La guerra di Dario. Vivere e morire a Napoli
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Recensioni su La guerra di Dario. Vivere e morire a Napoli
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Anteprima del libro
La guerra di Dario. Vivere e morire a Napoli - Paolo Miggiano
9
Prefazione di Vincenza Alfano
Le parole di Paolo Miggiano scavano dentro la storia. Storia di questi anni, storia della città, storia di ciascuno di noi. Raccontano la storia di tante storie le parole di Paolo Miggiano. Storie tutte uguali e diverse. Storie insanguinate. Storie che non hanno senso. Lo fanno senza aggiungere dettagli inutili, ritraendo momenti di vite spezzate senza un perché. Ci lasciano muti di fronte a un dolore agghiacciante, dolore di madre, di padre, di fratello, di uomo, di cittadino. E cosa si potrebbe aggiungere quando una storia è così forte da sé? Sono storie che non hanno bisogno di uno scrittore, occorre un testimone. Così Paolo Miggiano si muove agevolmente tra esigenza di cronaca e narrazione. La sua prosa asciutta, misurata, ma sempre giusta, sa scavare dentro di noi il baratro di un dolore senza resurrezione. Ci si può attendere solo una catarsi ma bisogna passare attraverso il fuoco della sua passione, della sua sete di giustizia, della sua vita spesa nella costante e operosa lotta alla criminalità. Lo ha fatto combattendola in prima persona come poliziotto e continua a farlo ancora con l’arma potente della scrittura che padroneggia mirabilmente.
La guerra di Scampia la più cruenta e feroce tra le tante faide di camorra non è la guerra di Troia. Nel mondo antico la guerra si combatteva con onore e rispettava i valori della comunità. Quelli che scendevano in battaglia erano eroi che difendevano gli Ideali di una collettività che si riconosceva nelle loro imprese. Quegli eroi agivano nel rispetto di un preciso codice etico. Esisteva la vergogna di chi abbandona il proprio popolo nel momento del bisogno, gettando le armi e fuggendo via. Esisteva il dovere di sacrificarsi e morire in battaglia per la patria. Esisteva il valore della sepoltura dei corpi. L’obbedienza agli dei. La difesa delle donne e dei bambini. L’amicizia. Anche la morte, luttuosa, prematura, dolorosa s’inscriveva in un orizzonte di senso che permetteva a chi restava in vita, spose, figli, genitori, di sopravvivere. E si accettava l’esilio, il pellegrinaggio, la servitù in una terra straniera conservando nel cuore l’esempio valoroso dei propri eroi.
La guerra di Scampia non ha eroi, forse è sbagliato perfino attribuirle il nome di guerra. Non ci sono eserciti in questa guerra. Non ci sono arruolati. Si muore per sbaglio e senza combattere. Questa guerra non ha eroi ma solo vittime. Vittime innocenti - scrive con straordinaria lucidità e forza Miggiano - che con la camorra non hanno proprio nulla a che fare, che stanno per i fatti loro e pure muoiono. Sono gli effetti collaterali della guerra, che poi non è proprio una guerra, perché la maggior parte delle persone non l’ha dichiarata questa guerra.
Bisogna commuoversi, bisogna piangere, bisogna indignarsi. Il racconto di Paolo Miggiano muove questa indignazione necessaria per combattere un male che non riconosce nessuna legge etica, che non ha un codice.
Antonio che non sapeva camminare, "non può correre e viene ucciso, senza pietà".
Sedici giorni dopo tocca a Gelsomina Verde, "al cadavere, martoriato dai colpi, si deve infliggere un ulteriore oltraggio", scrive Miggiano e con questa incisiva frase scolpisce nella mente del lettore la crudeltà di chi ha voluto arrecare un’estrema offesa alla sua bellezza.
Poche pagine scandiscono un tempo incalzante: quattordici giorni dopo viene ucciso Dario Scherillo. Un’altra morte ingiusta e senza senso. Dario muore per uno scambio di persona. Così ne scrive Miggiano: Dario ha solo l’armatura, ma nessuna voglia di combattere.
Infine la storia più dolorosa tra tutte perché a morire è un bambino: Fabio era solo un puntino in tutto questo mondo. Un bambino che non poteva sapere, né comprendere che cosa stesse avvenendo in quei giorni di luglio del 1991. La scrittura di Paolo Miggiano diventa incalzante, affidata al ritmo martellante e stentoreo dell’anafora presente in più capoversi: Fabio, però era solo un bambino; Fabio era solo un bambino e poco se ne importava di quello che stava accadendo…; Fabio non era in grado di capire; Se Fabio fosse stato più grande; Se quei vigliacchi gli avessero dato il tempo; Era ancora molto piccolo Fabio. Non abbiamo scampo di fronte a un’immagine univoca, un bambino massacrato per errore, per aver intercettato la traiettoria di un proiettile, un’immagine che grida alle orecchie di chi, potendo, sceglierebbe di diventare sordo e cieco per non affrontare un dolore così.
Con un imprevedibile colpo di scena lo scrittore ci conduce di fronte alla quinta storia che è una storia diversa. La storia di Antonio e Nina morti il 18 novembre del 1995, durante un’operazione di soccorso con un elicottero della Polizia di Stato di Napoli.
Due ragazzi che volevano vivere. Due ragazzi che non volevano morire quel giorno. Due ragazzi posti di fronte a una necessità. Il cuore si gonfia di dolore. Ancora una volta. Ancora una volta Paolo Miggiano sa trovare le parole.