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L'uomo dalla sciarpa arancione- Una storia fantascientifica alla milanese
L'uomo dalla sciarpa arancione- Una storia fantascientifica alla milanese
L'uomo dalla sciarpa arancione- Una storia fantascientifica alla milanese
E-book313 pagine4 ore

L'uomo dalla sciarpa arancione- Una storia fantascientifica alla milanese

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Info su questo ebook

Milano, settembre 2013. Alessandro Bistefani ha quasi quarantadue anni ed è laureato in Economia. Vive in un grigio quartiere di periferia e non ha un'occupazione stabile. Dopo anni trascorsi a subire angherie aziendali e gravi episodi di mobbing, ora passa da un lavoro temporaneo all'altro, privo di speranze, prigioniero di manie e routine.

Quando la sua strada incrocia quella di Sergio Cavedano, uno scienziato geniale e strampalato, braccato da un gruppo di malviventi che vuole a tutti i costi impossessarsi delle sue futuristiche e supereroiche invenzioni, l'esistenza di Alessandro cambia radicalmente, e un nuovo, straordinario futuro gonfio di possibilità di spalanca davanti a lui.

Sostenuti dall'incredibile Orange Scarf, un mutante dotato di straordinari poteri, i due si trovano a fondare una stravagante squadra di supereroi metropolitani impegnata a combattere il Male in Doppiopetto e la Malvagità Mascherata!

Sullo sfondo di una Milano che, passo passo, si colora di tinte sempre più vivide, intrighi e misteri trascineranno il lettore in una carambola di avventure divertenti e surreali, nella quale la fantasia cede il passo alla celata metafora dell'angoscia dell'uomo moderno: solo con se stesso, schiavo della tecnologia e soggiogato dal più forte.

Forse, a volte, per trovare il coraggio di riprendere in mano la propria vita ci vuole una spinta.

Forse, a volte, questa spinta può darla solo… un supereroe!
LinguaItaliano
Data di uscita12 set 2018
ISBN9788827844946
L'uomo dalla sciarpa arancione- Una storia fantascientifica alla milanese

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    Anteprima del libro

    L'uomo dalla sciarpa arancione- Una storia fantascientifica alla milanese - Stefano Damonti

    (N.d.A)

    1

    Il mattino ha l’oro in bocca (quasi sempre)

    La sveglia suonava sempre alle 05:35, nella stanza di Alessandro Bistefani. Tutte le mattine, sabato e domenica compresi. Appena alzato, caracollava verso il bagno. Doveva subito fare pipì. Poi, tirava lo sciacquone. Dopo, si guardava allo specchio e improvvisava alcune facce strane. A volte tristi, a volte allegre e a volte indecifrabili.

    Si faceva la barba quasi ogni giorno. Il rito della rasatura, con schiuma al burro di cacao e lametta usa e getta, era accompagnato da un sottofondo musicale creato dallo stesso Alessandro. Il più delle volte si trattava di un successo sanremese o di una vecchia sigla di qualche cartone animato.

    Alle 06:10 di un venerdì qualunque di settembre, il nostro amico era pronto per la colazione. Caffè, latte e otto biscotti. Lui mangiava sempre i biscotti in numero pari: sei, otto oppure dieci. A seconda della loro tipologia e dimensione. Un vezzo assai particolare. Comportarsi da abitudinario gli dava maggiore sicurezza.

    Il caffè era preparato con la macchina espresso Lavazza A Modo Mio, quella con le capsule colorate. A ogni tonalità era associato un tipo di aroma e di tostatura. Dal lunedì al venerdì, Alessandro prediligeva le Qualità Rossa. Il sabato la sua scelta si orientava verso quelle arancioni, Selva Alta. La domenica preferiva quelle dorate, Qualità Oro.

