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Only you
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E-book235 pagine3 ore

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Il vero amore sa attendere

Due autrici bestseller del New York Times

Desidero davvero l’unica donna che non potrò mai avere: Harper, la sorella del mio migliore amico. Sono innamorato di lei da quando avevo diciotto anni, ma è sempre stata off-limits. Così ho taciuto i miei sentimenti e mi sono arruolato. Adesso, dopo anni nei Marines, sono tornato a casa. E nonostante tutto sia diverso, quello che provo per lei non è affatto cambiato. Ma ora più che mai non posso avere quello che desidero: suo fratello è morto e Harper vuole disperatamente sapere cosa sia successo. Ma ci sono cose che è meglio non sapere. Qualcuno sta cercando di farle del male e io devo proteggerla a ogni costo, anche se lei non si fida di me. Anche se mi odia. Un uomo deve tutelare quello che gli sta a cuore. Harper potrà non essere mai mia, ma è la cosa più preziosa che ho. E voglio che sia al sicuro.

Il vero amore è disposto a tutto, anche al sacrificio

«Mi sono emozionata, è una storia che lascia il segno.»

«Due personaggi indimenticabili, che affrontano il dolore con coraggio.» 

«Una bella storia d’amore da leggere assolutamente.»Samantha Chaseè un’autrice bestseller di «New York Times» e «USA Today». Dopo il suo esordio, nel 2011, non ha mai smesso di scrivere perché inventare storie è la sua vera passione. Quando non scrive è impegnata a leggere, a occuparsi della sua adorabile cagnolina Maylene e a dedicarsi alla famiglia.
LinguaItaliano
Data di uscita13 dic 2018
ISBN9788822728869
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    Anteprima del libro

    Only you - Noelle Adams

    2168

    Titolo originale: Protecting His Best Friend’s Sister

    Copyright © 2017 by Samantha Chase and Noelle Adams

    Traduzione dall’inglese di Federica Gianotti

    Prima edizione ebook: febbraio 2019

    © 2019 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    ISBN 978-88-227-2886-9

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Samantha Chase – Noelle Adams

    Only you

    Indice

    Prologo. Levi

    1. Harper

    2. Levi

    3. Harper

    4. Levi

    5. Harper

    6. Levi

    7. Harper

    8. Levi

    9. Harper

    10. Levi

    11. Harper

    12. Levi

    13. Harper

    Epilogo. Levi

    Prologo

    Levi

    La prima volta che Harper Murphy mi ha fatto eccitare aveva sedici anni ed era accovacciata sul ciglio della strada con una ruota dell’auto a terra.

    Io ne avevo solo diciotto. Era la sorella del mio migliore amico, quindi assolutamente off-limits, ma non ero un viscido trentenne che sbavava dietro a una ragazzina.

    Resta il fatto che non potevo provarci. Di certo non volevo che mi venisse duro vedendola in quel modo.

    All’epoca io e Gavin, suo fratello, frequentavamo l’ultimo anno del liceo e da sempre eravamo amici per la pelle. Gavin si stava preparando per l’allenamento di calcio quando aveva ricevuto la telefonata della sua sorellina. Si trovava su una tortuosa stradina di campagna, fuori città, con una gomma a terra. Nel bagagliaio dell’auto aveva una ruota di scorta che stava cercando di rimontare da sola ma, se per caso lui si fosse trovato nei paraggi, sarebbe stata contenta di vederlo arrivare.

    Disse proprio così. Se per caso lui si fosse trovato nei paraggi. Non disse che aveva bisogno di aiuto. Era sempre stata piccola di statura, bionda e carina, ed era naturale, visto il suo aspetto, pensare che fosse fragile e indifesa. Cosa che lei detestava.

    Quando avevo otto anni e lei sei, mi aveva quasi sbranato perché le avevo dato una mano a spostare sul retro del suo giardino un pesante sasso, in modo che potesse preparare il tè ai suoi animali di peluche. Con il vestito da principessa e una coroncina in testa, si era messa a trascinare quel masso che pesava quasi quanto lei e mi aveva inveito contro solo perché avevo provato ad aiutarla.

    Certe cose non cambiano.

    Così quando Gavin ricevette la telefonata cinque minuti prima dell’allenamento e mi chiese di andare ad accertarmi che Harper stesse bene, sapevo già cosa aspettarmi.

    O pensavo di saperlo.

    Era la sorella minore di Gavin. Minuta. Senza peli sulla lingua. La persona più coraggiosa che avessi mai conosciuto – ma non glielo avevo mai detto. Aveva sempre fatto parte della mia vita, ma era una presenza marginale, che non aveva mai avuto troppa importanza.

    Così presi il pick-up e mi avviai fuori città, vidi la sua utilitaria blu sul ciglio della strada e mi ci fermai dietro. Scesi e mi diressi verso la ruota a terra sul lato del passeggero.

