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La Piccola Magia del Quotidiano
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E-book211 pagine3 ore

La Piccola Magia del Quotidiano

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Info su questo ebook

C'è una magia tutta speciale nelle piccole cose di tutti i giorni, in quelle che appartengono al nostro vivere quotidiano: il piacere per le cose semplici della vita, l'amore per tutte quelle piacevolezze che rendono confortevoli le nostre giornate. Ed è ciò che scopriranno i protagonisti dei racconti di questo libro, tra scrittori alle prese coi loro libri, amici che si ritrovano a desinare in convivialità e il nascere di amori grazie a incontri fortuiti e inaspettati. È proprio questa la piccola magia del quotidiano, ovvero ciò che permette a un autore di raccontare le loro storie.
LinguaItaliano
Data di uscita13 gen 2020
ISBN9788831656108
La Piccola Magia del Quotidiano

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    La Piccola Magia del Quotidiano - Marco Lazzara

    La Piccola Magia del Quotidiano

    Marco Lazzara

    Marco Lazzara

    La Piccola Magia del Quotidiano

    Immagine di copertina da wikipedia.com

    Tutti i diritti riservati

    Il presente volume è interamente frutto della fantasia dell’Autore. Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi esistiti, esistenti e/o che esisteranno in futuro è da ritenersi puramente casuale.

    A Marisa, che amava la vita

    A Eleonora, che ha passione

    Le cose migliori nella vita sono le più vicine: il respiro nelle narici, la luce nei tuoi occhi, i fiori ai tuoi piedi, gli incarichi nelle tue mani, il sentiero del bene proprio davanti a te. Allora non cercare di afferrare le stelle, ma svolgi le semplici cose della vita come vengono, sicuro che le funzioni quotidiane e il pane quotidiano sono le cose più dolci della vita.

    ROBERT LOUIS STEVENSON

    La normalità è un focolare, la quotidianità è materna. Dopo una vasta incursione negli spazi della poesia, sulle vette dell’ispirazione sublime, sui picchi della trascendenza e dell’oc-culto, è confortante, e ha il sapore delle cose che nella vita danno calore, ritornare alla locanda dove felici ridono gli stolti, bere con essi, stolto anch’io, come Dio ci ha fatto, contento dell’universo che ci è stato dato, e lasciare il resto a coloro che scalano montagne per non fare niente sulla vetta.

    FERNANDO PESSOA

    La vita non è fatta di grandi sacrifici o doveri, ma di piccole cose, nelle quali i sorrisi e le gentilezze, e i piccoli obblighi abitualmente elargiti, sono ciò che preserva il cuore e assicura conforto.

    HUMPHRY DAVY

    Bianco

    Tutti quanti gli scrittori hanno paura della medesima cosa.

    Non è il timore di non riuscire a produrre qualcosa di buono. Si supera.

    Non è neanche l’incapacità. Giorno dopo giorno si ha da imparare qualcosa, e si può sempre migliorare. La si supera.

    Non è nemmeno l’insuccesso. Un’opera che non è piaciuta ha molto da dire al suo autore, perché l'errore può diventare un prezioso insegnamento. Anche questo si supera.

    È la pagina bianca, invece, quella che mette paura agli scrittori.

    Perché il bianco, per chi scrive, è il colore del nulla.

    Bianco è il colore dell’assenza. È il nulla che attende di essere colmato.

    Lo scrittore non ha paura del bianco in quanto tale, ma di non riuscire a riempirlo, quel bianco. L’unica sua paura, il suo massimo timore, quello che sorge nei momenti di riflessione sulla propria arte, nell'attimo di attesa prima di calare la penna sul foglio, di digitare la parola sulla tastiera, è di non avere nulla da raccontare. Non sono le ombre, ma la bianca luce in grado di dissolverle, ciò che teme di più lo scrittore.

    Chi scrive ha bisogno di quelle ombre per esprimere ciò che ha dentro, per poter dare forma e sostanza a quel bianco, così da riempire quell'inesprimibile vuoto. Solo allora può dire di aver raggiunto il suo scopo, e trovare infine quella che è la sua realizzazione, il motivo per cui egli esiste.

    Scrivere è un mestiere per gente ardimentosa.

    Però per riuscirci, lo scrittore ha bisogno di qualcosa di speciale, una magia particolare che gli permette di dare finalmente colore a quel bianco.