    Quel particolare venerdì di settembre, guardando le diverse confezioni di capsule, Alessandro si interrogò sugli assortimenti cromatici:

    «Molti creativi non abbondano certo di fantasia, nella ricerca dei nomi. Chissà perché quelle arancioni non le hanno chiamate Qualità Arancione. Sarebbe stato più semplice da ricordare. Boh! Valli a capire, quelli del marketing!»

    Per la scelta del latte - di solito, a lunga conservazione - non era prevista una particolare attenzione: la marca cambiava di volta in volta, a seconda delle offerte dei supermercati.

    Quella mattina, Alessandro aveva un po’ fretta. Prese una capsula dorata dalla scatola dorata e la infilò nella fessura della macchina. Poi, spinse il pulsante dell’erogazione.

    Solo in quel momento si rese conto che era venerdì.

    Avrebbe dovuto scegliere una capsula rossa dalla scatola rossa! Aveva preso il caffè sbagliato nel giorno sbagliato! Svista imperdonabile, per un precisino come lui. Se quell’errore fosse stato il campanello d’allarme di qualche novità? Cosa significava aver scambiato il venerdì con la domenica?

    Guardò l’orologio. Erano le 06:13 del 13 settembre 2013. Alessandro pensò brevemente a come ritornassero, talvolta, alcune cifre. In questo caso, il 13. Significava qualcosa o quel venerdì sarebbe stato come tutti gli altri? Meglio non farsi troppe domande. La giornata era ancora lunga.

    Il nostro amico viveva a Milano, in un quartiere all’estrema periferia nord-ovest della città: la Comasina. Fino a un paio d’anni prima, quella zona era pressoché sconosciuta a gran parte dei milanesi. Poi, con l’inaugurazione del capolinea della Metropolitana Gialla M3, la musica era cambiata. Anche quelli della Comasina potevano finalmente sentirsi meneghini al 100%. Piazza del Duomo era solo a un quarto d’ora di distanza, perciò Alessandro poteva tranquillamente dire di abitare nelle vicinanze del Centro.

    Era alto poco meno di due metri. Un metro e novantasette centimetri, per l’esattezza. Aveva un aspetto piuttosto longilineo. Non era muscoloso o tarchiato, ma nemmeno secco. Gli occhi erano marroni. Soffriva lievemente di miopia e da anni portava occhiali da vista. Non aveva mai pensato di sostituirli con le lenti a contatto: era terrorizzato dall’idea di doversi infilare qualcosa nell’occhio. I suoi capelli erano in prevalenza neri. Qualcuno bianco appariva qua e là. Li portava sempre corti; in questo modo, erano più comodi da gestire. Nei mesi invernali, quando usciva di casa, indossava sempre un cappello o una cuffia di lana. I dolori alla cervicale erano costantemente in agguato. Bastava un pizzico di freddo, e il mal di testa arrivava inesorabile.

    Alessandro aveva da un po’ superato la trentina. Da quasi dodici anni, per l’esattezza. Si stava avvicinando a quota 42. Non sapeva se esserne orgoglioso o preoccupato.

    Si era laureato in Economia e Commercio nel luglio del 2000, all’Università Cattolica di Milano e, ormai da tredici anni, faceva un lavoro assai comune: il disoccupato/precario, interessante neologismo che identificava un sempre più numeroso gruppo moderni martiri. Pendolari della scrivania, che passavano la vita alla costante ricerca di un ufficio in cui prestare la propria opera per qualche mese, in cambio di uno stipendio più basso dei loro omologhi con il contratto a tempo indeterminato.

    Alessandro Bistefani era una delle tante pedine nelle mani di famigerate agenzie per il lavoro. I nuovi caporali legalizzati, che insindacabilmente decidevano tutto: quando, come e per quanto. Chi accettava era loro amico, altrimenti … avanti un altro.

    In estrema sintesi, il discorso era piuttosto semplice: il Nostro lavorava quando qualcuno aveva la bontà di offrirgli un lavoro. Diversamente, era un disoccupato.

    L’ultimo contratto era scaduto esattamente da quattro settimane. Quel venerdì, a colazione, Alessandro festeggiava il suo primo mese da disoccupato. Specifichiamo: non era il primo in assoluto. In passato, c’erano stati molti altri anniversari senza lavoro da celebrare.

    A questo punto, il lettore potrebbe domandarsi quale ragione spingesse un disoccupato ad alzarsi alle cinque e mezzo tutte le sante mattine, pur non avendo nulla di urgente da fare.

    Come già detto, il nostro eroe era un tipo metodico. Mantenendo la routine del suo personalissimo e antelucano levée, si sarebbe tenuto in allenamento per il primo giorno del nuovo lavoro.

    Terminata la colazione e lavati tazza e cucchiaino, Alessandro accese la tv. Avrebbe dovuto vedere il telegiornale, ma troppe brutte notizie di prima mattina lo mettevano di cattivo umore. Meglio qualche bel cartone animato. I suoi preferiti erano quelli degli anni '70 e '80. Gli invincibili robot giapponesi, armati di tutto punto. Oppure i supereroi americani, con i loro sgargianti costumi mai fuori moda. Ad Alessandro tornò subito il sorriso. Poi, aprì la porta-finestra del soggiorno per cambiare l’aria nel locale.

    Di lì a qualche minuto, in quella stanza, non sarebbe cambiata soltanto l’aria.

    Accompagnato dal vociare della tv in sottofondo, Alessandro iniziò le pulizie di casa: Folletto imbracciato come fosse un fucile e sguardo truce di chi voleva cominciare presto e finire ancora prima.

    Nemmeno il tempo di infilare la spina nella presa, e …

    Un pallone di cuoio, col classico disegno a pentagoni neri ed esagoni bianchi, schizzò nel salotto alla velocità della luce. L’oggetto volante ben identificato rimbalzò contro la parete di fronte alla finestra, per poi centrare in pieno il televisore. Colpì lo schermo, non lo ruppe. L’apparecchio però si spense. Il pallone ripercorse al contrario la propria traiettoria. Sbatté nuovamente contro il muro e uscì dal balcone, per poi scomparire a grossi balzelli lungo il cortile.

    La vittima, quell’esemplare di carro armato a forma di tv, dotato ancora di tubo catodico e della stampigliatura Mivar sul lato, era stato comprato da Alessandro nel lontano 2000. Non aveva mai conosciuto un tecnico delle riparazioni in tutta la sua vita e, da quando la pay-per-view era diventata un’esigenza, aveva sopportato stoicamente di essere collegato tramite scart a un piccolo ricevitore digitale terrestre. Non aveva mai dato problemi e non aveva mai cessato di funzionare. Mai.

    Fino a oggi.

    Dopo tredici anni di onorata carriera, il tv color della Mivar era stato ucciso da una pallonata.

    Alessandro si affrettò a correre sul balcone per tentare di beccare il colpevole dell’omicidio tecnologico. Il cortile era deserto. A quell’ora i bambini si stavano preparando per la scuola. L’appartamento nel quale viveva era al quarto piano, e comunque, un tiro di una tale portata non poteva essere certo stato opera di un ragazzino. A meno che non si trattasse di un protagonista della serie Holly e Benji.

    Sembrava piuttosto che un lancio di quella potenza, arrivato da chissà dove, fosse stato quasi telecomandato per scagliarsi contro la sua vecchia tv.

    In effetti, la parola telecomandato avrebbe rivelato in seguito tutto il suo significato…

    Ma non vogliamo anticipare troppo al nostro lettore. Altrimenti, non c’è gusto.

    Alessandro non aveva intenzione di star lì a gingillarsi. Non c'era tempo da perdere: bisognava porre rimedioa tutti i danni il più presto possibile. L’anticipo serale della partita di Serie A era alle porte. Alessandro era appassionato di calcio e tifoso della Juventus. L’incontro era in programma per la sera successiva, alle 20:45. Entro quell’ora, occorreva essere in possesso di un nuovo apparecchio. Ritenne inutile chiamare un tecnico. Era giunta l’ora di cambiare televisore. Uno di quelli piatti, magari, col digitale terrestre già incorporato.

