Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Praticamente Imperfetto: Serie Imperfetta
Praticamente Imperfetto: Serie Imperfetta
Praticamente Imperfetto: Serie Imperfetta
E-book276 pagine3 ore

Praticamente Imperfetto: Serie Imperfetta

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Lei è una poliziotta in fuga. Lui è il suo vicino di casa noto per i suoi scherzi. Quando qualcuno cerca di uccidere entrambi,  devono collaborare per sopravvivere. Cosa potrebbe mai andare storto?

Ci sono solo tre cose di cui Gemma McDougall è sicura: la prima è che non si libererà mai del suo sedere da latino-americana; la seconda è che la sua carriera è più importante delle relazioni sentimentali schifose (e non esistenti) che ha dovuto subire per tutta la sua vita adulta; la terza è che otterrà la prossima promozione a detective anche se questo dovesse ucciderla. Ma poi il suo lavoro quasi la uccide davvero ed è costretta suo malgrado a un congedo per malattia.

Ci sono solo tre cose di cui Sam London è sicuro: la prima è che non ha idea di come si gestisca una normale relazione adulta e che con ogni probabilità morirà infreddolito e solo, dilaniato da cani selvatici; la seconda è che giocare a Drinking Jenga, per quanto divertente, porta a incursioni a tarda notte nel cortile del vicino e a essere minacciati con la pistola dalla figlia del suddetto vicino; la terza è che non ha idea dei guai in cui si è cacciata Gemma McDougall ma sa che, in un modo o in un altro, lui non ne resterà fuori.

Vi innamorerete di questo strambo giallo romantico perché è piacevole e un po' pazzo e vi farà ridere di gusto. 

Comprate Praticamente Imperfetto per illuminare la vostra giornata con amore e risate.

LinguaItaliano
EditoreMary Frame
Data di uscita4 nov 2018
ISBN9781386700456
Praticamente Imperfetto: Serie Imperfetta
Autore

Mary Frame

To sign up for the newsletter and have the opportunity to receive advance copies of new releases, go here! www.authormaryframe.comMary Frame is a full time mother and wife with a full time job. She has no idea how she manages to write novels, except that it involves copious amounts of wine. She doesn't enjoy writing about herself in third person, but she does enjoy reading, writing, dancing, and damaging the ear drums of her co-workers when she randomly decides to sing to them.She lives in Reno, Nevada with her husband, two children and a border collie named Stella.She LOVES hearing from readers and will not only respond but likely begin stalking them while tossing out hearts and flowers and rainbows! If that doesn't creep you out, e-mail her at: maryframeauthor@gmail.comFollow her on twitter: @marewulfLike her Facebook Author page: www.facebook.com/AuthorMaryFrame

Autori correlati

Correlato a Praticamente Imperfetto

Ebook correlati

Gialli per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Praticamente Imperfetto

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Praticamente Imperfetto - Mary Frame

    Ai miei colleghi,

    per essere una fonte infinita di ispirazione.

    (E anche per tutto il supporto e l'incoraggiamento...

    Suppongo che abbiano aiutato anche quelli.)

    Capitolo Uno

    Il piacere nel lavoro aggiunge perfezione al compito che svolgiamo.

    Aristotele

    Gemma

    ––––––––

    A giudicare dalle urla che provengono dallo spogliatoio, direi che io e la mia recluta abbiamo davanti una gran bella nottata.

    Ci vogliono ancora circa dieci minuti prima dell'inizio del nostro turno e spero che per allora qualunque cosa i ragazzi stiano facendo a O'Connor sia finito.

    «Tony» mi siedo su un angolo della sua scrivania mentre è intento a scrivere al computer.

    «Sì?» chiede senza spostare lo sguardo dallo schermo. Era Tony il mio partner prima che ereditassi il novellino.

    «Cosa stanno facendo a O'Connor?»

    «La domanda giusta è: cosa non stanno facendo a O'Connor?» risponde.

    Emetto un lamento. «Non la tripletta. Non hanno nulla di meglio da fare?»

    «Vuoi davvero che risponda a questa domanda?»

    «Hai ragione».

    La tripletta è una combinazione di scherzi che inizia in modo banale, per esempio scambiando i pantaloni della divisa con un paio di una taglia più piccola o rimuovendo il distintivo dal cappello per poi re-incollarlo a testa in giù, e finisce col pezzo forte: ʻprendere in prestitoʼ delle bustine di droga dal magazzino prove e nasconderle nell'armadietto della recluta.