    E la si può trovare nei luoghi più impensati: fra le note di una canzone, tra i petali di una rosa, nel sorriso di una fanciulla; oppure tra le pagine di un libro, fra i dolci di una pasticceria, giù nel fondo di un pozzo, o su nelle nuvole, in un fiocco di neve, e ancora nel lieve profumo di primavera portato da un soffio di vento. Ma soprattutto la si può trovare negli incontri casuali tra due cuori in cerca uno dell'altro.

    È la piccola magia del quotidiano.

    I Misteri dello Scrittore

    1

    La libreria stava cominciando a riempirsi di gente. Mi trovavo in piazza CLN a Torino, dove ci sono le fontane con le statue che raffigurano il Po e la Dora, la stessa che Dario Argento aveva usato per girare alcune sequenze di Profondo Rosso.

    Un tempo quella libreria era uno storico negozio di dischi. Mi ricordo delle volte in cui ci andavo dopo le lezioni all’università: uno sguardo ai libri, un'occhiata ai canzonieri per rubare qualche passaggio da provare sulla chitarra, e via al reparto musica a scegliere qualche disco. Poi alcuni anni fa è stata acquistata da un grosso store dell’editoria, e il negozio è divenuto decisamente più commerciale. I reparti sono gli stessi, sono stati solo riorganizzati, ma in qualche modo sono anche diversi. O forse sono io a esserlo, ora che il tempo dell'università è finito.

    Salii al primo piano. Nel punto in cui le vetrate davano sulla piazza era stato adibito uno spazio per la presentazione. Solo un palchetto con un tavolo e di fronte delle sedie pieghevoli per il pubblico. Sembrava un po’ sacrificato, si trattava niente più che di un angolino, e di certo qualcuno sarebbe dovuto rimanere in piedi.

    Faceva caldo da morire, perciò mi tolsi la giacca e la poggiai sulla sedia che mi era stata riservata. Indossavo una camicia celeste e un gilet scuro, ma senza cravatta, che non metto mai. Pensai con disappunto ai calzini: quel giorno avevo scelto quelli più pesanti perché avevo pensato – tratto in inganno dall'inaffidabile app meteo del mio smartphone – che avrebbe fatto freddino. E invece stavo sudando. È una delle mie fissazioni: passo davvero un sacco di tempo a decidere come vestirmi. Un'altra sono i miei capelli. Biondo cenere ed eternamente disordinati, di quel mosso incerto tra l'essere liscio oppure riccio, e perciò tanto difficoltoso da acconciare. Quando la mattina osservo allo specchio lo stato entropico della mia chioma, penso sconsolato: E ora che faccio?

    D'un tratto i presenti, per la maggior parte donne, cominciarono a rumoreggiare. Eccola lì, finalmente era arrivata.

    Morgana Modigliani.

    La scrittrice del momento, autrice dei best-seller All’Inseguimento dell’Avventura e Un Amore da Batticuore. Amati da migliaia e migliaia di lettrici, osannati dalla critica per il loro riuscito mix di avventura e mistero, senza però dimenticare che si tratta comunque di romanzi rosa, ma talmente ben costruiti da contare numerosi fan anche tra gli uomini. Un successo straordinario di pubblico e di vendite: insomma, un vero e proprio caso editoriale. Al punto che per riuscire a prenderli nelle biblioteche del torinese, c'è da aspettare dei mesi.

    Quel giorno Morgana Modigliani era lì per presentare il suo ultimo libro: Anna Wood e il Gioiello dell’Oriente, che vedeva il trionfale ritorno di Anna Wood, l’amatissima protagonista dei suoi romanzi. Solo con le prenotazioni la prima tiratura era già andata esaurita.

    Nel frattempo era arrivato anche il direttore editoriale della De Gasperi Edizioni, la casa editrice che pubblica i romanzi della serie di Anna Wood: Carlo Bauducchi, un individuo dal peso sovrabbondante, che sudava e sorrideva decisamente troppo, per riuscire a essere del tutto tollerabile ai miei gusti. Portava i capelli tagliati cortissimi per cercare di nascondere la stempiatura – peraltro senza troppo successo – e un asimmetrico pizzetto a ornargli il doppio mento, che si accarezzava di continuo, altra cosa che contribuiva al mio fastidio nei suoi confronti. Ma non vorrei essere frainteso: a conoscerlo di persona è anche peggio.

