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Sotto questi alberi. Storie di donne
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E-book128 pagine1 ora

Sotto questi alberi. Storie di donne

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Info su questo ebook

Accomunate dall’esperienza dolorosa dell’esodo, alcune donne, ospiti in un campo profughi a seguito della fine del secondo conflitto mondiale, si confrontano mettendo a nudo le loro emozioni e le esperienze che hanno forgiato il loro carattere. Vittime della Storia che rende l’uomo protagonista di eroiche imprese, la loro assenza dallo scenario storico è motivata dal ruolo sociale che erroneamente le relega in uno spazio angusto e assolutamente inadeguato.
Queste donne rivendicano la loro appartenenza alla società denunciando soprusi e maltrattamenti fin troppo noti alle cronache di tutti i tempi. Il cammino di Maria, Dolores, Sofia, Ludovica, e tante altre si intreccia indipendentemente dal loro volere e insieme percorrono le strade della speranza, della condivisione dei sogni.
Dai loro incontri in mezzo alla natura, tra gli alberi, traggono quella forza necessaria per reagire alle intemperie della vita: la nostalgia dei luoghi natii, le angherie e i luoghi comuni che etichettano il sesso femminile, violenze psico-fisiche di uomini che spesso sono vittime di loro stessi. Ne nascono degli esseri rinnovati e pronti alla vita, come orchidee bellissime dal fascino straniero
Sotto questi alberi. Storie di donne, di Alberto Libeccio, è un romanzo tutto al femminile, visto e raccontato da un uomo che molto probabilmente ama moltissimo le donne.

Alberto Libeccio è nato a Napoli l’11 luglio 1958.
Laureato e specializzato in materie giuridiche all’Università “Federico ii” di Napoli, ha intrapreso la carriera nella Pubblica Amministrazione, arrivando a ricoprire incarichi di vertice.
Pensionato, è sposato e ha quattro figli. Vive a Napoli con la sua famiglia.
La sua prima opera è stata L’orologio dalle lancette blu, pubblicata dalla casa editrice Albatros-Il Filo nel febbraio 2021, con la quale ha ottenuto un importante riconoscimento alla 46^ edizione del Premio letterario Casentino 2021, con la “Segnalazione speciale della Giuria”; il “Premio di merito” alla 5^ edizione del Premio letterario Milano International 2021; il “Diploma di merito” alla xv edizione del Premio letterario nazionale Alberoandronico.
LinguaItaliano
Data di uscita30 nov 2022
ISBN9788830673267
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    Sotto questi alberi. Storie di donne - Alberto Libeccio

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    Alberto Libeccio

    Sotto questi alberi

    Storie di donne

    © 2022 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-6045-8

    I edizione agosto 2022

    Finito di stampare nel mese di agosto 2022

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    Sotto questi alberi

    Storie di donne

    I fatti narrati sono parzialmente ispirati a storie vere.

    Tutti i nomi sono di pura fantasia.

    Questo libro è dedicato

    a tutte quelle donne

    che combattono ogni giorno

    la loro battaglia per la vita

    inosservate e nel silenzio.

    Prefazione

    Tityre, tu patulae recubans sub tegmine fagi

    silvestrem tenui Musam meditaris avena;

    nos patriae finis et dulcia linquimus arva.

    Nos patriam fugimus; tu, Tityre, lentus in umbra

    formosam resonare doces Amaryllida silvas

    Quando Virgilio, nell’egloga prima delle Bucoliche, fa pronunciare queste parole a Melibeo, che invidia a Titiro la possibilità di rimanere nei luoghi dove da sempre ha vissuto, mentre lui e gli altri sono costretti all’esilio, ricorre allo sperimentato topos letterario dell’albero sotto la cui ombra si trova protezione e pace. Albero simbolo di radicamento, contrapposto allo sradicamento dell’esilio, dell’emigrazione forzata, della fuga a cui la Storia condanna le incolpevoli vittime delle guerre e dei rivolgimenti politici.

    Non desta sorpresa, quindi, che le protagoniste delle storie raccolte e trasposte da Alberto Libeccio, partecipi dei violenti esodi causati dalla Seconda guerra mondiale, si riuniscano all’ombra degli alberi nell’agorà di un campo per rifugiati, dove affrontano la loro nuova dura condizione esistenziale con la speranza di ricostruire la loro vita, partendo dalla volontà di far memoria, di confrontarsi per condividere esperienze, dolori, sentimenti come soltanto le donne sanno fare, per confortarsi reciprocamente, certo, ma soprattutto per ritrovare le radici da cui sembrano essere state divelte.

