Il trattamento del neonato terminale dal punto di vista bioetico
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Anteprima del libro
Il trattamento del neonato terminale dal punto di vista bioetico - Lourdes Velázquez
LOURDES VELÁZQUEZ
IL TRATTAMENTO DEL NEONATO TERMINALE DAL PUNTO DI VISTA BIOETICO
ISBN: 9788838247453
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
http://write.streetlib.com
Indice dei contenuti
Presentazione
Introduzione
Prima parte: LA CORNICE TEORICA
I. DELIMITAZIONE DEL PROBLEMA
1. Antecedenti del problema
2. Alcuni aspetti paradossali dell’argomento e la loro soluzione
II. QUESTIONI BIOETICHE LEGATE AL TEMA
1. Il tema dell’aborto
2. Le diagnosi prenatali
3. L’eutanasia
4. Le cure palliative
5. Il trattamento dei neonati con peso estremamente basso
III. ALCUNE PRECISAZIONI SULL’EUTANASIA
IV. LE CURE PALLIATIVE
1. I trattamenti medici palliativi
2. Le cure palliative
3. Un cambio di paradigma nella medicina?
V. L’EUTANASIA PEDIATRICA
1. Il capitolo perinatale della bioetica
2. Il problema dell’invalidità
3. Il protocollo di Groningen
4. Una discussione generale
VI. LA CURA DEL NEONATO ESTREMAMENTE PREMATURO
1. Le tappe della neonatologia
2. La nascita pretermine
3. Rianimare o non rianimare?*
4. Alcune conseguenze ragionevoli
5. Alcuni criteri adottati nel mondo
6. Chi prende le decisioni?
7. La paura della disabilità
VII. IL TRATTAMENTO DEL NEONATO TERMINALE
1. Una nuova prospettiva
2. Il principio di vulnerabilità
2.1. I Principi di Barcellona
2.2. L’ingresso graduale del principio di vulnerabilità in Bioetica
3. Il nuovo atteggiamento verso la diagnosi prenatale
Seconda parte: ANALISI E DISCUSSIONE DI SITUAZIONI CONCRETE
VIII. INIZIATIVE CONCRETE REALIZZATE IN QUESTO CAMPO: L’ESPERIENZA DE LA QUERCIA MILLENARIA
*
1. Presentazione
2. La storia de La Quercia Millenaria
3. La storia di Gregorio*
4. Il caso di Alice
IX. IL FETO COME PAZIENTE
1. Introduzione
2. La terapia fetale
3. Terapia peri e post-natale
4. Conclusioni
CONCLUSIONI GENERALI
Riferimenti bibliografici
UNIVERSALE
Studium
91.
Nuova serie
LOURDES VELÁ ZQUEZ
Il trattamento
del neonato terminale
dal punto di vista
bioetico
Presentazione del Card. Elio Sgreccia
Tutti i volumi pubblicati nelle collane dell’editrice Studium Cultura
ed Universale
sono sottoposti a doppio referaggio cieco. La documentazione resta agli atti. Per consulenze specifiche, ci si avvale anche di professori esterni al Comitato scientifico, consultabile all’indirizzo web http://www.edizionistudium.it/content/comitato-scientifico-0.
Titolo originale: El tratamiento del neonato terminal
desde el punto de vista bioético
© 2017 Ediciones de la Universidad de Navarra S.A. (EUNSA)
© 2017 Lourdes Velázquez
Traduzione di Valentina Raffa
Copyright © 2018 by Edizioni Studium - Roma
ISBN 9788838247453
www.edizionistudium.it
A Evandro
Presentazione
Portare l’attenzione della bioetica sul problema del neonato terminale
comporta la discussione di molteplici e cruciali questioni, come dimostra la ricerca che mi accingo a presentare.
L’autrice ha esposto tali implicazioni: il tema dell’aborto, quello della diagnosi prenatale e dei suoi limiti, l’applicazione delle cure palliative, il tema dell’eutanasia e del trattamento dei nascituri di basso peso o con difetti che ne compromettono la salute o la sopravvivenza. Un ampio quadro dell’etica di frontiera, ma anche un insieme di drammi che coinvolgono le famiglie.
Si potrebbe dire che nella bioetica si verifica il fatto che in ogni argomento, quando si porta a fondo la riflessione, si coinvolge tutta l’etica ed anzitutto i suoi fondamenti. Vale quello che in teologia si dice della presenza dell’anima spirituale nel corpo umano, è presente tutta intera in ogni singolo membro.
Poter rilevare questo esito in un lavoro di ricerca è già un merito ed un segno di qualità. In questa ottica si scopre che la soluzione dei casi problematici e talora drammatici risulta adeguata quando armonizza e soddisfa tutte le implicazioni coinvolte, mentre la soluzione risulta manchevole quando riduce l’attenzione ad un solo aspetto, magari quello che presenta più difficoltà dal punto di vista dell’accettazione psicologica o emotiva.
Non posso fare a meno, a questo proposito, di richiamare un caso, per il quale sono stato chiamato a dare un parere ed ho potuto seguirne gli sviluppi.
Una donna, sposata con un medico, venne a scoprire alle prime diagnosi ecografiche di essere incinta di un feto affetto da idrocefalia incompatibile con la vita e il marito, medico, consigliò subito l’aborto cancellando ogni scrupolo in sé e nella sua sposa. Costei si confidò con un confessore passando nel Santuario di Loreto e lì il padre confessore, perplesso anche lui, consigliò la signora di rivolgersi a me per telefono. Io non ho mai incontrato di persona la signora e non ne conosco né il volto né il nome. Proposi, come ho sempre insegnato, di portare avanti la gravidanza e, nel momento in cui accadesse la morte o in fase prenatale o neonatale, lo si accompagnasse alla tomba, dopo averlo eventualmente battezzato (trattandosi di famiglia credente), appoggiandomi sul rispetto della sensibilità umana e della psicologia materna, per risparmiare un trauma nella madre con l’eliminazione volontaria del figlio. In altre parole consigliavo di trattare questo feto infermo terminale
come si trattasse di un famigliare adulto colpito da una malattia non guaribile.
La signora accolse il mio consiglio e resistette alle pressioni del marito medico. Poi mi chiamò telefonicamente ancora per raccontarmi dell’evento della morte della creatura in fase post-natale dopo aver celebrato il Battesimo. Ma mi richiamò ancora, dopo un anno circa, per dirmi che era incinta di nuovo e che questa volta il figlio si presentava sano. In questa fase tutte le persone erano rasserenate, nessuna esclusa, perché tutti gli aspetti umani erano stati armonizzati.
Ho seguito la esperienza emblematica del ginecologo prof. Giuseppe Noia e del gruppo di collaboratori sanitari da lui diretto nel Centro di Diagnosi e Terapia Fetale del Policlinico Agostino Gemelli di Roma, accompagnata dall’attività dell’associazione
La Quercia Millenaria" in cui è lo stesso principio che viene rispettato: tutto l’umano, quello di tutte le persone implicate, deve essere trattato eticamente e positivamente con rispetto.
L’opera che qui presentiamo sviluppa i diversi temi basandosi in argomentazioni scientifiche, filosofiche, razionali, affettive senza presupporre adesioni di tipo religioso o confessionale, per quanto siano chiare le aperture verso tale ampliamento di orizzonti. Quando si fa presente la illuminazione di questo contributo ulteriore, il principio del rispetto della dignità umana risulta fondato sulla Creazione, cioè nel fatto che l’uomo e la donna sono immagine e somiglianza
di Dio, superano il valore di ogni e qualsiasi altra creatura, trascendono il tempo e la materialità, per questo legame con il Creatore. Questo stesso legame diventa ancor più evidente quando si riferisce a Gesù Cristo, il Verbo Incarnato che ha assunto la umanità ed è la perfetta Immagine della sostanza
di Dio Padre e, nello stesso tempo, è perfetto Uomo perché ne ha assunta la natura.
