Elena
Di Euripide e Ettore Romagnoli
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L'Elena di Euripide è l'archetipo del doppio, destinato a percorrere con successo tutta la letteratura occidentale e l'aspetto avventuroso della tragedia che influenzerà il romanzo ellenistico e il teatro shakespeariano.
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Elena - Euripide
ELENA
Euripide
Traduzione di Ettore Romagnoli
Prima edizione 2018
© Sinapsi Editore
PERSONAGGI:
ELENA
Tèucro
Menelào
Teònoe
Teoclimèno
I Diòscuri
Una VECCHIA
Un NUNZIO
Un ARALDO
CORO di fanciulle greche
La scena in Egitto, davanti al ricchissimo palazzo del re Teoclimèno.
La scena in Egitto, davanti al ricchissimo palazzo del re Teoclimèno.
Dinanzi al palazzo, la tomba di Pròteo.
(Elena sta semigiacente sui gradini della tomba di Pròteo)
ELENA:
Del Nilo queste le virginee belle
fluenti sono, che feconda, invece
della diva rugiada, i campi, quando
si discioglie la neve, al pian d'Egitto.
Era Pròteo signor di questa terra,
quando vivea, che l'isola di Faro
abitava, e monarca era d'Egitto;
ed una delle Ninfe, abitatrici
di questo mare, sposa ebbe, che il talamo
d'èaco abbandonò, Psamàte; e a questa
casa due figli generava: un maschio,
Teoclimèno, che passò la vita
venerando i Celesti, ed una vergine
bennata, Idòa, la gioia di sua madre,
sinché pargola fu: poi, da che giunse
delle nozze all'età, Teonòe la chiamano,
però che degli Dei tutti conosce
i disegni presenti ed i futuri,
ché dal nonno Nerèo n'ebbe il retaggio.
Ignobile non è la patria mia:
Sparta; e mio padre è Tíndaro. E raccontano
che Giove un dí, presso la madre mia
Leda, volò, forma di cigno assunta,
e l'amor n'ebbe di sorpresa, mentre
un'aquila fuggía, se pure è vero
simil racconto; ed Elena fui detta.
E i mali ch'io patii vorrei narrarvi.
Venner tre Dive, che faceano gara
di lor bellezza in un recesso Idèo,
presso Alessandro: Cipri, Era, e la vergine
nata da Giove, che volean giudizio
sulle lor forme; e la bellezza mia,
se la sventura è bella, e le mie nozze
ad Alessandro promettendo, Cípride,
ebbe vittoria. Ed i presepî Idèi
Paride abbandonati, a Sparta venne,
per avermi sua sposa. E queste nozze
a vuoto Era mandò, piena di cruccio
per non aver vinte le Dive; e al figlio
di Prïamo, non me diede, ma simile
una immagine a me, composta d'aria,
che avea respiro. Ed ei pensò d'avermi,
vana credenza, e non m'aveva. Ed altri
disegni poi concorsero di Giove
con questi mali: ché alla terra d'Ellade
suscitava ei la guerra, e ai Frigi miseri,
per alleviar dal peso dei mortali
la madre terra, e dalla calca, e rendere
celebre il piú possente eroe de l'Ellade.
E ai Frigi in mano data fui - non io
ma il nome mio - mèta dell'armi d'Ellade.
Per gli anfratti dell'aria Erme frattanto
mi trasportava: ché non fu di me
Giove oblioso; e mi condusse in questa
casa di Pròteo, ché su tutti gli uomini
lo credea costumato, affinché puro
di Menelào serbar potessi il talamo.
Ed io qui sono; ed il mio sposo misero,
radunato un esercito, sbarcò,
per vendicare il ratto mio, di Troia
sotto le torri; e molte alme d'eroi
per me sui rivi di Scamandro caddero.
E maledetta io son, ché la piú misera
sono, e par che lo sposo abbia tradito,
che accesa una gran guerra abbia per gli Ellèni.
Dunque, a che vivo? Udii dal Nume Ermète,
questo presagio: che di Sparta il celebre
suol col mio sposo ancora abiterei,
e ch'ei saprebbe che non giunsi ad Ilio,
che non partecipai d'alcuno il talamo.
Dunque, finché mirò del sole il raggio
Pròteo, da nozze immune fui; ma quando
ei della terra scese fra le tènebre,
vuole sposarmi il figlio suo. Ma io
disonorar non vo' l'antico sposo,
e, qui venuta, al tumulo di Pròteo
supplice mi prosterno, affinché il talamo
puro conservi del mio sposo: ché
se il mio nome infamato è pur nell'Ellade,
il corpo mio vergogna qui non merita.
(Entra Tèucro, e contempla il palagio)
Tèucro:
Chi regna in questa eccelsa casa? è degna
ben che si affronti alla magion di Pluto:
regie le mura, e bene sculti i seggi.
(Si accorge d'Elena)
Qual vista, o Numi, s'offre a me? L'immagine
che sangue stilla io miro, inimicissima,
della donna che me, che gli Achei tutti
trasse a rovina. Deh, vituperarti
possan gli Dei, tanto somigli ad Elena!
E se non fossi sopra estranea terra,
da questa freccia che non falla al segno,
morte, per questa simiglianza, avresti.
ELENA:
Perché, qual che tu sia, misero, gli occhi
torci da me, pei falli altrui m'aborri?
Tèucro:
Ho errato: