fuori dal mondo, per sei mesi, ci eravamo già provvisti di tutto. La mensa ufficiali della mia compagnia aveva già messe in rango, in una cantina improvvisata, milletrecento bottiglie di Barbera, Barolo, Bardolino, Breganze, ecc.

    L’ordine di ritirata ci dava due giorni di tempo per sgombrare; alla teleferica, il sottotenente di servizio fu più durò d’un colonnello piemontese: « Ho istruzioni precisò, non posso trasportare altro che proiettili e congegni e documenti e generi di prima necessità ». Anche il nostro maggiore cercò di fargli capire che il vino, per un alpino, è un genere di primissima necessità; ma il ragazzetto, ch’era del Genio è col suo pallore femmineo destava vaghi sospetti d’astemia, non fu dello stesso parere. Del resto alla stazione continuavano ad innalzarsi tali cataste di proiettili di tutti i calibri, che non osammo

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