Lo scudo di Atena
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Anteprima del libro
Lo scudo di Atena - Massimo Bartilomo
633/1941.
Prefazione
Salve a tutti i miei undici lettori..
Eccoci ancora una volta insieme qui a vedere cosa combineranno i nostri amici...
Il tempo trascorso dal mio scritto precedente questa volta è stato molto di più, questo è un libro pesante e pesato, che mi ha chiesto molto tempo e molta energia, ma mi hanno dato forza due persone speciali a cui voglio molto bene e a cui dedico il libro...
Ad Alessia, mia amica e compagna, per quello che mi ha dato, sta camminando con me su questo tratto di strada, anche se probabilmente ha camminato al mio fianco da sempre, pur su piani temporali diversi.
A Benedetta, mia figlia, per quello che non mi ha tolto anche quando tutti lo hanno fatto..le auguro un futuro radioso come merita, c'è un pizzico di lei in ogni mio libro...
C' è molto di lei in questo !
...ora scusate se scendo nel personale, appena prima che il libro andasse in stampa, Claudio ci ha lasciato per sempre, ci mancherà molto per la sua pacatezza...forse un giorno torneremo ad allenare ancora insieme...
Prologo
Dopo aver combattuto per anni contro i nemici di sempre, Atene , vinta dal morbo che l'ha subdolamente colpita, deve arrendersi...
I suoi nemici la costringono a consegnare la flotta ed abbattere le lunghe mura che difendevano la città...
Un nuovo governo di tiranni con a capo Crizia viene instaurato, la fiaccola dell'umanità sembra destinata a spegnersi...
Solo pochi uomini hanno il coraggio di ergersi contro la dittatura...
Settembre
Il sole scendeva, lentamente, contribuendo a colorare di rosso tutta l’acropoli.
Lo spettacolo dei caldi colori autunnali che andavano a tingere i marmi bianchi delle costruzioni e delle statue era tale da togliere il fiato.
Anni di duro lavoro e di sfide dell'ingegno umano erano state necessarie per arrivare ad un simile livello.
Atene, la bella Atene, la culla della civiltà e della cultura, giaceva pigramente distesa nella sera, inconsapevole della sorte che si sarebbe accanita su di lei.
Non molti avrebbero dormito sonni sereni nei prossimi mesi.
Il vento leggero portava con sé i profumi turbinosi del mare e delle terre che aveva accarezzato nel suo passaggio e recava inoltre, l’odore profondo dei fichi oramai maturi e delle erbe dei campi che attendevano solo di essere colte.
Ma portava con sé anche l’odore della morte e della malattia che serpeggiava tra i vicoli della città bassa e che, come un castigo divino, e forse lo era, considerando l'accanimento con cui si era manifestata, colpiva giovani e vecchi, poveri e ricchi, senza alcuna distinzione.
La sinistra mietitrice si muoveva rapida a cogliere i frutti del suo raccolto, fiaccando la voglia della gente di resistere ancora contro tutti.
Pericle, affacciato a guardare la sua città, ristette un attimo ad ascoltare i gemiti e i lamenti che si udivano, sempre più frequentemente, salire dalle strade cittadine.
Chiuse gli occhi e strinse forte i pugni sul parapetto di marmo della balconata, quasi che con quel gesto potesse allontanare i suoni e i pianti di terrore dei bambini e le lacrime disperate di coloro i quali avevano perso un congiunto oppure un amico.
Aveva fallito…lo sapeva…ne era conscio e sentiva tutto il peso della responsabilità sulle sue spalle.
Si voltò lentamente…erano tutti lì che aspettavano le sue decisioni.
Lo scrutavano ansiosi e speranzosi, come se lui potesse, come sempre, ad un suo comando, modificare la fine oramai imminente.
Pericle, il grande Pericle, vincitore di mille battaglie sui campi di battaglia e nell’agorà, contro nemici esterni e contro quelli più subdoli interni, quelli gelosi di ciò che aveva fatto, di quello che era riuscito a creare per la polis, oramai aveva perso la sua ultima battaglia.
Atene era un sogno, il suo sogno, come quello delle migliaia di persone che avevano vissuto e combattuto per lei, e per lei si erano immolati per un' idea, per un principio.
Per lei erano morti ed avevano subito ferite, per lei avevano discusso e tramato, studiato e lottato, cercando di farla risplendere alta e magnifica fino ad arrivare a specchiarsi con l’Olimpo…
E forse per questo motivo gli dei si erano adirati nel vedere una città così simile alla loro, in essa vedevano persone che non avevano più bisogno del loro aiuto per crescere e dominare il mondo conosciuto.