    Per prima cosa, però, era necessario portare in discarica il povero cadavere della Mivar. Quindi, recarsi in un centro commerciale e buttarsi a capofitto sull’offerta più conveniente.

    Per quel giorno, i lavori domestici avrebbero aspettato.

    Alessandro trascinò la pesantissima salma catodica sulla sua vecchia Fiat Punto grigio argento metallizzato. Si fece dare una mano da Domiziano, il custode dello stabile. Poi, puntò dritto al centro di raccolta differenziata della Bovisa. Gli operatori lo aiutarono a gettare l’apparecchio nel giusto container, pieno di altri vecchi tv color. Una breve e sentita frase di cordoglio, e poi via, in direzione Unieuro alla Bicocca.

    L’offerta più interessante era quella di un Samsung 32 pollici. Alessandro l’aveva notata qualche giorno prima su un volantino trovato nella cassetta della posta.

    L’impatto con il centro commerciale fu piuttosto bizzarro. Un pittoresco signore corse incontro ad Alessandro per dargli il benvenuto:

    «Grazie per averci scelto! Unieuro batte forte sempre!»

    Lo strano individuo era vestito in maniera improbabile, a metà fra un clown e un prestigiatore. Indossava un abito in fresco lana con disegno scozzese, a scacchi piccoli, grigi e neri. La giacca era piuttosto abbondante, con le maniche un po’ lunghe. Aveva una camicia bianca di cotone e un papillon nero di seta. I pantaloni erano eccessivamente corti. Ciò permetteva di notare il colore dei calzini: a righe giallo limone e rosa salmone. Ai piedi, portava un paio di scarpe in stile inglese, bianche e nere. In testa, aveva un elegantissimo cappello a cilindro, in feltro nero.

    Il tizio aveva accolto il nostro amico all’ingresso iniziando a recitare alcune frasi in rima:

    «Le diamo il benvenuto, carissimo signore,

    Lo so che lei è in cerca di un bel televisore.

    Ma guardi che fortuna, c’è un'offerta niente male,

    il Samsung 32 ha un prezzo assai speciale!

    Forse non lo sa che con un costo così basso,

    in fin dei conti lei dal mazzo pesca proprio l’asso!

    Poi penserà soltanto alla squadra del suo cuore,

    e, come d’improvviso, scomparirà il dolore!»

    Quelle frasi, un po’ scialbe e dozzinali, sembravano costruite su misura per Alessandro. Non esitò più di tanto e decise di comprarlo.

    A quel punto, per festeggiare il nuovo acquisto, il commesso-saltimbanco improvvisò una serie di numeri di magia. Estrasse un coniglio di peluche dal cilindro, lanciò carte da gioco ovunque, fece esplodere alcuni mortaretti e sparse coriandoli e stelle filanti addosso ai clienti, che applaudirono entusiasti.

    Terminata l’esibizione, il venditore smise di parlare in rima, e, dandosi un contegno, suggerì ad Alessandro di usufruire della consegna a domicilio: per tutto il mese era gratuita, un’occasione da non perdere.

    Il nostro super tifoso aveva però bisogno della sua nuova tv entro sabato sera, altrimenti addio partita.

    Il commesso-mago-clown lo assicurò del fatto che la spedizione sarebbe avvenuta il pomeriggio stesso. Ad Alessandro non rimase altra scelta che accettare, anche per togliersi di torno quel rumoroso personaggio.

    Lasciò soddisfatto il centro commerciale. Prima di uscire, il venditore-comico richiamò ancora la sua attenzione:

    «Grazie per averci scelto. Unieuro batte forte sempre!»

    2

    Chi è Sergio?

    Nemmeno il tempo di ritornare a casa e togliersi le scarpe, che il citofono prese a suonare all’impazzata.

    Alessandro afferrò di scatto la cornetta:

    «Chi è?»

    Una voce rispose:

    «Buon pomeriggio a lei, carissimo signore,

    son già qui sotto col suo televisore!

    Mi trovo fermo e ritto davanti al suo portone,

    il Samsung è ben chiuso in uno scatolone!»

    Ancora quella penosa cantilena in rima.

    «Ma son tutti così, quelli di Unieuro?» esclamò tra sé Alessandro.

    In realtà, si trattava della stessa persona che poco prima gli aveva venduto la tv. Il tizio entrò saltellando dalla porta. Si era cambiato d’abito. Indossava una tuta blu elettrico. Il logo arancione fluorescente di Unieuro campeggiava sia sul petto che sulla schiena.

    Alessandro chiese:

    «Ma quante mansioni avete, in Unieuro?»

    L’uomo rispose sorridendo:

    «Tante, caro signore. Tante diverse ogni giorno! Non si smette mai di correre. Non si smette mai di imparare. La vita ci riserva un sacco di sorprese dietro ogni angolo! Tanti angoli e tante sorprese. Poi tutti dicono che il mondo sia tondo. In realtà, è pieno zeppo di angoli e talvolta anche di spigoli. Tanti angoli e tanti spigoli!»

    Ci mancava anche la piccola parentesi filosofica. Alessandro tremava al pensiero che quel folle ricominciasse con la lunga serie di trucchi e magie di basso avanspettacolo. Il pericolo, però, sembrava scampato. Infatti, l’eclettico dipendente aggiunse:

    «Ora devo scappare, mi aspettano altre importanti consegne. Chissà se un giorno ci rivedremo? Chissà se ci incroceremo in un altro angolo del nostro cammino?».

    Alessandro lo salutò e ringraziò in gran fretta. Gli lasciò anche 5 Euro di mancia per prendersi un bell’aperitivo il più lontano possibile da casa sua.

    Quel giorno se ne erano già andati 304 Euro: 299 per il Samsung e 5 per il signor Tuttofare Unieuro. Niente male, per un disoccupato.

    Bisognava dare inizio alle operazioni di apertura dello scatolone, estrazione del televisore, montaggio del piedistallo e accensione.

    Tralasciamo tutti i particolari delle prime tre operazioni e concentriamoci solo su quella più importante.

    Una volta sistemato il piedistallo, il nuovo Samsung era pronto ad affrontare la sua vita. Alessandro inserì la spina dell’alimentazione nella presa elettrica. Poi, afferrò il telecomando e premette il tasto di accensione/spegnimento.

    La tv non si accese.

    Seguì qualche secondo di sgomento e riflessione.

    Eppure, considerò Alessandro, aveva seguito tutte le istruzioni, parola per parola.

    Staccò la spina dalla presa, per sincerarsi che non fosse per caso difettata.

    In quel preciso istante, incredibilmente, il televisore si accese!

    Sullo schermo apparve l’immagine a mezzobusto di un uomo. Sembrava la classica inquadratura da telegiornale. Il tizio era seduto a una scrivania e aveva alle spalle alcuni monitor. Prese in mano dei fogli e iniziò a parlare. Alessandro, ancora col cavo e la presa in mano, riconobbe con sconcerto il volto del giornalista: si trattava del mago-comico dell’Unieuro. Lo stesso individuo che gli aveva consegnato la tv a casa solo una mezz'ora prima.

    «Buon pomeriggio a lei, carissimo signore,

    son sicuro che le piace il suo bel televisore!

    Mi rendo conto a volte che la fase di accensione,

    per quelli un po’ inesperti, diventa un problemone!

    Non deve aver paura, non si deve preoccupare,

    io sono qui per questo e la saprò aiutare!»