Il comportamento umano è eticamente corretto quando rispetta questa dignità ontologica
di ogni uomo, nelle varie situazioni. Tale fondazione etica ha un grande vantaggio anche dal punto di vista scientifico e di accertamento della verità obiettiva. Questo fatto emerge dal lavoro che presentiamo laddove si riportano le esperienze della Associazione La Quercia Millenaria
animata dal ginecologo prof. Giuseppe Noia. In tali esperienze, confermate anche da altre fonti, emerge che nella diagnosi del feto malformato si possono verificare dei falsi
per cui viene diagnosticata una malformazione che si basa su polimorfismi
che si sistemano progressivamente con la crescita, per cui rispettando la vita, evitando il fatto soppressivo dell’aborto, si ha il risultato di avere un feto sano e, perciò, se si agisce con l’intervento abortivo in tali situazioni si sopprime un feto sano. I falsi positivi e negativi sono frequenti in questa situazione, per cui il rispetto della vita diventa anche un criterio di salvaguardia e di garanzie di scientificità.
La Bioetica, che orienta al rispetto della vita, è garanzia per la scienza nella misura in cui è garanzia per il rispetto della piena dignità dell’essere umano e del rispetto del primo dei suoi diritti, il diritto alla vita.
Dobbiamo essere grati a chi conforta con la ricerca presente anche la retta formazione della coscienza dei professionisti della medicina e dei familiari coinvolti.
Cardinale Elio Sgreccia
Introduzione
Questo libro si propone di studiare le questioni etiche che insorgono nel trattamento di esseri umani malati, nell’immediata vicinanza
alla nascita, cioè nella fase prenatale e immediatamente postnatale.
Il titolo potrebbe dare l’impressione che tutta l’attenzione sia focalizzata su quello che è eticamente corretto fare con il neonato, al quale rimangono poche ore di vita. Questa, però, è solo la parte più eclatante del problema che, in realtà, è più ampio e riguarda anche la tendenza, abbastanza comune, a disfarsi del feto portatore di malattie o disfunzioni, vere o supposte tali.
Il libro si apre con l’esposizione di alcune questioni preliminari, che inquadrano il trattamento del tema, cioè le questioni generali dell’aborto e dell’eutanasia (perché il rifiuto di entrambi è il risultato al quale punta la nostra proposta). In quest’ottica, acquisisce particolare importanza la questione della certezza delle diagnosi, sia quelle prenatali sia quelle che si fanno in sala parto. In entrambi i casi, si mettono in discussione i limiti di affidabilità, e pertanto la fragilità che le caratterizza, come fondamento per le decisioni abortive o eutanasiche. Si è visto, invece, che spesso queste diagnosi permettono di applicare terapie fetali con risultati positivi a breve o a lungo termine, fino al punto di modificare una prognosi iniziale di neonato terminale nel risultato di un bambino che nasce vivo e con prospettive di vita relativamente normali, a condizione di ricevere i trattamenti adeguati. Parlare di un neonato in stato terminale risulta in certo senso paradossale, dato che unisce, nello stesso lasso di tempo, il venire alla vita e il morire. Questa situazione paradossale si è trasformata, tuttavia, in un argomento di grande importanza bioetica dal momento che – invece di essere un evento accidentale e non previsto – costituisce una situazione prevista e accettata in anticipo. Quando, infatti, una diagnosi prenatale sembra rivelare a una donna che il feto che porta in grembo è gravemente malato e che la prognosi – nel caso che non muoia prima – è che potrebbe sopravvivere per poche ore, dopo la nascita, è molto comune che le si proponga di abortire, perché sembra irrazionale portare avanti il peso di una gravidanza praticamente senza prospettive
. Fino a qualche decennio fa, questa situazione sembrava senza via d’uscita e la donna si vedeva obbligata a scegliere tra l’aborto (che spesso le sue convinzioni morali e religiose rifiutavano) e l’incubo di una gravidanza destinata a concludersi con un bambino quasi morto. Invece, negli ultimi vent’anni, ci sono stati progressi significativi nel campo della medicina fetale e neonatale, che hanno permesso di vedere, con maggiore chiarezza, la situazione concreta e approfondire i problemi etici coinvolti.