Persone che li avevano messi da parte, dimenticando di onorarli come dovevano o forse come volevano.
Per questo giacevano irati fra le nubi, sordi alle invocazioni che salivano dai vicoli che li imploravano ancora una volta di aiutarli, anzi, sempre di più si accanivano contro la perla della Grecia.
Solo la divina Atena era rimasta con loro, benevola fino alla fine, cercando disperatamente di salvarli da un probabile oblio.
Atena che aveva donato alla città, fin dai tempi della sua fondazione, il suo scudo per proteggerla, ma contro tutto e tutti nemmeno lo scudo di una dea poteva bastare.
Dal mare, un irato Poseidone, profondamente piccato per non essere stato scelto come dio principale della città, mandava maremoti contro la potente flotta ateniese, rallentandone i commerci e gli spostamenti, osteggiandola nelle battaglie e facendone affondare, non appena possibile, le navi che portavano derrate alimentari e truppe destinate a sostenere la città.
Dalla terra il vendicativo Ares incitava e sosteneva gli spartani, i nemici di sempre ed i loro alleati contro le truppe della lega ateniese che combattevano strenuamente per difendere i territori.
Dal cielo il pallido Apollo guidava sul suo carro infuocato, schiere di semidei e nemici feroci in un' alleanza globale anti-ateniese.
Neanche il potente Zeus, padre degli dei, riusciva a mettere un freno ai suoi figli e ai suoi fratelli dal distruggere la bella città, eppure gli ateniesi lo avevano onorato pienamente, ponendo nel Partenone una enorme statua della figlia del capo degli dei in avorio e oro.
Ma lui non aveva la forza di difenderla da tutti quanti, o forse non ne aveva molta voglia.
Tutto e tutti tramavano contro Atene e contro il suo simbolo, il valente Pericle, colui che più di tutti aveva dimostrato cosa gli uomini potevano fare anche senza l’aiuto divino, colui che aveva dimostrato a tutti come gli uomini potevano crescere e diventare forti e potenti, come Prometeo anni prima aveva fatto.
Pericle entrò lentamente nella sala del consiglio… sentiva i suoi calzari rumoreggiare sullo splendido mosaico dei pavimenti di marmi colorati della Frigia.
Faticava molto a muoversi negli ultimi giorni, aveva brividi di freddo che gli correvano lungo la schiena e dolori articolari che non aveva mai provato prima, ma non ci fece molto caso, sapeva a che cosa era dovuto ma non gli importava più di tanto.
La sua mente era già pronta ad ascoltare il resoconto dei suoi consiglieri e sedendosi, fece cenno agli astanti di fare lo stesso…sarebbe stata una lunga nottata, e non aveva molto senso sprecare risorse fisiche importanti solamente con lo stare diritti come le colonne dell'Eretteo.
Dopo qualche attimo di silenzio, quasi trattenuto per il timore di ricevere altre brutte notizie, guardò per primo il consigliere militare che era appena giunto dal luogo dell’ultima battaglia.
Sperava che recasse buone notizie, tali da riportare un po’ di speranza nella città fiaccata dalla sconfitta, ma purtroppo, dallo sguardo sfuggente di quest'ultimo, capì immediatamente che qualche cosa non era andato secondo i piani che avevano deciso insieme.
Andromaco, il consigliere militare infatti, con voce bassa, riferì che avevano perso ancora una battaglia contro gli Spartani, questa volta sulle pianure di Karjes mentre tentavano di attaccare direttamente Sparta.
Avevano camminato a lungo nascosti nei boschi per prendere di sorpresa l'avversario, ma erano stati traditi dalle guide prezzolate dal nemico e condotti in un' imboscata dove, a stento, erano riusciti a rompere l’accerchiamento salvando così il grosso delle truppe e tornare in città.
"Mi dispiace ma erano più numerosi e più forti di noi, ci hanno attaccati appena abbiamo lasciato le montagne alle nostre spalle e stavamo procedendo spediti verso Sparta, erano centinaia, ci aspettavano per distruggerci, a stento siamo sopravvissuti, ma abbiamo perso moltissimi uomini valenti.
Anche i nostri alleati di Delo hanno combattuto valorosamente e perso centinaia di uomini...e li ho visti io stesso piangere per la vergogna della sconfitta e per aver dovuto abbandonare i loro fratelli morti sul campo di battaglia allo scempio che il nemico faceva dei loro corpi!"
Disse concludendo il suo rapido e triste resoconto con un filo di voce abbassando la testa.
Il silenzio scese pesante nella stanza…parecchi volti si incupirono, anche perché consapevoli a loro volta, di essere latori di cattive notizie.
Infatti le brutte notizie sembravano rincorrersi l’un l’altra quasi come si rincorressero in una gara destinata ad arrivare fino alla catastrofe finale.
Anche la flotta ateniese, la potente flotta che aveva sbaragliato l'impero persiano, da sempre orgoglio e vanto della città era stata sconfitta riportando pesanti perdite in una battaglia contro le forze della lega spartana.
E se il vantaggio numerico questa volta era a favore di Atene, la bravura dei nemici, sommata ad una ampia dose di sfortuna o aiuto negativo degli dei, aveva colmato l'ampio divario delle due flotte. Atene aveva riportato una delle più gravi sconfitte della sua storia.
La sola notizia positiva era data dalla fine dei lavori di costruzione delle lunghe mura, le mura che circondavano la città arrivando, senza soluzione di continuità, a difendere il porto del Pireo, da dove arrivavano i rifornimenti che avrebbero permesso alla città di sostenere un lungo assedio che i più oramai paventavano.
Con le pergamene dei vari rapporti pesanti come macigni fra le mani, Pericle ristette un momento.
Il peso della sconfitta era insopportabile, mai avrebbe pensato di arrivare ad un giorno così drammatico.
Dopo istanti in cui tutti speravano in un suo ennesimo miracolo lui alzò uno sguardo rassegnato.
" Non abbiamo molte altre cose da fare, purtroppo….
La situazione è disperata…perfino gli dei sono contro di noi…
Il morbo imperversa per le strade cittadine, mietendo centinaia di morti fra la popolazione e fiaccando la voglia di combattere delle nostre truppe, preoccupate dalle tragiche notizie che arrivano da casa.
I nostri eserciti e la nostra flotta continuano a riportare sconfitte, ed i nostri alleati, paventando la nostra sconfitta, come iene paurose ci lasciano da soli ad affrontare il nemico.
Dobbiamo arrenderci, è la sola cosa che ci rimane da fare, prima di arrivare alla distruzione completa.
Atene deve sopravvivere nonostante tutto!
La culla della civiltà può ammettere la sconfitta ma non può sopportare la distruzione, la luce che abbiamo portato all’umanità non deve spegnersi!
Il mondo umano non può permettersi una simile perdita."
Ristette respirando faticosamente un momento, soppesando le parole che aveva appena pronunciato, lo sguardo triste fissava gli altri consiglieri che, ascoltate le sue parole, erano in preda allo sconforto totale.
" Manderemo nei prossimi giorni dei messaggeri a Sparta per trattare una resa onorevole, ce la concederanno, sanno che non potranno avere sempre gli dei dalla loro parte, ed anche a loro non conviene la nostra distruzione, gli potremmo sempre servire quando la Persia volgerà ancora lo sguardo contro le libere città greche.
Prima di farlo però dobbiamo rendere ancora un favore alla nostra città, un ultimo sforzo per lei, per la nostra storia e per Atena stessa, la nostra dea che ci ha sempre protetto e che non merita l'onta del disonore .
Dobbiamo avere il tempo di portare in un luogo sicuro lo scudo che Atena ci aveva donato alla nostra fondazione, come difesa della città stessa.
Una simile reliquia non può e non deve cadere nelle mani empie dei nostri nemici!
Immaginate quello che ne potrebbero fare."
Proseguì dopo un attimo di pausa.
"Chiederò al nostro più saggio amico di provvedere allo scopo, lui saprà cosa fare e come…
Chiamate Socrate e ditegli di venire in fretta, il viaggio sarà lungo ed insicuro!"
Tutti lo guardarono stupiti…
Socrate? Quel vecchio rimbambito?
Affidare lo scudo ad una persona così equivaleva considerarlo perduto per sempre.
Nella migliore delle ipotesi, lo avrebbe fatto cadere addirittura nelle mani degli spartani che se ne sarebbero vantati fino alla fine dei giorni e avrebbero deriso gli ateniesi per l'eternità.
..ma Pericle!…
Cominciò ad obbiettare il ciberneta della flotta.
Come responsabile della sicurezza navale, un eventuale viaggio via mare sarebbe rientrato sotto la sua giurisdizione.