    Sospiro.

    Sebbene la serata sia appena iniziata, il distretto è piuttosto attivo e rumoroso. C'è ovunque gente che parla e che va di qua e di là, telefoni che squillano e una stampante che si lamenta in sottofondo.

    «Ehi,» chiedo, dando una sbirciata al documento aperto sul computer di Tony, «stai rivedendo i documenti del caso Rosco?». Odia quando guardo da sopra la sua spalla e questo mi fa venire ancora più voglia di farlo.

    «Esatto. L'udienza di Larry in tribunale si avvicina».

    Faccio una smorfia. «E credi che non lo sappia? Io dovrei testimoniare».

    Larry Rosco è il figlio dell'ex-sindaco e un gran pezzo di merda. Mi sono ritrovata coinvolta nella sua ultima avventura quando è stato fatto accostare da un'altra auto di pattuglia. Jimmy ― un nostro amico che fa il poliziotto da più tempo di me e Tony messi insieme ― mi ha chiamata sulla scena come rinforzo quando si è reso conto che c'erano più soggetti nell'auto e che probabilmente avrebbe arrestato qualcuno.

    Lo sguardo di Tony si fa più intenso. «Racconterai di quello che ti ha detto?».

    Alzo gli occhi al cielo e mi metto in piedi, aggiustandomi nel frattempo la tenuta ingombrante. Il peso del giubbotto antiproiettile sotto l'uniforme e la cintola piena di armi attorno alla vita mi scavano sempre dei solchi sui fianchi.

    «No, se non me lo chiedono. E dubito che nel controinterrogatorio verrà fuori che l'accusato abbia detto Cinquanta centesimi per un pompino mentre lo arrestavo». Sollevo le sopracciglia.

    Tony sorride. «Credi avesse capito che eri un poliziotto?»

    «Era talmente fatto di droghe che non mi sarei sorpresa se avesse pensato che io fossi un unicorno e avesse cercato di cavalcarmi fino all'arcobaleno».

    Tony fa una risatina, appoggiandosi allo schienale della sedia e accarezzandosi il mento, che sembra non veda un rasoio da vicino da diversi giorni. «Ho sentito che Rosco Senior sta pensando di candidarsi come governatore per l'anno prossimo».

    Faccio una smorfia. Quei Rosco non dovrebbero essere in una posizione di autorità per alcuna ragione. L'intera famiglia è immersa negli scandali.

    «Ehi, ti ricordi di quel tizio di cui mi hai parlato, quello con Larry quella notte e che è riuscito a scappare?»

    «Sì, alto, moro e affascinante»

    «Ne hai parlato nel rapporto?» chiede Tony.

    «Certo. Dovrebbe esserci».

    Aggrotta la fronte mentre guarda lo schermo e gli si crea una fossetta fra le sopracciglia. «Be', non c'è»

    «È scomparso il mio rapporto?» chiedo.

    «Quello c'è ma non trovo nulla a proposito dell'uomo misterioso»

    «Fammi vedere». Giro attorno alla scrivania così posso leggere da sopra la sua spalla. Scorro con gli occhi il testo familiare fino alla fine. «È strano,» mormoro «ricordo perfettamente di avercelo messo. L'ho guardato solo per un minuto ma mi sembrava di averlo già visto. Jimmy l'ha inseguito ma lo ha perso dopo un paio di isolati». Mi volto verso Tony. «C'era nella dichiarazione di Jimmy?».

    Scrolla le spalle. «Non lo so. Ma è una bella domanda. Glielo chiederò. Non ha ancora caricato i suoi documenti».

    Mi allontano dalla sua scrivania. «Mi è venuta voglia di dare un'occhiata a tutti i miei rapporti per assicurarmi che nessuno stia manomettendo i miei documenti»

    «Mi sembra strano. Insomma, ai ragazzi piace tirare scherzi ma non toccherebbero mai qualcosa che potrebbe compromettere un caso»

    «Già». Sventolo la mano per chiudere la discussione. «Non è un problema. Salvo sempre una copia sul mio hard drive prima di caricare i file sul server. Sono certa che è dovuto a un guasto o qualcosa di simile».

    Tony annuisce. «Avverto il reparto informatico. Daranno un'occhiata».

    Guardo l'orologio. Ho meno di cinque minuti prima dell'inizio del turno. «Meglio che vada a controllare il pivello. Così mi assicuro che non gli abbiano incollato la pistola alla fondina. A dopo».