    Alessandro cominciò a sudare freddo. Cadde come un sasso sulla poltrona alle sue spalle. Rimase con lo sguardo fisso alla tv, accesa e funzionante malgrado la spina non fosse inserita ma giacesse sul pavimento.

    Stava accadendo veramente?

    In quel momento, lo strano mezzobusto riprese a parlare con Alessandro:

    «Senti, possiamo darci del tu? In fin dei conti, è come se ci conoscessimo da un sacco di tempo!»

    «Ma cosa dici! Non ti ho mai visto prima di questa mattina!»

    «Mi chiamo Sergio, piacere di conoscerti!»

    «Il piacere è solo tuo! Esci subito dalla mia tv e vattene!»

    «Ti chiami Alessandro. Vero?»

    «Ma che scoperta, l’hai letto sulla bolla di consegna!»

    «Ti prego, ascoltami per qualche minuto. Vorrei che tu mi aiutassi!»

    «Aiutarti a fare cosa? Esci immediatamente dalla mia tv o chiamo il 113!»

    «Tuo nonno paterno si chiamava Roberto. Dico bene?»

    «Cosa c’entra mio nonno, adesso? Hai tirato un nome a caso!»

    «Sono anni che ti cerco!»

    «Anni? Ma piantala, pagliaccio! Spiegami cosa sta succedendo o faccio un casino! Ora chiamo la Polizia!»

    «No, no, aspetta, Ale, aspetta!»

    "Non mi chiamare Ale. Come ti permetti?»

    «Sono il figlio di Pietro Cavedano. Ti dice nulla questo nome?»

    «Lo so io di chi sei figlio, tu!»

    «Ma dai, cosa dici! È impossibile che quel nome non ti dica nulla. Pensaci bene!»

    «Ma cosa vuoi che mi dica un nome come quello? Mai sentito! Vattene o spacco la tele a bastonate!»

    «No, no, aspetta, ti prego! Pietro Cavedano, mio padre, è stato un grande amico di tuo nonno, Roberto Bistefani. Sono stati partigiani ai tempi della guerra, e insieme hanno preso parte alla famosa Impresa del Campanile. Adesso ti è un po’ più chiaro?»

    «Quale campanile? Di cosa stai parlando, ubriacone?»

    «Ti ha mai raccontato nulla tuo nonno?»

    «Non lo so! Non mi ricordo! E adesso, prendo un bastone!» Alessandro fece per alzarsi dalla poltrona, ma quasi inciampò nel cavo del televisore, attorcigliato sul pavimento. Ricadde all'indietro come un sacco di patate.

    Sergio, quel curioso individuo, ne approfittò per continuare con foga, rapido, prima di essere interrotto ancora:

    «Dopo la fine della guerra, un plotone di truppe tedesche stava lasciando il paese di Casteldiredingo. Tuo nonno e mio padre si appostarono sul campanile per tendere un’imboscata ai nemici e poi …»

    «Ah sì, ora ricordo. Mio nonno non me ne aveva mai parlato. Mi ha raccontato qualcosa mio padre.»

    A questo punto, si rende necessaria una spiegazione del bellicoso antefatto, così da fornire alcuni utili chiarimenti al nostro lettore.

    Pochi giorni dopo la fine della guerra, ci fu uno strano episodio che unì ancora di più il padre di Sergio e il nonno di Alessandro, partigiani e amici da anni. Una mattina, decisero di appostarsi sul campanile della chiesa del paese di Casteldiredingo, in compagnia di una bella mitragliatrice, per attendere il passaggio delle truppe tedesche in ritirata. Quando la carovana giunse a tiro, i due iniziarono a far fuoco. Un proiettile colpì un camion pieno di munizioni. Il mezzo esplose e provocò una cinquantina di vittime.

    Quel gesto era servito per vendicare tutti i parenti e amici rimasti feriti e uccisi dalla folle violenza dei nemici nei mesi precedenti.