    E lei era lì.

    La piccola Harper.

    Indossava una canottierina bianca con degli shorts molto corti ed era accovacciata sul ciglio della strada sterrata. Era minuta ma aveva tutte le curve al punto giusto, cosa che non avevo mai notato prima. I jeans scoloriti le avvolgevano il piccolo sedere sodo, la canottierina di cotone le aderiva ai seni e, nella posizione in cui si era messa, potevo vedere la pelle liscia e delicata delle sue cosce fin quasi all’anca. Aveva raccolto i capelli biondi in una coda di cavallo morbida, ma parecchie ciocche erano sfuggite all’elastico e le si erano appiccicate alle spalle e al collo, fradici di sudore. Era piegata in avanti, e la maglietta le lasciava scoperti buona parte della schiena e il bordo delle mutandine rosa.

    Rimasi fermo sul ciglio della strada come un idiota, incapace di spiccicare parola, tramortito da un’inaspettata vampata di calore e di eccitazione.

    Certo, avevo diciott’anni ed ero in piena tempesta ormonale, tanto che a quell’epoca sarebbe bastato un carrello della spesa a turbarmi. Ma ciò che provai in quel momento fu diverso.

    Fu una vera e propria scossa di terremoto. Come se lei ormai controllasse ogni mio respiro e il battito stesso del mio cuore.

    Harper.

    La sorellina del mio migliore amico.

    Se Gavin avesse saputo ciò che mi passava per la mente in quel momento mi avrebbe ucciso, e me lo sarei meritato. Non avevo una sorella, ma se l’avessi avuta Gavin avrebbe fatto meglio a non toccarla neppure con un dito.

    Nonostante ciò, continuai a fissarla inebetito, consumato da un desiderio incontrollabile che quasi mi stordiva. Mi era diventato duro come il marmo e avevo paura che lei se ne accorgesse abbassando lo sguardo sui miei jeans.

    «Che ti prende?», mi chiese, bella da mozzare il fiato, ma anche stanca e provata. Era riuscita a smontare la gomma sgonfia e stava cercando di far rotolare quella di scorta vicino all’auto.

    Fossi stato nella condizione di ragionare in modo più lucido, sarei rimasto impressionato vedendo che era riuscita da sola a sollevare l’auto con il cric e a svitare i bulloni. Ma in quel momento avevo questioni più urgenti a cui pensare – tipo evitare di fiondarmi su di lei, tirarla su, sbatterla sul cofano e farmela lì su due piedi.

    «Visto che sei qui», continuò Harper girandosi verso di me, «potresti cercare di renderti utile».

    Ecco la frase più simile a una richiesta d’aiuto che le avessi mai sentito dire.

    Ci impiegai un attimo, ma alla fine riuscii a muovermi. Non mi sentivo del tutto a mio agio perché, con mio grande imbarazzo, continuavo a essere eccitato, comunque riuscii a montare la ruota di scorta e a fissare i bulloni con una chiave inglese.

    Non dissi neppure una parola. Avevo paura che dalla mia voce potesse intuire cosa provavo.

    Montai la ruota di scorta, abbassai l’auto e tolsi il cric, mentre lei stava in piedi di fronte a me e si asciugava il sudore dal viso con le mani.

    Trovai quel gesto di una sensualità indicibile, e mi resi conto di non aver mai desiderato nulla come desideravo lei in quel momento.

    Harper abbassò per un attimo lo sguardo, poi mi lanciò un’occhiata di traverso. «Grazie», mormorò.

    Ormai la testa e il cuore, come l’inguine, pulsavano all’impazzata. «Di niente». Mi uscì una sorta di ringhio.

    «Sappi che lo avrei potuto fare anche da sola».

    «Lo so».

    «Ma è stato gentile da parte tua venire fin qui». Aveva riabbassato lo sguardo a terra, ma lo risollevò all’improvviso, e temetti che avesse colto l’espressione di desiderio nei miei occhi.

    Di sicuro aveva visto qualcosa ma non sapeva come interpretarlo. «Perché ti stai comportando in modo strano?», chiese.

    Diceva sempre esattamente quello che pensava.

    «Non è vero», provai a negare.

    «E invece sì». Mi lanciò un’occhiataccia e, scostando la canottiera dal petto, iniziò ad agitarla per farsi vento e trovare un po’ di refrigerio. «Ovviamente ho bucato proprio nel giorno più caldo dell’anno. Tipico».

    Mentre si faceva aria in quel modo, riuscii a vedere senza fatica cosa si celava sotto. Un reggiseno bianco di pizzo che copriva a malapena il seno perfetto.

    Deglutii e mi voltai dall’altra parte, imbarazzato. Non potevo continuare a guardarla e nello stesso tempo riuscire a controllarmi.

