Le fenicie
Di Euripide
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Euripide (Atene, 485 a.C. – Pella, 407-406 a.C.) fu un drammaturgo greco antico. È considerato, insieme ad Eschilo e Sofocle, uno dei maggiori poeti tragici greci.
Traduzione a cura di Ettore Romagnoli
Ettore Romagnoli (Roma, 11 giugno 1871 – Roma, 1º maggio 1938) è stato un grecista e letterato italiano.
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Le fenicie - Euripide
Fenicie
LE FENICIE
PERSONAGGI:
GIOCASTA (moglie e madre di Edipo)
ANTÍGONE (figlia di Edipo e Giocasta)
POLINÍCE (figlio di Edipo e Giocasta)
ETÈOCLE (figlio di Edipo e Giocasta)
CREONTE (re di Tebe)
TIRESIA (indovino cieco)
MENECÈO (figlio di Creonte)
EDÍPO (precedente re di Tebe)
PEDAGÒGO
ARALDO
SECONDO ARALDO
CORO DI DONNE FENICIE
AMBIENTAZIONE:
La scena è a Tebe, dinanzi alla reggia.
GIOCASTA:
O tu che in ciel solchi la via degli astri,
o tu che muovi sopra il cocchio d'oro,
o Sol che sovra rapide puledre
rechi attorno la fiamma, oh, come infausto
sopra Tebe quel dí scagliasti i raggi,
quando, lasciata la fenicia terra
cinta dal mare, a questo suolo giunse
Cadmo, che sposa ebbe Armonia, di Cípride
la figlia, e Polidòro generò,
da cui si narra che nascesse Làbdaco,
e da Làbdaco Laio. Ed io son detta
figlia di Menecèo (Creonte nacque
dalla mia stessa madre, è mio fratello),
e mi chiaman Giocasta: a me tal nome
il padre impose. E Laio mi sposò.
E poi che a lungo senza prole il talamo
nuzïale rimase, a Febo andò,
la ragion glie ne chiese, e maschia prole
implorò, che da lui nata e da me,
popolasse la reggia. E il Dio rispose:
«Non seminare dei figliuoli il solco
senza il volere dei Celesti: ché
se tu la vita a un figlio dài, la morte
il figlio a te darà, nel sangue immersa
tutta sarà la casa tua». Ma quegli,
indulgendo al piacer, vinto dal vino,
un figlio seminò; poi, come gli ebbe
data la vita, ripensò l'oracolo
del Dio, conobbe il proprio errore, e il pargolo
a bifolchi affidò, ché l'esponessero,
poi che trafitti gli ebbe con un pungolo
i mallèoli a mezzo: onde poi l'èllade
Edípo lo chiamò. Ma lo raccolsero
di Pòlibo i pastori, e lo recarono
alla regina, e a lei lo consegnarono.
Ed essa, il frutto della doglia mia
al proprio seno avvicinò, convinse
lo sposo suo ch'era suo figlio. E quando
uomo divenne il mio figliuolo, e fulve
le gote sue, vuoi per sospetto, vuoi
ch'altri parlasse a lui, bramò conoscere
i propri genitori, e al santuario
mosse di Febo. Ed in quei giorni stessi
Laio v'andò, lo sposo mio, per chiedere
se l'esposto figliuolo ancor vivesse.
E l'uno all'altro, a un punto della Fòcide
che si fende in tre vie, di fronte giunsero.
E l'auriga di Laio allora impose:
«Fatti da banda, forestiero, e cedi
il passo ai re». Ma l'altro, animo altero,
proseguía muto: onde i puledri, i tendini
dei pie' gl'insanguinâr coi loro zoccoli.
Ma che giova narrar quanto è remoto
dei mali miei? Sorse una lite, e il figlio
uccise il padre, ascese il cocchio, e a Pòlibo,
l'educatore suo, lo die'. Frattanto
coi suoi sterminî imperversava sopra
Tebe la Sfinge; e morto era il mio sposo.
E il fratel mio Creonte, al bando pose
il letto mio: che della scaltra vergine
chi sciogliesse l'enigma, avrebbe asceso
il mio giaciglio. E quell'enigma sciogliere
Edípo seppe, il mio figliuolo; ond'egli
eletto fu signor di questa terra,
di questo suolo in premio ebbe lo scettro,
e me sposò, la madre sua, ch'ei, misero,
nulla sapeva, e neppure io sapevo
che m'univo col figlio. E al figlio mio
figliuoli generai: due maschi, Etèocle
e Poliníce, valoroso e celebre,
e due figliuole; ed una d'esse, Ismène
chiamava il padre; ed io la prima Antígone.
Or, come apprese le sue nozze quali
eran, materne nozze, al fondo sceso
d'ogni sciagura, Edípo, orrenda strage
fece degli occhi proprî, insanguinandone
con fibbie d'oro le pupille. E quando
già s'ombrava la guancia ai figli miei,
tennero in casa il padre lor nascosto,
perché scendesse oblio su la sciagura
che velare si può solo con molti
accorgimenti. E nella casa ei vive.
Ma, nel tormento di sciagura, lancia
ai suoi figliuoli imprecazioni orribili:
ch'essi i beni paterni compartiscano
con la spada affilata. E quei, temendo
che compiessero i Numi, ove un sol tetto
abitassero entrambi, i voti suoi,
s'accordaron insiem, che Poliníce
andasse prima in volontario esilio,
ch'era il minore, e che lo