Il tempo perduto e ritrovato
Di Mario Pozzi
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I nostri dubbi e le nostre paure ci trascinano fin da quando abbiamo lasciato le acque materne in quel sogno prenatale dove tutto ha inizio e ci portano dove tutto finisce. Tutto finisce con la vita e nulla può ritornare, ciò che abbiamo perduto è un preludio dove tutto s’intensifica nella nostra coscienza, ma a cosa valgono la coscienza e la ragione se ciò che viviamo fugge e non sappiamo dove fugge? Le nostre passioni sono vaghe chimere che s’adombrano nel passare del tempo e scivolano nello scorrere della vita che si perde nel dilagarsi delle stagioni dove tutto passa e si ripete come in un nebuloso sogno, il sogno della vita e del suo disvelarsi lungo il passare dei giorni, dei mesi, degli anni. Ma se tutto questo è un sogno? E’ un sogno che vorremmo ripetere all’infinito, ma ciò che non conosciamo ci ha messo un limite quello della morte, dove tutto tace.
Ma non tace la vita e la sua densità dove ci perdiamo e ci ritroviamo nello sconfinato bisogno d’amare e di essere amati. Ma se l’oggetto amato viene perduto e poi ritrovato nei meandri della nostra solitudine in un tempo dove “l’estate” che è la nostra giovinezza ha lasciato il posto “all’inverno” la vecchiaia. L’illusorietà di ciò che abbiamo amato si perde nel dolore e nel rimpianto di ciò che è stato e non sarà mai più. In questo viaggio della vita ci accompagneranno il gatto Murr di Hoffman e il suo signore il Demonio.
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Anteprima del libro
Il tempo perduto e ritrovato - Mario Pozzi
Mario Pozzi
IL TEMPO PERDUTO
E RITROVATO
Romanzo
AbelBooks
Proprietà letteraria riservata
© 2018 Abel Books
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Abel Books
via Milano 44
73051 Novoli (LE)
ISBN 9788867522149
La vita dei sogni vissuti e spenti che tramite i miei occhi come quelli d’un gatto felino, l’hanno azzannata dal suo inizio alla sua fine. E non c’è cosa più bella che cercare nei nostri sensi il richiamo della nostalgia di tutto ciò che passa e non tornerà mai più! Al di là dei sogni c’è la vita umana. È cos’è la vita nella nostra natura cosiddetta e umana? Un nulla dentro un altro nulla, quello di noi stessi. I nostri sensi sono ciò che la ragione non può esprimere. Sentono solo il grido dell’universo e si dilatano in un vuoto che non ha confini. Mario Pozzi Accademico
Poeta scrittore d’opere teatrali critico letterario romanziere studioso delle belle arti.
Dunque chi sei?
Sono quella forza che eternamente vuole il male ed eternamente opera il bene. (Goethe, Faust)
Chi sono? Sono la parte oscura che opera il bene per mascherare eternamente il male. (Mario Pozzi)
Il tempo perduto e ritrovato è l’ultimo sussulto della memoria.
Il tempo della vecchiaia e del suo lungo silenzio dove il grido della giovinezza passata non è che un ricordo nella consapevolezza che tutto ciò che piace al mondo è breve sogno – Francesco Petrarca. Se un uomo come Ungaretti all’età di ottant’anni punto da una rosa, nel pieno del suo inverno e della sua anima gelata ritrova quel smemorarsi in un grido
nel dolce sogno d’una fanciulla che riaccende i sensi ormai sopiti ad un uomo ormai stanco, vuol dire che il bisogno d’amare si perde nell’eterno.
Questo è il nono romanzo che scrivo e alla mia età di sessantaquattro anni è una ricerca del tempo perduto, Marcel Proust.
La vita è un susseguirsi d’illusioni che si modificano nel complicato divenire del tempo. Il tempo questo fiume che scorre nel susseguirsi delle stagioni e ci trascina inesorabilmente verso la morte, il buio eterno, il nulla. Il sopravvivere a lui è solo la forza d’amare in qualunque aspetto si presenti.
Il ritrovamento del Maestro e Margherita
di Bulgakov e il suo compagno Il gatto Murr
di Hoffman ci accompagneranno a scoprire l’illusione della vita e del suo eterno dolore.
I temi trattati sono la solitudine dell’uomo e che un aspetto crudele e inumano è intrinseco della nostra natura, ci rende fragili al manifestarsi della nostra vita governata da forze oscure che ci portano a non essere padroni assoluti del nostro destino. Il dolore è la componente primaria della vita, in esso si ritrova il senso del nostro esistere, la felicità è una chimera un sogno che svanisce al breve attimo d’un mattino. Sigmund Freud Se è stato scritto il quinto comandamento non uccidere, vuol dire che discendiamo da una genia di assassini.
Il male è la portante dell’evoluzione umana ed è impastato nella nostra natura.
Cracovia questa città che ho amato e poi dimenticato nei meandri della mia anima. Sono passati più di quarant’anni dall’ultima volta che ci sono stato e adesso mi ritrovo qui senza sapere perché con un vuoto interiore, un vuoto simile alla morte.
Autunno, il dolce autunno sognato, il suo rosso manto discende nelle sera avvolgendo questa città perduta nel suo silenzio, città sublimata nella mia mente e poi dimenticata il tempo la congelata nei meandri del mio cuore, eppure qui mi sono perduto l’ho amata come in una favola, la favola bella della mia giovinezza.
Ormai sono un vecchio che è passato nella vita come in una bufera dove i sogni, gli amori si sono susseguiti con il divenire delle stagioni melodioso canto che si ha trascinato nella mia vita come una lunga sinfonia, la sinfonia della vita e del suo mistero.
La piazza di Cracovia, la piazza del mercato dove il tempo finito è un lungo singulto malinconico: dolce malinconia che in me discendi e apri il languore d’un tempo morto, un tempo fuggito, perso in non so quale luogo oscuro come il manto di questa notte autunnale dove si rispecchia questa piazza sprofondata nel suo silenzio. L’ora è tarda e m’incammino verso un antico palazzetto che avevo comprato non so neanche io perché. Avevo venduto delle proprietà della mia famiglia in Italia dove tutti quelli che amavo erano morti, ero rimasto solo e vecchio anche se la mia figura era rimasta piacevole e sempre affascinante era la mia anima che era invecchiata come nel ritratto di Dorian Gray.
Camminando verso casa sentii dei passi che mi seguivano, mi voltai e vidi nell’ombra una figura alta che si era fermata a diversi metri da me e mi guardava silenziosa, ciò che mi colpì erano i suoi occhi rossi come quelli della brace sfavillavano nella notte come qualcosa d’inquietante. Continuai a camminare fino ad arrivare al portone di casa aprii, entrai nel salone e mi misi a sedere su una poltrona pensando a quella misteriosa creatura che mi seguiva nella notte. I miei pensieri erano confusi vagavano attraverso il salone che era pieno di ombre, ombre come fantasmi che mi seguivano da diverso tempo ormai da quando ero solo nel vuoto dei ricordi. Questo lungo fiume che ti trascina nelle immagini perdute della tua vita vissuta.
Mi alzai accesi una lampada e andai in cucina, presi una bottiglia di champagne l’aprii, presi un bicchiere a calice, tornai alla poltrona e ne bevvi due bicchieri finché non mi addormentai.
La luce del mattino filtrando dalle finestre mi accarezzò il viso con il suo dolce tepore svegliandomi, alzandomi pensai a quello strano individuo. Che avevo intravisto la sera prima. Forse era stata solo una mia fantasia. La senilità porta in sé il male del vivere, il vagare nella nebbia della vita dove si annidano i fantasmi d’un tempo perduto.
Andai a farmi una doccia, girando per questa antica casa piena di mobili antichi e di quadri e di arazzi che si perdevano dentro un tempo antico, mitico come mitica era questa città dove avevo vissuto nel tempo felice, nel tempo spensierato dove solo l’amore contava. Per uno strano destino l’avevo ricomprata, era il luogo dove avevo conosciuto la felicità, breve battito d’ali d’un tempo fuggito. L’ avevo ricomprata per rivivere nei ricordi quel tempo perduto e lontano.
Ero nato a Roma in una grande casa anch’essa piena di mobili di quadri antichi dove mia nonna materna aveva una pensione prima della seconda guerra mondiale nel periodo fascista. E in questa casa Umbertina costruita nell’ottocento dalle enormi stanze e dai soffitti altissimi e lì che cominciai a sentire la solitudine che viveva già in me da quando avevo lasciato le acque materne, la profonda solitudine del vuoto, lo sgomento e il senso di paura dell’ignoto. Ricordo che un grosso gatto nero entrava e usciva quando voleva dalla casa. Una notte lo trovai ai piedi del mio letto che mi guardava, aveva gli stessi occhi di brace che vidi la sera che avevo incontrato lo sconosciuto signore. Mi sussurrò che il suo padrone lo aveva mandato per dirmi che da ora in poi mi seguirà per sempre, ebbi tanta paura che mi si gelò il sangue, mi nascosi sotto le lenzuola e mi addormentai. Al mattino svegliandomi lo cercai per tutta la casa ma non lo trovai. Pensai? Lo sognato o è stato soltanto un sogno. Ma l’angoscia di quel ricordo e di quello che mi aveva detto la portai dentro di me come una malattia.
Mi venne in mente la dolce figura di una bambina che abitava in quel palazzo, con la quale giocavo. La portai in cantina e giocammo al dottore, tirandogli su la gonnellina e scostando le mutandine per finta gli feci una puntura con il dito. Il cuore mi batteva veloce e un dolce languore mi scendeva dentro. Era il primo atto di sessualità che mi portai in me tutta la vita. Voltandomi vidi acquattato in un angolo che mi fissava con quegli occhi di brace il gatto nero, dallo spavento presi la bambina per mano e scappammo su per le scale. Corsi a casa e mi nascosi dentro il grande armadio a muro che stava dietro la porta all’inizio del lungo corridoio, stetti lì per parecchio tempo finché sentii la voce di mia madre che mi chiamava: Mario, Mario dove sei che la mamma ti cerca. Uscii dall’armadio e corsi verso