    «Be’, sarebbe bello se tu fossi di umore più allegro», disse, fraintendendo di nuovo l’espressione del mio viso. «Ma grazie comunque».

    Dopodiché riportò il suo didietro sexy e minuto sul sedile del guidatore e, mentre si allontanava con l’auto, mi salutò con un cenno della mano.

    Mi lasciò là, ritto in piedi, talmente eccitato che non riuscivo quasi a muovermi.

    Nelle settimane successive la sognai parecchie volte e quei sogni erotici continuarono a turbarmi anche a distanza di anni, comparendo inaspettatamente.

    Dopo ciò che accadde, dopo la morte di Gavin, quell’attrazione avrebbe dovuto trasformarsi in un ricordo sbiadito, ma non fu mai così.

    Dodici anni dopo quel giorno sul ciglio della strada, mi ritrovai di nuovo davanti a Harper.

    C’era una tomba in mezzo a noi adesso.

    La tomba di Gavin.

    Era stato seppellito proprio quel giorno.

    Il sole stava calando sopra il cimitero e una leggera brezza fredda soffiava sul mio viso, ma io vedevo solo il buio attorno a me. Ero stato in guerra con l’esercito, quindi avrei dovuto essere abituato a scene simili. Ma non era così. Non avevo appena perso un semplice commilitone. Avevo perso uno dei miei migliori amici.

    Avevo conosciuto Gavin all’asilo e avevamo passato tutta la vita insieme.

    Solo che la sua era finita troppo presto.

    Avvertivo la tensione di Declan alla mia destra, come quella di Cole alla mia sinistra. Senza dubbio anche Sebastian era agitato dagli stessi sentimenti. Lanciai uno sguardo in fondo alla fila e notai l’espressione del suo viso – impassibile, come ci avevano insegnato nell’esercito.

    Cazzo, eravamo pur sempre marines. Solo che ora ci trovavamo di nuovo a casa – e non per scelta. Avevamo servito il nostro Paese. Avevamo combattuto in prima linea e ora eravamo tornati. Feriti. Emotivamente a pezzi. Sconfitti.

    Non tutte le ferite sono fisiche.

    Da molto tempo eravamo amici, noi cinque. Io e Gavin avevamo conosciuto Sebastian, Declan e Cole al centro di addestramento reclute. Eravamo sempre stati un’ottima squadra. Nonostante le differenze che c’erano tra noi, ci univa un’amicizia che molti non comprendevano.

    Sebastian era ricco di famiglia. Tutti si sarebbero aspettati che scegliesse di vivere nel lusso più sfrenato, invece che arruolarsi e diventare un marine. Mentre osservavo quell’espressione stoica, però, mi chiesi se non avrebbe fatto meglio a rimanere nella bambagia, la stessa che lo attendeva ora dopo il suo ritorno.

    Declan si fissò le mani. Il suo silenzio era quello che più m’innervosiva. Anche se capivo che sarebbe sembrato fuori luogo davanti a una tomba, avrei voluto che facesse una delle sue solite battute. O che si mettesse a raccontare come aveva rimorchiato tre gemelle in un bar di Maui.

    Avevo bisogno che qualcosa – qualunque cosa – spezzasse la tensione di quell’incubo.

    Accanto a me Cole continuava a spostare il peso da un piede all’altro. Le sue cicatrici erano quelle più evidenti – come sempre. Non aveva mai avuto una vita facile ed essere un marine aveva rappresentato per lui più un sollievo che una sfida, come invece era stata per noialtri. Ora era a casa, ma avrebbe preferito essere sul punto di partire per una nuova missione, ne ero certo. Avrebbe preferito trovarsi ovunque piuttosto che stare lì in piedi dove ci trovavamo.

    Anche sottoterra.

    Il pastore elencò tutte le eccezionali qualità di Gavin. Un bravo figlio. Un bravo fratello. Un bravo amico. Un bravo marine. Avrei voluto scuotere quell’uomo perché bravo rappresentava solo una minima parte di quello che era stato Gavin. Era il genere di ragazzo pronto a guardarti le spalle in qualunque circostanza e di cui potevi sempre fidarti, e grazie a lui anche prestare servizio nelle condizioni più disumane sembrava un po’ più tollerabile. Era capace di farti ridere quando il mondo intero cadeva a pezzi e raccontava storie che ti facevano sognare, catapultandoti in un altro posto e in un altro momento.

    Mi dissi che non era il caso di fare quei pensieri. Non adesso. In un mondo perfetto ci sarebbero stati molti meno conflitti e non avremmo avuto bisogno di tanti funerali militari. Ma non eravamo in un mondo perfetto. Lo sapevamo tutti.

    Avrei voluto essere altrove. Avrei voluto che Gavin non fosse dov’era. Dentro una cassa, sottoterra. Avrei dato qualunque cosa, tutto quello che avevo, per cambiare la realtà dei fatti – per tornare indietro nel tempo e far bene ogni cosa. In modo che Gavin non finisse in quella bara.