    Vittime, testimoni di efferatezze e crudeltà, consapevoli di essersi salvate da destini peggiori che hanno travolto tante e tanti che come loro hanno pagato il prezzo di politiche di sopraffazione, sono esse stesse simbolo.

    Simbolo, in primo luogo, di una delle più vergognose nefandezze delle guerre, di ogni tempo e in ogni luogo: l’accanimento verso il genere femminile che ne paga il prezzo maggiore: dopo la perdita dei mariti, della prole, degli uomini con cui avevano sperato di costruire il loro futuro, sottoposte anche a violenza fisica, come cosa rientrata nel legittimo possesso del vincitore…

    Siamo purtroppo abituati a resoconti simili, di cui sono piene le pagine di storia, che ci narrano i conflitti dei secoli e dei millenni passati, come le cronache più recenti che ci riferiscono delle decine di guerre in corso ai giorni nostri alle varie latitudini, alcune portate all’attenzione generale, altre nascoste o dimenticate a seconda della convenienza politica del momento.

    Per quanto nascoste, tuttavia, le guerre contemporanee, con il loro portato di profughi, a volte accolti, troppe volte respinti, ci mettono continuamente di fronte a due dei temi centrali di questo libro: da un lato lo sradicamento e la ricerca di nuove radici; dall’altro la necessità della solidarietà.

    Le protagoniste sono anche simbolo, però, della capacità di conservare dignità e razionalità, valori tipici dei difensori della vita e della pace, contrapposte all’indegnità e all’irrazionalità, proprie dei seminatori di discordie, promotori di guerra e di morte.

    L’autore, che nel suo primo lavoro "L’Orologio dalle lancette blu aveva dato voce alla generazione dei padri, dà ora voce alle madri, cogliendone le pregnanti riflessioni sulla breve stagione di una felice gioventù, subito travolta dall’incalzare degli eventi che ai quattro angoli dell’Impero fascista" preparavano per loro e per le loro famiglie giorni di disillusioni, pericoli, lutti ed irreparabili perdite di identità.

    Nei loro racconti, tuttavia, a mano a mano che si dipanano all’ombra confortevole degli alberi del campo profughi, emergono la forza di volontà, la determinazione, il coraggio di chi non si arrende all’apparente disfatta della vita.

    È la cifra delle donne: ricominciare, ricostruire, dare conforto e coraggio a chi ne è sprovvisto, dimostrare che le vittime sanno rialzare il capo, che la Vita, insomma, di cui esse stesse sono portatrici, come la Madre Terra che dà linfa agli alberi che in essa si radicano, può anche apparentemente essere negata, ma trova sempre il modo di riaffermarsi.

    Giovanni Rivera

    Nota dell’Autore

    Per andare avanti, prima bisogna fare qualche passo indietro e ricordare. Come spesso si dice, per sapere dove stiamo andando, dobbiamo sapere da dove veniamo.

    Un campo profughi che diventa luogo di incontri, dialoghi, confidenze tra donne.

    Le donne hanno la memoria di un popolo, sono il collante che ha rimarginato tutti gli strappi della Storia, hanno consentito il futuro di intere Nazioni con un lavoro costante, oscuro, indispensabile.

    Storie di donne che passano nella Storia, ricordando attraverso il loro non facile vissuto anche quale fosse la considerazione della donna in un passato niente affatto remoto, ma anzi molto prossimo ai nostri giorni.

    Le protagoniste di questi dialoghi, spesso umiliate, abbandonate a se stesse, che si trascinano frastornate alla ricerca di nuove strade su cui camminare, che sprofondano nell’ignoto esposte nella loro fragilità umana, portando con sé le paure vecchie e quelle nuove, ma che tuttavia, passando attraverso percorsi di dolore, riescono a resistere e reagire alle avversità più aspre, facendo della loro disperazione la più forte delle motivazioni.

    Premessa storica

    1943/1947: conclusa la Seconda guerra mondiale, il Trattato di Pace di Parigi paradossalmente ha sconvolto terre e popoli. Gli sconfitti pagano il conto della Storia. Sempre salato, senza sconti.