    Stringo la spalla di Tony mentre gli passo vicino per dirigermi verso l'ultimo posto da cui ho sentito provenire le urla.

    Il pivello, O'Connor, è fresco fresco d'accademia, oltre ad essere il più giovane dell'intero corpo di polizia e l'ultimo arrivato. È più giovane di me di qualche anno, una recluta piuttosto attraente dai capelli scuri, e ha ancora le stelline negli occhi e l'intenzione di cambiare il mondo.

    È giusto un po' fastidioso.

    Lo trovo vicino alle porte d'ingresso, fermo ad aspettarmi. Si sta aggiustando i pantaloni, che sono evidentemente troppo stretti e troppo corti di almeno cinque centimetri e lasciano in bella vista i calzini bianco candido.

    Cerco di nascondere una risata, senza successo.

    «Amico,» gli dico «non sei riuscito a trovare un paio di pantaloni della tua misura?»

    «Ho paura di mettermi i miei pantaloni della divisa. C'era della roba bianca nelle gambe, spero fosse polvere pruriginosa e non qualcos'altro»

    «Una scelta saggia, direi. Forza,» faccio un cenno con la testa in direzione dell'auto «andiamo»

    «Posso guidare?» chiede O'Connor quando ci fermiamo accanto all'auto di pattuglia.

    «Non hai ancora superato il test» gli rispondo mentre giro attorno all'auto e salgo dal lato del guidatore.

    La regola non ufficiale vuole che i pivelli non possano guidare finché non abbiano inseguito a piedi un delinquente e l'abbiano placcato a terra. E devono prenderlo, non sono ammessi fuggitivi.

    Una volta che si è seduto sul sedile del passeggero, accendo l'auto e gli dico: «Ma magari stanotte sarà quella fortunata».

    Emette un gemito.

    È una battuta collaudata. La nostra città è piuttosto sicura e la maggior parte delle notti trascorrono lente e noiose. Mi ci sono voluti quasi due anni per guidare l'auto di pattuglia, e questo solo perché il signor Knight era scappato dalla casa di cura e ho riacciuffato lui e il suo deambulatore a un isolato di distanza.

    Anni fa ci fu una serie di omicidi all'università. I crimini erano legati all'uso di droghe, ma quello è stato il caso più grosso che ci sia capitato nell'ultimo decennio.

    Il turno è iniziato ormai da qualche ora ed è stata una noiosa serata di straordinaria normalità. Finora abbiamo avuto qualche violazione stradale e un paio di chiamate per disturbo della quiete. In un momento di pausa da tutta questa eccitazione, intorno alle undici di sera, ci procuriamo uno spuntino di mezzanotte e parcheggiamo in un vecchio spiazzo vuoto.

    «Quindi tu e Tony non ci avete mai dato dentro durante un pattugliamento?» chiede O'Connor.

    «Non ci abbiamo mai dato dentro, punto». Do un morso gigante al mio panino, sperando che capisca l'antifona e smetta di interrogarmi.

    Non è la prima volta che mi fanno questa domanda. Sia io che Tony siamo single.

    «Non frequento altri poliziotti». Non più. «Quindi rimettiti il cazzo nei pantaloni, Romeo» gli lancio un sorriso, mettendolo in difficoltà visto che so che non ci proverebbe con me.

    Sebbene sia praticamente un bambino, O'Connor ha moglie e figlio.

    «Dico solo,» continua O'Connor «che sarebbe piuttosto eccitante farlo in un'auto della polizia»

    «O piuttosto scomodo. Bisogna passare attraverso una dozzina di strati di vestiti e un giubbotto antiproiettile prima di riuscire a concludere qualcosa».

    Scuote le testa. «Ci credo che sei ancora single»

    «Cosa vorresti dire?»

    «Non c'è bisogno che ti metti sulla difensiva».

    La mia voce cresce di volume. «Non mi sto mettendo...» mi interrompo e prendo un respiro profondo per moderare il tono. «Non sono sulla difensiva,» dico nel modo più calmo possibile «non ho tempo per gli appuntamenti e quando ce l'ho, il tizio di solito si rivela essere una gigantesca testa di cazzo»

    «Quand'è stata l'ultima volta che sei andata a un appuntamento?» chiede prima di infilarsi in bocca una patatina.

    «Non molto tempo fa». Do un morso più piccolo al panino e mastico lentamente mentre ci penso su. «È stato solo, tipo, un paio di mesi fa».