    Mi gettò uno sguardo complice, a cui risposi con un cenno del capo. Stavamo per cominciare. Alzai gli occhi al cielo e sospirai.

    Microfono alla mano, sorriso farlocco degno di un politico in campagna elettorale, Carlo prese la parola: «Buon pomeriggio, signore e signori, se volete accomodarvi, direi che possiamo pure iniziare. Noi della De Gasperi Edizioni siamo qui per presentare in anteprima il nuovo romanzo di Morgana Modigliani. Se avete amato – e sono assolutamente certo che sia così – Anna Wood, l’archeologa-avventuriera perennemente alla ricerca del grande amore della sua vita, non lasciatevi scappare questo nuovo, bellissimo, entusiasmante libro scritto dalla nostra Morgana!»

    Miseria, ne ho sentite di brutte introduzioni, ma quella le batteva proprio tutte. In risposta si sentirono dei timidi applausi. Poi qualche imbarazzato colpetto di tosse. Se fossimo stati all'aperto, avremmo sentito di certo anche il frinire dei grilli.

    A rimediare ci pensò quindi lei, Morgana Modigliani. Si alzò dalla sedia per lanciare un sorriso caloroso al pubblico. Giovane, solo 27 anni, era – non si faceva certo fatica a riconoscerglielo – un vero spettacolo di ragazza: visetto piacevole, lucenti capelli scuri e un davanzale notevole… che metteva in evidenza con una certa disinvoltura. Carlo l'aveva scelta apposta.

    C’era però un dettaglio. La ragazza in effetti non si chiamava per davvero Morgana Modigliani: il suo vero nome era Francesca Ventura. Perché Morgana Modigliani in realtà sono io.

    2

    Ecco, questa cosa dovrà rimanere tra di noi. Siamo intesi?

    Sono io Morgana Modigliani, in realtà li ho scritti io i libri di Anna Wood.

    Immagino che questo possa generare un po' di confusione, per cui forse è bene arrivarci un po’ per volta. Abbiate un po' di pazienza, e vi racconterò tutta la storia.

    Stando ai miei documenti, il mio nome è Marco Antonelli. Sono nato a Moncalieri, città della prima cintura torinese. Un posto davvero suggestivo, che sembra un incrocio tra Hill Valley e Twin Peaks.

    Una volta terminato il liceo, avevo tentato il test di ammissione a Medicina, fallendolo però clamorosamente, nonostante dopo la maturità mi fossi preparato per tutto il resto di quell’estate. E pensare che delle domande del test, di Logica e Cultura Generale avevo pure fatto un buon punteggio, Matematica e Fisica le avevo azzeccate tutte, e anche con Biologia avevo ottenuto un discreto risultato. Fu invece la Chimica a essermi fatale, materia che a liceo avevo sempre guardato con profondo sospetto, e che alla fine era riuscita a vendicarsi di me. Perciò il punteggio che avevo ottenuto non era stato sufficiente a garantirmi l’accesso alla facoltà di Medicina, e dovetti rinunciare al mio originario proposito di diventare medico. Senza troppi rimpianti, avevo ripiegato su Scienze dell’Educazione, e dopo il triennio avevo preso come specialistica Pedagogia.

    Dopo cinque anni e una laurea col massimo dei voti, avevo compreso che passare la vita a occuparmi dell’educazione dei bambini non faceva proprio per me; anzi, non me ne poteva importare una beata mazza, per cui la mia carriera in quel settore era finita prima ancora di cominciare. Il che aveva lasciato nello sconcerto più totale i miei poveri genitori, che già da tempo si erano dovuti arrendere all'evidenza che il loro unico figlio non sarebbe diventato medico, come avevano sperato, e ora dovevano subire quest’altro duro colpo alle loro aspettative genitoriali.

    Così avevo cominciato a lavorare all'università come assistente della professoressa Berruto, tenendo delle lezioni nei suoi corsi, seguendola in giro per i congressi, interrogando gli studenti agli esami, lavorando coi tesisti. Molto di questo lavoro non era nemmeno retribuito, dovevo sempre cercare di elemosinare un assegno di ricerca e sperare in un posto in qualche futuro dottorato; per cui avevo retto finché avevo potuto, poi me n’ero andato via, in cerca di qualcosa un attimino meno schiavizzante.