Un approccio a questo problema si trova attualmente negli studi e nei dibattiti sui neonati con peso estremamente basso (nei quali si valuta la questione se sia eticamente corretto indicare una soglia fissa sotto la quale non rianimare
i prematuri). Questa presa di coscienza ha suscitato l’interesse verso le possibilità di formulare una diagnosi affidabile al momento della nascita di un bambino prematuro nonché verso le possibilità delle terapie fetali che, da un lato, ha stimolato importanti progressi nel trattamento di diverse malattie fetali e dall’altro ha chiarito che, così come non v’è certezza di diagnosi, al momento della nascita, non c’è nemmeno nel caso di varie diagnosi prenatali
. Nemmeno una diagnosi positiva, inoltre, implica l’impossibilità di un trattamento. È questa la strada intrapresa da alcuni medici, che propongono un trattamento per il neonato terminale: vogliono opporsi all’atteggiamento frettoloso di coloro che, davanti a una diagnosi prenatale che indica la possibile presenza di una malattia, decidono di abortire, dato che spesso questa malattia si può curare o ridurre significativamente durante la gravidanza o, con terapie adeguate, dopo il parto. In quest’ottica, il feto, colpito da disfunzioni e anomalie è considerato un essere umano malato e con questo cambia anche l’atteggiamento più diffuso che lo percepisce come un problema o un incubo, del quale ci si vuole liberare il prima possibile. In sostituzione di questa visione, si sviluppa un atteggiamento di cura affettuosa, che implica anche un poco di speranza e un’accettazione del bambino con tutti i limiti che porta con sé. Tra questi limiti esiste la prospettiva di una morte molto prossima alla sua nascita e pertanto la considerazione del neonato come paziente terminale
.
È per questo motivo, cioè per il fatto di mettere l’accento sulla dimensione ontologica di essere umano
, che utilizzeremo spesso l’espressione neonato terminale
, invece dell’espressione, grammaticalmente più corretta, di neonato in stato terminale
, per sottolineare che non è lo stato del paziente, ma il paziente stesso, in quanto essere umano, a suscitare i problemi etici.
È questo il motivo per cui l’obiettivo principale di quest’opera è sottolineare il valore intrinseco dell’essere umano per quello che è e non per quello che può fare. In questo senso, si può considerare come una difesa ragionata di una concezione ontologica e non funzionalista della persona. L’approccio particolare con il quale si difende questa tesi si distingue per il fatto di accettare esplicitamente il carattere limitato, imperfetto, fragile e vulnerabile di ciascuna persona umana e per questo si muove in senso contrario rispetto alle forme più tradizionali del personalismo che mettono grande enfasi sulle eccellenze della persona (creatività, autonomia, autodeterminazione, capacità simbolica, apertura verso gli altri, interiorità, ecc.). Questa enfasi comporta il rischio di negare la dignità di persona e addirittura di negare l’essere persona a esseri umani che, per le ragioni più disparate, non possiedono tali caratteristiche, in modo permanente o in prospettiva. L’esempio forse più estremo ed emblematico di questo rischio è il caso del feto le cui malformazioni e disfunzioni fisiche autorizzino una prognosi di morte molto prossima alla sua nascita, cosa che sembra giustificare, come azione ragionevole
ed eticamente corretta, la scelta di abortire. L’elemento più specifico di questo lavoro consiste nel fatto di non riprendere
gli argomenti tradizionali contro l’aborto in senso assoluto, ma nell’approfondire le evidenze razionali che emergono dal fatto di considerare il feto malato e il neonato moribondo come un figlio che è percepito nella sua irripetibile unicità e circondato da tutto l’affetto che hanno per lui i suoi genitori