    Guerre e tavoli di pace: scelte di pochi che segnano i destini di molti, di interi popoli. Indirizzano il viaggio di milioni di uomini, dei loro figli e dei loro nipoti. E iniziano percorsi non immaginati, non pensati, con nuovi incontri e nuovi scenari.

    Sono le sliding doors, le porte girevoli, della Storia.

    L’Italia conobbe stravolgimenti di vite, da nord a sud, e anche all’estero, in tutti quei luoghi che avevano registrato l’insediamento di folte comunità di italiani, ma soprattutto nei possedimenti fuori dalla penisola, che avevano rappresentato il tronfio orgoglio fascista di possedere un impero. I luoghi e i popoli che avevano subìto l’occupazione italiana, piena della protervia in camicia nera, si toglievano dal collo un giogo mai accettato.

    Per effetto del Trattato di Pace si ebbe una cessione o restituzione di quei possedimenti, dalla Dalmazia a Istria, da Trieste al Quarnaro, dalle colonie africane di Libia, Eritrea, Etiopia, Somalia alle isole del mare Egeo: da quelle Terre si mossero forzatamente milioni di civili, cacciati e purtroppo anche malmenati dai popoli che, ognuno con la propria sete di vendetta e rivincita, riprendevano con la forza i territori precedentemente a loro sottratti con analoga forza e violenza.

    In questi luoghi sembrò un vero e proprio rovesciamento in mare degli invasori. Ma analogo destino toccò anche a molti italiani che avevano fissato i propri interessi in tanti Paesi, che pur non essendo delle vere e proprie colonie, fecero fatica a continuare ad accettare quella presenza nelle loro Patrie. Quanto di buono fatto nel precedente ventennio non servì a riportare la Ragione nei comportamenti e nelle scelte.

    Così, dopo la fine della guerra, un’onda anomala investì l’Italia già prostrata e in ginocchio. Profughi ed esuli da ogni dove, da ogni luogo in cui il fascismo si era allargato come una nociva, inquinante macchia d’olio.

    Con le loro valigie di cartone, i loro fagotti, le coperte formate e legate a cubi, in cui trovavano posto le poche cose che si era riusciti a portare con sé, sottraendole alla riappropriazione violenta dei vincitori.

    Esodi, una ricorrenza nella Storia dell’Umanità; sciagure ricordate poco, in maniera imperdonabile. È la Storia di quella parte di Umanità spaesata, umiliata, abbandonata a se stessa, che si trascina frastornata alla ricerca di nuove strade su cui camminare, che sprofonda nell’ignoto esposta nella fragilità umana, portando con sé le paure vecchie e quelle nuove.

    Nel corso dei secoli ci sono sempre stati esodi, sempre per ragioni economiche alla fine; ma esodo, forzato o volontario che sia, ha un solo ed unico significato: dolore. E basta.

    E ogni esodo trova sempre ostilità, diffidenza, timori e paure da parte di chi dovrebbe accogliere. Ma anche l’indifferenza, forse anche peggiore dell’ostilità, di chi non ne è coinvolto, di chi non ha sotto i suoi occhi il dramma degli esuli, perché ne sta fisicamente lontano.

    Tornano in mente le parole di Shakespeare, oggi sempre, e purtroppo, di grande attualità, tratte dal suo "The book of Thomas Moore: Vi piacerebbe trovare una nazione d’indole così barbara che, in un’esplosione di violenza e di odio, non vi conceda un posto sulla terra, affili i suoi detestabili coltelli contro le vostre gole, vi scacciasse come cani, quasi non foste figli e opera di Dio…? Che ne pensereste di essere trattati così?… Immaginate di vedere gli stranieri derelitti, coi bambini in spalla, e i poveri bagagli, arrancare verso i porti e le coste in cerca di ricovero…".

    In Italia si crearono i campi di accoglienza, per lo più semplici agglomerati di baracche.

    I campi profughi furono crocevia determinanti per tanti uomini, porti quieti, luoghi in cui in qualche modo finivano gli affanni e le pene di un esodo, da cui si sarebbe ripartiti per cominciare una vita nuova.

    Questi campi, in ogni caso, si elevarono a luogo di accoglienza, perché si realizzava in essi un’opera di salvataggio di esseri umani: e, come sta scritto nel Talmud di Babilonia: "Chi salva una vita salva il

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