    Il secondo decennio del XXI secolo qui in Italia non verrà di certo ricordato per essere stato un momento particolarmente favorevole nel trovare un lavoro, specie se: i) eri giovane; ii) contavi molto sul voto di laurea; iii) avevi seguito un percorso universitario poco pragmatico; iv) volevi un posto stabile e sicuro (e magari anche ben retribuito).

    Insomma, era cominciato per me un periodo di nera disoccupazione, oltre che di sconforto. Se all’università ero stato fenomenale, fuori ero un totale disastro. Come tanti giovani della mia generazione ero piuttosto incerto su quale direzione dovessi prendere.

    Così avevo iniziato a mandare curriculum da una parte all’altra, proponendomi anche per cose molto diverse dai miei studi. Non ebbi alcuna fortuna. Non parliamo poi di mansioni dove non era richiesta la laurea, ma solo un diploma: per quelle ero troppo qualificato, uno sconcertante ossimoro. Anche se il mio preferito rimarrà sempre quello del neolaureato con esperienza.

    Molti mi suggerivano di andare all’estero, cosa che mi ricordava vagamente un esilio: e cosa mai avevo fatto di male, quale colpa avevo da scontare, per essere costretto ad abbandonare il paese della pizza e degli spaghetti, e andare straniero in terra straniera?

    La mia situazione aveva continuato a essere tragica fino a quando non trovai l’annuncio di un centro di formazione: stavano cercando qualcuno che tenesse un corso sulla gestione delle Risorse Umane. In effetti durante l’università avevo dato alcuni esami che trattavano del diritto del lavoro, inoltre avevo seguito diversi corsi di psicologia, quindi qualche base su cui lavorare ce l'avevo. Il resto avrei sempre potuto integrarlo strada facendo, tanto con la password di accesso ai servizi dell’università di Torino era facile recuperare il materiale didattico di altri corsi di laurea.

    Perciò mi dissi: E perché no? Proviamoci.

    E fu così che divenni un docente, e scoprii anche che la cosa mi piaceva parecchio. Trasmettere ciò che sapevo ai ragazzi che frequentavano quel corso mi aveva dato una soddisfazione che non avrei mai immaginato. E lezione dopo lezione divenni sempre più bravo: insegnare è un qualcosa che ti viene da dentro, ma è l'esperienza quella che ti insegna a fare questo mestiere.

    Dopo quel primo corso l'ente formativo mi propose di tenerne un secondo, poi un altro ancora, e continuai così. A un certo punto aprii anche la partita IVA, diventando a tutti gli effetti un libero professionista. In poche parole uno che prega ogni giorno che ci sia del lavoro da fatturare, visto che quello che si riesce a guadagnare, lo si vede poi svanire in larga percentuale in tasse. Comunque, grazie a questa attività, riuscii, anche se con qualche difficoltà, a rimanere a galla.

    Quello però era solo un aspetto della mia vita: l’altro erano i libri, da sempre la mia più grande passione. Leggevo di tutto, ma la mia preferita era la narrativa fantastica: Stephen King, Tolkien, Asimov… Non me ne lasciavo sfuggire uno. Il primo libro che mi fu regalato, quando avevo solo nove anni, era una raccolta di indagini di Sherlock Holmes, che possiedo tutt’ora, sebbene ingiallito e consumato dagli anni. E col tempo mi sono convito che questo mi abbia dato un certo non so che per tutto ciò che è misterioso, una specie di fiuto speciale che mi permette di risolvere certe situazioni strane in cui mi vengo a trovare.

    Quando iniziai l’università, presi a scrivere a mia volta. Appena avevo tempo dagli esami, buttavo giù racconti di ogni tipo: horror, fantascienza, gialli, fantasy… E poi li mandavo ai concorsi letterari. Qualche volta riuscivo a vincere e potevo avere la soddisfazione di vederli pubblicati. Soldi, però, niente. E l’antologia – se ne volevo una copia – la dovevo comprare a mie spese, perché i ricavi delle vendite andavano a chi aveva organizzato il concorso. Ma all’epoca lo facevo in maniera disinteressata, solo per passione, quindi non davo troppa importanza a questi aspetti.

    Dopo la laurea decisi di andare a vivere per conto mio, e la questione soldi divenne più pressante; provai allora a dedicarmi a un romanzo. Avevo pensato che se avesse venduto bene, avrebbe potuto essere un contributo utile per pagare le bollette. Ovviamente a quel tempo non avevo alcuna idea dei guadagni derivanti dall'editoria

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