" Socrate è inaffidabile, sarà pur saggio, a detta tua e solo di pochi altri in questa città, ma un compito così importante necessita di una figura altamente preparata, ho almeno una dozzina di nomi di coraggiosi triarchi che sarebbero sicuramente più adeguati al compito.
Uomini d'arme valorosi e pronti anche ad immolarsi, se necessario, per una nobile causa come questa…"
Pericle sorrise a quella osservazione, notando che tutti gli astanti erano, chi più chi meno, concordi con l’affermazione del ciberneta.
"…ed avete ragione…ma è anche quello che si aspettano che facciamo i nostri nemici…le spie prezzolate dal nemico che circolano per la città informerebbero immediatamente i loro capi appena uno di questi dovesse entrare nel palazzo del consiglio.
Ed una schiera di sicari sarebbe in men che non si dica sulle sue tracce non appena varcherà queste sicure mura e quindi la missione sarebbe compromessa in fretta!
Per questo motivo lo affideremo al più improbabile dei messaggeri, la sola persona di cui non ne sospetterebbero mai la missione."
Concluse con ferrea logica Pericle sorridendo ed alzandosi in piedi…per lui la riunione era finita, e dall’alto del carisma e del potere che aveva, si aspettava che nessuno avesse altro da ridire.
Così fu infatti e velocemente gli astanti abbassarono la testa in segno di assenso e andarono con passo militare verso l’uscita.
Solo uno ebbe un attimo in cui sembrava voler obbiettare qualche cosa, ma subito ammutolì, non sentendosi più supportato dai colleghi.
Nessuno infatti osava contraddire il grande Pericle, anche se pareva fosse uscito di senno, per cui, anche se malvolentieri, lasciarono il luogo della riunione per tornare ai loro compiti, preparandosi ad una resa per loro inaspettata.
Dopo la loro uscita il silenzio invase le ampie stanze vuote.
Pericle stette un attimo in piedi, quasi per assicurarsi che nessuno sarebbe tornato indietro protestando, dopo di ché andò a sdraiarsi faticosamente sul triclinio.
Era malato…lo sapeva da qualche giorno…i sintomi erano comparsi lentamente, come una normale malattia, ma lui sapeva che non era tale.
Non vi era nulla da fare, la febbre era salita ed i battiti del cuore erano accelerati…per quanto tempo sarebbe riuscito a tenerlo nascosto?
Qualche ora? Qualche giorno?
E poi non sarebbe stato più lucido, il morbo lo avrebbe preso e divorato lentamente dall’interno, prosciugandolo istante dopo istante, devastandolo senza speranza alcuna di guarigione.
Come aveva fatto con i suoi parenti prima…come avrebbe fatto a centinaia di altre persone ad Atene, decimandone la migliore gioventù e privandola della sola cosa che contava…la speranza nel futuro.
Ma doveva resistere ancora un po', solo qualche altro giorno prima di lasciare che il morbo vincesse la sua battaglia.
Socrate
"….vedete… proprio questo è il comandamento principale che mi viene imposto dal Dio!
E sono perfino convinto che la stessa Atene debba sottolineare con forza e al mondo tutto questa mia dedizione alla obbedienza dell’ordine supremo.
Tutto l'agire che ho tenuto nella mia vita sta in questo: andare in giro a persuadere giovani e vecchi a non pensare al fisico, agli onori, alle ricchezze!
Questi sono beni risibili, destinati a svanire col tempo.
Ma a pensare piuttosto all’anima.. facendo si che essa diventi buona…perfetta….pensare che il nostro agire quotidiano debba puntare alla massima perfezione sul piano etico…."
Socrate era impegnato a dialogare animatamente con i suoi discepoli, tanto che non si avvide del messo cittadino che, in verità era comparso inaspettato e si era messo educatamente in un angolo ad aspettare la fine del suo monologo finché Platone non glielo fece notare.
Socrate fece un cenno col capo rivolto al messaggero facendogli intendere che lo aveva visto e finì tranquillamente la sua lezione.
Senza fretta, come sempre, quando insegnava il suo credo.
"…. E da qui deriva quindi il famoso detto Γνῶθι σεαυτόν…conosci te stesso… un invito a cercare dentro se stesso le risposte…senza necessariamente dipendere da filosofi o da distanti dei che poco si occupano delle cose terrene…
Dentro di noi abbiamo la risposta per tutto! Bisogna solamente trovare il modo di farla venire alla luce, come un bambino quando viene alla luce."
Detto ciò si alzò, terminando così la sua lezione, tra il silenzio dei suoi discepoli che ristettero a meditare in silenzio le parole