    Se per mesi intendiamo anni.

    Wow. Non mi ero resa conto che fosse passato tutto questo tempo.

    Continuiamo a ingozzarci in silenzio, abituati a mangiare velocemente nel caso avessimo una chiamata.

    «Quindi non prenderesti mai nemmeno in considerazione di andare a bere qualcosa con Pauly?» chiede O'Connor.

    C'è un momento di pausa mentre faccio finta di meditare sulla sua domanda, poi gli do un pugno, forte, dritto sul braccio.

    «Ahi!» grida, mentre quel che resta del suo panino vola fuori del finestrino a causa dell'impatto. «Perché l'hai fatto?»

    «Per aver fatto il ruffiano per Pauly con me. Non lo farai di nuovo. Dì a quel viscido che può dire addio alle sue palle se vuole condividere un qualsiasi pasto con me».

    O'Connor si massaggia il braccio con un finto broncio sul viso prima di chiedermi:«Sei lesbica, allora?».

    Smetto di ingozzarmi. Mi giro e lo guardo con lo stesso sguardo che mia madre mi rivolgeva quando mi rovinavo il vestito buono o dicevo qualcosa di inappropriato. Fa paura. Lo so per esperienza.

    «Non costringermi a mollare un cazzotto ai tuoi gioielli, O'Connor»

    «Sto solo chiedendo! Lo sai, gira ogni tipo di chiacchiera in ufficio. Sto solo cercando di fare i tuoi interessi. Dirò loro che hai un ragazzo, o qualcosa del genere»

    «Non dire niente. Giuro su Dio, per essere un gruppo di uomini adulti, sono i peggiori pettegoli che io abbia mai incontrato».

    Quando io e Tony siamo diventati partner e amici, tutti si aspettavano che ci saremmo messi insieme. Non è successo ed è iniziata a circolare la voce che io preferisca le ragazze. Non mi è mai interessato granché, visto che ha allontanato le chiacchiere da Tony. Purtroppo, nel corpo di polizia è più accettabile essere una lesbica che essere un gay. Mi piacerebbe pensare che l'opinione dei ragazzi su Tony e su tutto il lavoro che ha fatto non cambierebbe solo a causa delle sue preferenze sessuali ma... be', non si può mai sapere. Considerando la conversazione che ho appena avuto, Tony fa bene a essere prudente.

    Non ho modo, però, di insegnare al pivello a non essere come il resto di quegli idioti perché ci arriva una chiamata dalla radio.

    «Potenziale dieci-sedici con colpi d'arma da fuoco sulla Grove, l'incrocio più vicino è con la Madison. Unità novantuno, siete in zona?»

    Io e O'Connor ci guardiamo, poi lui prende la radio. Siamo a meno di due chilometri di distanza.

    «Qui unità novantuno. Affermativo, siamo in movimento, tempo d'arrivo stimato meno di cinque minuti, passo».

    Il centralinista ci comunica l'indirizzo esatto prima di chiudere.

    Pochi minuti dopo stiamo percorrendo un quartiere di ceto medio-basso e spengo la sirena. Parcheggiamo di fronte alla casa dove si sta verificando il supposto disturbo della quiete ma sembra tutto spento e abbandonato. Di solito, in casi simili, c'è gente fuori. I vicini adorano scoprire cosa sta succedendo nella porta accanto o sono quelli che hanno chiamato e sono pronti per la deposizione. Di norma ci sono almeno delle luci o comunque accade qualcosa nei dintorni. Ma qui... niente. L'intera strada è al buio.

    Faccio spallucce in risposta allo sguardo interrogativo di O'Connor e usciamo dal veicolo.

    Bussiamo velocemente e lanciamo un grido attraverso la porta ma non otteniamo nulla. Sgancio la radio e chiamo il centralino per confermare l'indirizzo. Una volta verificato, provo ad aprire la porta ma è chiusa a chiave.

    «Vado a controllare le finestre e il retro» dico a O'Connor. «Tu resta qui. Fa' un fischio se vedi o senti qualcosa».

    Cammino lungo il fianco della casa, gli stivali scricchiolano per l'erba secca che ha preso il posto del prato. L'ondata di caldo estivo non aiuta. I cespugli che circondano la proprietà sembrano ammassi scheletrici di arte esoterica.

    Questo è uno dei pochi quartieri che stanno ancora soffrendo le conseguenze dello scoppio della bolla speculativa.