    Noi cinque saremmo rimasti per sempre amici. Avremmo prestato servizio nell’esercito ancora per un paio d’anni, poi ci saremmo congedati e avremmo fatto qualcosa di diverso. Qualcosa per noi. Adesso non era più possibile. Senza dubbio noi quattro potevamo guardare al domani, ma non sarebbe più stato lo stesso. Mai più.

    Potevo sbattere la testa contro il muro finché mi pareva. Non avrei comunque trovato pace e di certo non avrebbe reso più facile svegliarmi ogni mattina e scontrarmi con la dura realtà, e cioè che io ero vivo e Gavin morto. Come accidenti avrei fatto a vivere con questo fardello?

    Stavano recitando il Padre Nostro. Mi doleva la mascella per quanto l’avevo tenuta serrata durante la cerimonia funebre. Sapevo che avrei dovuto imitarli ma non mi sentivo particolarmente spirituale. Avevo pregato sotto le bombe. Forse avrei dovuto ringraziare perché ero rimasto in vita, perché noi quattro eravamo ancora vivi mentre tanti erano morti. Eppure, la cosa non mi faceva affatto stare meglio: anzi, dubitavo che sarei riuscito a sentirmi di nuovo me stesso.

    Si erano alzati tutti. Mi guardai attorno e notai che molti si stavano avvicinando ai familiari di Gavin. Da quando eravamo tornati non avevo ancora avuto occasione di parlare con loro. Forse li avevo evitati perché mi vergognavo al pensiero di doverli affrontare.

    Li avevo delusi. Non ero stato capace di proteggere Gavin, nonostante fossimo amici da tanti anni. Io ero lì, vivo, di fronte a loro, mentre il corpo di Gavin veniva seppellito nella fredda terra.

    Non so per quanto rimasi fermo a guardare la scena che si svolgeva davanti ai miei occhi. A un certo punto Cole mi diede una leggera gomitata e, con un cenno del capo, indicò le persone che si erano messe in fila per porgere le condoglianze. La folla si era un po’ diradata e ormai riuscivo a vedere la famiglia al completo.

    Cazzo, come potevo farcela? Cosa potevo dire?

    Accanto ai genitori di Gavin, ecco Harper.

    Erano passati anni dall’ultima volta che l’avevo vista, ma avevo pensato a lei molto più di quanto avrei dovuto. Aveva smesso di parlarmi da quando le avevo dato buca per il ballo scolastico al suo ultimo anno di liceo. Era successo un casino, una storia lunga e complicata, ma avevo sperato che lei potesse capire, invece si era infuriata. Non potevo biasimarla. Poco tempo dopo avevo lasciato la città, e da allora non ci eravamo più parlati.

    Mano a mano che mi avvicinavo, mi resi conto che davanti a me non c’era una ragazza – e neppure l’adolescente sensuale che avevo desiderato tanto tempo prima – ma una donna.

    Era sempre stata un tipo tosto e non si era mai fatta mettere i piedi in testa da nessuno. Ebbi l’impressione che fosse rimasta uguale. Lo avvertii chiaramente, nonostante il sorriso educato di circostanza, mentre ringraziava quanti avevano partecipato al funerale.

    Per un istante dimenticai il luogo in cui eravamo e mi soffermai a osservare il suo bellissimo viso, le forme generose del suo corpo minuto. Non era certo quello il momento di notare quanto fosse splendida, ma non potevo farci nulla. Mi sentii rimescolare da un desiderio che non provavo da tanto tempo. Troppo.

    Di tutte le occasioni, aveva scelto proprio questa per risvegliarsi.

    In un altro momento – e con un’altra donna – avrei anche potuto seguirlo. Ma lei era la sorella minore di Gavin.

    Era sempre stata intoccabile. E la morte di lui non cambiava nulla.

    Quando i nostri sguardi si incrociarono in mezzo alla folla, sentii un pugno allo stomaco. Sul suo viso si rincorsero diverse emozioni, ma la sua espressione apparentemente non cambiò. Lo aveva notato anche qualcun altro?

    Arrivò il mio turno. Merda. Farfugliai qualcosa. Penso fossero le mie condoglianze. Strinsi la mano al signore e alla signora Murphy, i genitori di Gavin. Ora che mi trovavo davanti a Harper, non sapevo cosa fare. Abbracciarla? Stringerle la mano? Baciarla?

    Alle elementari, uno dei suoi compagni di classe aveva cercato di darle un bacio mentre tornavamo tutti insieme a casa da scuola. Lei gli aveva mollato un pugno prima ancora che io e Gavin potessimo intervenire per aiutarla.

    Abbozzai un sorriso al ricordo di lei che picchiava quel bambino, ben

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