    La storia de L’Impresa del Campanile viene raccontata ancora oggi. Roberto Bistefani e Pietro Cavedano sono considerati Eroi di Casteldiredingo.

    Ora che il nostro lettore è a conoscenza degli antefatti, possiamo tornare nel soggiorno di Alessandro.

    Sergio stava insistendo: «Ale, ho davvero bisogno che tu mi dia ascolto. Insieme possiamo cambiare il mondo!»

    «Cambiare il mondo? Ma fatti curare da uno bravo!»

    «Dai, ti prego, concedimi ancora qualche minuto per spiegarti tutto. Non ho molto tempo, dopotutto: il microprocessore che ho installato nella tua nuova tv ha un’autonomia di soli 35 minuti. Poi l’apparecchio si spegnerà e ci sarà bisogno di un tempo di ricarica di 35 ore! Capisci?»

    «Tu hai inserito… cosa, nel mio televisore?! Quale microprocessore? Senti, amico, mettiamoci d’accordo. O vai a farti ricoverare di tua spontanea volontà, oppure ti accompagno io. Ma credo che poi rimarrò lì con te! Tutti e due abbiamo bisogno di assistenza, chi per un motivo chi per un altro!»

    Le speranze di portare avanti un dialogo costruttivo sembravano piuttosto vane. A un certo punto, però, Sergio trovò il giusto argomento per toccare le corde del cuore di Alessandro:

    «Su, fai il bravo. Tanti anni fa, tuo nonno e tua nonna hanno salvato la vita a mio padre, tenendolo nascosto in una soffitta per un mese. Mio padre si è sempre sentito in debito per questo. Avrebbe voluto ripagarli, ma non ne ha mai avuto il modo. Dopo la fine della guerra, i due non hanno avuto molte occasioni per rivedersi. Hanno però tenuto una corrispondenza piuttosto regolare. In questo modo, potevano raccontarsi le loro vite di lavoratori prima e di pensionati poi.»

    Alessandro era rimasto tutto il tempo seduto in poltrona, ma il suo atteggiamento non appariva più così ostile:

    « Mio nonno e tuo padre si scrivevano lettere?»

    «Sì, un sacco di lettere. Ci sono molte cose che so di te e della tua vita.»

    «Cosa sai, di preciso?»

    «So che hai perso la mamma quando eri ancora in fasce. I tuoi nonni hanno accolto tuo padre e te in casa loro, subito dopo la disgrazia. Tua nonna è stata per te una seconda mamma. Sarebbe meglio dire una prima.»

    A quel punto, l’atteggiamento di Alessandro mutò radicalmente. Divenne più gentile e disponibile. Decise di aprirsi nei confronti di Sergio:

    «Accidenti! È tutto vero! Allora mi conosci!»

    «Certo! Adesso ti fidi di me? Ti ho cercato a lungo, e finalmente, un giorno, ti ho trovato. Tu vivi ancora in quella stessa casa, per fortuna! Da allora, ti ho seguito spesso… ma per un buon motivo, credimi! Ti va di ascoltarmi ancora per quei pochi minuti di attività del microprocessore?»

    La conversazione fra i due nuovi amici continuò ancora per un breve tempo, dopodiché decisero di incontrarsi il giorno seguente per aiutarsi a cambiare le loro vite.

    Riteniamo necessario, a questo punto, mettere un po’ di ordine nella vicenda e dare al nostro lettore le dovute spiegazioni.

    Sergio era un ingegnere informatico di circa sessant’anni. Forse qualcuno in più. Era alto un metro e settantatré. Aveva un fisico rotondetto, ma non era particolarmente grasso. Si vedeva che non era un assiduo frequentatore delle palestre. Non portava occhiali e nemmeno lenti a contatto, aveva una vista perfetta. I suoi pochi capelli erano neri. Si trovavano soltanto sulle tempie e sulla nuca e molto, nel suo aspetto, ricordava l'attore Lino Banfi. Non aveva, però, un accento pugliese. La

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