    Quando faccio luce con la torcia attraverso una finestra laterale, tutto quello che vedo è un bagno vuoto a cui non farebbero male diverse passate di sgrassatore.

    Il retro della proprietà è circondato da un alto steccato di legno e dopo una breve ricognizione, scopro che non ha porte o cancelli a facilitare l'accesso.

    «Dannazione».

    Mi ci vogliono un paio di minuti ma riesco a trovare un punto d'appoggio vicino a una pietra alta, sollevarmi oltre la recinzione e lasciarmi cadere goffamente dall'altra parte. Il giardino sul retro della casa è silenzioso quanto il davanti. C'è una chiazza di erba secca, un patio con una crepa nel cemento e una sedia sgangherata piazzata al centro, e una portafinestra che conduce alla casa. Mi avvicino alla porta e illumino l'interno. Al centro del soggiorno c'è un'altra sedia apri e chiudi uguale a quella sul patio. È coperta da un telo sottile. Nient'altro, nessun altro mobile o segno di vita.

    «Inquietante» mormoro.

    Sposto il raggio di luce della torcia per cercare di vedere la casa più in profondità. All'improvviso, scorgo qualcosa muoversi, proprio al margine dell'area illuminata dalla mia torcia.

    C'è qualcuno lì dentro.

    Busso sulla porta finestra e sposto la luce in direzione del movimento, gridando:«Polizia! Aprite!».

    Quasi immediatamente, risuonano degli spari ma non sembrano provenire dall'interno della casa. Il boato e l'eco successiva risuonano dal giardino sul davanti della casa.

    «Maledizione! O'Connor!». Non ho scelta, a questo punto. Sparo contro la serratura della porta e la spalanco, tenendo davanti a me la pistola e la torcia, una vicina all'altra.

    C'è silenzio.

    Almeno, penso ci sia silenzio ma non ne sono certa perché mi fischiano ancora le orecchie a causa dei colpi che ho sparato alla porta.

    «O'Connor!» grido di nuovo. «Dove sei?».

    Mi dirigo verso la parte frontale della casa, spostando la luce della torcia in tutte le direzioni mentre procedo e pregando che stia bene. Prima che raggiunga la porta, questa si spalanca con violenza verso di me.

    All'inizio penso che sia O'Connor che entra nella casa ma, al posto di un tizio piccoletto in un'uniforme troppo stretta, mi trovo davanti un tipo gigantesco, alto quasi due metri. È tutto vestito di nero, perfino la faccia è coperta da un passamontagna nero. Ha l'elemento della sorpresa e, prima che io possa fare qualcosa al di là di andare nel panico, si lancia verso di me cercando di prendermi la pistola.

    Entra in gioco il mio addestramento e schivo il suo attacco ma sono troppo lenta. Cadiamo per terra e lui crolla sopra di me come un macigno. Lottiamo. Lui usa il suo peso per tenermi giù mentre cerca di strapparmi la pistola di mano. Io trattengo sia la pistola che la torcia con tutta la forza che ho ma alla fine riesce a farmele cadere con un colpo, illuminando la stanza con strani effetti finché la torcia non si ferma.

    Con le mani cerca il mio collo ma gli do una ginocchiata nell'inguine che lo fa grugnire; «Puttana!» mi dice con voce roca.

    I minuti successivi si trasformano in un insieme confuso di pugni, alcuni dei quali mi raggiungono alle costole. Non posso divincolarmi a causa del corpo pesante sopra di me. Riesco a contorcermi quanto basta per fare leva e dare una gomitata sul naso al mio assalitore. Sento uno scricchiolio e so di aver fatto centro. Si alza prima che il sangue possa filtrare attraverso la maschera di cotone e si dà alla fuga. Allungo la mano verso di lui e riesco ad afferrare un lembo di maschera, strappandone via un pezzo mentre corre verso la porta e lasciando esposta una parte di testa calva.

    La pistola e la torcia sono da qualche parte dall'altro lato della stanza. Non ho tempo di cercarle. Lo inseguo.

    Una volta all'esterno, lo vedo scavalcare con un salto lo steccato con l'agilità di un gatto.

    Corro dietro di lui e supero lo steccato ma l'adrenalina dà la carica ai miei muscoli e esagero la spinta per lo slancio, finendo dall'altra parte con molta più facilità e velocità del previsto. Non c'è tempo per rallentare la discesa. D'istinto, porto le mani in avanti per bloccare la caduta. Sento uno schiocco e un

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1